Dialogo Secondo – Prima Parte -

Interlocutori: Sofia, Saulino, Mercurio.

 
•Saulino•   Di grazia, Sofia, prima che procediamo in altro, donatemi raggione di questo ordine e disposizione di numi, la quale ha formata Giove ne gli astri. E prima fatemi udire, perché nell'eminentissima (perché cossì è stimata volgarmente) sedia abbia voluto che sia la dea Veritade?


•Sofia•  Facilmente. Sopra tutte le cose, o Saulino, è situata la verità; perché questa è la unità che soprasiede al tutto, è la bontà che è preeminente ad ogni cosa; perché uno è lo ente, buono e vero; medesimo è vero, ente e buono. La verità è quella entità che non è inferiore a cosa alcuna; perché, se vuoi fengere qualche cosa avanti la verità, bisogna che stimi quella essere altro che verità; e se la fingi altro che verità, necessariamente la intenderai non aver verità in sé ed essere senza verità, non essere vera; onde conseguentemente è falsa, è cosa de niente, è nulla, è non ente. Lascio che niente può essere prima che la verità, se non è vero che quello sia primo e sopra la verità; e cotal vero essere non può essere se non per la verità. Cossì non può essere altro insieme con la verità, ed essere quel medesimo senza verità; percioché, se per la verità non è vero, non è ente, è falso, è nulla. Parimente non può essere cosa appresso la veritade; perché, se è dopo lei, è senza lei; se è senza lei, non è vero; perché non ha la verità in sé; sarà dunque falso, sarà dunque niente. Dunque la verità è avanti tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte le cose, è sopra tutto, con tutto, dopo tutto; ha raggione di principio, mezzo e fine. Essa è avanti le cose, per modo di causa e principio, mentre per essa le cose hanno dependenza; è nelle cose ed è sustanza di quelle istessa, mentre per essa hanno la sussistenza; è dopo tutte le cose, mentre per lei senza falsità si comprendeno. È ideale, naturale e nozionale; è metafisica, fisica e logica. Sopra tutte le cose, dunque, è la verità; e ciò che è sopra tutte le cose, benché sia conceputo secondo altra raggione, ed altrimente nominato, quello pure in sustanza bisogna che sia l'istessa verità. Per questa causa, dunque, raggionevolmente Giove ha voluto che nella più eminente parte del cielo sia vista la veritade. Ma certo questa che sensibilmente vedi e che puoi con l'altezza del tuo intelletto capire, non è la somma e prima, ma certa figura, certa imagine e certo splendor di quella, la quale è superiore a questo Giove di cui parliamo sovente e che è soggetto delle nostre metafore.


•Saulino•   Degnamente, o Sofia; perché la verità è la cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la divinità e la sincerità, bontà e bellezza de le cose è la verità; la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per communicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l'arruga, luogo non l'asconde, notte non l'interrompe, tenebra non l'avela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce. Senza difensore e protettore si defende; e però ama la compagnia di pochi e sapienti, odia la moltitudine, non si dimostra a quelli che per se stessa non la cercano, e non vuol essere dechiarata a color che umilmente non se gli esponeno, né a tutti quei che con frode la inquireno; e però dimora altissima, dove tutti remirano e pochi veggono. Ma perché, o Sofia, la prudenza gli succede? forse, perché coloro che vogliono contemplar la verità e che la vogliono predicare, si deveno con prudenza governare?


•Sofia•  Non è questa la causa. Quella dea che è gionta e prossima alla verità, ha doi nomi: providenza e prudenza. E si chiama providenza, in quanto influisce e si trova nelli principii superiori; e si chiama prudenza, in quanto è effettuata in noi: come sole suole essere nomato e quello che scalda e diffonde il lume, ed oltre quel lume e splendor diffuso che si trova nel specchio ed oltre in altri suggetti. La providenza, dunque, se dice nelle cose superiori, ed è compagna della verità, e non è senza quella, ed è la medesima libertà e la medesima necessità; di maniera che la verità, la providenza, la libertà e necessità, la unità, la verità, la essenzia, la entità, tutte sono uno absolutissimo, come altre volte ti farò meglio intendere. Ma, per comodità della presente contemplazione, sappi che questa influisce in noi la prudenza, la qual è posta e consistente in certo discorso temporale; ed è una razione principale che versa circa l'universale e particolare; ha per damigella la dialettica, e per guida la sapienza acquisita, nomata volgarmente metafisica, la quale considera gli universali de tutte le cose che cascano in cognizione umana: e, queste due, tutte le sue considerazioni referiscono all'uso di quella; ha due insidiatrici nemiche che sono viziose: dalla destra si trova la callidità, versuzia e malizia; dalla sinistra, la stupidità, inerzia ed imprudenzia. E versa circa la virtù consultativa, come la fortezza circa l'impeto de l'iracundia, la temperanza circa il consentimento della concupiscibile, la giustizia circa tutte le operazioni, tanto esterne, quanto interiori.


