Traduci il Documento

 


Il concetto di analogia fra il corpo e la mente appare solo nel Rinascimento e, se non vado errato, assume contorni definiti, per quanto parziali, con la Metoposcopia di Cardano, sia pur conservando tutte le caratteristiche peculiari della matrice astrologica che lo aveva generato.
Nei Frammenti di fisiognomia di Lavater, tale concetto, si presenta già come una ipotesi scientifica che risente degli influssi del razionalismo, ma che coinvolge parimenti una particolare interpretazione del discorso sul Microcosmo. Goethe, sia pur senza disturbarsi di citare la antica scienza degli ermetici e degli alchimisti, cerca di ancorarvi il suo naturismo speculando sulle possibilità che offrirebbe l'azione nel mutare i tratti fisionomici. Con l'azione si può mutare il proprio animo, ma anche il proprio volto che ne è l'espressione. Il fine soteriologico è evidente e dipende dalla volontà, finché Oscar Wilde dimostrerà che, con la volontà, si può riuscire, al massimo, a nascondere in soffitta le deformazioni del proprio volto.
Mi sembra che la carenza più evidente della teoria astrologica di Cardano, ed altresì di quella di Lavater, stia nell'aver voluto ancorare lo specchio della individualità, sia pur essa prodotta dagli influssi delle stelle o da altro, ai soli tratti del volto che, nel primo poi, si riducono alle rughe della fronte. L'analogia fra il corpo e quello che chiamerò genericamente animo, per quanto non dimostrabile, quali che siano le cause determinanti, può ancor oggi essere ritenuta una valida ipotesi se non limitata ad una zona del corpo ma a tutto il suo insieme ivi compresi i centri motori e tenendo conto di effetti compensativi ancorché non rilevanti nella loro funzione primaria apparente. Se ne dedurrà così facilmente che la differenza fra individuo ed individuo è tanto notevole da superare le critiche che son state fatte a coloro che, non disponendo di mezzi sufficienti ad una indagine più estesa, hanno presupposto una differenza somatica ai tratti fisionomici.
Ora, chiunque sa, che non esistono e che non possono praticamente esistere due individui con caratteristiche somatiche identiche - intendendo come soma, ovviamente, anche, si fa per dire, il numero delle cellule di un determinato tipo che costituiscono l'unghia di un piede od il quantitativo di piastrine che si trovano in un millimetro cubo di sangue - e che, inoltre, queste variano per ogni individuo in ogni istante. Si sa anche che le memorie che determinano i codici di comportamento, sia pur in un assieme di norme che potrebbero anche essere definite generali, esaltano a tal punto le peculiarità dei singoli da legarne la trascendenza.
Ora, dacché l'uomo ha iniziato ad incidere il frutto delle proprie meditazioni ha certo prodotto una tale quantità e qualità di concetti da far sembrare assurda la possibilità che possa esistere qualcuno in condizione di dire alcunché di nuovo. Questa conclusione, però, che potrebbe anche sembrare lapalissiana, valida cioè senza bisogno di venir dimostrata, parte dall'erroneo principio che gli uomini siano, più o meno, tutti eguali, cioè che tutti dispongano - sempre più o meno - delle stesse possibilità ed occasioni.
Dimostrato l'errore sul piano fisico, non vi è alcuna ragione per ipotizzare che il fatto si verifichi sul piano intellettuale o su altri piani; nemmeno relativamente ai vari stati di presunta evoluzione storica della specie.
A sconforto di tale ipotesi si potrebbe, d'altronde, notare che concetti di relazione ritenuti peculiari di stadi più - diremo, secondo la accezione corrente - evoluti erano altrettanto validi in epoche precedenti, sia pur senza dimenticare che una notazione del genere deve necessariamente utilizzare dei parametri la cui scelta è alla mercé, se non in funzione diretta, di ciò che si vuoi far notare.
Conviene perciò, a tal riguardo ed a costo di cadere nel semplicismo, accontentarci di considerare quello che vien ritenuto lo stadio attuale di evoluzione e le manifestazioni incise di più facile interpretazione. Se riusciremo ad estrapolarle dal conformismo che, in questo caso, altro in definitiva non è che un desiderio di non sentirsi troppo distanti dagli altri e di rendersi agli altri più comprensivi ed accetti, noteremo che le idee degli uomini, in ogni tempo, saranno sempre individuali anche se tenderanno ad uniformarsi proprio per sopperire utilitaristicamente a quello stato di necessità che ha create le comunioni e le associazioni.
