Il Tempio, inteso in senso generico, tende, in ogni civiltà a miniaturizzare l’universo quale gli uomini di quella civiltà lo concepiscono. E la controprova viene oggi offerta, come in passato d'altronde, da quelle enormi cattedrali della vacuità che possono essere gli stadi, ma anche i palazzi dei congressi ivi compresi - ed anzi a maggior ragione - quelli costruiti per destinazione, cioè per sedi di assemblee di popolo che ad altro non sembra aspirare che alla negazione della propria spiritualità comunque intesa...

Così introduceva questa sua pietra d'angolo il carissimo F:. Alfiero A.I. pubblicata su Rivista Massonica n.7 nel settembre 1974 vol LXV IX della nuova serie.

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Il Tempio, inteso in senso generico, tende, in ogni civiltà a miniaturizzare l’universo quale gli uomini di quella civiltà lo concepiscono. E la controprova viene oggi offerta, come in passato d'altronde, da quelle enormi cattedrali della vacuità che possono essere gli stadi, ma anche i palazzi dei congressi ivi compresi - ed anzi a maggior ragione - quelli costruiti per destinazione, cioè per sedi di assemblee di popolo che ad altro non sembra aspirare che alla negazione della propria spiritualità comunque intesa.
L’opposto è unanimemente ritenuta la cattedrale gotica, mentre le varie altre costruzioni denunciano, più che fasi intermedie, accostamenti particolari, nel rapporto fra l’Uomo e l’Universo, ad una concezione o ad un'altra nei confronti del trascendente. Ovviamente, nella tecnica della costruzione, intervengono anche elementi ambientali o di altro genere, come la difesa dalle intemperie o da differenti elementi di varia origine.
Il castello di Montségur, secondo la tradizione, custodiva il sacro Graal. Più esattamente, sarebbero stati i Catari a custodire il sacro Graal nel castello che, da quanto si può o si poté rilevare dalle rovine, è difficile stabilire se sia stato una fortezza militare, una abbazia o un tempio solare. Edmond Bergheaud rileva infatti che «non risponde a nessuna delle regole delle costruzioni militari dell’epoca e non ha nulla in comune con i castelli della Linguadoca e del Rossiglione... La chiave dell’enigma risiede forse nell’architettura del castello, la cui pianta è simile a quella di un tempio solare. Le aperture sono orientate in modo tale che ognuna di esse, a seconda dei periodi dell’anno, corrisponde all’alzar del sole e nello stesso tempo ad un segno dello Zodiaco. Le dodici aperture praticate sul muro della fortezza permettono così di avere uno zodiaco al completo».
Certo è che tutto ciò che sappiamo sulla cosiddetta eresia catara ci è stato tramandato da coloro che la hanno combattuta e, almeno apparentemente, soffocata ma, molto probabilmente, anche assimilata; e cioè i Crociati ed in ispecial modo i Templari, anche se Louis Charpentier sostiene che si sono sempre rifiutati di parteciparvi: «È senz'altro vero che i Templari rifiutarono decisamente di prender parte alla Crociata contro gli Albigesi, ma l’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme fece lo stesso e nessuno pensò di accusarlo di collusione». Più oltre però riferisce che «al Parlamento di Pamier, quando due trattati furono imposti al paese albigese e sigillati con undici sigilli, tra cui quello di Simone di Montefort, vi furono quattro ecclesiastici: due vescovi, un Templare ed un Ospitaliere».
È certo però che molti catari si rifugiarono presso il Tempio e, anche a non voler credere alla leggenda dei tre cavalieri fuggiti nottetempo dal Castello di Montségur con la Coppa di Smeraldo - altri vuole si trattasse dell’autentico Vangelo di San Giovanni - prima della resa, qualcosa certamente vi portarono.
Quando i Templari saranno processati, verranno anche imputati dell’eresia catara. Dire fino a qual punto questi e quelli siano stati vittime di manovre e violenze che involgevano un vasto gioco politico è difficile perché oggi possiamo valutare le cose solo alla luce dei risultati ottenuti e non è detto che ciò che si è verificato per accidente possa essere stato allora intelligentemente e maliziosamente progettato. Giochi ipotetici di alleanze fra lontani centri di potere, intesi a far prevalere questa o quella parte, non possono certo essere stati fatti allora quando trascorrevano anche dei mesi prima che si avesse notizia che una parte o l’altra avesse prevalso, quando bastava che pochi uomini rendessero possibile la conquista di un castello che resisteva da anni o che un segno qualunque inducesse l’assediante a togliere l’assedio e magari a ruinare a sua volta inseguito. Esaminare gli avvenimenti di quelle epoche ci fa dubitare dell’attendibilità delle informazioni tramandate e tutti i personaggi ci appaiono contraddittori. È evidente che si comportavano come se non fossero stati a conoscenza di ciò che era accaduto a loro favore od a loro danno e che assumevano atteggiamenti che, ovviamente, spesso non erano conseguenti.