•Saulino•   Dalla providenza, dunque, vuoi che influisca in noi la prudenza, e che nel mondo archetipo quella risponda a questa che è nel mondo fisico: questa che porge a gli mortali il scudo, per cui contra le cose adverse con la raggione si fortificano, per cui siamo insegnati di prendere più pronta e perfetta cautela dove maggiori dispendii si minacciano e temeno; per cui gli agenti inferiori s'accomodano alle cose, ai tempi ed all'occasioni; e non si mutano, ma s'adattano gli animi e le voluntadi. Per cui a gli bene affetti niente accade come subitanio ed improviso, di nulla dubitano, ma tutto aspettano; di nulla suspicano, ma da tutto si guardano; ricordandosi il passato, ordinando il presente e prevedendo il futuro. Or dimmi, perché Sofia succede ed è prossima a la prudenza e veritade?


•Sofia•  La Sofia, come la verità e la providenza, è di due specie. L'una è quella superiore, sopraceleste ed oltremondana, se cossì dir si puote; e questa è l'istessa providenza, medesima è luce ed occhio: occhio, che è la luce istessa; luce, che è l'occhio istesso. L'altra è la consecutiva, mondana ed inferiore; e non è verità istessa, ma è verace e partecipe della verità; non è il sole, ma la luna, la terra ed astro, che per altro luce. Cossì non è Sofia per essenza, ma per participazione; ed è un occhio che riceve la luce e viene illuminato da lume esterno e peregrino; e non è occhio da sé, ma da altro; e non ha essere per sé, ma per altro. Perché non è l'uno, non è l'ente, il vero; ma de l'uno, de l'ente, del vero; a l'uno, a l'ente, al vero; per l'uno, per l'ente, per il vero; nell'uno, nell'ente, nel vero; da l'uno, da l'ente, dal vero. La prima è invisibile ed infigurabile ed incomprensibile sopra tutto, in tutto ed infra tutto; la seconda è figurata in cielo, illustrata nell'ingegni, communicata per le paroli, digerita per l'arti, repolita per le discussioni, delineata per le scritture; per la quale chi dice sapere quel che non sa, è temerario sofista; chi nega sapere quel che sa, è ingrato a l'intelletto agente ed ingiurioso a la verità, ed oltraggioso a me. E di simil sorte vegnono ad essere tutti quelli che non mi cercano per me stessa, o per la suprema virtude ed amor della divinitade, ch'è sopra ogni Giove ed ogni cielo, ma o per vendermi per denari o per onori, o per altre specie di guadagno; o non tanto per sapere, quanto per essere saputi, o per detraere e posser impugnare, e farsi contra la felicità d'alcuni molesti censori e rigidi osservatori; e di questi li primi son miseri, li secondi son vani, li terzi son maligni e di vil animo. Ma color che mi cercano per edificar se stessi, sono prudenti; gli altri che m'osservano per edificar altrui, sono umani; quei che mi cercano absolutamente, sono curiosi; gli altri che m'inquireno per amor della suprema e prima verità, sono sapienti, e per conseguenza felici.


•Saulino•   Onde aviene, o Sofia, che non tutti, che medesimamente ti possedeno, non vegnono tutti medesimamente affetti; anzi talor, chi meglio ti possede, men bene vien edificato?


•Sofia•  Onde accade, o Saulino, che il sole non scalda tutti quelli alli quali luce, e tal volta meno riscalda tali a' quali maggiormente risplende?


