Lo studio che segue è stato rinvenuto fra i documenti della Montesion, senza data e con l'indicazione dell'autore Salvatore M.

Il F:. esamina, ripercorrendone la storia, la diatriba sull'attribuzione a Mosè dei testi a lui ascritti.

 

Benché il Talmud e i Padri della chiesa concordemente affermino esser opera di Mosé i libri nella Bibbia denominati Pentateuco, pure gli accenni ad una composizione più tarda sono, per quanto oscuri, molto antichi. La tradizione leggendaria del così detto Libro quarto di Ezra, scritto verso la fine del primo secolo, secondo cui Ezra...

 

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Benché il Talmud e i Padri della chiesa concordemente affermino esser opera di Mosé i libri nella Bibbia denominati Pentateuco, pure gli accenni ad una composizione più tarda sono, per quanto oscuri, molto antichi. La tradizione leggendaria del così detto Libro quarto di Ezra, scritto verso la fine del primo secolo, secondo cui Ezra, gran sacerdote del giudaismo nel secolo V av. Cr. avrebbe ricomposta, con le altre sacre scritture, la Legge mosaica (1), andata dispersa fra le vicende estreme del regno di Giuda, fu già raccolta seriamente da Ireneo, Clemente d'Alessandria, Tertulliano, e anche da S.Girolamo.

Giovanni Damasceno informa, che nel secolo VIII la setta giudaizzante dei Nazarei negava essere Mosé l'autore del Pentateuco; e durante il medioevo i due rabbini, l’Isaacita e Ibn Ezra, celebri espositori della Bibbia, con misteriose circonlocuzioni, alludevano a una redazione dei libri mosaici, assai più tarda dei tempi di Mosè.

Nel 1520 il riformatore Carlostadio, in un saggio sulla Bibbia pubblicato a Vittemberga, affermò che il Pentateuco non poteva, per vari argomenti, essere opera di Mosé; né Lutero, così facile a contraddire, vi si oppose. I cattolici dimostravano allora non minor libertà di opinioni a tale proposito. Il sacerdote Andrea Du Maes, in un commento a Giosuè, pubblicato ad Anversa nel 1570, riprese per suo conto arditamente la teoria dell’Abrabanel, dotto Ebreo della Rinascita, e sostenne che i libri mosaici erano stati composti, verso i tempi di Ezra, con documenti archivistici naturalmente antichi; pochi anni dopo, il gesuita spagnolo Bento Pereira lodava, senza nominarlo, il Du Maes, e il gesuita fiammingo Giacomo Bonfrére esprimeva analoghe opinioni.

 

La cultura umanistica della Rinascita, liberando via via sempre di più gli studiosi dalle preoccupazioni dogmatiche, dava impulso a più precise affermazioni. Tommaso Hobbes, nel Leviathan (1651), ]sacco de la Peyrère, in un saggio teologico critico sulle stirpi umane preadamite (1654), e il filosofo Benedetto Spinoza, nel Tractatus theologico politicus (1671), tornavano risolutamente a negare la mosaicità del Pentateuco, insistendo sulla varietà e diversità delle parti di cui è costituito. Lo Spinoza particolarmente dichiarava che questo era un problema di carattere letterario e critico, niente affatto religioso e dogmatico. Contro di lui, il cattolico Riccardo Simon, nella sua storia critica del Vecchio Testamento (1682), sosteneva, valendosi delle ricerche del Du Maes, che il Pentateuco fosse composto da Mosè, con documenti ufficiali, forniti da storiografi del suo tempo. L’opera del Simon suscitò vive polemiche in Francia ed altrove; e l'olandese protestante Giovanni Le Clerc volle confutarlo, mostrando (1685), con felice intuito, come i documenti del Pentateuco fossero non già di origine ufficiale, ma privata, e che la loro composizione dovesse dall'età mosaica riportarsi in quella del regno di Giuda. Il Simon, sconfitto dal gran retore Bossuet, fu condannato dalla chiesa.

 

Nel 1753 il medico francese Giovanni Astruc, cattolico nato da padre ugonotto, in un saggio anonimo di Conjectures sur les mémoires originaux dont il paroit que Moyse s’est servi pur composer le livre de la Genèse, ritrovò e distinse nel Genesi due principali documenti, fusi insieme, A e B, la cui più vistosa caratteristica consisteva nel nome diverso, con cui ciascuno designava Iddio, e che perciò furono detti Elohista e Jahvista. L'orientalista e critico tedesco, Giovanni Goffredo Eichhorn, avuta generica notizia della pubblicazione dell’Astruc, giunse con ricerche proprie alle medesime conclusioni nella sua Introduzione al Vecchio Testamento (1780); gli tenne dietro, con nuove indagini (1798), Carlo David Ilgen. Contemporaneamente, il sacerdote cattolico inglese Alessandro Geddes, in una serie di studi biblici, intrapresa nel 1792, esprimeva l'opinione che la ricerca documentaria, applicata sinora al Genesi, doveva essere estesa a tutto il Pentateuco, incluso il libro di Giosuè (2), e collocò la composizione dei libri mosaici all'età di Salomone. Affermazioni audaci, sulle quali egli promise un ampio volume che tuttavia non venne mai pubblicato.