Tutta la storia si svolge in un lasso di tempo che non supera i due secoli e decide della vita spirituale e del destino di intere nazioni e di disparate razze.
Incomincia, si può dire, con Bernardo di Chiaravalle e finisce con Tommaso d'Aquino anche se questi era già morto al momento della esecuzione di Jacques de Molay. Un raffronto fra questi due personaggi che la Chiesa di Roma considera santi, è impossibile.
Forse Bernardo sapeva fare cose che non conosceva e Tommaso conosceva sicuramente cose che non sapeva fare. Bernardo, il taumaturgo, era certamente un mago; dove avesse appreso la magia non è dimostrato, né lo hanno voluto dimostrare quelli che avrebbero potuto farlo. Non è detto che praticasse l’arte di memoria ma è certo che si serviva degli stessi schemi e degli stessi simboli di coloro che la praticavano. Tommaso, per contro, se ne è occupato ampiamente anche se la sua maggiore e costante preoccupazione sembra - almeno in apparenza - essere quella di «sganciare - come osserva Paolo Rossi - nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico dell’ars notoria o di arte magica della memoria intesa come arte somma o come chiave della realtà universale».
Il fatto è molto più importante di quanto a prima vista appaia e non è isolato.
Alberto Magno, che oggi magari consideriamo qualcosa di simile ad un mago, aveva preceduto Tommaso e ne era il maestro mentre Bartolomeo di San Concordio non ne è certo l’ultimo epigono. Tutti sono domenicani, confratelli dei grandi inquisitori, appartengono cioè a quello stesso ordine che tanto si è affannato per la distruzione del Tempio. Ciò, almeno, in apparenza perché se Tommaso ha cercato di ancorare il cristianesimo alla logica di quella specie di razionalismo ateo che fu di Aristotile, non sono pochi coloro che han visto nella Summa, opportunamente occultate, delle prescrizioni sul come «divinizzare la pietra».
È certo che il Templarismo è nato nelle abbazie cistercensi ed è altrettanto certo che, dopo la sua distruzione, queste abbazie hanno dato rifugio a non pochi Templari. Le più grosse cattedrali, inoltre, iniziate col lavoro e con le fortune dei Templari, sono state completate dopo la loro rovina e sono, come rileva il Fulcanelli, conformi alle prescrizioni della Somma.
Secondo la leggenda, sono i Fratelli del dovere ad assumere l’eredità templare. Si sarebbero inseriti nel gioco quasi di straforo rendendosi depositari delle regole costruttive; ma è molto poco probabile che siano riusciti a nascondere anche i tesori - intesi come disponibilità di carattere economico - che altre leggende vogliono siano scomparsi, alla morte di Jacques de Molay, negli stagni artificiali oggi bonificati - della Foresta di Oriente. Il vetro alchemico delle vetrate delle cattedrali, la simbologia della rosa ricorrente nelle motivazioni ornamentali, sarebbero opera di questi oscuri fratelli che sarebbero gli inconsci veicoli della tradizione.
È però opinione radicata che i Templari avessero assimilato in Oriente le loro dottrine segrete ed il sistema della loro organizzazione rilevandoli in toto dalla setta degli «Assassini», il cui nome deriverebbe dalla degenerazione dell’equivalente arabo di guardiani, o, secondo altri, più semplicemente da quella di fumatori di hashish.
Le imprese templari in terra santa starebbero a dimostrare - alla luce delle motivazioni di accusa che son state loro mosse di aver venduta la vittoria agli infedeli - che vi era stata collusione con le varie sette mussulmane. È certo che qualcosa di «strano» avvenne in quei luoghi e che i protagonisti non erano in condizione di giustificare, ma non si può dire che tutto sia avvenuto nei luoghi, nei termini e nei modi di cui si è parlato.
Non crediamo nemmeno nella possibilità che abbiano tentato di parodiare l’organizzazione dei seguaci del Vecchio della Montagna introducendo il sistema gerarchico di iniziazioni successive. Anche le vestigia dei presunti culti segreti, quali sono stati presentati dai loro avversari, non sembrano poi rendere troppo attendibile la possibilità che abbiano appresi tali culti dalla setta degli Assassini che, fra l’altro, subivano una iniziazione di tipo psichedelico con l’aiuto di afrodisiaci.
Il Bafometto che i Templari erano accusati di adorare è, semmai, un dio fallico e non può in alcun modo essere una degenerazione del nome di Maometto.
Più attendibile è l’accusa di Manicheismo che, unita al voto di castità - che sia stato o meno seguito da pratiche di sodomia non è cosa che ci interessi - tende, in certo qual modo, a rivelare la collusione fra i Templari e l’eresia catara.
