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Gesù - la missione di cristo


Se Brama e Krishna, Ermete e Mosè, Orfeo, Pitagora e Platone, hanno via via rigenerato i loro popoli, avviandoli a nuove mète di vita spirituale e religiosa, possiamo ben dire che la rigenerazione operata dal Cristo ha investito d'un colpo tutti i popoli della terra, presentandosi come universale, nello spazio e nel tempo.

Basta questa premessa a darci la misura dell'importanza, che la figura di Gesù riveste, per lo Schuré, nel disegno generale di questi «Grandi Iniziati». Ed è necessario ancora premettere allo svolgimento di questa parte un avvertimento: sia chiaro che il Cristo non può essere veduto, dal punto di vista dello Schuré, nei termini in cui è considerato dall'ortodossia teologica e dogmatica del Cattolicesimo. Il dogma della Chiesa ci è noto; l'interpretazione esoterica e misterica della figura di Cristo la vedremo fra poco nei suoi punti essenziali e vedremo anche che, se essa demolisce il Cristo nel dogma e ce lo pone in una luce infinitamente più vicina alla ragione umana, ci dà nondimeno un Cristo egualmente alto, egualmente sublime, egualmente divino, sebbene in diversissimo senso.
Questa breve e suggestiva cristologia di Schuré esordisce con un interessante inquadramento storico, che vale a sottolineare l'importanza della missione universale di Gesù. Tale inquadramento, infatti, tende a porre in luce come Gesù sia comparso, sulla scena del mondo, in un momento estremamente tragico ed oscuro per la vita dello spirito, e come, di conseguenza, la sua azione sia stata provvidenzialmente redentrice.

I punti essenziali di questa crisi possono essere ricapitolati così: decaduti il sapere e la forza spirituale della Grecia; fallito il tentativo rinnovatore e unitario di Alessandro Magno; crollato politicamente e sfiorito spiritualmente l'Egitto; irrefrenabile ormai l'avanzata della nuova Babilonia, impersonata dall'impero di Roma. E qui può essere interessante vedere prescindendo, però, da ogni commento, che troppo ci porterebbe lontano - quale sia il giudizio dello Schuré sul mondo romano:

«Roma divenne l'idra, che inghiottì i popoli coi loro dèi; le nazioni della terra furono a poco a poco sottomesse e spogliate; la prigione Mamertina si riempì di sovrani, del settentrione e del mezzogiorno. Roma, non volendo preti, che non siano schiavi e ciarlatani, assassina in Gallia, in Egitto, in Giudea ed in Persia gli ultimi possessori della tradizione esoterica. Finge di adorare gli dèi, ma non adora che la sua Lupa; ed ora, in un'aurora sanguigna, appare al popolo l'ultimo figlio di questa belva, nel quale si riassume il genio di Roma: Cesare! ».

In questo quadro di decadenza spirituale e di minaccioso trionfo delle forze del male, si leva la figura del Galileo, ultima speranza di salvezza per i più profondi valori umani. E la via attraverso la quale Gesù compie la sua formidabile missione, è, nell'interpretazione dello Schuré, sostanzialmente questa: l'aver portato fra il popolo, trasformandola in una operante forza di rinnovamento etico e di riscatto umano, la sapienza suprema e la profonda esperienza morale, che furono al fondo di tutte le iniziazioni misteriche, e di queste furono la comune e perenne sostanza.
Nelle linee generali della sua narrazione, lo Schuré segue press'a poco quelle del racconto evangelico; possiamo, quindi, esonerarci dal riferirle, isolando, invece, ed esponendo i problemi fondamentali che l'Autore affronta nell'interpretazione esoterica della figura del redentore.

Il primo di essi, in ordine logico e, diremmo, anche cronologico, è questo: quali furono i filoni, attraverso cui giunse a Gesù la dottrina esoterica? Come ed in qual forma possiamo dire ch'egli sia stato «iniziato» al misticismo dei misteri?
A Gesù sono giunti, risponde lo Schuré , anzitutto quegli elementi della dottrina esoterica passati nel monoteismo mosaico; in secondo luogo confluisce a lui quella potente vena di spiritualismo, che è costituita dal profetismo giudaico e che si è espressa, con particolare vigore ed altezza, nella dottrina dell'aspettazione messianica. I Profeti, infatti, furono, presso gli Ebrei - e particolarmente nelle ore più tragiche della loro storia - la voce vibrante di Dio, quasi una continua e alimentatrice rivelazione di quelle verità eterne, che Mosé aveva racchiuso e velato nella Genesi, i maestri e gl'indicatori della via della salvezza; ed il messianismo, la promessa e l'attesa di un redentore inviato da Dio, incarnazione del suo verbo, fu l'espressione più vigorosa e suggestiva dell'annunciazione profetica.

