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L'amore è la forma più semplice e comune dell'evoluzione dell'istinto sessuale, nasce nelle profondità dei bisogni organici dell'individuo e può giungere, entrando in relazione con molteplici elementi superiori, fino alle più eccelse vette dell'idealismo. Tra i sentimenti umani occupa forse il primo posto per la sua varietà infinita, potendo essere considerato come uno dei più chiari rivelatori della personalità.

Il complesso psico-fisiologico d'un soggetto determinato è il nucleo fondamentale che ci dà le spiegazione immediata del suo modo d'amare, ma per ovvie ragioni d'eredità e d'ambiente riesce quasi assiomatico il dichiarare che i sentimenti del boschimano non possono essere quelli dell'europeo, e l'americano moderno è lontano dal comprendere l'amore del greco antico.

Esiste una manifestazione erotico-sociale che racchiude e limita le forme sessuali evolute dei singoli individui, ciò che non è un ostacolo, ma piuttosto chiarisce l'apparire delle attività eccezionali, aberranti che rompono l'euritmia dell'abitudine collettiva.

Vi sono nell'amore, come in tutti i fenomeni della vita, personalità troppo sviluppate, veri geni che oltrepassano la loro epoca, e personalità retrograde che riproducono - sovente sotto forme incomplete e strane - le consuetudini sentimentali dei tempi scorsi.

Queste manifestazioni ampie della funzionalità psico-genesica soffrono l'incontestabile influenza dell'ambiente, sono, per così dire, plasmate in gran parte dalle caratteristiche etniche, geografiche, economiche, politiche e religiose e nello stesso tempo ci tramandano per virtù riflessa, cogli attributi fondamentali, l'anima intima di un paese e di una epoca. In tali casi il suggello biologico primordiale è così profondamente unito alle cause sociali contin­genti che riesce oltremodo difficile, forse impossibile, l'assegnare un limite esatto ai singoli campi della loro influenza.

 

Per conoscere l'amore dell'epoca preistorica può giovare in parte l’osservazione degli odierni selvaggi. Il vero sentimento esula dal brutale erotismo d'un australiano o d'un freghino (1), le loro tendenze riproducono spesso quelle degli animali poligami e sono al disotto dell’attrazione degli animali temporaneamente monogami.

Analizzando le abitudini degli indigeni dell'interno del Borneo, Letourneau scrive: «Senza mai formare gruppi durevoli, si accop­piavano nei boschi a guisa di bestie e quando i figli erano capaci di trovare da loro stessi l'alimento, i genitori li abbandonavano alla loro sorte e si separavano». Nelle terribili epoche di fame i fueghini mangiano piuttosto le loro donne che i loro cani, perché questi ultimi sono loro più utili nei lavori di pesca.

Anche nelle tribù relativamente superiori l'amore è un mito, e la femmina è una schiava delle voglie sessuali del padrone.

 

I nostri antenati non conobbero certamente una forma più raffinata d'emozione genesica. L'incantevole idillio miltoniano altro non è che una fantasia di cristiano e di poeta, molto dissimile dal vero. L'Adamo naturale, simbolo dell'uomo in cui predomina in tutta la sua ampiezza l'immediata bestialità, ricorreva sovente alla forza per abbattere la femmina. L'impulso irresistibile si risol­veva in un semplice alto brutale e meccanico, la Venere primitiva, al dire di Lucrezio, in silva jungebat corpora amantum.

Un intenso elemento sadico vibrava in questi feroci amplessi. Chi non ricorda che anche oggi l'australiano, nella forma più elementare del matrimonio per ratto, colpisce sovente con la sua mazza la compagna ribelle e certe volte la uccide? La teoria ata­vica del sadismo, esposta da Lombroso, trova in questi fatti una prova incontestabile.

L'amore pagano concede un valore predominante ai sensi, ma molto dissimile dall'impulso primitivo, racchiude una innegabile forza sentimentale ed è profondamente vincolato ai fattori estetici.

Il greco era chiaro, preciso, un po’limitato come la natura che lo circondava. In tutte le manifestazioni della sua vita nulla d'ec­cessivo, d'iperbolico, d'indefinitivamente sublime. La sua religione, la sua arte sono semplici e concrete dentro la loro perfezione. E lo stesso amore presenta un aspetto moderato, senza esaltazioni morbose, intimamente unito a profondi elementi sensuali.