Fino a qual punto la difformità delle idee sia dipendente o funzione diretta delle difformità fisiche degli individui è cosa ammessa solo da fantastiche speculazioni, atteso che, se di molti istrumenti disponiamo per constatare le difformità, poche o quasi nulle sono le nostre possibilità di individuare le uniformità e, tanto meno, per stabilire dirette analogie.
Sappiamo che, sul piano fisico, un individuo non può ripetersi altro che in funzione di determinate aggregazioni e con un bassissimo coefficiente di probabilità ed in uno spazio innumerevole di anni, ma, per provare che aggregazioni parziali possono avere effetti analogici simili su altri piani, non ci sono che le ipotesi di quella vasta scienza che vien chiamata tradizionale e che, se anche fu od è oggetto di individuali sperimentazioni, ha pur sempre una base fideistica sia pur secondo la accezione più lata del termine.
La molla che, allo stato subcosciente, induce l'uomo alla convinzione, nonostante tutto ciò che è stato detto, di aver ancora qualcosa da dire può anche essere un certo qual desiderio di testimoniare in qualche modo la propria differente individualità.
Fino a qual punto consideri ciò una possibilità di realizzarsi od obbedisca ad un desiderio di potenza o ad una vocazione messianica - il che, in definitiva, è la stessa cosa - è problematico stabilire.
Comunque è necessario, specie per quanto attiene il nostro discorso, che egli lo faccia ed è indifferente - o quasi - che egli ci presenti il frutto delle sue autonome o condizionate - spesso più condizionate che autonome - elucubrazioni fra tante, coscienti e dichiarate, o solo coscienti, o semplicemente incoscienti deduzioni di altri.
Ora, poiché avviene che ogni cosa che vien detta o decifrata, perché da altri incisa, provochi - a cagione della predisposizione dialettica propria dell'attuale ipotetico stadio evolutivo - azione o reazione, è facile desumere che, a prescindere dalla vocazione messianica o semplicemente pedagogica del dicente o dell'incisore, gli altri ne restino comunque influenzati. In questo caso la parola o l'incisione opera come un simbolo in cui il decifratore o l'uditore è necessario si riconoscano, atteso che nessuno si ritiene costituzionalmente disposto a ricevere le asserzioni di un altro apoditticamente, nemmeno quando si limitano alla sfera del tattile, con la sola eccezione del caso in cui quegli che si ritiene il destinatario del messaggio non tenda ad identificarsi, più che col messaggio, col suo autore.
Ma ciò riguarda il dominio delle religioni.
Più precisamente: l'uomo è disposto ad accettare tutto ciò che riguarda la sfera del tattile, che è quindi afferente il regno della ragione, come un contributo esterno alla sua formazione mentre, per quanto esula da tale sfera, anche se apparentemente mutuato da altri, dovrà essere parto genuino delle sue meditazioni, conseguenza del suo modo operandi et cogitandi e quindi funzione nel suo stato fisico.
Sarà facile notare che, anche quando sembra che due idee coincidano, dopo averle convenientemente esposte, esse divergeranno più o meno notevolmente fra loro e che la presunta coincidenza si realizza, spesso, solo in virtù della povertà di termini del linguaggio o del modo di esprimersi.
Ne consegue che le cosiddette unanimità di consensi ed identità di vedute non possono altro che riferirsi a limitati problemi od a determinati particolari degli stessi, quando non è viziata da riserve mentali o da atteggiamenti ipocriti, sia pur intendendo ipocrita anche il compromesso a fini benefici. Se ciò avviene nel mondo di relazione del tattile, del catalogabile, del controllabile e censurabile, non serve molta fantasia per formulare ipotesi ragionevoli di ciò che avviene intorno ai processi mentali che fanno capo ai sentimenti se non alla speculazione filosofica, molto spesso viziata dalla più deteriore esasperata dialettica.
Dopo una sì lunga, ma non certo esauriente, premessa, pur senza indugiare in ulteriori esemplificazioni, conviene notare come il termine « iniziazione », su cui per una strana solidale connivenza tutti gli addetti ai lavori sembrano sempre d'accordo, comporti, non solo opinioni completamente differenti, ma addirittura opposti intendimenti.
Un certo qual accordo generico esiste, invero, sugli scopi e sui fini che l'operazione si prefigge, specie se questi sono, più o meno, abbondantemente compenetrati di luce nel senso che non hanno contorni né definiti né definibili e per la loro natura e per la natura dell'osservatore, iniziato o meno che sia.
L'iniziazione comporta, quasi per definizione, il raggiungimento di uno stato. Quale esso sia, o si presume possa essere, è cosa che non può venir rivelata nemmeno dai mezzi intesi a raggiungerlo; e ciò perché il processo analogico con cui procede offre tante e tali possibilità di interpretazione quali il simbolismo e l'allegoria, che ne sono l'espressione più semplice, lasciano appena supporre.