 

La critica dei libri mosaici fu continuata, però, dai protestanti tedeschi. Sulle tracce del Geddes, I.S. Vater pubblicò (1802-1805) tre grossi volumi di commento al Pentateuco, che attrassero l'attenzione di Guglielmo De Wette, allora giovanissimo. Questi, infatti, con nuove indagini sui libri mosaici (1806), cercò attraverso una selva di frammenti, di contraddistinguere i tre documenti principali che formavano il Pentateuco, cioè l’Elohista delle origini del mondo e della legislazione sacerdotale, il Jahvista e il Deuteronomio, successivamente redatti durante il regno di Giuda, dall'età di Salomone fino all'esilio degli Ebrei in Babilonia. La questione lasciava tuttavia molte incertezze e oscurità; fu ritrattata a fondo dall'insigne orientalista Enrico Ewald, nella introduzione alla sua Storia del popolo d'Israele (1843).

Egli riconobbe nel Pentateuco l’Elohista o Codice sacerdotale dei tempi di Salomone, un Elohista e un Jahvista dell'età dei profeti, e finalmente il Deuteronomio.

 

Le geniali ricerche dell’Ewald permisero (1853) all’Hupfeld di ricostituire il Genesi nei tre fondamentali documenti. Ma gravissime difficoltà rimanevano per tutto il resto. La maggiore antichità attribuita al Codice sacerdotale, impediva di comprendere e spiegare in maniera soddisfacente l'origine dell’Elohista e del Jahvista profetico, nonché del documento deuteronomico. Fin dal 1833 Edoardo Reuss, aveva fatto notare, che il Codice sacerdotale, qua e là, mostrava di essere uno svolgimento complementare della legge deuteronomica; e alla stessa conclusione pervenivano, con ricerche indipendenti, il Watke e il Georg nel 1835. Ma la incontrastata autorità dell’Ewald in Germania per più di venti anni impedì che tali opinioni fossero prese in considerazione; né i critici osarono contestarle apertamente. Nel 1865, però, il Reuss ed il Graf, suo allievo, decisero di dare battaglia. In due saggi sui libri storici dei vecchio Testamento, il Graf dimostrò che il Codice sacerdotale, non solo era la parte più antica del Pentateuco, ma anzi era l'ultima in ragione di origine, e non solo posteriore al Deuteronomio, ma dipendente da Ezechiele, e quindi composto dopo l’esilio in Babilonia.

H. Graf mantenne però la data attribuita dall’Ewald al grande Elohista del Codice sacerdotale nella sua parte meramente narrativa. Ma il critico olandese Abramo Kuenen, che adottò la teoria del Graf nella sua Storia del popolo d'Israele (1869), dimostrò che anche le narrazioni del grande Elohista, inscindibili dal codice legislativo, avevano comune l'origine. I professori tedeschi, per più anni risposero alle pubblicazioni del Graf con l’ironia o col silenzio; ma la rinnovata dimostrazione di Giulio Welhausen, nel 1876, fissò in maniera definitiva l'ordine di successione dei documenti che costituiscono i libri mosaici.

Intanto, fra i cattolici più consapevoli della scienza protestante, si andava manifestando un movimento di pensiero, inteso a risollevare nella chiesa gli studi biblici dalla loro stagnante decadenza. Il gesuita Cornely, però, nella sua Historica et critica Introductio al Vecchio Testamento (1885) persisteva nel difendere l’assoluta mosaicità del Pentateuco, pur ammettendo  che vi si fossero introdotte varianti e aggiunte posteriori, che però si asteneva dal precisare. La inopportuna apologia della tesi tradizionale non poteva piacere agli studiosi della nuova generazione, fra i quali sin d'allora emergevano l'abate Alfredo Loisy, professore di lingua e letteratura ebraica nell'Istituto Cattolico di Parigi, e il domenicano Giuseppe Lagrange, che aveva creato a Gerusalemme una Scuola pratica superiore di studi biblici. Essi erano convinti, che la critica aveva ragione, e che il primo passo da fare, per rinnovare la scienza cattolica della Bibbia, tanto inferiore a quella protestante, doveva consistere nell'abbandonare la tesi della mosaicità del Pentateuco. Il Loisy intraprese arditamente la via della critica, senza preoccuparsi gran che delle esigenze dei teologi, reputati a buon dritto incompetenti; ma fu subito ostacolato sul cammino dall’enciclica Providentissimus Deus (1893), con la quale, al solito, Leone XIII otteneva il doppio effetto di ostacolare la scienza e promuovere gli studi ecclesiastici. Il Lagrange, d'accordo col cattolico inglese barone Federico Von Hügel, pensò che sarebbe stato meglio procedere, senza urtare l’autorità ecclesiastica, e i sospetti dei teologi, presentando la questione mosaica al pubblico giudizio dei dotti cattolici.