•Saulino•   Io t'intendo, Sofia; e comprendo che tu sei quella che in varii modi contempli, comprendi ed esplichi questa veritade, e gli effetti di quella superna influenza de l'esser tuo, alla quale per varii gradi e scale diverse tutti aspirano, tentano, studiano e si forzano salendo pervenire, e si obietta e presenta medesimo fine e scopo a' diversi studii, e viene ad attuare diversi suggetti de virtudi intellettuali, secondo diverse misure, mentre a quell'una e semplicissima veritade l'addrizza; la quale come non è chi alcunamente la possa toccare, cossì non si trova qua basso chi la possa perfettamente comprendere: perché non è compresa, o veramente non viene appareggiata se non da quello in cui è per essenza; e questo non è altro che lei medesima. E perciò da fuori non si vede se non in ombra, similitudine, specchio ed in superficie e maniera di faccia, alla quale non è in questo mondo chi più s'avicine per atto di providenza ed effetto di prudenza, eccetto che tu, Sofia, mentre vi conduci sette diverse, de le quali altre admirando, altre parabolando, altre inquirendo, altre opinando, altre iudicando e determinando; altre per sufficienza di natural magia, altre per superstiziosa divinazione, altre per modo di negazione, altre per modo di affirmazione, altre per via di composizione, altre per via di divisione, altre per via de definizione, altre per via di demostrazione; altre per principii acquisiti, altre per principii divini aspirano: mentre quella gli crida, in nullo luogo presente, da nullo luogo absente, proponendogli avanti gli occhi del sentimento per scrittura tutte le cose ed effetti naturali, e gl'intona nell'orecchio de l'interna mente per le concepute specie di cose visibili ed invisibili.


•Sofia•  Alla Sofia succede la legge, sua figlia; e per essa quella vuole oprare, e per questa lei vuole essere adoperata; per questa gli prencipi regnano, e li regni e republiche si mantegnono. Questa, adattandosi alla complessione e costumi di popoli e genti, reprime l'audacia col timore, e fa che la bontade sia sicura tra gli scelerati; ed è caggione, che ne gli rei sempre sia il rimorso della conscienza, con il timore della giustizia ed aspettazione di quel supplicio che discaccia l'orgoglioso ardire, ed introduce l'umile consentimento con gli suoi otto ministri, che sono taglione, carcere, percosse, esilio, ignominia, servitù, povertade e morte. Giove l'ha riposta in cielo ed essaltata con questa condizione, che faccia che gli potenti per la lor preeminenza e forza non sieno sicuri; ma referendo il tutto a maggior providenza e legge superiore (per cui, come divina e naturale, si regole la civile), faccia intendere, che per coloro ch'esceno dalle tele d'aragne, sono ordinate le reti, gli lacci, le catene ed i ceppi, atteso che per ordine della legge eterna è sancito, che gli più potenti sieno più potentemente compresi e vinti, se non sotto un manto e dentro una stanza, sotto altro manto ed altra stanza, che sarà peggiore. Appresso gli ha ordinato ed imposto, che massimamente verse e vegna rigorosa circa le cose alle quali da principio e prima e principal causa è stata ordinata: cioè circa quel tanto ch'appartiene alla communione de gli uomini, alla civile conversazione; a fine che gli potenti sieno sustenuti da gl'impotenti, gli deboli non sieno oppressi da gli più forti, sieno deposti gli tiranni, ordinati e confirmati gli giusti governatori e regi, sieno faurite le republiche, la violenza non inculche la raggione, l'ignoranza non dispreggie la dottrina, li poveri sieno agiutati da' ricchi, le virtudi e studii utili e necessarii al commune sieno promossi, avanzati e mantenuti; sieno esaltati e remunerati coloro che profittaranno in quelli; e gli desidiosi, avari e proprietarii sieno spreggiati e tenuti a vile. Si mantegna il timore e culto verso le potestadi invisibili; onore, riverenza e timore verso gli prossimi viventi governatori; nessuno sia preposto in potestà, che medesimo non sia superiore de meriti, per virtude ed ingegno in cui prevaglia, o per sé solo, il che è raro e quasi impossibile, o con comunicazione e conseglio d'altri ancora, il che è debito, ordinario e necessario. Gli ha donata Giove la potenza di legare, la quale massime consista in questo, che lei non si faccia tale che incorra dispreggio e indignità; a cui si potrà incontrare, menando gli passi per doi camini, de quali l'uno è della iniquità, comandando e proponendo cose ingiuste, l'altro è della difficultà, proponendo e comandando cose impossibili, le quali pure sono ingiuste: perciò che due sono le mani per le quali è potente a legare ogni legge, l'una è della giustizia, l'altra è della possibilità; e di queste l'una è moderata da l'altra, atteso che, quantunque molte cose sono possibili che non son giuste, niente però è giusto che non sia possibile.


