Chi non avesse una adeguata preparazione scientifica sull’argomento delle credenze, delle tradizioni mistiche e delle pratiche magiche di popolazioni rozze
e selvagge potrebbe dubitare che queste possano servire a dare un qualche lume nella lunga via da percorrere alla ricerca di Dio; ma la verità divina si ritrova
spesso dove meno la si aspetta e talora i più umili sono i più veggenti, mentre coloro che nell’orgoglio della loro coltura mondana si ritengono illuminati, si
rivelano invece di corta vista.

Il documento che presentiamo ai nostri visitatori esoterici, è un lavoro del carissimo Fratello della Montesion A. De Sanctis e scritto nel giugno del 1983.
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© A. De Sanctis



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Chi non avesse una adeguata preparazione scientifica sull’argomento delle credenze, delle tradizioni mistiche e delle pratiche magiche di popolazioni rozze e selvagge potrebbe dubitare che queste possano servire a dare un qualche lume nella lunga via da percorrere alla ricerca di Dio; ma la verità divina si ritrova spesso dove meno la si aspetta e talora i più umili sono i più veggenti, mentre coloro che nell’orgoglio della loro coltura mondana si ritengono illuminati, si rivelano invece di corta vista.
Vi sono delle antichissime tradizioni segrete che appartengono a civiltà tramontate da diecine e centinaia di millenni, a civiltà che fiorirono forse in continenti ora scomparsi, e di cui non restano che rari frammenti, dispersi fra i più oscuri popoli della terra; noi fermamente crediamo a questi residui di civiltà.
I popoli barbari e selvaggi hanno una immaginazione robusta e torbida e che nasconde spesso, sotto il viluppo di strane superstizioni, una rivelazione originaria. Occorre una fede tenace e paziente per distinguere il nocciolo vero ed eterno dalle fantasie false e caduche. Cercheremo quindi di comprendere quale sia il principio fondamentale nelle concezioni religiose delle popolazioni primitive; se potremo scoprirlo, o almeno delinearne qualche elemento, questo principio ci mostrerà come nelle concezioni apparentemente diverse di popoli assai lontani l’uno dall’altro, si possa rintracciare una identica idea.

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Nel passato i missionari cristiani erano proclivi ad ammettere che il principio fondamentale di tutte le religioni primitive fosse una vaga credenza negli spiriti e molti autori parlano ancor oggi di un «animismo primitivo».
Però già il Tylor osservò che dalle relazioni più accurate di esploratori e missionari, risulta invece che la credenza più diffusa non é precisamente quella negli spiriti concepiti alla maniera occidentale, poiché manca spesso a quelle popolazioni il concetto della personalità, ma esiste invece una credenza comune in un «potere misterioso» che é ovunque considerato come la sorgente d’ogni magia e viene chiamato in modo diverso secondo i diversi paesi.
Questa essenza comune, nella Polinesia ha il nome di mana, termine che fu poi esteso dagli etnografi ai concetti analoghi di altre popolazioni.
«Mana» significa fluido, energia, volontà, e poiché tutto ciò che avviene deve riferirsi in ultima analisi a un qualche potere, il «mana» é considerato come la ragione ultima di ogni accadere.
Forse i filosofi presocratici che affermarono esserci una forza primigenia, un Eros che fa muovere tutte le cose, intendevano alludere a un’essenza di questo genere. E forse quando, a un livello mentale ben più alto, Aristotele riprende lo stesso concetto e afferma che tutte le cose sono mosse da una comune aspirazione che le fa tendere verso il Primo Motore, egli non fa altro che sviluppare l’idea fondamentale che è implicita in tutte le credenze umane fin dalle più antiche età : «Amor che muove il sole e l’altre stelle».

