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Dialogo Secondo Interlocutori: Elpino, Filoteo, Fracastorio, Burchio.
•Filoteo•Perché il primo principio è simplicissimo, però, se secondo uno attributo fusse finito, sarebe finito secondo tutti gli attributi; o pure, secondo certa raggione intrinseca essendo finito e secondo certa infinito, necessariamente in lui si intenderebe essere composizione. Se, dunque, lui è operatore de l’universo, certo è operatore infinito e riguarda effetto infinito; effetto dico, in quanto che tutto ha dependenza da lui. Oltre, sicome la nostra imaginazione è potente di procedere in infinito, imaginando sempre grandezza dimensionale oltra grandezza e numero oltra numero, secondo certa successione e, come se dice, in potenzia, cossì si deve intendere che Dio attualmente intende infinita dimensione ed infinito numero. E da questo intendere séguita la possibilità con la convenienza ed opportunità, che ponemo essere: dove, come la potenza attiva è infinita, cossì, per necessaria conseguenza, il soggetto di tal potenza è infinito; perché, come altre volte abiamo dimostrato, il posser fare pone il posser esser fatto, il dimensionativo pone il dimensionabile, il dimensionante pone il dimensionato. Giongi a questo che, come realmente si trovano corpi dimensionati finiti, cossì l’intelletto primo intende corpo e dimensione. Se lo intende, non meno lo intende infinito; se lo intende infinito ed il corpo è inteso infinito, necessariamente tal specie intelligibile è; e per esser produtta da tale intelletto, quale è il divino, è realissima; e talmente reale, che ha più necessario essere che quello che attualmente è avanti gli nostri occhi sensitivi. Quando, se ben consideri, aviene che, come veramente è uno individuo infinito simplicissimo, cossì sia uno amplissimo dimensionale infinito, il quale sia in quello, e nel quale sia quello, al modo con cui lui è nel tutto, ed il tutto è in lui. Appresso, se per la qualità corporale veggiamo che un corpo ha potenza di aumentarsi in infinito; come si vede nel fuoco, il quale, come ognun concede, si amplificarebe in infinito, se si gli avicinasse materia ed esca; qual raggion vuole, che il fuoco, che può essere infinito e può esser per conseguenza fatto infinito, non possa attualmente trovarsi infinito? Certo non so, come possiamo fengere nella materia essere qualche cosa in potenza passiva che non sia in potenza attiva nell’efficiente, e per conseguenza in atto, anzi l’istesso atto. Certo, il dire che lo infinito è in potenza ed in certa successione e non in atto necessariamente apporta seco che la potenza attiva possa ponere questo in atto successivo e non in atto compito; perché l’infinito non può esser compito. Onde seguitarebe ancora che la prima causa non ha potenza attiva semplice, absoluta ed una; ma una potenza attiva a cui risponde la possibilità infinita successiva, ed un’altra a cui responde la possibilità indistinta da l’atto. Lascio che, essendo terminato il mondo, e non essendo modo di imaginare come una cosa corporea venga circonferenzialmente a finirsi ad una cosa incorporea, sarebe questo mondo in potenza e facultà di svanirsi ed annullarsi: perché, per quanto comprendemo, tutt’i corpi sono dissolubili. Lascio, dico, che non sarebe raggion che tolga che tal volta l’inane infinito, benché non si possa capire di potenza attiva, debba assorbire questo mondo come un nulla. Lascio che il luogo, spacio ed inane ha similitudine con la materia, se pur non è la materia istessa; come forse non senza caggione tal volta par che voglia Platone e tutti quelli che definiscono il luogo come certo spacio. Ora, se la materia ha il suo appetito, il quale non deve essere in vano, perché tale appetito è della natura e procede da l’ordine della prima natura, bisogna che il loco, il spacio, l’inane abbiano cotale appetito. Lascio che, come è stato di sopra accennato, nessun di questi che dice il mondo terminato, dopo aver affirmato il termine, sa in modo alcuno fingere come quello sia; ed insieme insieme alcun di questi, negando il vacuo ed inane con le proposte e paroli, con l’esecuzione poi ed effetto viene a ponerlo necessariamente. Se è vacuo ed inane, è certo capace di ricevere; e questo non si può in modo alcuno negare, atteso che - per tal raggione medesima, per la quale è stimato impossibile che nel spacio dove è questo mondo, insieme insieme si trove contenuto un altro mondo - deve esser detto possibile che nel spacio fuor di questo mondo, o in quel niente, se cossì dir vuole Aristotele quello che non vuol dir vacuo, possa essere contenuto. La raggione, per la quale lui dice dui corpi non possere essere insieme, è l’incompossibilità delle dimensioni di uno ed un altro corpo: resta, dunque, per quanto richiede tal raggione, che dove non sono le dimensioni de l’uno, possono essere le dimensioni de l’altro. Se questa potenza vi è, dunque il spacio in certo modo è materia; se è materia, ha l’aptitudine; se ha l’aptitudine, per qual raggione doviamo negargli l’atto?