Il tentativo si fece nel Congresso internazionale degli scienziati cattolici, tenutosi durante l'Agosto 1897 a Friburgo di Svizzera. L'anno precedente, il Lagrange aveva nella sua Revue Biblique pubblicato qualche saggio sui primi capitoli del Genesi, con aperte referenze ai risultati della critica documentaria, senza con ciò suscitare le ire di Roma, nonostante le recriminazioni degli intransigenti. Il terreno parve, dunque, sbarazzato a sufficienza e ben preparato. In una memorabile seduta, si levò il Lagrange a leggere il primo di una serie di studi sui libri mosaici, nel quale dimostrava come in nulla contrariasse i principi dogmatici del cattolicesimo l'affermare che Mosé non era autore del Pentateuco. E il Von Hügel, dopo di lui, parlò degli argomenti critici inconfutabili, i quali costringevano l'onesto e sincero studioso ad abbandonare la tesi della origine mosaica. Il plauso generale con cui vennero accolti gli oratori, fu interrotto da una protesta breve, ma categorica, del gesuita Brucker.

La prova fallì. Il Lagrange, pubblicate quelle pagine nella Revue Biblique, si salvò da una condanna promettendo di non dare alla luce più nulla su tale argomento. Fu soppressa nei futuri congressi degli scienziati cattolici la sezione di studi biblici. La difesa che il dotto missionario Giovanni Genocchi fece in Roma delle idee del Lagrange, non fu che un nuovo scandalo, e provocò, da parte del Vaticano, la soppressione della innocente Società per gli studi biblici, promossa dal cardinale Parocchi, colpevole di aver dato parola al Genocchi. Von Hügel, benché laico, stampò il suo lavoro negli Atti del Congresso, ma non reputò opportuno di peggiorare la situazione, spingendosi oltre

Passò qualche anno. Le pubblicazioni cattoliche intorno alla Bibbia si moltiplicavano, e sempre più minacciose apparivano le loro tendenze a disfarsi dei pregiudizi teologici per via d’una libera critica. Gli intransigenti, irritatissimi, volevano che Leone XIII condannasse a destra e a sinistra gli studiosi così miseramente sedotti, dicevano essi, da una scienza ingannatrice. Ma il vecchio papa rispondeva: Lasciamo che i dotti cattolici qualche volta si ingannino. Tuttavia consentì di istituire nel 1901 per lo studio e la risoluzione dei più gravi problemi, una Commissione biblica, composta di alcuni cardinali, e coadiuvata da dodici consultori. Quale spirito di tolleranza l’animasse dapprima, fu dimostrato anche dal fatto che la Revue Biblique del Lagrange fu scelta come organo ufficiale dei lavori della Commissione.

Intanto il Loisy, per il quale e contro il quale s'era creata principalmente la commissione biblica, risoluto e libero, continuava, nella sua Revue d'histoire et de littérature religieuses, a diffondere i risultati della critica. Le sue maniere audaci però rendevano ai cattolici, bramosi di seguire la così detta via di mezzo, più che mai simpatico il Lagrange. E il Lagrange ritentò, questa volta girando assai più da lontano, di tornare a risolvere la questione mosaica. Un suo volume di commento al libro dei Giudici (1903), elaborato con gran cura sulla critica documentaria, passò inosservato. Per riuscire a interessare la ristretta cultura biblica del clero cattolico, ci voleva un commento al Genesi; e il Lagrange, con molte precauzioni, si mise all'opera. V'era da superare una grossa difficoltà. Bisognava poter onestamente ammettere, contro la tesi fra i teologi indiscussa e di sapore fortemente dogmatico, che i primi capitoli del Genesi avevano, più che altro, un valore non storico ma simbolico. Il Lagrange presumeva di essersi fatta via libera sin dal 1903, con un volumetto, molto diffuso e apprezzato, contenente diverse conferenze sul simbolismo del Genesi, date, con plauso, nell’Istituto cattolico di Tolosa. Inoltre, già nel 1902, un giovane religioso, Giuseppe Bonaccorsi allievo di Giovanni Genocchi, aveva stampato anonimo nei I miei Studi Religiosi un articolo sulla questione mosaica, decisamente contrario alla tesi tradizionale, senza che perciò la rivista subisse gravi ripercussioni da parte della autorità ecclesiastica. Persino il gesuita Hummelauer, che, insieme col Cornely, pubblicava un voluminoso commentario alla Bibbia, s’era qua e là, nel commento ai libri mosaici, lasciate sfuggire delle frasi, accennanti a tardi autori di alcuni capitoli o gruppi di capitoli, senza averne ripercussioni. Perciò confidava il Lagrange di poter dare in luce la sua Genesi. Egli infatti presentò le prove di stampa di un centinaio di pagine dei lavoro già pronto, presso gli alti papaveri della curia romana, allo scopo di ottenere la sospirata approvazione.