 

Ma questa sensualità, piuttosto bassa fra il volgo, che si di­vertiva alle arrischiate celie dei commediografi, apparve depurata da un fine senso artistico nei soggetti colti. Compenetrati dall'armonia stabilita tra la bellezza del corpo e la bellezza dell'anima idealizzarono la forma e diedero ai loro numi la perfezione pla­stica come segno indiscusso di divinità.

 

II senso spirituale che noi cerchiamo soltanto nel viso, lo tro­vavano i Greci nel corpo nudo d'un adolescente o d'una donna. E non andavano più oltre, soddisfatti da quella euritmia semplice e sacra che parlava ai loro sensi squisiti. In loro l'istinto artistico, ampliamente sviluppato, non lasciava alcun posto alle indagini troppo sottili dell'anima.

Per ciò i loro lirici sembrano così superficiali quando parlano dell'amore: la divina sensualità della carne è la più vibrante corda della loro lira erotica.

Platone partì dal concetto comune, ma lo purificò dandogli una elevata aspirazione idealistica. L'attrazione dei corpi non do­veva essere che un semplice grado nel depuramento che condu­ceva al connubio superiore delle anime.

Risiede il suo merito nell'aver compreso e studiato con elevatezza ed acume la trasfor­mazione progressiva dei sentimenti, dall'impulso fisiologico primi­tivo ai più nobili moti dello spirito. Invece d'imporre la separa­zione radicale fra i due gruppi di tendenze, cercò di fonderle in un processo dinamico e stabilire i loro vincoli in una evoluzione continua.

Ma nell'insieme della dottrina platonica l'amore non trova in se stesso la sua finalità assoluta. Perfettamente virile e unisessuale, escludendo la donna dalle manifestazioni superiori, racchiude un intenso principio educativo. L'amante é per l'amato un maestro di virtù e di sapienza, una vera guida spirituale che cerca l'amore per inculcare i suoi sentimenti e le sue idee. La suggestione ero­tica sublimata si confonde colla suggestione morale ed intellettuale.

 

Socrate adoperava la simpatia per trarre dalle anime ciò che v'era in loro di nobile e di bello.

Il platonico medievale differisce sostanzialmente dal platonico greco. La carne si considera come un velo quasi spregevole che adombra la viva luce dell'anima. È necessario astrarsi dalla realtà caduca della prima per contemplare in un'estasi mistica la seconda.

La gentilezza artificiosa dei trovatori provenzali, di Guido Guinicelli e Guido Cavalcanti si esalta fino all'adorazione spiri­tuale eccessiva nei grandi poeti toscani, Dante e Petrarca. Ma questa attitudine, contraria alla natura stessa, fu sovente un sem­plice concetto alieno dalle vicende delle vita. Lo stato di grazia che Abelardo, dopo la sua evirazione, opponeva agli ardori troppo mondani d’Eloisa poteva essere una realtà per l'amore mistico e realtà ben relativa, ma giammai un fenomeno evidente derivato dalle tendenze psico-fisiologiche dell'individuo.

 

In pieno Medio Evo il nuovo amore platonico si presentò come un ideale profondamente venerato dagli uomini superiori, ma troppo assoluto per entrare nella vita reale. Boccaccio parla senza reticenze della lussuria dell'incomparabile Ghibellino; Pe­trarca era portato piuttosto verso le gioie quasi epicuree della vita sicché nel De contemptu mundi siamo lontani dalla fantasia poetica del Canzoniere.

 

L'amore spirituale era in essi un fantasma immacolato che sorvolava sulle volgari miserie e l'irresistibile foga dell'istinto. Par­tivano sovente da un principio reale, ma l'abbellivano sollevandolo ad una altezza inaccessibile e per un intimo processo intellettuale lo trasformavano in simbolo delle loro più nobili aspirazioni. L'arte raccoglieva il sogno che non poteva essere materializzato nella vita. La donna fiorentina che amò Dante nella sua giovinezza e la cui figura si delinea vagamente fra le allegorie della Vita nuova si convertì nella parvenza astratta ed intellettuale del Convita. La Commedia idealizza questo fenomeno di sublimazione, come direbbe Freud. Beatrice, che nell'alto del Purgatorio rimpro­vera al pentito suo servo i colpevoli amori e l'oblio del suo spirito di donna, non é più che un'ombra nel Paradiso, un principio di pura ragione e d'amore celestiale.

 

Il Cristianesimo, nei suoi sforzi incoscienti per reagire contro l'aspra misoginia degli anacoreti e dei Padri, fu eccessivo nella lode come era stato violento nell'invettiva. Esso informò l'amore platonico d'un vero culto reso alla donna, considerandola degna d'essere adorata. Senza perdere la sua condizione d'inferiorità economico-sociale le femmina umana ricevette gli onori d'una simbolica perfezione morale, non nel suo degno carattere di madre, ma come un essere etereo ed asessuato.