•Filoteo•La differenza è molto divolgata fuor della scola peripatetica. Gli stoici fanno differenza tra il mondo e l’universo, perché il mondo è tutto quello che è pieno e costa di corpo solido; l’universo è non solamente il mondo, ma oltre il vacuo, inane e spacio extra di quello: e però dicono il mondo essere finito, ma l’universo infinito. Epicuro similmente il tutto ed universo chiama una mescuglia di corpi ed inane; ed in questo dice consistere la natura del mondo, il quale è infinito: e nella capacità dell’inane e vacuo e, oltre, nella moltitudine di corpi che sono in quello. Noi non diciamo vacuo alcuno, come quello che sia semplicemente nulla; ma secondo quella raggione, con la quale ciò che non è corpo che resista sensibilmente, tutto suole esser chiamato, se ha dimensione, vacuo: atteso che comunmente non apprendeno l’esser corpo, se non con la proprietà di resistenza; onde dicono che, sicome non è carne quello che non è vulnerabile, cossì non è corpo quello che non resiste. In questo modo diciamo esser un infinito, cioè una eterea regione inmensa, nella quale sono innumerabili ed infiniti corpi, come la terra, la luna ed il sole; li quali da noi son chiamati mondi composti di pieno e vacuo: perché questo spirito, questo aria, questo etere non solamente è circa questi corpi, ma ancora penetra dentro tutti, e viene insito in ogni cosa. Diciamo ancora vacuo secondo quella raggione, per la quale rispondemo alla questione che dimandasse dove è l’etere infinito e gli mondi; e noi rispondessimo: in un spacio infinito, in un certo seno nel quale ed è e s’intende il tutto, ed il quale non si può intendere né essere in altro.
Or qua Aristotele, confusamente prendendo il vacuo secondo queste due significazioni ed un’altra terza, che lui fenge e lui medesimo non sa nominare né diffinire, si va dibattendo per togliere il vacuo: e pensa con il medesimo modo di argumentare destruggere a fatto tutte le opinioni del vacuo. Le quali però non tocca, più che se, per aver tolto il nome di qualche cosa, alcuno pensasse di aver tolta la cosa; perché destrugge, se pur destrugge, il vacuo secondo quella raggione la quale forse non è stata presa da alcuno: atteso che gli antichi e noi prendiamo il vacuo per quello in cui può esser corpo e che può contener qualche cosa ed in cui sono gli atomi e gli corpi; e lui solo diffinisce il vacuo per quello che è nulla, in cui è nulla e non può esser nulla. Laonde, prendendo il vacuo per nome ed intenzione secondo la quale nessuno lo intese, vien a far castelli in aria e destruggere il suo vacuo e non quello di tutti gli altri che han parlato di vacuo e si son serviti di questo nome vacuo. Non altrimenti fa questo sofista in tutti gli altri propositi, come del moto, infinito, materia, forma, demostrazione, ente; dove sempre edifica sopra la fede della sua definizion propria e nome preso secondo nova significazione. Onde ciascun che non è a fatto privo di giudizio, può facilmente accorgersi quanto quest’uomo sia superficiale circa la considerazion della natura de le cose, e quanto sia attaccato alle sue non concedute, né degne d’esserno concedute, supposizioni, più vane nella sua natural filosofia che giamai si possano fingere nella matematica. E vedete che di questa vanità tanto si gloriò e si compiacque che, in proposito della considerazion di cose naturali, ambisce tanto di esser stimato raziocinale o, come vogliam dire logico, che, per modo d’improperio, quelli che son stati più solleciti della natura, realità e verità, le chiama fisici. Or, per venire a noi, atteso che nel suo libro Del vacuo né diretta né indirettamente dice cosa che possa degnamente militare contra la nostra intenzione, lo lasciamo star cossì, rimettendolo forse a più ociosa occasione. Dunque, se ti piace, Elpino, forma ed ordina quelle raggioni, per le quali l’infinito corpo non viene admesso da gli nostri adversarii, ed appresso quelle, per le quali non possono comprendere essere mondi innumerabili.