•Saulino•   Bene dici, o Sofia, che nessuna legge che non è ordinata alla prattica del convitto umano, deve essere accettata. Ben ha disposto ed ordinatogli Giove; perché, o che vegna dal cielo, o che esca da la terra, non deve esser approvata, né accettata quella instituzione o legge che non apporta la utilità e commodità, che ne amena ad ottimo fine: del quale maggiore non possiamo comprendere che quello, che talmente indirizza gli animi e riforma gl'ingegni, che da quelli si producano frutti utili e necessari alla conversazione umana; ché certo bisogna che sia cosa divina, arte de le arti e disciplina de le discipline quella per cui hanno da esser retti e reprimuti gli uomini, che tra tutti gli animali son di complessioni più distinti, di costumi più varii, d'inclinazioni più divisi, e di voluntadi più diversi, di appulsi più inconstanti. Ma, oimè, o Sofia, che siamo dovenuti a tale (chi mai avri' possuto credere, che questo fusse possibile?), che quella deve essere stimata massime religione la quale per minimo e vile, e per errore abbia l'azione ed atto di buone operazioni; dicendo alcuni, che di quelle non si curano gli dei, e per quelle, quantunque sieno grandi, non sono giusti gli uomini.


•Sofia•  Certo, o Saulino, io credo sognare; penso che sia un fantasma, una apparizione di turbata fantasia, e non cosa vera quella che dici; ed è pur certo che si trovano tali, che proponano e facciano creder questo a le misere genti. Ma non dubitare, perché il mondo facilmente si accorgerà che questo non si può digerire, cossì come facilmente si può avedere di non posser sussistere senza legge e religione.

Or abbiamo alquanto veduto, come bene è stata ordinata e situata la legge: devi adesso udire, con qual cognizione a quella è vicino aggionto il giudizio. Giove al giudicio ha messo in mano la spada e la corona: questa, con cui premie quelli che oprano bene, astenendosi dal male; quella, con cui castighe color che son pronti a gli delitti, e son disutili ed infruttifere piante. Ha ingionto al giudicio la defensione e cura della vera legge, e la destruzione dell'iniqua e falsa, dettata da genii perversi ed inimici del tranquillo e felice stato umano; ha comandato al giudicio che, gionto alla legge, non estingua, ma, quanto si può, accenda l'appetito de la gloria ne gli petti umani, perché questo è quel solo ed efficacissimo sprone, che suole incitar gli uomini e riscaldarli a quelli gesti eroici che aumentano, mantegnono e fortificano le republiche.


•Saulino•   Li nostri de la finta religione tutte queste glorie le chiamano vane; ma dicono che bisogna gloriarsi solamente in non so che tragedia caballistica.


•Sofia•  Oltre, che non attenda a quel che s'imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano il stato tranquillo; e massime verse in correggere e mantenere tutto quel che consiste ne l'operazioni, non giudicar l'arbore da belle frondi, ma da buoni frutti; e quelli che non le producono, sieno tolti e cedano il loco ad altri che porgano. Che non creda, che in modo alcuno li dei si senteno interessati in quelle cose nelle quali nessuno uomo si sente interessato; perché di quelle cose solamente gli dei si curano de le quali si possono curar gli uomini, e non per cosa che vegna fatta o detta o pensata per essi, si commuoveno o se adirano, se non in quanto per quello venesse a perdersi quel rispetto per cui si mantegnono le republiche; atteso che gli dei non sarebono dei, se si prendessero piacere o dispiacere, tristizia o allegrezza per quello che fanno o pensano gli uomini; ma quelli sarebono più bisognosi che questi, o al meno cossì quelli riceverebono utilitade e profitto da questi, come questi da quelli. Essendono, dunque, li dei rimossi da ogni passione, vegnono ad aver ira e piacere attivo solamente, e non passivo; e però non minacciano castigo e prometteno premio, per male o bene che risulta in essi, ma per quello che viene ad essere commesso nelli popoli e civile conversazioni, alle quali hanno soccorso con le loro divine, non bastandogli le umane leggi e statuti. Per tanto è cosa indegna, stolta, profana e biasimevole pensare che gli dei ricercano la riverenza, il timore, l'amore, il culto e rispetto da gli uomini per altro buon fine ed utilitade che de gli uomini medesimi: atteso che, essendo essi gloriosissimi in sé, e non possendosegli aggionger gloria da fuori, han fatto le leggi non tanto per ricevere gloria, quanto per communicar la gloria a gli uomini: e però tanto le leggi e giudicii son lontane dalla bontà e verità di legge e giudicio, quanto se discostano dall'ordinare ed approvare massimamente quello che consiste nell'azioni morali de gli uomini a riguardo de gli altri uomini.