Considerato che, quando si parla di Crociate, ci si riferisce a quelle di Terra santa, non è poi improbabile che non si sia fatta della confusione nel dire che i Templari avevano appresi i culti segreti dai loro nemici durante le Crociate non dimenticando che una delle più lunghe e più cruente Crociate è proprio quella combattuta in Linguadoca contro gli Albigesi. I processi di cui si parla sono molti e se, in alcuni, il riferimento alla collusione coi mussulmani è esplicito, in altri non se ne parla affatto, mentre in quasi tutti si parla dei Catari.
La Crociata contro gli Albigesi si conclude solo con la conquista di Montségur, con una battaglia mai avvenuta, con gli assediati che si consegnano spontaneamente ai loro carnefici sotterrando, secondo la leggenda, i loro libri, la Coppa di Smeraldo ed ogni altra testimonianza della loro dottrina, più o meno come faranno i Templari al momento del loro arresto.
Tutto ciò, in ambedue i casi, non sarà più ritrovato ed è piuttosto strano perché, a quanto si dice, specie per i Templari, l’intera operazione avrebbe avuto come scopo l’acquisizione dei tesori.
La cosiddetta eresia catara, che si vuole identificare con una vera e propria religione solare da quanto ci dicono le rovine di Montségur, si rifà alla religione di Mani cioè ai due princìpi contrapposti nella creazione del mondo: il bene e il male, la luce e le tenebre, Dio e la materia.
L’anima si trova in uno stato di equilibrio instabile fra la materia di cui è prigioniera ed il regno della luce a cui tende per costituzione. Solo se riuscirà a liberarsi dal corpo sarà salva. Poiché ciò che è materia è male, è male anche il procreare, allevare animali, seminare, costruire.
Non esistono però delle prescrizioni categoriche in quanto gli Uditori possono vivere nel mondo e solo quando assurgeranno al ruolo di Eletti o Puri avranno coscienza di ciò che non si deve fare.
I loro templi sono templi solari e la loro festa principale è la Boma che celebrano all’equinozio di primavera. Il Sole è il «Gesù luminoso», ma anche la Luna e gli altri astri sono di origine divina e non contaminati.
È presumibile che l’idea manichea si sia stabilita in Linguadoca attraverso le peregrinazioni dei seguaci di Borgomil che, partendo dal libro apocrifo di Enoch sulla caduta degli angeli, interpreta la Bibbia alla luce della dottrina di Mani.
In tutto il discorso si intravede o si può presupporre un messaggio di antica saggezza che, deformato da fattori ambientali, resiste nel tempo ai cambiamenti ed alle distruzioni.
Secondo alcuni, la dottrina di Mani, come quella di Borgomil e, in seguito, la cosiddetta eresia catara intrecciatasi alle vicende templari, non sarebbe altro che un supporto exoterico ad una dottrina segreta tradizionale che, partita ai primordi della civiltà da occidente, vi ritorna dopo aver illuminato l’oriente.
Questa ipotesi suggestiva, ma molto confusa, segue le vicende del Graal sulla strada balcanica. È, ovviamente, un Graal che precede la venuta del Cristo, essendosi staccato dalla corona di Lucifero al momento della caduta.
Il primo ciclo escatologico - ovvio che si tratta di una storicizzazione della vicenda - del Graal si conclude quindi col mistero del Golgota. È la pietra per eccellenza, venuta dal cielo e conservata per raccogliere il sangue del Salvatore della umanità.
L’averlo perduto o nascosto - agli effetti pratici ha il medesimo valore - starebbe ad indicare che «i secoli non sono ancora compiuti».
In altri termini, il Graal, che implica la conquista del Tempio, è protagonista di una vicenda che si svolge nel tempo. Riaffiora ancora il concetto di valore sostituito. Per i Catari infatti il Cristo non libera gli uomini dalla schiavitù ma insegna solo quale può essere la via per liberarsi. Egli non è né Dio né Uomo, ma un angelo, uno spirito puro e la sua passione morte è stata solo apparente e non può pertanto essere intesa come espiazione ma solo come insegnamento.
Il loro Vangelo è quello di San Giovanni - ovvio che anche qui si lasci intendere che non si tratta di prendere alla lettera quel Vangelo ma di saperlo leggere - però rifiutano il battesimo di acqua che è materia e quindi opera del Demonio, l’angelo caduto dal cielo che ha creato il mondo a somiglianza del mondo dello spirito ma con scopi infami.