•Elpino•Cossì farò. Io referirò le sentenze d’Aristotele per ordine, e voi direte circa quelle ciò che vi occorre. “È da considerare”, dice egli, “se si trova corpo infinito, come alcuni antichi filosofi dicono, o pur questo sia una cosa impossibile; ed appresso è da vedere se sia uno over più mondi. La risoluzion de le quali questioni è importantissima: perché l’una e l’altra parte della contradizione son di tanto momento, che son principio di due sorte di filosofare molto diverso e contrario: come, per essempio, veggiamo, che da quel primo error di coloro che hanno poste le parti individue, hanno chiuso il camino di tal sorte, che vegnono ad errare in gran parte della matematica. Snodaremo dunque proposito di gran momento per le passate, presenti e future difficultadi; perché, quantunque poco di trasgressione che si fa nel principio, viene per diecemila volte a farsi maggiore nel progresso; come, per similitudine, nell’errore che si fa nel principio di qualche camino, il quale tanto più si va aumentando e crescendo, quanto maggior progresso si fa allontanandosi dal principio, di sorte che al fine si viene ad giongere a termine contrario a quello che era proposto. E la raggion di questo è, che gli principii son piccioli in grandezza e grandissimi in efficacia. Questa è la raggione della determinazione di questo dubio”.
•Filoteo•Tutto lo che dice è necessarissimo, e non meno degno di esser detto da gli altri che da lui; perché, sicome lui crede, che da questo principio mal inteso gli aversarii sono trascorsi in grandi errori, cossì, a l’apposito, noi credemo e veggiamo aperto, che dal contrario di questo principio lui ha pervertita tutta la considerazion naturale.
•Filoteo•Promette molto bene; perché, se lui provarà, che il corpo il quale è chiamato continente e primo, sia continente, primo e finito, sarà anco soverchio e vano di provarlo appresso di corpi contenuti. •Elpino•Or prova che il corpo rotondo non è infinito. “Se il corpo rotondo è infinito, le linee, che si partono dal mezzo, saranno infinite, e la distanza d’un semidiametro da l’altro (gli quali, quanto più si discostano dal centro, tanto maggior distanza acquistano) sarà infinita; perché dalla addizione delle linee secondo la longitudine è necessario che siegua maggior distanza; e però, se le linee sono infinite, la distanza ancora sarà infinita. Or è cosa impossibile, che il mobile possa trascorrere distanza infinita: e nel moto circolare è bisogno, che una linea semidiametrale del mobile venga al luogo dell’altro ed altro semidiametro”.
•Filoteo•Questa raggione è buona, ma non è a proposito contra l’intenzione de gli aversarii. Perché giamai s’è ritrovato sì rozzo e d’ingegno sì grosso, che abbia posto il mondo.infinito e magnitudine infinita, e quella mobile. E mostra lui medesimo essersi dismenticato di quel che riferisce nella sua Fisica: che quei che hanno posto uno ente ed uno principio infinito, hanno posto similmente inmobile; e né lui ancora, né altro per lui, potrà nominar mai alcun filosofo o pur uomo ordinario che abbia detto magnitudine infinita mobile. Ma costui, come sofista, prende una parte della sua argumentazione dalla conclusione dell’aversario, supponendo il proprio principio, che l’universo è mobile, anzi che si muove, e che è di figura sferica. Or vedete, se de quante raggioni produce questo mendico, se ne ritrove pur una che argumente contra l’intenzione di quei, che dicono uno infinito, inmobile, infigurato, spaciosissimo continente de innumerabili mobili, che son gli mondi, che son chiamati astri da altri, e da altri sfere; vedete un poco in questa ed altre raggioni, se mena presuppositi conceduti da alcuno.