Ma anche per l'allegoria, che è la forma più elementare di espressione di quello che, secondo l'accezione corrente, vien definito esoterismo, non è difficile notare come essa si presti spesso - e perché non sempre? - ad interpretazioni individuali. Con l'uso dei simboli, cioè di segni il cui significato non è altrimenti definibile che col segno stesso o, secondo altri, con differenti segni di eguale valore che nessuno, ovviamente, è in condizione di quantificare per conto di terzi, aumenta maggiormente, tende anzi all'infinito, la possibilità, se non la necessità, di interpretazione individuale.
Se, come abbiamo accennato, ammettiamo il processo analogico, nel senso di trasferimento su altri piani - che ci guardiamo bene, riconoscendo di non averne la capacità, dal definire quali siano e che cosa esattamente siano - del risultato raggiunto, più si rafforza la convinzione della incomunicabilità di tale risultato.
È pertanto molto difficile considerare, da un punto di vista storico, le vicende che attengono l'iniziazione, tranne che operando per esclusione, nel senso di individuare, per escluderli, tutti quei momenti, operazioni e cerimonie di singoli o categorie in cui il termine ha significato che non si discosta dal valore etimologico ma che non comporta l'ipotesi del raggiungimento di uno stato, per analogia, su altri piani.
Per quanto alieno dalle esemplificazioni, con tutti i difetti che comportano perché spesso ad ogni esempio se ne può opporre uno tendente a dimostrare il contrario, dirò che tutto ciò che attiene l'iniziazione alchemica deve essere, a mio avviso, interpretato - sempre con tutte le riserve che comporta il termine - in senso analogico o, almeno, simbolico o, se si vuol ancora più exotericamente, allegorico, atteso che è fuor di dubbio che gli alchimisti non erano in condizione di trasmutare i metalli in quanto, non solo non ne conoscevano le tecniche cosa su cui si potrebbe anche discutere - ma non ne possedevano le attrezzature, cosa su cui non vi possono essere dubbi. Per contro, l'iniziazione muratoria medioevale è provato che comportava l'acquisizione di tecniche di mestiere e che solo con Bernardo di Chiaravalle e Tommaso d'Aquino - e cito solo questi nomi su cui, più o meno, tutti sembrano d'accordo - acquista quel valore che è dubbio possa aver ereditato dalle corporazioni storiche.
L'innesto dell'Ars Regia, che si era servita delle tecniche dell'Ars notoria sino a divenirne un tutto unico, nell'arte muraria, che da questa assumerà in prosieguo di tempo persino l'appellativo, avviene in un certo momento storico, forse ad opera dei citati, e lascerà indelebili tracce con le cattedrali gotiche, esempi superbi di scrittura analogica.
La preferenza accordata, in certo qual modo, fra le tante altre possibili testimonianze dell'arte muraria, lo si deve certo alla tradizione topomnemonica ma, molto probabilmente anche al fatto, non certo estraneo alla tradizione stessa, che era quest'arte considerata più nobile essendo le sue opere destinate a più agevolmente durare nel tempo ed a più facilmente nascondere ciò che si voleva mostrare e mostrare ciò che si voleva nascondere, il tutto in un linguaggio che si riteneva il più universale possibile.
Non è comunque questo l'aspetto che più si conviene al nostro assunto tranne che per supporre che molte delle antiche iniziazioni, di cui oggi ci sforziamo di capire il valore, altro probabilmente non erano che comunicazioni di segreti attinenti il modo di detenere o conquistare il potere o produrre e farsi convenientemente rimunerare determinati beni.
Non è escluso che anche molte di quelle che noi chiamiamo iniziazioni sacerdotali non fossero altro che adozioni nella casta o, più semplicemente successioni nella medesima.
Per quanto dobbiamo ammettere che, anche in questi casi, l'iniziazione comportasse il raggiungimento di uno stato, non è da escludersi che questo corrispondesse a quella che oggi noi chiameremo posizione sociale.
Nella iniziazione, vi è presunzione che tale stato non sia raggiungibile che con superamento di prove, a volte confuse con i mezzi che si intendono impiegare per superarle, e che possono comportare anche la simbolica distruzione della struttura portante dell'individuo.
Per alcuni, la distruzione non sarebbe solo simbolica, con la conseguenza che l'iniziato entrerebbe nella schiera degli invisibili di cui nulla possiamo conoscere tranne che per rivelazione, con tutti i corollari interpretativi del caso.