•Saulino•   Efficacemente, o Sofia, per questa ordinazion di Giove si dimostra, che gli arbori, che sono ne gli orti delle leggi, sono ordinati da gli dei per gli frutti, e specialmente tali, de quali si pascano, si nutriscano e conservino gli uomini; e che gli superi non si delettano d'odore d'altri che di questi.


•Sofia•  Ascolta. Da questo vuole, che il giudizio inferisca che li dei massime vogliano essere amati e temuti, per fine di faurire al consorzio umano, ed avertire massimamente que' vizii che apportano noia a quello; e però li peccati interiori solamente denno esser giudicati peccati, per quel che metteno o metter possono in effetto esteriore; e le giustizie interiori mai sono giustizie senza la prattica esterna, come le piante in vano sono piante senza frutti, o in presenza o in aspettazione. E vuole che de gli errori, in comparazione, massimi sieno quelli che sono in pregiudicio della republica; minori quelli che sono in pregiudicio d'un altro particolare interessato; minimo sia quello ch'accade tra doi d'accordo; nullo è quello, che non procede a mal essempio o male effetto, e che da gl'impeti accidentali accadeno nella complessione dell'individuo. E questi son que' medesimi errori, per gli quali gli eminenti dei si senteno massime -, minore -, minima -, e nullamente offesi; e per di questi l'opre contrarie si stimano massime -, minore -, minima -, ed alcunamente serviti. Ha comandato ancora al giudicio, che sia accorto che per l'avenire approve la penitenza, ma che non la metta al pari dell'innocenza; approvi il credere e stimare, ma giamai al pari del fare ed operare. Cossì intende del confessare e dire al rispetto del corregere ed astinere; tanto comende li pensieri, per quanto riluceno nelli segni espressi e ne gli effetti possibili. Non faccia che colui che doma vanamente il corpo, sieda vicino a colui ch'affrena l'ingegno; non pona in comparazione questo solitario disutile con quello di profittevole conversazione. Non distingua gli costumi e religioni tanto per la distinzione di toghe e differenze de vesti, quanto per buoni e megliori abiti di virtudi e discipline. Non tanto arrida a quello che ha frenato il fervor della libidine, che forse è impotente e freddo, quanto a quell'altro ch'ha mitigato l'empito de l'ira, che certo non è timido, ma paziente. Non applauda tanto a quello che forse disutilmente s'è ubligato a non mostrarsi libidinoso, ch'a quell'altro che si determina di non essere oltre maledico e malfattore. Non dica maggior errore il superbo appetito di gloria, onde resulta sovente bene alla republica, che la sordida cupidiggia di danari. Non faccia tanto trionfo d'uno, perché abbia sanato un vile e disutil zoppo, che poco o nulla vale più sano che infermo, quanto d'un altro ch'ha liberata la patria e riformato un animo perturbato. Non stime tanto, o più, gesto eroico l'aver in qualche modo e qualche maniera possuto estinguer il fuoco d'una fornace ardente senz'acqua, che l'aver estinte le sedizioni d'un popolo acceso senza sangue. Non permetta, che si addrizzeno statue a' poltroni, nemici del stato de le republiche, e che in pregiudicio di costumi e vita umana ne porgono paroli e sogni, ma a color che fanno tempii a' dei, aumentano il culto ed il zelo di tale legge e religione per quale vegna accesa la magnanimità ed ardore di quella gloria che séguita dal servizio della sua patria ed utilità del geno umano; onde appaiono instituite universitadi per le discipline di costumi, lettere ed armi. E guarde di promettere amore, onore e premio di vita eterna ed immortalitade a quei che approvano gli pedanti e parabolani; ma a quelli che per adoprarsi nella perfezione del proprio ed altrui intelletto, nel servizio della communitade, nell'osservanza espressa circa gli atti della magnanimità, giustizia e misericordia, piaceno a gli dei. Li quali per questa caggione magnificorno il popolo Romano sopra gli altri; perché con gli suoi magnifici gesti, più che l'altre nazioni, si seppero conformare ed assomigliare ad essi, perdonando a' summessi, debellando gli superbi, rimettendo l'ingiurie, non obliando gli beneficii, soccorrendo a' bisognosi, defendendo gli afflitti, relevando gli oppressi, affrenando gli violenti; promovendo gli meritevoli, abbassando gli delinquenti, mettendo questi in terrore ed ultimo esterminio con gli flagelli e secure, e quelli in onore e gloria con statue e colossi. Onde consequentemente apparve quel popolo più affrenato e ritenuto da vizii d'incivilitade e barbaria, e più esquisito e pronto a generose imprese, ch'altro che si sia veduto giamai. E mentre fu tale la lor legge e religione, tali furono gli lor costumi e gesti, tal è stato lor onore e lor felicitade.