•Elpino•Certo, desiderarei un argumento, che impugnasse questo che dite; perché cinque altre raggioni, che apporta questo filosofo, tutte fanno il medesimo camino, e vanno con gli medesimi piedi. Però mi par cosa soverchia di apportarle. Or, dopo che ebbe prodotte queste, che versano circa il moto mondano e circolare, procede a proponer quelle, che son fondate sopra il moto retto; e dice parimente “essere impossibile, che qualche cosa sia mobile di infinito moto verso il mezzo, o al basso, oltre verso ad alto dal mezzo”; ed il prova prima dal canto di moti proprii di tai corpi, e questo sì quanto a gli corpi estremi, sì quanto agli tramezzanti. “Il moto ad alto”, dice egli, “ed il moto al basso son contrarii: ed il luogo de l’un moto è contrario al luogo de l’altro moto. De gli contrarii ancora, se l’uno è determinato, bisogna che sia determinato ancor l’altro; ed il tramezzante, che è partecipe de l’uno e l’altro determinato, convien che sia tale ancor lui; perché non da qualsivoglia, ma da certa parte bisogna che si parta quello che deve passar oltre il mezzo, perché è un certo termine, onde cominciano, ed è un altro termine, ove si finisceno i limiti del mezzo. Essendo dunque determinato il mezzo, bisogna che sieno determinati gli estremi; e se gli estremi son determinati, bisogna che sia determinato il mezzo; e se gli luoghi son determinati, bisogna che gli corpi collocati sieno tali ancora, perché altrimente il moto sarà infinito. Oltre, quanto alla gravità e levità, il corpo, che va verso alto, può devenire a questo, che sia in tal luogo: perché nessuna inclinazion naturale è in vano. Dunque, non essendo spacio del mondo infinito, non è luogo, né corpo infinito. Quanto al peso ancora, non è grave e leve infinito; dunque, non è corpo infinito: come è necessario, che, se il corpo grave è infinito, la sua gravità sia infinita. E questo non si può fuggire; perché, se tu volessi dire, che il corpo infinito ha gravità infinita, seguitarebono tre inconvenienti. Primo, che medesima sarebe la gravità o levità di corpo finito ed infinito; perché al corpo finito grave, per quanto è sopraavanzato dal corpo infinito, io farrò addizione e suttrazione di altro ed altro tanto, fin che possa aggiungere a quella medesima quantità di gravità e levità. Secondo, che la gravità della grandezza finita potrebe esser maggiore che quella de l’infinita; perché con tal raggione, per la quale gli può essere equale, gli può ancora essere superiore, con aggiungere quanto ti piace più di corpo grave, o suttrarre di questo, o pur aggiongere di corpo lieve. Terzo, che la gravità della grandezza finita ed infinita sarebbe equale; e perché quella proporzione, che ha la gravità alla gravità, la medesima ha la velocità alla velocità, seguitarebe similmente, che la medesima velocità e tardità si potrebero trovare in corpo finito ed infinito. Quarto, che la velocità del corpo finito potrebe esser maggiore di quella de l’infinito. Quinto, che potrebe essere equale; o pur, sicome il grave eccede il grave, cossì la velocità excede la velocità: trovandosi gravità infinita, sarà necessario che si muova per alcun spacio in manco tempo, che la gravità finita; o vero non si muova, perché la velocità e tardità séguita la grandezza del corpo. Onde, non essendo proporzione tra il finito ed infinito, bisognarà al fine, che il grave infinito non si muova; perché, s’egli si muove, non si muove tanto velocemente, che non si trove gravità finita, che nel medesimo tempo, per il medesimo spacio, faccia il medesimo progresso”.
Procede, dunque, questo disputante con petizione di principio e presupposizione di quello che deve provare. Prende, dico, per principio l’equivalente all’opposito della contraria posizione; presupponendo mezzo ed estremo contra quelli che, dicendo il mondo infinito, insieme insieme negano questo estremo e mezzo necessariamente e per consequenza il moto ad alto e supremo luogo, ed al basso ed infimo. Vederno dunque gli antichi, e veggiamo ancor noi, che qualche cosa viene alla terra ove siamo, e qualche cosa par che si parta della terra o pur dal luogo dove siamo. Dove, se diciamo e vogliam dir che il moto di tal cose è ad alto ed al basso, se intende in certa regione, in certi rispetti; di sorte che, se qualche cosa, allontanandosi da noi, procede verso la luna, come noi diciamo che quella ascende, color che sono nella luna nostri anticefi, diranno che descende. Que’ moti, dunque, che sono nell’universo, non hanno differenza alcuna di su, di giù, di qua, di là al rispetto dell’infinito universo, ma di finiti mondi che sono in quello, o presi secondo le amplitudini di innumerabili orizonti mondani o secondo il numero di innumerabili astri; dove ancora la medesima cosa, secondo il medesimo moto, al riguardo de diversi, si dice andar da alto e da basso. Determinati corpi, dunque, non hanno moto infinito, ma finito e determinato circa gli proprii termini. Ma de l’indeterminato ed infinito non è finito né infinito moto, e non è differenza di loco né di tempo.