Dinanzi a lei i cavalieri ed i poeti s'inginocchiarono, producendosi uno strano fenomeno sconosciuto al civile platonismo antico. L'uomo curò di farsi degno della donna amata in una vera tendenza verso il masochismo psichico.

L'ostentazione della forza, questa forma primitiva della sedu­zione maschile, si confuse col bisogno delle tribolazioni e della penitenza.

Cervantes ci ha offerto una caricatura inimitabile di queste stranezze quando Don Chisciotte si ritira nelle solitudini della Sierra Morena per piangere i fantastici sdegni della non meno fantastica Dulcinea del Toboso.

Ma questo amore non fu nel Medio Evo che la squisita e singolare creazione d'una aristocrazia di poeti e di cavalieri, il rovescio della medaglia é piuttosto basso, triviale, pieno d'una sessualità grossolana, vera immagine di un mondo non ancora libero dalle tenebre della barbarie.

 

I fabliaux francesi, la musa popolare rappresentata da Cecco Angiolieri ed il Decamerone di Boccaccio rivelano l'aspetto meno spirituale e nobile d'una età enorme e delicata », al dire di Verlaine. Nello stesso modo che la mistica soave d'un Francesco d'Assisi contrasta con l'arguzia cinica di Frate Cipolla, la lumi­nosa Beatrice e la bionda Laura, simboli, più che donne, emer­gono dalla vita laida o festevole delle adultere e delle monache in fregola. II volgo altro non cerca nell’amore che la soddisfa­zione dei sensi ed i desideri si mostrano nella forma più aperta, semplice, quasi impudica.

L'amore passione, l'amore impetuoso, travolgente, febbrile, così bene studiato sotto il punto di vista psicologico del Ribot, apparve nel tramonto della civiltà greca con Apollonio Rodio ed i romanzi alessandrini. Pianta piuttosto rara nel Medio Evo, dove non attecchì e debole fu il suo influsso sull'arte, se ne togli l’ammi­revole Tristano di Gotfrit di Strasburgo e quell’eterno monumento vivo costituito dalle lettere di Abelardo ed Eloisa. Ai ragionamenti scolastici del suo infelice amante, alla pretesa subli­mazione platonica dei loro vincolo, la donna oppone una passione umana sì violenta che dalla austerità del chiostro l'obbliga a dire; «Quelle mutue delizie dell'amore cui ci abbandonammo, o mio diletto, mi furono tanto soavi che non possono dispiacermi e appena possono sfuggirmi dalla memoria».

Nel rinascimento troviamo la stessa diversità di sentimenti, ma il ritorno del paganesimo artistico, la rilassatezza dei costumi lasciarono una impronta innegabile, «I novellieri e i poeti comici ci lascerebbero credere che l'amore non consistesse che nel piacere» scrive Burckhardt e «che ad ottenerlo tutti i mezzi, tragici o comici, fossero non solo leciti, ma anche tanto più degni d'ammirazione quanto più audaci ed arrischiati. Se invece si leg­gono i migliori lirici di quel tempo e gli scrittori di dialoghi, desta veramente meraviglia l'entusiasmo, la profondità e la purità, con cui intendono questa passione, anzi si può dire di trovarne in essi l'ultima e la più sublime espressione quando li vediamo riprodurre le idee degli antichi di una originaria unità delle anime nell'Essere supremo e divino».

 

Il concetto della bellezza plastica che il Medio evo subordinò ad una perfezione morale assurda pei suoi eccessi ebbe una festevole accoglienza da parte degli eruditi imbevuti nei sentimenti dell'antichità. Ma il platonismo genuino, casto e severo, non penetrò nella vita del tempo, troppo dedita allo sfogo delle pia­cevoli brame e nella maggior parte dei casi solo servì a lunghi commenti letterari, ad ammirevoli discorsi retorici.

Marsilio Ficino ed il Bembo ne sono i più schietti modelli. Il platonizzare si convertì in una moda che avvelenò le anime più nobili con l’arti­ficiosità dei concetti. Lo stesso Michelangelo così profondo e tragico nella sua vita, non sdegnò la frivolità del madrigale mentre cercava disperatamente la sublimazione dei suoi amori infelici e morbosi.

