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"Benedicamus Domino Deo gracias"

Codex Calixtinus 1139 - 1173

Perché siamo andati a farlo non lo sappiamo più… perché ce ne siamo innamorati ancora meno.

Non sempre c'è una ragione valida a quello che si fa. Lo si fa forse per inseguire un sogno? Per constatare se ci siamo ancora? Ad essere sinceri nessuno di noi ha saputo rispondere.

Al mondo ci sono luoghi molto più belli del Cammino di Santiago, percorsi molto più interessanti, ma nel Camino c’è la storia di una civiltà millenaria, vi sono pietre che sono state guardate, indicazioni che sono state seguite dalla notte del tempo, e tutto questo si avverte, si percepisce così prepotentemente tanto da avvertire la presenza di chi ci ha preceduto; e a volte nella penombra della sera, quando stanchi ci si riposa, sembra scorgere ombre misteriose… una lunga teoria di pellegrini che laceri scalzi e coperti di piaghe sorridendo indicano la meta lontana, laggiù oltre l’orizzonte.

Non vi è una conclusione al Camino, non vi è una morale che si possa trarre così come le foto stesse non fotografano cosa sia veramente il Camino.

Questo viaggio, a distanza di tre anni, sta ancora lavorando dentro di noi, con una forza potente che insinuatasi non ci abbandona.

Non sappiamo se il Cammino configuri la vita, o ripercorra l’iniziazione massonica ricevuta, ma dopo quel viaggio una poesia di Pablo Neruda, ha preso i giusti contorni prima ignoti:

 

Lentamente muore

 

Lentamente muore

chi diventa schiavo dell’abitudine,

ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,

chi non cambia la marcia,

chi non rischia e cambia colore dei vestiti,

chi non parla a chi non conosce.

 

Muore lentamente chi evita una passione,

chi preferisce il nero su bianco

e i puntini sulle “i”

piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi,

quelle che fanno

di uno sbadiglio un sorriso,

quelle che fanno battere il cuore

davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore

chi non capovolge il tavolo,

chi è infelice sul lavoro,

chi non rischia la certezza

per l’incertezza per inseguire un sogno,

chi non si permette almeno una volta nella vita

di fuggire ai consigli sensati.

 

Lentamente muore chi non viaggia,

chi non legge, chi non ascolta musica,

chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente

chi distrugge l’amor proprio,

chi passa i giorni a lamentarsi

della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore

chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,

chi non fa domande

sugli argomenti che non conosce,

chi non risponde

quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,

ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo di gran lunga maggiore

del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà

al raggiungimento

di una

splendida felicità.

 

Partimmo da San Jan Pie du port e puntammo a ovest, seguendo il sole, per le antiche vie percorse dai pellegrini che accettavano il sogno di Santiago. Cercavamo sentieri nascosti, solitari, difficili. Passavamo la notte in antichi monasteri, in rifugi abbandonati ma ancora pieni degli odori e dell'energia di uomini e donne che con la fede hanno creato il mito, il sogno del sacrificio e del dolore per raggiungere la gloria. Camminavamo sui monti, tra i boschi di querce e lecci.

Gli orizzonti si allargavano e si stringevano e le immagini cambiavano, come cambiavano gli odori e i colori, ma il silenzio era sempre quello, fragoroso come una musica coinvolgente fatta di ritmi antichi e nuovi, ma sempre riconosciuti.

 

Camminammo come dei legionari romani, si alzavamo all'alba e nella foschia seguivamo le poche indicazioni fidandoci del nostro istinto e poi, quando il sole era alto, cercavamo l'ombra, ma andavamo avanti, spesso soli, alcune volte seguiti da pellegrini già stanchi. In pochi riuscivano a stare dietro al nostro impeto che sembrava più una furia di arrivare, di concludere quel Camino.

 

Arrivammo a Santiago de Compostela dopo trentuno giorni, percorrendo gli ottocentoventi chilometri ad una buona media, ma non inutile, almeno per noi.

L’inizio di un Camino è il momento più difficile per un pellegrino. La prima settimana può essere addirittura terribile anche se la tecnologia aiuta molto con i materiali tecnici adeguati tipo abbigliamento e zaino, ma è il corpo a subire sollecitazioni a cui non è abituato, per questo abbiamo imparato ad ascoltarlo e a rispettarlo.

Forse avremo una predisposizione naturale, ma facciamo parte di quel gruppo di persone che è arrivato sempre a Santiago che sono il cinquanta per cento di chi è partito. É vero, la metà non ci arriva e l’abbandono del Camino, lo abbiamo visto con i nostri occhi, è dolorosissimo, frustrante e fortemente demoralizzante. Ma il Camino è come la vita, non ci può essere gloria senza dolore e andando per quelle vie il dolore non manca, ma è proprio quello che stimola, che spinge ad andare avanti. Sono in molti però a tradire con troppa facilità quello spirito che ci potrebbe far sentire ancora più umani di quello che apparentemente crediamo di essere e prendono l’autobus o il treno e così vanno avanti giustificandosi essenzialmente con se stessi, rifiutando il concetto della sconfitta che invece ci può stare.