Il ritorno alla sfera del tattile,dopo un simile viaggio, sarebbe talmente procrastinata nel tempo e condizionata al verificarsi di una tal lunga serie di eventi da farci rinunciare ad ogni interesse, a meno che non si voglia prendere in considerazione la possibilità di trasmigrare in un altro corpo od altre analoghe possibilità, comunque alienanti, su cui non intendo esprimere pareri per non contrastare il diritto di altri di divertirsi come meglio crede.
Comunque, anche per questi ultimi, l'iniziazione comporta sempre il raggiungimento di uno stato che non so se, in questo caso, potremo definire edenico anche se è fuor di dubbio che vi è la pretesa che sia attinente l'inserimento cosciente - quindi senza rinuncia alla individualità - nella armonia del Cosmo.
La conquista avverrebbe attraverso una serie di scelte secondo alcuni casuali, secondo altri volontarie ed in obbedienza alle regole dell'evoluzione - di strutture portanti realizzate nel tempo.
Ovvio che uno dei fini utilitaristici - almeno il più facilmente comprensibile - dell'iniziazione, sia esso inteso nel senso di conquista dell'immortalità o di trapasso senza trauma, non è chiaro in questo caso, salvo che il tutto non venga trasferito su un'altra serie di piani con relative altre serie di corpi di consistenza più o meno tattile.
Anche per queste ragioni non mi sembra che quella che vien definita trasmigrazione, secondo l'accezione corrente del termine, possa venir considerata una via iniziatica od una fase dell'iniziazione.
Sia chiaro però che, parlando di conquista dello stato edenico, non intendo escludere in assoluto l'interpretazione che vuole considerare l'iniziazione sinonimo di cominciamento, nel senso di intrapresa di nuovo cammino, interpretazione che gode di autorevoli ed illustri cultori, anche fra coloro che rifiutano il concetto di evoluzionismo.
In tal caso però, si corre l'alea di confondere l'iniziazione con quelle che, solitamente, vengono chiamate le vie dell'iniziazione, per quanto anche questa espressione, che forse non è la più consona ad argomenti come quello in oggetto, si possa prestare a produrre ulteriori malintesi.
Sembra comunque più accettabile un significato che intenda esprimere un riporto in ab inizio, cioè in illo tempore, tanto che con esso si intenda riferirsi ad un presunto stato edenico se non addirittura allo stato precedente che configuriamo con quello del dominio della parola.
Notiamo comunque che, secondo tutte le pratiche cerimoniali o le precettazioni in merito, l'uomo deve, per prima cosa, liberarsi dei metalli, cioè di tutte quelle sovrastrutture che ha poste - illusoriamente - a protezione della sua struttura portante.
Secondo gli stoici, queste sarebbero principalmente: la volontà - oggi noi magari diremmo volontarismo -, le passioni ed il sentimento, le conturbazioni dell'animo che sono conseguenti alle prime ma che potrebbero avere anche altre cause ed essere autonome da queste.
Per conseguenza, l'abulia, l'apatia, l'atarassia rappresentano le tre virtù senza la pratica delle quali tutto ciò che si crede di aver raggiunto è illusorio, fallace ed effimero.
E' facile notare come, praticando queste virtù in assoluto, l'uomo non manchi di ridursi alle mercé delle fiere, a meno che non acquisti contestualmente dei poteri idonei a proteggersi.
Questo è, più o meno, agli effetti pratici e depurato di tutte le esotiche nomenclature, lo stato che si raggiunge con le iniziazioni di tipo orientale su cui vi è molto da dire e moltissimo da ridire.
Anche se vi è presunzione che l'iniziato acquisti poteri idonei a proteggersi, l'acquisizione di tali poteri sarebbe contestuale alla rinuncia ad usarli con la conseguenza di finire materialmente in preda alle fiere. Secondo alcuni sarebbe proprio la fine violenta ad opera di forze maligne, o comunque caotiche, il sigillo inconfondibile dell'iniziato che, pur non cercando la morte, non la teme e la subisce serenamente senza fare alcun tentativo per evitarla.
Ciò contrasta, almeno in parte, con la concezione occidentale che vuole l'iniziato capace di trasmettere i poteri acquisiti e di utilizzarli, almeno entro determinati limiti, per quei fini che vengon chiamati benefici. Nei due campi non mancano eccezioni e giustificazioni più o meno speciose. La trasmissione dei poteri implica però - bisogna ammetterlo - un inquadramento di tutto il discorso nel contesto storico o, comunque, in presenza della storia, ed ancora l'iniziato, se non tutto l'istituto dell'iniziazione, a vicende di carattere etico, morale, se non chiaramente utilitaristico e verificabili solo nella sfera del tattile, anche se non proprio tattili in senso stretto come i sentimenti, i desideri, le angosce.