Ma il legame più diretto ed immediato con l'esoterismo misterico, aggiunge Schuré, fu dal Cristo raggiunto, entrando nella setta degli Esseni. Erano questi una specie di confraternita o di ordine religioso, che viveva da secoli fra le tribù d'Israele, legato da un fortissimo spirito di fratellanza, custode di una tradizione religiosa altamente mistica e che si esprimeva in proprie forme di culto e soprattutto nell'osservanza di una regola di vita profondamente morale.

«Le regole dell'ordine - sono parole di Schuré - erano severe; per entrarvi occorreva il noviziato di un anno; e quando si erano date prove sufficienti di temperanza, si era ammessi alle abluzioni, senza, però, entrare in rapporto coi maestri dell'ordine. Altri due anni di prova erano necessari per essere ricevuti nella confraternita.
Si giurava, mediante terribili giuramenti, di osservare i doveri dell'ordine e di non tradire menomamente i suoi segreti. Allora soltanto si prendeva parte alla mensa comune, che si celebrava con grande solennità e costituiva il culto intimo degli Esseni. Consideravano sacro il vestito, che avevano portato durante quei pasti, e lo toglievano prima di rimettersi al lavoro.
Quelle agapi fraterne, forma primitiva della cena istituita da Gesù, incominciavano e terminavano con la preghiera. Colà si dava la prima interpretazione dei libri sacri di Mosé e dei profeti.
Nella spiegazione dei testi, come nell'iniziazione, vi tre interpretazioni e tre gradi diversi: pochissimi arrivavano al grado superiore. Tutto questo somiglia perfettamente all'organizzazione dei pitagorici».

Siamo, dunque, davanti a una vera e propria iniziazione, in tutto simile a quelle che ci sono ormai familiari e destinate a tramandare gli stessi fermenti morali e le stesse dottrine supreme su Dio, l'Universo e l'Anima umana. É questa l’iniziazione ricevuta da Gesù, nella solitudine austera e meditativa sui monti di Galilea; quei monti dai quali il Cristo discese trentenne, ormai pienamente conscio di essere veramente il Messia annunciato
dai Profeti, e misticamente consapevole del sacrificio supremo, con cui avrebbe dovuto coronare la sua divina missione.

Il secondo dei problemi cristologici, che il nostro autore deve necessariamente affrontare, è quello della filiazione divina di Gesù, cui si connette strettamente l'altro della virginea maternità di Maria.

Ecco, testualmente, le soluzioni prospettate dallo Schuré:

«A quanto pare, nelle prime comunità cristiane, Gesù era considerato come figlio di Maria e Giuseppe, poiché Matteo ci dà l'albero genealogico di Giuseppe, per provare che Gesù discende da David. Senza dubbio come presso alcune sètte gnostiche, si vedeva in Gesù un figlio dato dall'Eterno, nello stesso senso di Samuele. Più tardi la leggenda, preoccupata di dimostrare l'origine soprannaturale di Cristo, intessé il suo velo d'oro e d'azzurro: la storia di Giuseppe e di Maria, l'annunciazione e, persino, l'infanzia di Maria nel Tempio. Se tentiamo di spiegare il senso esoterico della tradizione giudaica e della leggenda cristiana, potremo dire che l'azione provvidenziale o, per dir meglio e più chiaramente, l'influsso del mondo spirituale, che concorre alla nascita di ogni essere umano, è più potente e visibile nella nascita di tutti gli uomini di genio, l'apparizione dei quali non si spiega affatto con la sola legge dell'atavismo fisico. Questo influsso raggiunge la massima intensità, quando si tratta di uno di quei divini profeti destinati a cambiare la faccia del mondo».