•Elpino•La vanità di costui nelle predette raggioni è più che manifesta, di sorte che non bastarebbe tutta l’arte persuasiva di escusarla. Or udite le raggioni che soggionge per conchiudere universalmente che non sia corpo infinito. “Or”, dice lui, “essendo manifesto a quelli che rimirano alle cose particolari, che non è corpo infinito, resta di vedere al generale, se sia questo possibile. Perché potrebe alcuno dire che, sicome il mondo è cossì disposto circa di noi, cossì non sia impossibile che sieno altri più cieli. Ma, prima che vengamo a questo, raggioniamo generalmente dell’infinito. È dunque necessario, che ogni corpo o sia infinito; e questo o sia tutto di parte similari, o di parte dissimilari; e queste o costano di specie finite, o pur di specie infinite. Non è possibile, che coste de infinite specie, se vogliamo presupponere quel ch’abbiamo detto, cioè che sieno più mondi simili a questo; perché, sicome è disposto questo mondo circa noi, cossì sia disposto circa altri, e sieno altri cieli. Perché, se son determinati gli primi moti, che sono circa il mezzo, bisogna che sieno determinati li moti secondi; e per tanto, come già distinguemo cinque sorte di corpi, de quali dui son semplicemente gravi o lievi, e dui mediocremente gravi o lievi, ed uno né grave, né lieve, ma agile circa il centro, cossì deve essere ne gli altri mondi. Non è dunque possibile, che coste d’infinite specie. Non è ancora possibile che coste di specie finite”. E primieramente prova, che non costa di specie finite dissimilari, per quattro raggioni, de quali la prima è, che “ciascuna di queste parti infinite sarà acqua o fuoco, e per consequenza cosa grave o lieve. E questo è stato dimostrato impossibile, quando si è visto, che non è gravità, né levità infinita”.
•Filoteo•Noi abbiamo assai detto, quando rispondevamo a quello.
•Elpino•Io lo so. Soggionge la seconda raggione, dicendo, che “bisogna che di queste specie ciascuna sia infinita, e per consequenza il luoco di ciascuna deve essere infinito: onde seguitarà che il moto di ciascuna sia infinito; il che è impossibile. Perché non può essere, che un corpo che va giù, corra per infinito al basso; il che è manifesto da quel che si trova in tutt’i moti e trasmutazioni. Come nella generazione non si cerca di fare quel che non può esser fatto, cossì nel moto locale non si cerca il luogo, ove non si possa giunger mai; e quello che non è possibile che sia in Egitto, è impossibile che si muova in verso Egitto; perché la natura nessuna cosa opra in vano. Impossibile è, dunque, che cosa si muova verso là dove non può pervenire”.
•Filoteo•A questo si è risposto assai; e diciamo che son terre infinite, son soli infiniti, è etere infinito; o secondo il dir di Democrito ed Epicuro, è pieno e vacuo infinito; l’uno insito ne l’altro. E son diverse specie finite, le une comprese da le altre, e le une ordinate a le altre. Le quali specie diverse tutte se hanno come concorrenti a fare un intiero universo infinito, e come ancora infinite parti de l’infinito, in quanto che da infinite terre simili a questa proviene in atto terra infinita, non come un solo continuo, ma come un compreso dalla innumerabile moltitudine di quelle. Similmente se intende de le altre specie di corpi, sieno quattro o sieno due o sieno tre o quante si voglia (non determino al presente); le quali, come che sono parte (in modo che si possono dir parte) de l’infinito, bisogna che sieno infinite, secondo la mole che resulta da tal moltitudine. Or qui non bisogna che il grave vada in infinito al basso. Ma come questo grave va al suo prossimo e connatural corpo, cossì quello al suo, quell’altro al suo. Ha questa terra le parti che appartengono a lei; ha quella terra le parti sue appartenenti a sé. Cossì ha quel sole le sue parti che si diffondeno da lui e cercano di ritornare a lui; ed altri corpi similmente riaccoglieno naturalmente le sue parti. Onde, sì come le margini e le distanze de gli uni corpi a gli altri corpi son finite, cossì gli moti son finiti; e sicome nessuno si parte da Grecia per andare in infinito, ma per andar in Italia o in Egitto, cossì, quando parte di terra o di sole si move, non si propone infinito, ma finito e termine. Tutta volta, essendo l’universo infinito e gli corpi suoi tutti trasmutabili, tutti per conseguenza diffondeno sempre da sé e sempre in sé accoglieno, mandano del proprio fuora e accogliono dentro del peregrino. Non stimo che sia cosa assorda ed inconveniente, anzi convenientissima