Sotto il velame dei pregevoli principi vi è un pullulare di tutte le abitudini immorali, specialmente fra le classi colte dove la corruzione divampava. Le novelle e le cronache del tempo - celebre fra tutte il Diarium di Burchardt - ci rivelano la frequenza delle meno lodevoli aberrazioni, dall’incesto di papa Alessandro alla pederastia di Pier Luigi Farnese. Una vera febbre di vivere nel modo più sciolto e conforme alla propria indivi­dualità, come ce lo attesta la vita di Benvenuto Cellini, un oblio quasi completo dei comuni precetti morali sotto il velo d'una religione tutta al di fuori trascina gli uomini di quel tempo.

 

Nei secoli susseguenti le passioni impallidiscono in seno ad una raffinatezza superficiale, l'amore idealista ed esaltato si trasforma in consapevole Galeotto dei complessi inferiori. Dovunque si osserva un sentimento frivolo e mediocre, battezzato dal cau­stico Chamfort come lo scambio di due capricci ed il contatto di due epidermidi.

Il secolo XVIII tolse all'amore l'ultimo serto di nobiltà. Il flirt predomina, piovono i madrigali languidi e sdolcinati, l’ele­ganza e la moda impiccoliscono l'uomo e governano il cuore della donna, non più amante fervida o madre degna di rispetto, ma piuttosto serva e sovrana nel tempo stesso di questo mondo incipriato, meschino e profondamente ipocrita. «L'ideale dell’amore, nell'epoca di Luigi XV» scrivono i Goncourt «non è che il desiderio e l'amore è la voluttà».

Una violenta reazione si produsse. L'uomo di Ginevra ruppe la sua prima lancia contro quell'Arcadia menzognera. L’amore romantico coi suoi eccessi, consacrò il primato del thymus pla­tonico. Il secolo che vide le più audaci utopie sociali e tentò di spiegare il mondo, con le arrischiate ipotesi della metafisica tedesca, cercò anche l'infinito nel sentimento. L'amore, monopolizzando l'attività psichica, si presenta come unico movente e fine degli atti individuali, illusione pericolosa che commuove il fondo stesso della vita di relazione.

 

La mania delle passioni, come la chiama Lasserre, costituisce un indiscutibile indirizzo morboso del romanticismo. Nel suo interno l'analisi psicologica non trova altro che una eccitazione artificiale di spiriti malati, dal psicastenico Werther all’isterica Leila. L'amore romantico può essere considerato come l’ultima forma presa dall'amore platonico, invece dell’oggetto amato si divinizza lo stesso amore.

Né manca il masochismo ideale, questo sintomo comune a tutte le stranezze dei sentimento mistico esal­tato. Après avoir souffert il faut souffrir encore, il faut aimer saris cesse après avoir aimè, canta Alfredo de Musset nella Notte d'Agosto.

E nello stesso modo che il Cervantes ci offerse nel suo Chisciotte la caricatura dell'amore platonico, Gustavo Flaubert fece di Madame Bovary una Leila reale, squilibrata e debole, sedotta dai suoi fantastici sogni e vittima del mondo al quale le fu impossibile adattarsi.

 

In questa rassegna abbiamo studiato le forme pin tipiche ed originali che assunse l'amore nelle diverse epoche storiche, senza dilungarci in minuziose considerazioni. Ci siamo soffermati piuttosto sulla efflorescenza terminale della pianta erotica che rivela in tutta la sua integrità la psiche originale d'un ambiente determinato.

Nel complesso sessuale dei diversi aggruppamenti storici esiste una corrente inferiore, istintiva, semplice sfogo del desi­derio immediato e quasi animalesco, più chiara e visibile nei soggetti incolti, così gagliarda nei suoi effetti che tutte le nozioni etiche e religiose s'ingegnarono vanamente di formargli un argine.

 

La prostituzione è il risultato diretto, vera forma di difesa della società contro le voglie impulsive degli individui che la costitui­scono. L'accettazione dell'amore venale come un fatto necessario da parte dei direttori dell'umanità prova quanto vi sia di bestiale ancora nell'uomo e che scarsa influenza abbiano i grandi principi sulla vitalità incomparabile dell'istinto.

 

Una seconda corrente, superiore alla prima, entrando in rela­zione con essa mediante anastomosi laterali è costituita dai complessi erotici istintivo-affettivi, impregnati di elementi psichici che formano una pregevole parte dell'insieme. Senza ricordare le sue infinite modalità, fra le quali predomina l’amore libero, questo bel sogno degli utopisti, vedremo che il matrimonio, poli o monogamico, è l'espressione sociale più completa dell’accennato fenomeno. La base erotica si rinforza con elementi sociali secon­dari e più di tutto con l’immediato sentimento di famiglia che deve rendere più durevoli i vincoli stabiliti dal sentimento ses­suale.