 

In troppi lo affrontano come una competizione ed è l’errore più grande, abbiamo visto super atleti piangere sul bordo di un sentiero con le scarpe slacciate e tenere i loro piedi pieni di piaghe purulente e sanguinanti, abbiamo visto giovani donne cedere di schianto sommerse dai loro zaini pieni di cose inutili, abbiamo visto tedeschi vomitare la birra ingurgitata bestemmiando un dio che evidentemente non hanno, abbiamo visto anche eroi che in silenzio, in compagnia solo della loro speranza, andavano avanti riuscendo a trovare la forza di regalarci un sorriso sempre ricambiato. Abbiamo visto una anziana signora francese partita da Lione e arrivare a Santiago con milleseicento chilometri nelle gambe e alla balaustra della Cattedrale ridere e piangere senza ritegno, senza vergogna alzare gli occhi al cielo e trovare la consapevolezza di un onore, una forza e un coraggio personale e intimo mai perduto. Santiago non centra, Dio non centra, è l’uomo o la donna che affrontano semplicemente loro stessi, molti si trovano, altri no, è la selezione naturale, appunto come la vita. Noi così abbiamo visto il nostro Camino, così l'abbiamo voluto vivere e percorrere.

Anche noi abbiamo vissuto il dolore e la fatica, ma siamo andati avanti, rallentando alcune volte, fermandoci due giorni addirittura per dare riposo al nostro corpo stremato, ma siamo andati avanti, mai abbiamo pensato un istante di mollare, di tornare a casa o peggio di salire su di autobus e tagliare una tappa, mai. Personalmente non ho mai capito chi lo fa, per me sono turisti, gente che toglie un posto letto nei rifugi ai i pellegrini, quelli veri intendo. Sarò spietato forse, ma quello che ha reso grande il Camino de Santiago in questi anni di opulenza è la possibilità di soddisfare la voglia di alcuni di ritrovare se stessi attraverso il sacrificio percorrendo la via della rinuncia mettendosi alla prova.

 

Arrivare a Santiago è una sensazione forte, di quelle che lasciano il segno. Gli ultimi chilometri sono terribili, infiniti e la meta, la Plaza dell’Obradorio, dove si affaccia la Cattedrale, da sogno, da ambizione, da uno dei più importanti traguardi di una vita, diventa lentamente una realtà. Si lasciano alle spalle i polverosi sentieri di montagna, gli antichi borghi rurali ormai abbandonati, ma ancora pieni di misterioso fascino, le foreste infinite di lecci e di eucalipto, il silenzio di una natura che riconquista lentamente i territori orfani del lavoro degli uomini e si entra in una periferia moderna e viva.

Appaiono in lontananza le altissime guglie barocche della Cattedrale e le gambe stanche ritrovano chissà dove energie fondamentali e il passo torna ad essere lungo e disteso, le spalle si rialzano e lo zaino da macigno ridiventa sopportabile. I pellegrini che si erano abbrancati cammino facendo, si sgretolano, semplicemente perché ogni uno vuole arrivare solo alla meta agognata. La città indifferente non ti guarda, forse capisce il tuo stato d’animo, ma te lo lascia tutto condividere con te stesso come forse è giusto che sia.

Seguimmo le guglie e andammo avanti, se avessimo potuto correre lo avremmo certamente fatto, ma non era possibile. Avevamo, è vero, trovato nuova linfa, nuova energia, ma era semplice adrenalina di breve durata e allora occorreva centellinarla, la si doveva gestire passo dopo passo.

Ci guardavamo intorno e ci pareva strano che il bailamme di una città ci sorprendesse tanto perché lo si era dimenticato nei silenzi assolati delle meseta, gli altopiani infiniti tra Burgos e Leon, salendo da Tricastela verso O Cebreiro fino a mille e trecento metri di altezza per raggiungere Sarria in Galicia per poi superare le dure montagne intorno a Ponferrada. 

Tutto è ormai alle spalle, non ha quasi più importanza, la meta è li che ci aspetta quasi come un premio, ma sapevamo (e lo sentivamo dentro di noi) che la grande avventura stava finendo e alla gioia si mescolava la tristezza.

Che strano, si vorrebbe continuare all’infinito quel Camino, ormai le gambe non dolgono quasi più, hai saputo essenzializzare lo zaino, hai trovato equilibri che non credevi di raggiungere, hai capito chi sei e sai dove puoi arrivare. Hai trovato te stesso insomma e quel modo di vivere, così antico, ormai ti appartiene e non vorresti più lasciarlo. Questo è il vero premio che arrivando ormai ti appartiene e che nessuno potrà mai toglierti. Non è la Compostela, la pergamena che dichiara che hai percorso da pellegrino il Camino de Santiago in nome di Dio e che ti rimette tutti i tuoi peccati a darti la consapevolezza che quello che hai fatto è qualche cosa di semplicemente ancora più grandioso.

 

Purtroppo non si può spiegare a chi non l’ha fatto quello che abbiamo compiuto, dove siamo arrivati e soprattutto come. Rimarrà nel nostro intimo, per sempre.

 

Il grazie più grande è quello al G:.A:.D:.U:. per averci fornito una opportunità e per averci concesso, per coglierla, occhi e cuore liberi.