Il Lavoro e l’Operatività
Una definizione del Lavoro Massonico potrebbe
essere: quell’attività che svolge il Libero Muratore per
aprirsi alla conoscenza e alla consapevolezza di stampo
iniziatico, mediante un impegno costante, personale e di
gruppo.
A tal proposito, la metafora del Muratore è
estremamente significativa: c’è un piano di lavoro, uno
specifico obiettivo (come la ben nota costruzione della
Cattedrale), c’è uno sforzo concreto da compiere (connesso
al rischio di perdita), c’è un risultato tangibile da
conseguire (il manufatto personale, contributo al piano di
lavoro del Gruppo). Il tutto in ambiti rigorosamente
spirituali…
E difatti, in ambito tradizionale il concetto di Lavoro si presenta strettamente legato al
mondo del Sacro. I termini “Opera” e “Operativo” sono, da un
lato, direttamente connessi all’efficacia del Lavoro, che
per l’appunto deve produrre risultati, e, dall’altro,
all’”Arte” (il lavoro dell’artista e anche dell’artigiano),
come produzione della parte più recondita, inconscia e
spirituale di ciascuno.
Pertanto, quesiti chiave potrebbero essere:
-
Quale lo
specifico progetto spirituale che si propone il singolo
Libero Muratore?
-
Quali i
risultati effettivi che vuole “portare a casa”?
-
Quale il
legame col Piano di Lavoro della sua R:.L:.? e,
successivamente, della Comunione d’appartenenza?
In ogni caso, va da se che il Libero Muratore
è, per definizione, costretto a costruire, operando
per produrre risultati concreti; in una parola: Operatività,
esplicata, all’interno della Logga, principalmente nei
momenti Rituali, che racchiudono in sé tutti i connotati
specifici del Lavoro e dell’attività muratoria.
Il Rito e la sua funzione
Il termine Rituale deriva dal sanscrito
-Rta (Ordine Prescritto) e rappresenta
“un’azione o serie di azioni, costituite da
una sequenza di elementi comportamentali con uno specifico
significato simbolico per chi lo pone in atto”
.
Pertanto, l’opera rituale è,
etimologicamente, “ciò che è compiuto in conformità
dell’Ordine”.
Secondo il Guenon
la conformità a quest’Ordine va innanzitutto
rapportata alla natura propria di ciascun individuo, per cui
si può affermare che “il lavoro non ha valore reale se
non quando è conforme alla natura stessa dell’essere che lo
compie, se cioè non risulta in un certo qual modo
spontaneo e necessario a tale natura, sì da essere il
mezzo da questa impiegato per realizzarsi il più
perfettamente possibile”.
Dunque: ogni lavoro
rituale, perché possa produrre risultati concreti, implica -
come condizione preliminare - l’esplicarsi naturale della
propria personalità, senza finzioni e senza compromessi.
Continua il Guenon: “dal momento che
l’artigiano umano imita nel suo dominio particolare
l’operazione dell’Artigiano divino, egli partecipa all’opera
stessa di questi in una misura corrispondente, e in un
modo tanto più effettivo quanto più ha coscienza di questa
cooperazione; e più egli realizza attraverso il suo
lavoro le virtualità della propria natura, più accresce in
pari tempo la sua somiglianza con l’Artigiano divino, e più
le sue opere si integrano perfettamente nella armonia del
Cosmo”.
Pertanto: quando una
volta che il lavoro rituale è realmente conforme alla
propria profonda natura, successivamente, il concreto
perfezionamento del Massone, viene realizzato accedendo a
livelli superiori di consapevolezza, tanto migliori e più
produttivi quanto maggiore è lo studio e la pratica che vi
sottende.
Più in particolare, possiamo dire che quelle
rituali siano azioni:
-
alle
quali viene attribuito valore simbolico
-
aderenti
a moduli tradizionali
-
realizzate sinceramente e consapevolmente
-
oggetto
di studio e pratica costanti
La raccomandazione è per il Massone, che
voglia produrre consapevolmente effetti concreti, di avere
in considerazione l’essenza profonda del gesto simbolico e
mai intenderlo come una semplice somma di formule,
espressioni solenni o atti meccanici. Il simbolo per il
Massone dovrebbe esprimere un linguaggio universale, non un
semplice segno, quanto piuttosto il significato recondito
inserito (o trasportato) dal segno stesso. Parliamo
di strutture pure, linee strutturali aprioristiche
(archetipi), che dal tratto riconducono all’ombra dell’Idea
sovrastante.
