Con il termine "meditazione" nella nostra cultura e nella nostra lingua si intende comunemente una profonda riflessione, una considerazione attenta ed accurata di un qualcosa, una ponderazione (Zingarelli - Vocabolario della Lingua Italiana - Zanichelli - Milano 1970). Secondo il Cinti (Dizionario dei Sinonimi e dei Contrari - De Agostini - Novara - 1961) a questo vocabolo equivalgono anche altre locuzioni quali elucubrare, filosofare, macchinare, premeditare.

La voce "meditazione" può essere considerata traduzione della parola sanscrita "dhyanam". Patajiali, nei suoi "Yoga-sutra" recita:

1) La concentrazione (dharana) è il confinarsi della mente entro un'area mentale limitata (oggetto della concentrazione).

2) 11 flusso ininterrotto (della mente) verso l'oggetto (scelto per la meditazione) e la contemplazione (dhynam).

3) La medesima (contemplazione), quando vi è consapevolezza unicamente dell'oggetto della meditazione e non di se stessa (della mente), è il "samadhi". (Vibhuti Pada 1-2-3).

Con la meditazione ci si propone di sospendere le modificazioni mentali (citta vrtti nirodhah), l'agitazione della mente, la sua continua frenetica attività tipica della "scimmia ubriaca ed impazzita che salta di qua e di là senza mai fermarsi".

E un dato di fatto comune, di facile sperimentazione che, quando si tenta di chiudere gli occhi e di ottenere il silenzio mentale, una ridda di immagini, di pensieri, di associazioni ci compare di fronte, in una fuga continua di idee che si susseguono ininterrottamente le une alle altre.

La nostra mente produce continuamente, incessantemente, ciò che siamo in ogni momento: i nostri desideri, le nostre attrazioni e le nostre repulsioni, facendo di noi il prodotto dei suoi movimenti, dei suoi pensieri.

Noi siamo sempre pronti ad identificarci con i nostri prodotti mentali: quando proviamo un sentimento di ira, oppure di amore verso qualcosa o qualcuno, per esprimerlo utilizziamo le frasi "io sono adirato, io sono innamorato".

Ci immedesimiamo e ci riconosciamo nelle nostre passioni, dimenticando spesso quanto possano essere tra loro contrastanti e mutevoli a seconda dei momenti e delle situazioni.

Siamo emotivamente schiavi di un ego condizionato dalla sua identificazione con i movimenti e le pulsioni mentali.

La nostra mente evoca di continuo immagini ed azioni che noi compiamo, realizziamo fisicamente, dandogli così una realtà, ma non necessariamente ''un'esistenza", che analizzata più profondamente potrebbe "anche" apparire illusoria.

D'altra parte è le mente che elabora i dati che le provengono dai cinque sensi, dati già di per sé limitati dalla struttura fisica, molecolare dei sensi stessi: l'occhio umano non può cogliere certe bande di colore, l'orecchio non può percepire il suono nella sua gamma più vasta, il gusto è limitato alle sensazioni di dolce, salato, acido, amaro, il tatto e l'olfatto non discriminano che fino ad una comunque limitata soglia. La nostra mente elabora e filtra, condizionata dalle sue sovrastrutture psicologiche, sociali e culturali, i dati incompleti che le sono forniti dai sensi limitati. Tutto ciò l'uomo lo chiama mondo, realtà, attribuendo valore assoluto alla sua visione deformata ed alla sua interpretazione soggettiva degli oggetti sensibili.

La meditazione si propone di arrestare l'attività mentale per permetterci di cogliere ciò che è oltre lo schermo, o meglio il filtro della mente, per avere un rapporto più immediato, incondizionato con la Realtà. Interrompendo il continuo "dialogo interiore" sarà più facile fermarsi alla sensazione senza manifestare opinioni, giudizi, interpretazioni. Si tratta, dapprima, di fermarsi alla percezione della sensazione, senza classificarla, incasellarla, interpretarla e pregiudicarla attraverso la miriade di riflessi condizionati e condizionanti da cui siamo costituiti, attuando un decondizionamento, preceduto però da una presa di coscienza dello stesso.