Max Mueller scrive in proposito :
Il «mana» dei Polinesi ci dimostra come in forma vaga e confusa, l’idea dell’infinito, dell’invisibile o, come noi lo chiameremo, del Divino, si presenta presso le razze più umili.
Mh. Codrington, missionario e teologo, scriveva nel 1887 dall’isola di Norfolk: «La religione dei Melanesi consiste nella credenza che v’è nel mondo un potere soprannaturale che appartiene a una sfera invisibile: il loro culto non è altro che l’esercizio di pratiche che hanno lo scopo di far agire quel potere a loro vantaggio». (Cfr. M. Mueller: Origini e sviluppi della religione - II, par. 2).
Altrove lo stesso Codrington definisce meglio il medesimo concetto: «I Malesi credono alla esistenza d’una forza assolutamente diversa dalle forze puramente materiali, la quale agisce in modo assai diverso, producendo effetti buoni o cattivi. É interesse sommo dell’uomo imparare a dominare tale forza e sapersene servire. Essi la chiamano ‘mana’. Io credo di comprendere il senso che gl’indigeni attribuiscono a questa parola: si tratta di una influenza immateriale e in certo senso sopranaturale. Da essa deriva ogni specie di potere e di superiorità che un uomo può esercitare sugli altri uomini e sulle cose». (Codrington : The Melanesians p. 118, segg.).

Se ora passiamo dalla Malesia alle popolazioni indigene dell’America, che sono tanto diverse per razza e che abitano in regioni così lontane, troviamo che gli Irokesi e gli Uroni chiamano col nome di Orenda lo stesso potere magico.
I. N. B. Hewitt, che ha lungamente studiato le religioni degli indigeni d’America, così ne parla: «L’Orenda é una potenza misteriosa che i selvaggi concepiscono come inerente a tutti i corpi, che pervade l’ambiente dove egli vive, che emana dalle rocce, dai corsi d’acqua, dalle piante, dagli animali, dagli uomini, dai venti e dalle tempeste. Questa forza é riguardata dai primitivi come la causa efficiente di tutti i fenomeni e di tutte le attività che si manifestano intorno a lui». (Orenda and a definition of religion in American Antropologist 1902 - VI).

Il P. Saintyves scrive in proposito:
«Tutti i primitivi hanno spiegato o tentato di spiegare gli avvenimenti cosmici per mezzo di un concetto dinamico che si può chiamare forza magica. É una forza difficile a definirsi, invisibile e impalpabile, che si può paragonare a una fiamma oscura, o a un soffio inafferrabile: essa partecipa della natura intelligente e, senza essere uno spirito, partecipa della natura spirituale. Si potrebbe definirla una specie di fluido privo di intelligenza personale, ma suscettibile di ricevere le impressioni di tutte le idee e di tutti gli spiriti. Essa si chiama il ‘mana’ e lo stregone e il mago ne sono particolarmente dotati; da essa traggono i loro poteri. I nomi di tutto ciò che riguarda la magia sono quasi sempre composti etimologicamente con questa parola: peimana, gismana, manehisu, e così via. La si è paragonata all’etere; ma più esattamente si potrebbe paragonar a una specie di spirito impersonale e senza pensiero proprio, nel quale tutti i pensieri e le intenzioni degli uomini confluirebbero come a loro meta». (Cfr. «La force magique; du mana des primitivs au dynamisme seientifique» pp. 20-22).

Se questo concetto fosse proprio soltanto di qualche popolazione della Polinesia, esso meriterebbe la nostra attenzione, però non potrebbe indicarci la soluzione di un problema più universale; ma il fatto importante è che noi troviamo lo stesso concetto presso tutti i popoli primitivi, fra i più lontani e diversi, espresso sempre con le stesse parole e con le stesse immagini anche quando si tratta di popolazioni che non hanno mai avuto alcuna relazione fra loro. In Africa questa forza si chiama Hasina e presso i Malgachi Masina; Dzo presso gli Ewe della Costa d’Oro, Tilo presso i Ba-Ronga; in America Wakan presso i Sioux, Orenda presso gli Irokesi. In Oceania: Mana e Kramal presso i Malesi, Churinga e Arungquiltha in Australia. In Asia troviamo un concetto del tutto analogo nel Brahman dei più antichi testi del Rig-Veda.
Possiamo dunque affermare ben fondatamente che il concetto del Mana è quello che rappresenta l’intuizione religiosa più antica e più diffusa del mondo.

