© Giovanni L.
 


 

"Talvolta brilla agli orizzonti dello spirito un astro nuovo

che colpisce gli occhi degli irrequieti,

premonizione di tempesta,

annuncio di svolta epocale…"

 

Inizia così l’Introduzione a "La battaglia come esperienza interiore", piccolo capolavoro di Ernst Junger, che ho cercato e fortunosamente trovato in una delle più belle librerie di Roma, la libreria Aseq.

Fu pubblicato una prima volta nel 1922 e poi, condito da una splendida prefazione, ripubblicato nel 1925 per suggellare l’ottimo successo di pubblico: nella citata prefazione Junger spiega come il libro voglia aggiungere il suo vissuto personale agli avvenimenti già raccontati nell’altra e più celebre opera "Nella tempesta d’acciaio", cronaca cruda e vertiginosa della Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra.

Di lì a poco, nella stessa pagine di apertura, la "premonizione di tempesta" prende forma: "Come mai il nostro tempo abbonda di energie tanto distruttive quanto creatrici, covando in grembo una mostruosa promessa?" si chiede nel 1922 Junger, mentre l’establishment mondiale, che sarà inesorabilmente travolto dall’ascesa del nazionalsocialismo, si affanna a cercare una risposta alla guerra con la Società delle Nazioni e la Germania, ancor più miope, crede di poter suggellare la sua guarigione nella sterile utopia delle Repubblica di Weimer?

Spesso nelle culture monoteistiche si compie l’errore di relegare la profezia all’ambito divino, appannaggio di un novero ristretto di persone benvolute dal dio di turno.

Con ciò dando un’esclusiva ad un dio che non ne ha affatto bisogno e togliendo all’uomo la possibilità di vivere in orizzonti più ampi di quelli prescritti dalla dottrina.

La profezia, come si evince chiaramente dagli scritti di Junger, è invece la capacità dell’uomo, di ogni uomo, di leggere gli eventi della storia e di sentire gli odori primordiali della vita, a patto che i nostri sensi non siano stati atrofizzati dalla modernità, dalle leggi e dai buoni costumi.

Scrive Junger – e all’uomo di un secolo dopo queste parole non possono non suonare incredibilmente familiari – … (metto la prosa in versi per darle maggior ritmo e, permettetemi, sacralità):

 

"Abbiamo convissuto nel grembo di una cultura strampalata,

più stretti dei nostri antenati,

disintegrati tra voglie e affari,

a rotta di collo tra piazze luccicanti e tunnel della metropolitana,

attirati nei caffè dal bagliore degli specchi,

viali, fasci di luci,

bar pieni di liquori scintillanti,

tavoli di conferenze,

tutto all’ultimo grido,

una novità all’ora,

ogni giorno un problema risolto,

una nuova sensazione a settimana,

una grande rintronante insoddisfazione di fondo.

Così tiravamo avanti orgogliosi,

figli di un’epoca ebbra di materia,

il progresso ci appariva come il massimo coronamento,

la macchina era la chiave per avvicinarsi a dio,

il telescopio e il microscopio erano organi di percezione,

ma sotto quella scodella sempre pulita e luccicante,

sotto tutte le vesti con le quali ci agghindavamo come prestigiatori,

restavamo nudi e crudi come gli uomini della foresta e della steppa.

Tutto questo risultò chiaro quando la guerra lacerò la compagine europea,

quando ci raccogliemmo, nel nome di una decisione arcana,

sotto bandiere e simboli che certuni, increduli, hanno a lungo deriso.

A quel punto il vero uomo recuperò, in un’orgia febbricitante,

tutto il tempo perso.

A quel punto i suoi istinti,

troppo a lungo frenati dalla società e dalle leggi,

divennero l’unica cosa sacra, la ragione ultima.

E tutto ciò che nel corso dei secoli

aveva modellato il cervello in forme sempre più raffinate,

servì solo ad aumentare la furia del pugno – all’infinito."

 

Quanto suonano attuali queste parole, in una società contemporanea che scambia l’affetto e la generosità con l’amore!

A-more è invece negazione della Morte, ovvero Vita: e quindi Sacrificio, Necessità, Energia, Sforzo, Coraggio, Sangue… assolutamente e ontologicamente al di là del Bene e del Male.

Mi lascia sgomento questa incapacità contemporanea di leggere la Vita nella sua integralità, polarizzandone i contenuti in una negazione ostinata del contrasto e dell’opposizione, in una ammucchiata senza senso che ci rende tutti convinti di vedere il Bene laddove il Male inesorabilmente prepara il suo inevitabile "rinculo".

E’ l’idea del tempo lineare ad averci allontanato dai ritmi della Natura.

Ed è la visione salvifica della storia ad averci spinto a quella vana fuga dagli Dei di cui parla James Hillman, portando nel dominio pensante del Logos ciò che dovrebbe rimanere legato al dominio senziente di Ananke, la Necessità.

"L’uomo è il recipiente in continua evoluzione di tutto ciò che è stato fatto, pensato e sentito, è anche l’erede di tutti i desideri che hanno spinto altri prima di lui, animati da un’energia inarrestabile, verso obiettivi lontani e avvolti nella nebbia."

 

Ernst Junger, La battaglia come esperienza interiore, Piano B Edizioni, 2014