Ed ecco che si torna alla definizione iniziale di meditazione, e cioè all'abolizione di distinzioni tra soggetto conoscente, oggetto da conoscere e strumento di conoscenza, alla fusione dei tre elementi distinti in un nuovo unico continuum.

Ritengo che almeno due dei tre punti fondamentali del Kriya Yoga siano indispensabili ad un occidentale, per affrontare correttamente in via pratica e preliminare la meditazione: essi sono la disciplina e lo studio di se, del proprio ego.

Alla base del metodo, presupposto fondamentale e parte integrante della tecnica, è la consapevolezza, quella che Gurdjieff sintetizzò nel "ricordarsi di sé", "l'accuratezza e la totalità dell'attenzione" che rendono "impeccabile" il "guerriero" di Castaneda.

Si deve prendere coscienza di tutto ciò che ci accade, di ogni nostra azione e, via via che ci si approfondisce, man mano che "ci si converte" , che cioè si opera la conversione dell'attenzione dall'esterno all'interno, si deve divenire consapevoli delle intenzioni, dei pensieri, del loro scorrere incessante.

Coscienza significa compiere un certo atto senza immediatamente verbalizzarlo nella nostra mente, traducendolo in vocaboli ed immagini del pensiero, nel "dialogo interiore". Abbandonare la mediazione delle immagini e le raffigurazioni mentali vuol dire cessare di scambiare i pensieri, le idee delle cose per le cose stesse, i concetti con le realtà.

Consapevolezza è divenire "il testimone", colui che osserva, lontano dalle attrazioni e dalle repulsioni, e quindi dai giudizi, dalla partecipazione e dal coinvolgimento emotivo.

Lentamente, acquistando consapevolezza, si ridurrà lo spazio che dedichiamo quotidianamente all'identificazione, all'alienazione di noi stessi nelle idee, nei pensieri, nelle emozioni. Saremo sempre più spesso "qui" ed "ora", inizieremo finalmente a vivere nel presente il momento presente, dimenticando le tensioni prodotte dalla continua proiezione nel passato e nel futuro, abbandonando gli schemi comportamentali che ci consentono unicamente una visione limitata dai nostri stessi condizionamenti.

Sarà un passo ulteriore verso la perdita della "storia personale" verso il distacco da ciò che crediamo di essere, agglomerato impermanente di atomi".

Come si medita in pratica? Al di là dei virtuosismi, di difficili e per qualcuno scomode posizioni assunte e mantenute con tensioni muscolari mal controllate, è sufficiente collocarsi in una posizione confortevole, con il busto eretto, le spalle abbandonate, gli arti superiori ed inferiori rilassati.

Fondamentale per la correttezza della posizione è l'autocontrollo, la consapevolezza della posizione stessa, del proprio rapporto fisico, della propria collocazione spaziale che solo in un secondo tempo potrà essere trascesa. Una posizione "troppo" comoda, sdraiati o comodamente appoggiati in poltrona, faciliterebbe la distrazione ed il sonno.

Il secondo punto importantissimo è la respirazione, che deve essere effettuata per via narinale, con la bocca chiusa, e deve essere diaframmatica, evitando quindi la messa in gioco della muscolatura intercostale e toracica. La restante muscolatura, degli arti, del tronco, del collo, del capo e del viso, deve rimanere rilassata, priva di tensioni.

Il tutto facilita e provoca un rallentamento dell'attività mentale, favorendo la comparsa di quelle che, ad un tracciato elettroencefalografico, sono chiamate "onde alfa" , con frequenza compresa tra 8 e 14 cicli al secondo, di ampiezza variabile tra 20 e 100 microvolts. Questo ritmo è particolarmente evidente in condizioni di riposo psico-sensoriale e scompare temporaneamente con l'apertura degli occhi; è tipico di una situazione di completo rilassamento.