In questo contesto, il Rito non è altro
che Simbolo in movimento: rappresentazione di una
Verità archetipale che stimola ai partecipanti la
possibilità di una forma di consapevolezza posta al di là
del filtro mentale e quindi su un ordine superiore al
semplice sensibile: sia esso metafisico, iniziatico o
religioso. Possiamo così affermare che Rito sia oggettività
pura: prescinde da inquinamenti contingenti ed esprime
Verità comuni a tutti gli uomini (sempre che si sappia
penetrarne il significato recondito…).
Ogni rito nasce dalla comprensione di un
aspetto del disegno insito nella manifestazione, e consiste
nella sua riproposizione consapevole:
l’uomo che accende ritualmente una fiamma
ripete l’atto della creazione; non soltanto lo evoca, come
una citazione, ma realmente ripete – a livello microcosmico
– la stessa opera creatrice del Grande Architetto
dell’Universo.
In sintesi le caratteristiche di fondo della
ritualità possono così sintetizzarsi:
-
l’isolamento profondo dalla vita
quotidiana nello specifico
momento rituale, che rappresenta il punto di contatto
con l’Archetipo
-
la capacità evocativa del simbolo,
che stimola comprensione al di là del mezzo mentale
-
la ripetitività sistematica dei
momenti rituali, che si
incunea come elemento di progressiva efficacia del
simbolo
-
il silenzio sullo svolgimento dei
lavori, a garanzia di
efficacia, per impedirne la volgarizzazione e mantenere
l’operatore aderente agli effettivi significati e agli
obiettivi dei Lavori
Principali effetti saranno:
-
la conoscenza profonda delle Verità
Archetipali, non basata sul
mezzo mentale e che sprigiona la Sostanza e
l’universalità del simbolo
-
la spersonalizzazione (scioglimento)
dell’Io individuale,
probabilmente perché in definitiva si è sempre meno
aderenti alle forme rispetto alla Sostanza
-
il senso di unione con tutti i
Confratelli, che - attraverso
i rituali - sentono profondamente di essere membri di
una comunione ed avvertono consapevolmente il vincolo
che li unisce.
Ogni passo, ogni gesto, ogni parola è un
richiamo; la mente di ognuno sconfina in uno stato di
abbandono della coscienza normale, e da quelle parole, da
quelle idee, da quei gesti, anche se ripetuti e non
razionalmente compresi, si sprigiona una spinta subconscia
particolare che taluno in tempi passati era solito chiamare
“energia”.
Rito e Consapevolezza
Certo nessun rito è senza valore e - anche se
compiuto macchinalmente - l'atto ritualistico ha la sua
efficacia; il Massone ne è occultamente influenzato al punto
da non giungere mai a comportarsi in Loggia come a qualsiasi
altra riunione.
Tuttavia, dopo il primo impatto, la strada verso la
luce (consapevolmente richiesta nel rito di iniziazione)
prosegue concretamente solo se associata ad una costante
acquisizione di conoscenza e consapevolezza.
Il Rito è un progetto: nasce da un’Idea, da
una flebile Luce che permette di vedere e di comprendere
qualcosa di ciò che nelle tenebre era già presente ma
invisibile. Nasce da un’Idea e si distende in avanti verso
la sua realizzazione. A chi possiede già l’Idea, serve per
realizzarla, e a chi non la possiede serve per arrivare man
mano a comprenderla.
Quanto più si penetrano gli aspetti del
simbolo e del rituale, tanto più l’Operaio transiterà dal
ruolo di semplice Manovale a quello di Progettista, sino
all’Architetto. Al primo viene richiesto di lavorare in
osservanza al progetto, non di capirlo apriori. Al secondo
si chiede di passare alla discussione e alla comprensione
del modello di riferimento. Al terzo, di celebrare la
Bellezza dell’opera compiuta secondo il suo Piano di Lavoro
Universale.
Pertanto, uno studio approfondito e
progressivo sui simboli in gioco e sulla ritualità che li
riguarda consente man mano di sciogliere la meccanicità del
manovale, penetrando le funzionalità recondite e, in ultima
istanza, gli obiettivi finali del rito stesso. Tutto ciò, in
una parola: Consapevolezza.
Quindi, per il Massone immerso in una tornata
rituale: Consapevolezza è essere
presenti a ciò che sta accadendo ma insieme essere anche
presenti a se stessi. É renderci conto di qualcosa e anche
renderci conto che ‘ce ne stiamo rendendo conto’. In poche
parole: l’Io è presente all’esperienza, ciò che qualifica
quest’ultima come esperienza cosciente.