e naturale, che sieno transmutazion finite possibili ad accadere ad un soggetto; e però de particole de la terra vagar l’eterea regione e occorrere per l’inmenso spacio ora ad un corpo ora ad un altro, non meno che veggiamo le medesime particole cangiarsi di luogo, di disposizione e di forma, essendono ancora appresso di noi. Onde questa terra, se è eterna ed è perpetua, non è tale per la consistenza di sue medesime parti e di medesimi suoi individui, ma per la vicissitudine de altri che diffonde, ed altri che gli succedeno in luogo di quelli; in modo che, di medesima anima ed intelligenza, il corpo sempre si va a parte a parte cangiando e rinovando. Come appare anco ne gli animali, li quali non si continuano altrimente se non con gli nutrimenti che riceveno, ed escrementi che sempre mandano; onde chi ben considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo fanciulli, e vecchi non abbiamo quella medesima che quando eravamo giovani; perché siamo in continua trasmutazione, la qual porta seco che in noi continuamente influiscano nuovi atomi e da noi se dipartano li già altre volte accolti. Come circa il sperma, giongendosi atomi ad atomi per la virtù dell’intelletto generale ed anima (mediante la fabrica in cui, come materia, concorreno), se viene a formare e crescere il corpo, quando l’influsso de gli atomi è maggior che l’efflusso, e poi il medesimo corpo è in certa consistenza quando l’efflusso è equale a l’influsso, ed al fine va in declinazione, essendo l’efflusso maggior che l’influsso. Non dico l’efflusso ed influsso assolutamente, ma l’efflusso del conveniente e natio e l’influsso del peregrino e sconveniente; il quale non può esser vinto dal debilitato principio per l’efflusso; il quale è pur continuo del vitale come del non vitale. Per venir, dunque, al punto, dico che per cotal vicissitudine non è inconveniente, ma raggionevolissimo dire, che le parti ed atomi abbiano corso e moto infinito per le infinite vicissitudini e transmutazioni tanto di forme quanto di luoghi. Inconveniente sarebbe se, come a prosimo termine prescritto di transmutazion locale, over di alterazione, si trovasse cosa che tendesse in infinito. Il che non può essere, atteso che, non sì tosto una cosa è mossa da uno che si trove in un altro luogo, è spogliata di una che non sia investita di un’altra disposizione, e lasciato uno che non abbia preso un altro essere; il quale necessariamente séguita dalla alterazione; la quale necessariamente séguita dalla mutazion locale. Tanto che il soggetto prossimo e formato non può muoversi se non finitamente, perché facilmente accoglie un’altra forma se muta loco. Il soggetto primo e formabile se muove infinitamente, e secondo il spacio e secondo il numero delle figurazioni; mentre le parti della materia s’intrudeno ed extrudeno da questo in quello e in quell’altro loco, parte e tutto. •Filoteo•Questo ho già conceduto; e per sapersi questo, lui non dovea forzarsi contra di ciò da che non séguita inconveniente alcuno. Perché, se il corpo vien disgiunto o diviso in parte localmente distinte, de le quali l’una pondere cento, l’altra mille, l’altra diece, seguitarà che il tutto pondere mille cento e diece. Ma ciò sarà secondo più pesi discreti, e non secondo un peso continuo. Or noi e gli antichi non abbiamo per inconveniente che in parti discrete se ritrove peso infinito; perché da quelle resulta un peso logicamente, o pur aritmetrica o geometricamente, che vera e naturalmente non fanno un peso, come non fanno una mole infinita, ma fanno infinite mole e pesi finiti. Il che dire, imaginare ed essere, non è il medesimo, ma molto diverso. Perché da questo non séguita che sia un corpo infinito di una specie, ma una specie di corpo in infiniti finiti; né è però un pondo infinito, infiniti pondi finiti, atteso che questa infinitudine non è come di continuo, ma come di discreti; li quali sono in un continuo infinito, che è il spacio, il loco e dimensione capace di quelli tutti. Non è dunque inconveniente che sieno infiniti discreti gravi, quali non fanno un grave; come infinite acqui le quali non fanno un’acqua infinita, infinite parti di terra che non fanno una terra infinita: di sorte che sono infiniti corpi in moltitudine, li quali fisicamente non componeno un corpo infinito di grandezza. E questo fa grandissima differenza; come proporzionalmente si vede nel tratto della nave, la quale viene tratta da diece uniti, e non sarà mai tirata da migliaia de migliaia disuniti e per ciascuno.