Un tentativo singolare, che oggi magari considereremmo contestatario, è quello di chi sostiene, con argomenti e considerazioni più o meno sofisticati - via della mano sinistra, etc. - la possibilità di raggiungere lo stato edenico, non acquistando quelle virtù fondamentali a cui abbiamo accennato, ma praticando fino all'esasperazione i loro contrapposti, facendo cioè il massimo uso della struttura portante e dei cosiddetti istinti, esaltati dalla volontà, dai sentimenti, dalle conturbazioni dell'animo.
Questo stato, ottenuto per saturazione, viene a volte chiamato controiniziazione - per quanto il termine comporti tutto un discorso più vasto - e vien definito in vari modi che, più che specificarne le caratteristiche particolari - cosa di per se stessa impossibile per le ragioni antecedentemente e genericamente addotte indugiano nel descrivere le vie intese a raggiungerlo. Nella fattispecie della iniziazione ottenuta per rivelazione, folgorazione od altro equipollente nel caso: per intervento di esseri alienati, anche quando non evocati coscientemente - la controiniziazione comporterebbe l'interesse di forze maligne o comunque di segno contrario, genericamente attribuite al Maligno o ad entità inferiori.
Mi sembra poter arguire però che il pericolo della controiniziazione sia - sempre che se ne avvalori l'ipotesi - sempre latente in ogni processo di autoiniziazione, che non offre all'individuo altra possibilità di controllo che la sua ragione, incapace, per definizione, di penetrare nella sfera di ciò che non può essere razionale.
Vien da chiederci fino a qual punto, coloro che predicano di essere l'autoiniziazione l'unica possibilità che oggi si offre all'individuo occidentale, siano essi immuni dalle passioni e da quegli altri metalli che potrebbero anche essere rappresentati dalla convinzione, che noi chiamiamo onesta, di ritenersi latori di un messaggio soteriologico per se e per gli altri.
A voler fare dell'ironia, basterebbe elencare i danni, direttamente o indirettamente provocati agli uomini - e non solo sul piano utilitaristico - dai cosiddetti o sedicenti Grandi Iniziati.