•Saulino•   Vorrei, ch'al giudicio avesse ordinato qualche cosa espressa contra la temeritade di questi gramatici, che in tempi nostri grassano per l'Europa.


•Sofia•  Molto bene, o Saulino, Giove ha comandato, imposto ed ordinato al giudizio, che veda se gli è vero che costoro inducano gli popoli al dispreggio ed al meno a poca cura di legislatori e leggi, con donargli ad intendere, che quelli proponeno cose impossibili e che comandano come per burla; cioè, per far conoscere a gli uomini, che gli dei sanno comandare quello che loro non possono mettere in esecuzione. Veda se, mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vegnono per certo a guastar tutto quel tanto che ci è di buono, e confirmar e inalzar a gli astri tutto quello che vi può essere o fingere di perverso e vano. Veda se apportano altri frutti, che di togliere le conversazioni, dissipar le concordie, dissolvere l'unioni, far ribellar gli figli da' padri, gli servi da padroni, gli sudditi da superiori, mettere scisma tra popoli e popoli, gente e gente, compagni e compagni, fratelli e fratelli, e ponere in disquarto le fameglie, cittadi, republiche e regni: ed in conclusione, se, mentre salutano con la pace, portano, ovunque entrano, il coltello della divisione ed il fuoco della dispersione, togliendo il figlio al padre, il prossimo al prossimo, l'inquilino a la patria, e facendo altri divorzii orrendi e contra ogni natura e legge. Veda se, mentre si dicono ministri d'un che risuscita morti e sana infermi, essi son quei che, peggio di tutti altri che pasce la terra, stroppiano gli sani ed uccideno gli vivi, non tanto con il fuoco e con il ferro, quanto con la perniciosa lingua. Veda che specie di pace e concordia è quella, che proponeno a gli popoli miserandi, se forse vogliono ed ambiscono, che tutto il mondo concorde e consenta alla lor maligna e presuntuosissima ignoranza, ed approve la lor malvaggia conscienza, mentre essi non vogliono concordare né consentire a legge, a giustizia e dottrina alcuna; ed in tutto il resto del mondo e di secoli non appare tanta discordia e dissonanza, quanta si convence tra loro. Per ciò che tra diece mila di simil pedanti non si trova uno che non abbia un suo catecismo formato; se non publicato, al meno per publicare quello che non approva nessuna altra instituzione che la propria, trovando in tutte l'altre che dannare, riprovare e dubitare; oltre che si trova la maggior parte di essi che son discordi in se medesimi, cassando oggi quello che scrissero l'altro giorno. Veda qual riuscita facciano essi, e quai costumi suscitano e provocano ne gli altri, per quanto appartiene a gli atti de la giustizia e misericordia, e la conservazione ed aumento di beni publici; se per lor dottrina e magistero sono drizzate academie, universitadi, tempii, ospitali, collegii, scuole e luoghi de discipline ed arti; o pure, dove queste cose si trovano, son quelle medesime e fatte de medesime facultadi che erano prima che loro venissero e comparissero tra le genti. Appresso, se per loro cura queste cose sono aumentate, o pure per loro negligenza disminuite, poste in ruina, dissoluzione e dispersione. Oltre, se sono occupatori di beni altrui, o pure elargitori di beni proprii; e finalmente, se quelli, che prendono la lor parte, aumentano e stabiliscono gli beni publici, come faceano gli lor contrarii predecessori, o pure insieme con questi le dissipano, squartano e divorano; e mentre deprimeno l'opre, estingueno ogni zelo di far le nuove e conservar le antiche. Se cossì è, e se tali saran compresi e convitti; e se dopo che saranno avertiti, mostrandosi incorrigibili, fermaranno i piedi de l'ostinazione, comanda Giove al giudizio, sotto pena della disgrazia sua e di perdere quel grado e preeminenza che tiene nel cielo, che le dissipe, disperda ed annulle; e spinga con qualsivoglia forza, braccio ed industria sino a la memoria del nome di tanto pestifero germe. E gionge a questo, che faccia intendere a tutte le generazioni del mondo, sotto pena de la lor ruina, che s'armino in favor di esso giudizio, in sino a tanto che sarà pienamente messo in essecuzione il decreto di Giove contra questa macchia del mondo.