L'intromissione di principi alieni alla sua vera natura, se fece del matrimonio una istituzione così forte da poter resistere a tutte le contingenze storiche, ne viziò fatalmente i caratteri psico-biologici e molto sovente, per non dire nella maggioranza dei casi, interessi egoistici di ben diversa indole servirono di base ad unioni dove dell'amore non c'era che il nome.

 

Ma la corrente veramente originale e tipica che impone allo sviluppo psico-sessuale il suo suggello storico si manifesta nelle tendenze superiori, nei complessi sublimati dove s'affievolisce la voce dell'istinto in beneficio degli elementi che chiameremo spirituali. Sono le forme meno immediate della libido quelle che si rivelano, la idealizzazione estetica e religiosa le colorisce e può servirle d'obiettivo.

L'eccesso d'evoluzione allontana questi fenomeni dal principio fisiologico, rasentando l'anormale e l’aberrante; la procreazione, scopo incosciente d'ogni tendenza erotica moderata, si attenua e nei casi estremi sparisce.

La spiritualizzazione eccessiva dell'amore oltrepassa i comuni confini, distoglie l'essere dalle sue manifestazioni organico-altrui­stiche, lo individualizza in un modo che può essere assoluto. Il termine del lungo processo psico-sessuale non é più la specie, ma l'individuo stesso. Nell'amore si cerca un mezzo per favorire il proprio sviluppo, l'affermazione dei complessi personali puramente psichici.

 

Certe volte, come nel platonismo greco, un fine educativo innegabile si associa al bisogno dell'egoistica elevazione; ma in generale l'attività è più limitata e ristretta. Il platonico medioevale sublima il peccato d'amore e lo santifica al servirsi di lui come d'una scala per giungere a Dio.

 

L'idealismo assoluto nell'amore, non fu nella maggioranza dei casi, altro che un ideale lontano, un bel sogno che gli uomini eminenti opponevano alla volgare realtà della loro vita. Preso in un altro senso cade in piena psicopatia, come il caso di quel giovane che, mortagli la fidanzata, pensò che la sua anima si trovasse nella lontana Mirto e trascorreva le sere contemplando in silenzio la stella che racchiudeva l'essenza dell'adorata defunta.

 

In ogni uomo, sia esso un mediocre o un genio, la voce della specie si oppone quasi sempre all'assoluta individualizza­zione erotica. Uno spirito complesso come quello di Dante può albergare l'istinto puro, la lussuria ricordata dal Boccaccio, i capricci pei quali «tanto giù cadde, che tutti argomenti alla salute sua eran già corti», l'amore volgare, il matrimonio mal tollerato e sorvolando su tutte queste tendenze un insieme di forme superiori chiuse in un sistema ideo-emotivo che si organizza intorno ad un piccolo punto reale, il ricordo d'una passione giovanile.

 

Molestato dalla discrepanza fra il concetto esagerato di se stesso e le sue miserie fisiologiche, volendo rompere la cerchia che il simbolico genio della specie alzava intorno a lui, l’uomo in un disperato sforzo d'idealismo individuale, volle sublimare il suo istinto e trasformarlo un sentimento quasi divino. Vittima della realtà cadde, ma la tendenza rimase, insoddisfatta, sognando ancora l'amore nobile fra i duri bisogni dell'esistenza quotidiana. Questo tentativo cristallizzato sovente in opere ammirevoli è per lo studioso una forma nuova che imprime all'epoca un carattere completamente originale.

L’ideale rimane sempre come la manifestazione più ampia d'un individuo e d'un popolo. Il simbolo d'una vita che ha la sua vera realtà in un piccolo punto, il più luminoso dell’anima.

 

 

1. I Fuegini (o Fueghini) sono una popolazione autoctona della Terra del Fuoco, abitanti nella zona più meridionale del Sud America, in corrispondenza della Patagonia argentina e Cile. Furono osservati da Charles Darwin che entrò in contatto con loro durante il suo viaggio a bordo del Beagle.
È un popolo praticamente in via di estinzione; è sopravvissuta solo qualche famiglia, di origini miste, che per di più sta perdendo ogni riferimento con la tradizione e la cultura fuegina. L'ultimo Fuegino nativo indigeno purosangue è morto nel 1999.

  
 

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