In questo contesto, riteniamo si possa
parlare di una consapevolezza in senso ampio, che abbraccia
ogni aspetto rituale, diretto ed indiretto:
-
consapevolezza del valore dei simboli e del modello di
riferimento (astrologico? Alchemico? Entrambi? …)
-
consapevolezza del proprio corpo (quale sensazione
fisica viene stimolata in quel dato momento? Con quali
ritorni? …)
-
consapevolezza dell’ambiente circostante (quali i
movimenti dei Fratelli operatori? Quale relazione con i
supporti musicali e olfattivi? ...)
I fattori abilitanti del Rito
Si legge nei Quaderni di Simbologia Muratoria:
-
gli strumenti dei quali si
avvale la Massoneria per l’adempimento del Lavoro Muratorio
sono costituiti esclusivamente da utensili, emblemi,
allegorie, simboli e riti (intesi
come specifici canoni rituali, n.d.r.)
In questo contesto, possiamo asserire che in
un Rito ci sono:
-
strumenti
necessari e abilitanti, la cui assenza determinerebbe il
mancato funzionamento del rito medesimo (vedi il ruolo
del MdC, ad esempio)
-
supporti,
rafforzativi e coadiuvanti degli strumenti con specifica
funzione evocativa, la cui assenza non determinerebbe
direttamente il mancato funzionamento del rito (come
potrebbero essere ad es. i supporti olfattivi o
musicali)
Va evidenziato che spesso, nei manuali di
simbologia muratoria, non si incorre in una distinzione così
netta, e i cosiddetti supporti sono assimilati agli
strumenti, là dove si citano le musiche e gli incensi come
genericamente: supporti musicali e olfattivi.
Ciò a rimarcare la tradizionale medesima importanza
data a ciascun elemento del Rito, a garanzia del suo
perfetto funzionamento (inteso come raggiungimento del
miglior livello di consapevolezza possibile per ciascun
convenuto alla tornata).
Questo per gli elementi che potremmo definire
strettamente tangibili. Ma forse il principale
fattore abilitante è il Massone medesimo, che porta in
Officina la sua sensibilità, la sua voglia di ricerca e
conoscenza e le sue recondite aspirazioni…
All’attore del rito è richiesto qualcosa di
più del semplice sapere cosa fare e farlo, che riguarda la
forma del Rito. Quindi, non solo attenersi alla forma, ma
anche una qualità, un atteggiamento, un modo di essere e un
modo di fare: questo è il primo e più importante fattore
abilitante.
É come il Massone svolge realmente la sua
funzione che contribuisce alla realizzazione e all’efficacia
del rito.
Quindi, possiamo asserire che la conoscenza
del Rito è di tipo realizzativo, e non culturale: si può
spiegare l’amore attraverso la chimica, la religione, la
psicologia, l’astrologia, … Ma per conoscerlo realmente ci
si può solo innamorare…
Conclusioni
In conclusione, possiamo sintetizzare che il
Rito:
-
è simbolo
in movimento, e a questo assimilabile per ogni aspetto
di operatività concreta
-
si avvale
di strumenti e supporti specifici della Muratoria e
conformi alle sue finalità
-
produce
effetti al di là dello strumento mentale, che ne prepara
solo il terreno, in termini di una maggiore e più
profonda ricettività dovuta allo studio e alla pratica
costanti
-
richiede
all’operatore una costante consapevolezza di sé ed una
perfetta aderenza al momento rituale specifico
-
offre al
Libero Muratore opportunità concrete di distaccarsi
dalla meccanica del manovale, a patto che questi
effettivamente lo voglia e ne sia, appunto, consapevole
-
può
aprire le porte di Verità Universali/Collettive, spesso
definite più semplicemente: il
Sacro
Secondo Mircea Eliade:
Il Sacro è un elemento della
struttura della coscienza e non un momento della storia
della coscienza. L’esperienza del sacro è indissolubilmente
legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo
che abbia un significato. Le ierofania e i simboli
costituiscono un linguaggio preriflessivo. Trattandosi di un
linguaggio specifico, sui generis, esso necessita di
un’ermeneutica propria
Secondo C.G.Jung:
una parola o un'immagine è
simbolico-rituale quando implica qualcosa che sta al di là
del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un
aspetto più ampio, inconscio, che non è mai definito con
precisione o compiutamente spiegato. Ma può solo essere
progressivamente vissuto più in profondità quanto maggiori
sono le connessioni che possono essere stimolate con lo
studio a priori. Fino al punto in cui il rito va vissuto, al
di là delle nostre capacità razionali
.
|