•Saulino•   Credo, o Sofia, che Giove non cossì rigidamente voglia al fine risolvere questa misera sorte di uomini, e non cominciarli a toccar di tal sorte, che prima che gli done la final ruina, tente se le possa corregere, e facendoli accorgere della sua maldizione ed errore, le provoche a pentimento.


•Sofia•  Sì bene; però Giove ha ordinato al giudicio che proceda in quella maniera che ti dico. Vuole che li sieno tolti tutti que' beni, che hanno acquistati coloro che predicavano, lodavano ed insegnavano oprare, e che son stati lasciati ed ordinati da color, che opravano e confidavano nell'opre, e che sono stabiliti da questi che hanno creduto con quell'opre, beneficii e testamenti farsi grati a' dei; e cossì vegnano ad execrare gli frutti ancora di quelli arbori, che procedeno da quel seme tanto odioso a essi; e vegnano a mantenersi, conservarsi, defendersi e nodrirsi solamente da que' frutti, da que' redditi e suffragii, li quali apportano ed hanno apportati loro e quelli che gli credeno e che approvano e defendono questa opinione. E che non gli sia oltre lecito d'occupare con rapina e violenta usurpazione quello che a commune utilitade gli altri con libero e grato animo, per mezi termini contrarii a contrario fine, hanno parturito e seminato. E cossì escano da quelle profanate stanze e non mangino de quel pane iscomunicato; ma vadano ad abitare in quelle pure ed incontaminate case, e si pascano di que' cibi, che mediante la loro riformata legge li sono stati destinati, e novamente prodotti da questi personaggi pii che fanno tanto poco stima de l'opere operate, e solamente per una importuna, vile e stolta fantasia si stimano regi del cielo e figli de li dei, e più credeno ed attribuiscono a una vana, bovina ed asinina fiducia, ch'ad un utile, reale e magnanimo effetto.


•Saulino•   Subito, o Sofia, si vedrà quanto siano atti a guadagnarsi un palmo di terra questi che sono cossì effusi e prodighi a donar regni de' cieli; e conoscerassi de quelli altri imperatori del cielo empireo quanto liberalmente de la propria sustanza gli lor Mercurio urii, che forse, per la poca fede che hanno nell'opre di carità, ridurranno in necessità di andar a lavorar i campi, o a far altr'arte questi lor celesti messaggieri: che, senza altrimente beccarsi il cervello, le assicurano che non so qual giustizia d'un altro è fatta giustizia loro propria: dalla qual purità e giustizia per questo solo vegnano esclusi, che per sassinii, rapine, violenze ed omicidii ch'abbiano fatti, si sgomentino, e per elemosine, atti di liberalitade, misericordia e giustizia si confideno, si attribuiscano e sperino punto.


•Sofia•  Come è possibile, o Saulino, che le conscienze talmente affette possano giamai aver vero amore d'oprar bene, e vera penitenza e timore di commettere qualsivoglia ribaldaria, se per commessi errori vegnono tanto assicurati, e per opre di giustizia son messi in tanta diffidenza?


•Saulino•   Tu vedi gli effetti, Sofia; perché è cosa vera e certa, come essi sono veri e certi, che, quando da qualsivoglia altra professione e fede alcuno si muove a questa, da quel che era già liberale, doviene avaro, da quel ch'era mite, è fatto insolente, da umile lo vedi superbo, da donator del suo è rubbator ed usurpator de l'altrui, da buono è ipocrita, da sincero è maligno, da semplice è malizioso, da riconoscente di sé è arrogantissimo, da abile a qualche bontà e dottrina è prono ad ogni sorte d'ignoranza e ribaldaria; ed in conclusione, da quel che possea esser tristo, è dovenuto pessimo, che non può esser peggiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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