E sulla filiazione divina:

«Gli comunicarono infine la dottrina del Verbo divino, già insegnata da Krishna in India, dai preti d'Osiride in Egitto, da Orfeo e Pitagora in Grecia, e conosciuta dai profeti sotto il nome di misteri del figlio dell'Uomo e del figlio di Dio. Stando a questa dottrina, la più alta manifestazione di Dio è l'uomo, che per la costituzione, la sua forma, i suoi organi e la sua intelligenza, è immagine dell'Essere universale e ne possiede le facoltà.
Nell'evoluzione terrestre dell'umanità, Dio è, per così dire, sparso, frazionato e mutilato nella molteplicità degli uomini e dell'imperfezione umana, ed in essa soffre, si cerca e lotta: è il figlio dell'Uomo. L'uomo perfetto, l’uomo tipo, che è il pensiero più profondo di Dio, dimora nascosto nell'abisso infinito del suo desiderio e della sua potenza. Tuttavia a certe epoche, quando si tratta di togliere l'umanità da una voragine, per sollevarla ed innalzarla, un eletto si identifica con la divinità, l'attira a se con la forza, la saggezza e l'amore, e la manifesta di nuovo agli uomini; e la divinità, per la virtù ed il soffio dello Spirito, è interamente presente in lui: il figlio dell'Uomo diviene il figlio di Dio e suo Verbo vivente. In altre età, presso altri popoli, vi erano già stati figli di Dio; ma dopo Mosè, nessuno ne era più apparso in Israele».

Ci meravigliano queste risposte così eterodosse rispetto ai due corrispondenti dogmi della Chiesa? Possono trovarci dubbiosi o contrari, ma non possiamo non riconoscere come esse siano la logica conseguenza di tutto quanto abbiamo finora visto essere il pensiero dello Schuré, soprattutto quando abbiamo parlato di Krishna, né possiamo dimenticare che questo pensiero è intrinsecamente fuori del dogma cattolico, come di tutti i dogmi. E come potrebbe non entrare in conflitto con essi?

Il terzo, ed ugualmente arduo problema, è quello della resurrezione, la fede nella quale ha avuto un'importanza così grande e così determinante nello sviluppo e nell'affermazione del cristianesimo.
A questo proposito, lo Schuré comincia con l'accettare, nel loro complesso, come effettive le apparizioni del Cristo agli apostoli, dopo la morte; apparizioni su cui la Chiesa fonda la dimostrazione - se così si può dire - del dogma della resurrezione. Accettare per vere le apparizioni, si noti, non vuol dire accettare implicitamente la resurrezione fisica del Cristo: in certo senso, il problema si sposta soltanto.

Ma sentiamo, anche qui, le parole dello Schuré

«Per concepire, nel fatto della resurrezione, un'idea razionale, per comprenderne la importanza religiosa e filosofica, basta esaminare il valore dei fenomeni delle apparizioni successive e scartare, fin da principio, l'idea assurda della resurrezione del corpo, una delle più grandi pietre d'inciampo del dogma cristiano, dogma che su questo punto, come su molti altri, è rimasto assolutamente primitivo e infantile.
La scomparsa del corpo di Gesù può spiegarsi per mezzo di cause naturali, ed è a notarsi che i corpi di molti grandi adepti sono spariti senza lasciar traccia di sé ed in modo ugualmente misterioso; fra gli altri, quelli di Mosè, di Pitagora, di Apollonio, di Tiana; ne mai si poté sapere ciò che ne era avvenuto. Può darsi che i fratelli conosciuti, o sconosciuti, che vegliavano, abbiano distrutto, col fuoco, la spoglia del maestro, per sottrarla alla profanazione dei nemici. Sia come si voglia, l'aspetto scientifico e la grandezza spirituale della resurrezione non si manifesta se non nel senso esoterico».

Per le dottrine iniziatiche, la resurrezione trova una completa spiegazione nella concezione della struttura ternaria dell'uomo, secondo la quale noi siamo composti di spirito (pura entità mentale senza forma), corpo fluidico o siderale (forma incorporea e quasi capsula dello spirito), e finalmente corpo materiale. É precisamente il corpo fluidico di Gesù (sopravvissuto alla morte di quello materiale, in lui come in tutti gli uomini) che è apparso ai discepoli.
Non v'è, quindi, necessità alcuna di postulare la resurrezione del corpo materiale racchiuso nel sepolcro.

Ed ecco il meccanismo di queste apparizioni, sempre secondo il pensiero esoterico:

«Può tuttavia accadere che un grande profeta, un vero figlio di Dio, si manifesti ai suoi in maniera sensibile ed allo stato di veglia, per meglio persuaderli col colpire i loro sensi e la loro immaginazione. In simili casi, l'anima disincarnata può dare momentaneamente al
corpo spirituale un'apparenza visibile, e talvolta anche tangibile, per mezzo del dinamismo particolare, che lo spirito esercita sulla materia, valendosi dell'intermedio delle forze elettriche nell'atmosfera e delle forze magnetiche di corpi viventi. Secondo tutte le apparenze, così avvenne per Gesù: le apparizioni riportate dal Nuovo Testamento rientrano alternativamente nell'una e nell'altra di queste due categorie: visione spirituale e apparizione sensibile. É certo che esse ebbero per gli apostoli carattere di suprema realtà: avrebbero piuttosto dubitato dell'esistenza del cielo e della terra che della loro comunione vivente col Cristo risuscitato, poiché quelle visioni commoventi del loro signore rappresentavano i momenti più fulgidi della loro vita, le più profonde percezioni della loro coscienza».