Ma i tempi erano mutati. Con la morte di Leone XIII, era scomparso quel poco di tollerante equità verso i diritti della ragione scientifica, che ascese con lui sulla cattedra romana. Il successore Pio X, impari alle ardue lotte del pensiero, con provinciale bonarietà sognava invece idilliche villeggiature a Montecassino. Egli fu subito attorniato e sedotto dalla sottile astuzia degli intransigenti, che smaniavano di prendere sul modernismo trionfante una bella rivincita. E l’ebbero. Il Lagrange dovette abbandonare l’idea di stampare il Genesi, e contentarsi, che anzi non fosse riesumato un suo articolo del 1897 sul paradiso terrestre, che Leone XIII salvò dal pericolo dell’Indice.

La Commissione biblica sospetta, nei suoi dodici consultori, di modernismo era già stata riformata con l’aggiunta di molti altri consultori «ortodossi», capaci di annullare l’opinione eventuale dei primi. E una serie di «decreti scientifici», elaborati, come la curia romana è solita, col più impenetrabile segreto, ne manifestò di anno in anno gli intendimenti e l’opera.

Il primo, del 1905, condannò la così detta teoria delle citazioni implicite, con cui si era tentato, specialmente dal gesuita Prat, di armonizzare con la divina autorità delle scritture i più vistosi e gravi fra gli innumerevoli errori di cui la Bibbia formicola.

La teoria non aveva appagato gran che, né i modernisti né i conservatori, e il decreto fece poca impressione. Era una scaramuccia prima della battaglia.

Infatti il 1906 emise, come un colpo di fulmine, il decreto con il quale si intimava agii studiosi cattolici di riconoscere la mosaicità del Pentateuco, pur ammettendo - concessione ridicola alle esigenze della critica documentaria - che magari fosse stato composto da diversi segretari di Mosè, e poi da lui stesso approvato e fatto suo.

Questa mostruosa sentenza, eloquente prova della grettezza e dabbenaggine dei cardinali e del papa, che l’hanno definita e sancita, recava, é bene notarlo, la firma dell’abate Vigouroux (3).

Anche stampa quotidiana parlò del decreto, che fece scalpore e disorientò profondamente gli studiosi cattolici. Tacque il Lagrange, e dovette sopportare che, per colmo d’ironia, la sua Revue Biblique annunziasse ufficialmente il decreto.

Non tacque, invece, il barone Von Hügel, che in proposito pubblicò una nobile lettera in risposta a un'altra direttagli dal critico protestante americano Carlo Briggs, che, ai bei tempi del modernismo, il Genocchi aveva portato ai piedi di Pio X, e pareva si dovesse convertire al cattolicesimo. Ma il Vaticano finse di ignorare l’opuscolo, e le amare pagine dei due scrittori caddero nel vuoto. Così svaniva il sogno di rinnovare in seno alla chiesa cattolica la scienza della Bibbia, salvi i principi della teologia. Per tutelare i diritti della coscienza e della verità, anche malgrado e contro la teologia, non rimaneva ormai che la libera critica. Era la via già scelta dal Loisy, ed é pure la nostra.

 

 

 

1. IV Ezra 14. - E. Kautzsch, Die Apokryphen und Pseudeptgraphen des A. T. (Leipzig, 1900) II, p. 398-400.

2. Per questo i critici hanno poi, chiamato Esateuco il complesso dei sei libri intorno ai quali si aggira la questione mosaica.

3. Negli anni seguenti altri quattro decreti hanno preteso di sancire la storicità del Quarto Vangelo, l’unità d’autore delle profezie di Isaia, il valore storico dei primi capitoli del Genesi, e l’origine davidica della più gran parte dei Salmi: quattro negazioni della verità conosciuta, quattro sfrontati oltraggi alle conclusioni più certe e intangibili della critica biblica moderna.

 

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