•Elpino•Pone due altre raggioni, per provar che non sia infinito di simili parte. “La prima è, perché bisognarebe, che a quello convenesse una di queste specie di moto locale; e però o sarebe una gravità, o levità infinita, overo una circulazione infinita; il che tutto, quanto sia impossibile, abbiamo demostrato”.
Secondo, si mostra medesimamente, che “l’infinito non può essere agente in cosa finita”. Sia l’agente infinito A, ed il paziente finito B, e ponemo, che A infinito è agente in B finito, in tempo G. Appresso sia il corpo finito D agente nella parte di B, cioè BZ, in medesimo tempo G. Certamente sarà proporzione del paziente BZ a tutto B paziente, come è proporzione di D agente all’altro agente finito H; ed essendo mutata proporzione, di D agente a BZ paziente, sicome la proporzione di H agente a tutto B. Per conseguenza B sarà mosso da H in medesimo tempo, in cui BZ vien mosso da D, cioè in tempo G, nel qual tempo B è mosso da l’infinito agente A; il che è impossibile. La quale impossibilità séguita da quel ch’abbiamo detto: cioè che, si cosa infinita opra in tempo finito, bisogna che l’azione non sia in tempo, perché tra il finito e l’infinito non è proporzione. Dunque, ponendo noi doi agenti diversi, li quali abbiano medesima azione in medesimo paziente, necessariamente l’azion di quello sarà in doi tempi diversi, e sarà proporzion di tempo a tempo: come di agente ad agente. Ma, se ponemo doi agenti, de quali l’uno è infinito, l’altro finito aver medesima azione in un medesimo paziente, sarà necessario dire l’un di doi, o che l’azion de l’infinito sia in uno istante, over che l’azione dell’agente finito sia in tempo infinito. L’uno e l’altro è impossibile. [...]
Terzo, si fa manifesto, come il “corpo infinito non può oprare in corpo infinito”. Perché, come è stato detto nella.Fisica ascoltazione, è impossibile che l’azione o passione sia senza compimento. Essendo dunque dimostrato, che mai può esser compita l’azion dell’infinito in uno infinito, si potrà conchiudere che tra essi non può essere azione. Poniamo dunque doi infiniti, de quali l’uno sia B, il quale sia paziente da A in tempo finito G, perché l’azion finita necessariamente è in tempo finito. Poniamo appresso che la parte del paziente BD patisce da A; certo sarà manifesto che la passion di questo viene ad essere in tempo minore che il tempo G; e sia questa parte significata per Z. Sarà dunque proporzione del tempo Z al tempo G, sicome è proporzione di BD, parte del paziente infinito, alla parte maggiore dell’infinito, cioè a B; e questa parte sia significata per BDH, la quale è paziente da A nel tempo infinito G; e nel medesimo tempo già da quello è stato paziente tutto l’infinito B; il che è falso, perché è impossibile che sieno doi pazienti, de quali l’uno sia infinito e l’altro finito, che patiscano da medesimo agente, per medesima azione, nel medesimo tempo sia pur finito, o, come abbiamo posto, infinito l’efficiente. [...]
•Elpino•Or, dunque, fatemi intendere: quali direte che son le parti dell’infinita durazione?
•Elpino•Particolarmente di quello, che fa al proposito nostro de gl’infiniti passi ed infinite miglia, che verrebono a fare un infinito minore ed un altro infinito maggiore nell’inmensitudine de l’universo. Or seguitate.