I1 Graal è quindi anche l’anello di congiunzione fra il cielo e la terra. Si è staccato dalla corona di Lucifero quando questi era ancora un angelo, ma nel momento della sua caduta. È quindi sulla terra ma è di origine uranica. La sua visione, che ne implica il possesso, equivale per l’uomo al riscatto, al ricevimento del battesimo di Luce che chiamavano «consolamentum» cioè all’illuminazione solare.
Anche qui ci troviamo in presenza di un coacervo di miti, dottrine, precetti e superstizioni che adombrano l’essenziale cioè il simbolismo della pietra.
In tutte le culture, ma anche nelle società arcaiche, le pietre sono di origine celeste, tanto che si tratti di meteoriti veri e propri tanto che si tratti di massi che scendono dalla montagna. Il loro sesso è pertanto maschile e sono destinate a fecondare la terra fendendola direttamente o venendo utilizzate come istrumenti. Solo in un secondo tempo, le pietre verranno staccate dalla terra ma saranno considerate femminili cioè grezze. Sarà necessario tagliarle e purificarle per far loro assumere un aspetto nobile. Le pietre infatti, anche se dedicate alla divinità, non saranno mai divine in se stesse, non ostante le pratiche, che si trascineranno fino ai nostri giorni - vedi la pietra sacra per la celebrazione della Messa nel culto cattolico - intese ad animarle.
Per le pietre metalliche il processo sarà invece più semplice, cioè di risultati più facilmente constatabili. Quelle di origine uranica riveleranno immediatamente la loro nobiltà, mentre quelle di sesso femminile, estratte dalla terra, si riveleranno solo dopo aver subìto un processo di fusione. La pietra verrà purificata col fuoco e, durante il processo, verranno immesse nel crogiolo particelle di origine meteoritica o di metallo che, in precedenza, aveva subìto tale trattamento.
Il femminile, tellurico, dovrà essere fecondato durante la fusione col maschile, uranico. Col progredire della civiltà - secondo altri con l’inquinamento della tradizione - saranno solo alcune pietre ad essere considerate maschili finché, restringendo sempre la rosa, si giungerà a ritenere tale solo il mercurio e, conseguentemente, solo un tipo di mercurio che ha il potere di trasmutare gli elementi.
E, a questo punto, l'Athanor sostituirebbe il Montsalvat divenendo la dimora della «pietra filosofale».
Ci troveremmo di fronte ad una altra interpretazione drammatica dello stesso mistero: il Graal inteso come oro filosofico e polvere di proiezione; la trasmutazione alchemica della pietra, i cui poteri sono ineffabili.
Che sia pietra o catino o coppa ha poca importanza, come poco importa che sia un libro come il Vangelo di S. Giovanni o le Tavole della Legge o l’ostia solare che la colomba pone sul Graal stesso.
L’importante è che il ciclo si rinnovi, che la parola venga perduta e ritrovata - da alcuni, bene inteso - fino a che i secoli saranno consumati.
È interessante anche il fatto che, secondo alcune, diciamo, appendici del romanzo, ad un certo momento, il Graal passi nel regno di Prete Giovanni che chi vuole in Turchia, chi in Abissinia e chi altri in Cina od in India, prima di ritornare in Europa e scomparire a Montségur per essere affidato clandestinamente ai Templari «che lo devono mantenere e custodire sulla Terra per rendere possibile l’effettivo regno di Dio».
Ma altri ha visto una prepotente somiglianza fra l’insegnamento dei Catari e la dottrina del Budda, mentre, altri ancora tale somiglianza l’han trovata con le dottrine - ali dottrine di grazia? - delle cosiddette civiltà minori degli aborigeni dell’Africa o di isole del Pacifico.
Secondo Bergheaud, il romanzo del Graal «costituisce una specie di memoria collettiva di tutta l’umanità » e testimonia « il bisogno fondamentale dell’uomo di conferire una certa coerenza agli avvenimenti di cui è l’attore, il testimone, la vittima».
Ora noi siamo convinti che quella umanità - meno allo stato cosciente - non ha bisogno né del Graal né della polvere di protezione, come non ha bisogno degli insegnamenti del Budda. Il nulla, il Nirvana, lo ottiene negli stadi, in quelle che abbiamo inizialmente chiamate cattedrali della vacuità.
I1 romanzo del Graal è sempre stato considerato il più alto dei misteri della religiosità occidentale. Non possiamo pretendere che possa resistere ad una esegesi di tipo razionale. Se ne seguiamo le vicende storiche non corrisponderà nemmeno ad un processo logico.
Ma se indulgeremo in considerazioni analogiche, se ciò che sta in basso, lo concepiremo come ciò che sta in alto, allora il Graal potrà anche essere il simbolo del punto di fuga per la tangente, qualcosa di simile - in questo caso dobbiamo usare solo simile perché non abbiamo parola più adatta - alla Shin al centro della Croce di Martinez de Pasqually, al matto dei Tarocchi.

 

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