A questo punto, approfondendosi nella consapevolezza di sé, si conoscerà il sensibile non più attraverso concettualizzazione ed elucubrazioni, ma con la mente permeata di silenzio. Ci si accorgerà che ciò che chiamiamo sé, ego, altro non è che una quantità di emozioni, pensieri, immagini, loro elaborazioni in perenne trasformazione. Ed allora sarà finalmente possibile, con il poeta Zen, "ascoltare la voce di pini e cedri quando il vento tace".

 

Ma vi può essere posto per queste tecniche nella nostra esperienza esoterica Tradizionale? Esse sono contemplate in qualche modo nei nostri Rituali?

A parere dello scrivente la risposta non può che essere affermativa, e questo in base ad alcune considerazioni.

Conoscere se stesso, ciò che si è, deve essere alla base, rappresenta il primo gradino di ogni esperienza iniziatica; è soltanto con una profonda conoscenza interiore, del proprio fenomeno, che ci si può trasformare nell'uomo nuovo, che si può realizzare l'oro alchemico.

La meditazione è una metodologia pratica per il V.I.T.R.I.O.L., per calarsi nella caverna iniziatica, per esplorarla e per uscirne trasformati.

La presa di coscienza dei nostri piccoli "sé" parziali, ad esempio quello di marito, di padre, di professionista, di amante, di lavoratore, con i loro stereotipi, le loro risposte meccaniche e condizionate, è un passo avanti per il loro superamento, per la loro eliminazione, Realizziamo così una continua esperienza di morte, a sensazioni, ad emozioni e passioni, che costituisce nel suo aspetto più vero una morte iniziatica ad aspetti di vita "profana" , non permeati della continua consapevolezza dell'iniziato.

Abbiamo visto come, con questa tecnica, si possa passare da un controllo del piano fisico a quello del mentale ed infine ad un piano più alto, definibile come quello spirituale e del Sé.

Il controllo dei tre livelli "dovrebbe" essere una prerogativa dei tre Gradi; è auspicabile che almeno in Camera di Apprendista, in silenzio, immobili nella posizione detta "del Faraone", si possa realizzare il completo controllo del piano fisico, senza udire o vedere Fratelli seduti più o meno scompostamente, rumoreggianti sulle sedie, in varie personali interpretazioni di quello che è "l'ordine", la corretta posizione che si ripercuote attraverso il fisico sul mentale e sullo spirituale.

Nel secondo Grado anche la mente, resa silenziosa con le opportune tecniche di concentrazione e contemplazione, faciliterà il Lavoro iniziatico che porterà alla Camera di Mezzo ed alla Maestria.

E necessario essere operativi, è indispensabile lavorare praticamente, alacremente, ricercando e favorendo la nostra trasformazione interiore, ed è necessario farlo presto poiché il tempo concesso, un giorno finirà. A tale proposito At-Tustari, mistico persiano del 10 ° secolo d.C., soleva dire che "l'uomo passa la vita dormendo, quando muore si sveglia ma allora è troppo tardi".

Per questo ho voluto semplicemente indicare una via che altri hanno già tracciato e percorso, una via che ci è molto più vicina di quanto possa apparire a prima vista. Finalmente abbandonati i concetti, le apparenze e le elaborazioni intellettuali, ritrovata e trascesa con la meditazione la parola perduta, potremmo affermare, citando Clemente di Alessandria: "qui finisce ogni insegnamento, si vedono la luce e le cose".

 


 

Il documento che presentiamo ai nostri graditi Ospiti è opera d'ingegno del carissimo F:. Sergio Bonziglia dell'Università di Bologna. Il contenuto non esplicita necessariamente il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto.

 

© Sergio Bonziglia

 

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