Come per essempio, le parti di doi corpi contrarii, che possono alterarsi, sono le vicine, come A ed , B e 2, C e 3, D e 4; e cossì discorrendo in infinito. Dove mai potrai verificare azione intensivamente infinita, perché di que’ doi corpi le parti non si possono alterare oltre certa e determinata distanza; e però M e 10, N e 20, O e 30, P e 40 non hanno attitudine ad alterarsi. Ecco dunque come, posti doi corpi infiniti, non seguitarebe azione infinita. Dico ancora di vantaggio che, quantunque si suppona e conceda che questi doi corpi infiniti potessero aver azione l’un contra l’altro intensivamente, e secondo tutta la loro virtù riferirse l’uno a l’altro, per questo non seguitarebe affetto d’azione né passione alcuna; perché non meno l’uno è valente ripugnando e risistendo, che l’altro possa essere impugnando ed insistendo, e però non seguitarrebe alterazione alcuna. Ecco dunque, come da doi infiniti contraposti o séguita alterazione finita o séguita nulla a fatto.
•Elpino•Or che direte al supposito de l’un corpo contrario finito e l’altro infinito, come se la terra fusse un corpo freddo ed il cielo fusse il fuoco, e tutti gli astri fuochi ed il cielo inmenso e gli astri innumerabili? Volete che per questo séguite quel che induce Aristotele, che il finito sarebbe assorbito da l’infinito?
•Elpino•Mi avete molto satisfatto, di sorte che mi par cosa soverchia d’apportar quell’altre raggioni salvaticine con le quali vuol dimostrar che estra il cielo non sia corpo infinito, come quella che dice: “ogni corpo che è in loco, è sensibile: ma estra il cielo non è corpo sensibile; dunque non vi è loco”. O pur cossì: “ogni corpo sensibile è in loco; extra il cielo non è loco; dunque, non vi è corpo. Anzi manco vi è extra, perché extra significa differenza di loco e di loco sensibile, e non spirituale ed intelligibile corpo, come alcuno potrebe dire: se è sensibile, è finito”.
•Filoteo•Io credo ed intendo che oltre ed oltre quella margine imaginata del cielo sempre sia eterea regione, e corpi mondani, astri, terre, soli; e tutti sensibili absolutamente secondo sé ed a quelli che vi sono o dentro o da presso, benché non sieno sensibili a noi per la lor lontananza e distanza. Ed in questo mentre considerate qual fondamento prende costui, che da quel, che non abbiamo corpo sensibile oltre l’imaginata circonferenza, vuole che non sia corpo alcuno: e però lui, si fermò a non credere altro corpo, che l’ottava sfera, oltre la quale gli astrologi di suoi tempi non aveano compreso altro cielo. E per ciò che la vertigine apparente del mondo circa la terra referirno sempre ad un primo mobile sopra tutti gli altri, puosero fondamenti tali, che senza fine sempre oltre sono andati giongendo sfera a sfera, ed hanno trovate l’altre senza stelle, e per consequenza senza corpi sensibili. In tanto che le astrologice supposizioni e fantasie condannano questa sentenza, viene assai più condannata da quei che meglio intendeno, qualmente gli corpi che si dicono appartenere all’ottavo cielo, non meno hanno distinzion tra essi di maggiore e minor distanza dalla superficie della terra, che gli altri sette, perché la raggione della loro equidistanza depende solo dal falsissimo supposito della fission de la terra; contra il quale crida tutta la natura, e proclama ogni raggione, e sentenzia ogni regolato e ben informato intelletto al fine. Pur, sia come si vuole, è detto, contra ogni raggione, che ivi finisca e si termine l’universo, dove l’attatto del nostro senso si conchiude; perché la sensibilità è causa da far inferir che gli corpi sono, ma la negazion di quella, la quale può esser per difetto della potenza sensitiva e non dell’ogetto sensibile, non è sufficiente né per lieve suspizione che gli corpi non sieno. Perché, se la verità dependesse da simil sensibilità, sarebbono tali gli corpi che appaiono tanto propinqui ed aderenti l’uno all’altro. Ma noi giudichiamo che tal stella par minore nel firmamento, ed è detta della quarta e quinta grandezza, che sarà molto maggiore di quella che è detta della seconda e prima; nel giudizio della quale se inganna il senso, che non è potente a conoscere la raggione della distanza maggiore; e noi da questo, che abbiamo conosciuto il moto della terra, sappiamo che quei mondi non hanno tale equidistanza da questo, e che non sono come in uno deferente.
•Elpino•Io, benché per questa dottrina mi creda esser fatto capace di quell’altra, tutta volta, per la speranza di udir altre cose particolari e degne, ritornarò.
•Burchio•Ed io; che come, a poco a poco, più e più mi vo accostando all’intendervi, cossì a mano a mano vegno a stimar verisimile, e forse vero, quel che dite. |
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