Potremmo ripetere ancora quanto abbiamo già accennato poco prima sull'urto inevitabile fra dogma e dottrina esoterica. Ma è tempo, prima di chiudere queste pagine che s'intitolano al nome sublime del Nazareno, di sostare un momento per ricordare l'evocazione profondamente mistica ed altamente poetica che lo Schuré fa della sua figura.
Dalla casa di Nazareth, alle prime esperienze umane e religiose della giovinezza, alle visioni avute nella solitudine di Engaddi e del Monte Tabor - quelle visioni, che i Vangeli ricordano, quando ci parlano del digiuno e delle tentazioni dì Gesù nei deserto - dall'iniziazione essenica alla compiuta coscienza della divina missione e dell'indispensabile sacrificio, dal battesimo nel Giordano alla decisione suprema di entrare a Gerusalemme per trovarvi il martirio, è una vena stupenda, una continua ascensione, che trova la sua logica e sublime conclusione sul Calvario. Sono pagine di fede e di poesia, che tutte meritano di essere lette. Scegliamone una, l'ultima, la più densa di vigore e di significato: basterà come esempio e come conclusione.

«Ecco il fondo del calice, le ore dell'agonia, da mezzogiorno sino al cader del sole. La tortura morale vi si aggiunge e sorpassa la tortura fisica: L'iniziato ha abdicato i suoi poteri, il figlio di Dio va eclissandosi, e non resta che l'uomo sofferente.
Per qualche ora egli perderà il suo cielo, per misurare l'abisso della sofferenza umana: la croce si alza lentamente con la sua vittima e col cartello, ultima ironia del proconsole: Questo è il re dei giudei!
Frattanto, gli sguardi del crocefisso vedono ondeggiare come in una nuvola angosciosa Gerusalemme, la città santa, che egli voleva glorificare, e che in compenso gli scaglia l'anatema. I suoi discepoli sono spariti; egli non sente che le ingiurie dei membri del sinedrio, che, giudicando non essere più il profeta da temersi, trionfano della sua agonia. Egli ha salvato gli altri, dicono essi, e non può salvare se stesso!
Attraverso queste bestemmie e queste perversità Gesù vede, in una visione spaventosa dell'avvenire, tutti delitti che iniqui potenti e preti fanatici commetteranno in suo nome. Si serviranno del suo emblema per maledire! Si crocifiggerà con la sua croce! Non è il tetro silenzio del cielo, velato per lui, ma la luce perduta per l'umanità, che gli fa gettare quel grido disperato: “Padre mio, perché mi hai abbandonato?”. Ed ecco la coscienza del Messia, la volontà di tutta la sua vita risorgere in un ultimo lampo, e la sua anima involarsi con questo grido: Tutto è compiuto!
O sublime Nazareno, o divino figlio dell'Uomo, tu non sei più nulla sulla terra! D'un sol colpo d'ali, senza dubbio, la tua anima ha ritrovato, in una luce più sfolgorante, il cielo di Engaddi, il cielo del monte Tabor! Tu hai visto la tua parola vittoriosa volare al di là dei secoli e non hai voluto altra gloria che le mani e gli sguardi alzati verso di te di quelli che tu hai guarito, i consolati!... Ma al tuo ultimo grido, incompreso dai tuoi guardiani, un fremito è passato su di loro. I soldati romani si voltano; ed innanzi allo strano raggio lasciato dal tuo spirito sulla faccia calma e dolce del tuo cadavere, i carnefici stupiti si guardano e dicono: Sarebbe egli un Dio? ».

 


Edoardo Schuré La dottrina esoterica di Edoardo Schuré I Grandi Iniziati Rama (Il Ciclo Ariano) Krishna (L'India e l'Iniziazione Braminica) Ermete (I Misteri d'Egitto) Mosé (La missione d'Israele) Orfeo (I Misteri Dionisiaci) Pitagora (I Misteri di Delfo) Platone (I Misteri Eleusini) Gesù (La missione di Cristo) Conclusione