Facile sarebbe concludere che l'iniziato si distingue proprio nel non farsi distinguere e ciò, in modo particolare, quando benefica, cioè quando esercita quella che sarebbe la sua missione nel mondo terreno.
La scienza che vi è presunzione egli possegga non è infatti, per definizione, partecipabile ad altri tranne che per simpatia e cioè nel senso che esige una vibrazione all'unisono, a prescindere dall'ambiente materiale in cui vive o dall'epoca in cui il fatto avviene.
Ciò anche, escluderebbe ogni possibilità - comunque ogni utilità - evolutiva degli individui, intesa secondo l'accezione corrente del termine.
L'opposizione di altri che vorrebbero l'iniziato, non solo capace, ma esibizionista di manifestazioni sul piano del tattile, cioè di magia alta o bassa, non mi sembra producente a meno di non voler considerare tali manifestazioni in senso, diciamo anche se con termine non proprio esatto, miracolistico. Ma ciò concorrerà ad aumentare ancor più considerevolmente la confusione fra maghi, iniziati, teurghi - a cui dovremmo necessariamente aggiungere anche mistificatori ed imbroglioni - che credo sia, anche se a volte lo specchio di una realtà, la causa di molte distorte interpretazioni.
Il mago opera nella sfera del tattile, anche quando questo tattile non è percettibile e può, pertanto, beneficare gli altri solo sul piano utilitaristico. Se un iniziato è anche mago - e non è escluso che, in ipotesi, possa anche esserlo - non significa che tutti i maghi siano degli iniziati, a meno di non voler ritornare al significato di iniziazione che abbiamo già escluso, perché non attinente il nostro discorso, cioè di introduzione ai segreti di un'arte o di una professione.
Preciso che, in questo caso - ed è evidente - ho attribuito alla parola magia il significato limitativo di scienza, o meglio di tecnica, di operare sulla materia utilizzando metodi od attrezzi sconosciuti o non ancora conosciuti. Il mago iniziato in tutte le arti, conoscitore e padrone di tutti i segreti della natura è, ovviamente un'ipotesi o qualcosa di simile.
Si dà comunque per inteso che, per raggiungere lo stato che l'iniziazione comporta, non è sufficiente liberarsi dei metalli, ma bisogna imparare a conoscere i segreti della natura, cercare il possesso della chiave di sigillo della volta celeste, conoscere quella parola che non si potrà mai pronunciare perché non si addice alle labbra degli uomini. Anche se considerato in senso non strettamente letterale, il processo comporta comunque acquisizione di poteri, a prescindere dall'uso che se ne può fare nell'esercitarli.
E vi è almeno ipotetica contraddizione fra la pratica delle virtù, quali abbiamo elencate come strumento di liberazione, ed il desiderio di conoscenza, o di potenza che a dir si voglia, atteso che, se non sinonimi, sono per lo meno complementari o, comunque, strettamente legati.
Qualunque cultore di psicoanalisi potrà, magari, spiegare che la contraddizione è solo apparente, equivalendo il desiderio di potenza, alimentato dall'Eros, al desiderio di morte, cioè al raggiungimento di quello stato, inteso secondo la versione che gli orientali, più o meno, danno del Nirvana.
Ne conseguirebbe comunque che l'acquisizione dei poteri, a prescindere anche dai mezzi impiegati per ottenerli e quali essi siano, dovrebbe precedere, in ordine di tempo od in altro ordine, il raggiungimento di quello che abbiamo definito uno stato; sarebbe cioè, altrettanto che la pratica delle virtù, una delle vie dell'iniziazione; o, forse, più esattamente, trattandosi di una via unica, che l'acquisizione dei poteri deve essere contestuale alla pratica delle virtù.
La via unica, sia detto per inciso, vale per unica per ogni singolo in quanto ogni via non può venir percorsa che da un solo individuo.
Ovvio che il concetto di pansofia si deve, in questo caso, intendere in senso analogico, nel significato cioè che il sapere tutto viene trasmesso dall'agente all'iniziando nel corso del cerimoniale, essendo inimmaginabile che l'adepto possa acquisire, nel corso di una esistenza, tutte quelle che son considerate scienze umane e che non sarebbero altro che lo spettro visibile di una realtà certo più complicata ma di cui lo spettro è parte integrale.
Con la pratica cerimoniale l'iniziato acquisterebbe poteri che gli possono anche essere sconosciuti come la scienza di cui entra in possesso e di cui diviene depositario. Si tratterebbe della trasmissione di quelle che Guenon chiama « vestigia incomprese ».
Anche in ciò si potrebbe trovare la prova della validità dell'ipotesi che vuole l'iniziazione non conseguibile altrimenti che nella ininterrotta catena di una regolarità iniziatica tradizionale.
Ma, a prescindere dal cerimoniale - per quanto non se ne veda la possibilità di una qualsiasi surroga, allo stato attuale delle cose - penso che di vie ad ognuno se ne offra una propria e che l'acquisizione dei poteri che comporta, come la pratica delle virtù, sia, per ognuno, cosa, non solo difforme, ma nemmeno confrontabile con quella riservata ad un altro.

 


 

Il documento che presentiamo ai nostri graditi Ospiti è opera d'ingegno del carissimo Fratello Alfiero Campagnol. Il contenuto non esplicita necessariamente il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto.

 

© ALFIERO A. I. CAMPAGNOL

 

La libera circolazione del documento è subordinata alla citazione della fonte (completa di Link attivo) e dell'autore.