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Il Prof. Goblet d’Alviella, ritiene che l’idea del Mana possa identificarsi col concetto schopenhaueriano della volontà. Com’é noto, secondo il filosofo tedesco, il volere è un impulso cieco, oscuro e assolutamente inconoscibile in sé, che si manifesta nel mondo spaziale e fenomenico; tale impulso costituisce l’intima essenza non soltanto dell’uomo e di ogni essere spirituale, ma di tutto l’Universo. Ciò che é attrazione e gravitazione e chimismo nella materia, forza vegetativa nella pianta, istinto animale e volontà nell’uomo, ha una radice identica. Lo Schopenhauer riteneva che questo stesso concetto costituisse l’idea fondamentale del Bramanesimo e del Buddismo. E il D’Alviella non ha torto mostrando l’analogia di esso col «mana» dei primitivi. (Cfr. Goblet D’Alviella in Rehabilitation scientifique de la Magie - Paris 1903).

Marcel Habert, collega del D’Alivella all’Università di Bruxelles, ammette che il «mana» costituisca il principio fondamentale dell’universo fenomenico, ma osserva: «questa idea di un’energia spirituale e tuttavia impersonale ha anche qualche cosa che turba la nostra mentalità. Resta però un fatto che i primitivi la ammettono e ne vivono».
Ciò che rende perplesso il prof. Habert, é il fatto che il «mana» é insieme spirituale e impersonale. Ma se consideriamo che questa concezione appartiene a tutti i popoli della terra, dovremo giungere alla conclusione che essa non può contenere quella contraddizione che l’Hubert crede di vedervi. Le stesse caratteristiche si trovano nel brahman e akasha degli Indù, nel fuoco vivente di Zoroastro, nel fuoco generatore di Eraclito, nel ruh degli antichi Ebrei, nel telesma di Ermete Trismegisto, nel l’ignis suptilissimus di lppocrate, nel pleuma di Galena, nell’anima del mondo di Plotino e di Giordano Bruno, nella luce astrale dei cabalisti, nell’azoth, degli alchimisti, nel magnale di Paracelso, nell’alcahest di Vanhelmont, nella sostanza spinoziana, nel magnetismo animale di Mesmer, nell’incosciente di Hartman, nell’entelechia di Driesch, nel mediatore plastico di Elifas Levy, nel meta-etere del Myers. ecc. ecc.
Dello stesso principio parla Virgilio, che ne ha attinto la concezione dai filosofi pitagorici, nei noti versi:

Spiritus intus alit, totamque infusa per artus
Mens agitat molem, et magno se corpore miscet.

(Lo spirito alita nell’interno dell’Universo, penetra in tutte le sue parti e si mescola nel suo corpo immenso (Eneide 1. VI).

Giustamente il Van Gennep, direttore della Rivista di Studi Etnografici scriveva : «Il principio fondamentale del umana che costituisce la base di ogni magia e di ogni religione, non differisce nella sua essenza dal nostro principio scientifico dell’energia».
Secondo noi, l’apparente contraddizione del «mana» che viene affermato come spirituale e insieme impersonale, si può risolvere ammettendo che esso costituisca ciò che vi è di comune tanto alle manifestazioni apparentemente materiali quanto, a quelle apparentemente spirituali. Già lo Spinoza aveva notato che il pensiero e l’estensione non sono due sostanze o due entità diverse, ma due aspetti della stessa entità. Questo sembra a noi il significato più profondo di questo concetto che esprime la concezione originaria dell’umanità primitiva.
Se ci figuriamo un’epoca nella quale i cosiddetti fenomeni supernormali avvenivano quotidianamente e in cui non si faceva distinzione fra fenomeno naturale e soprannaturale, ci sarà facile comprendere come il «mana» abbia potuto significare nello stesso tempo il principio della magia e il fondamento di ogni realtà. Vi fu dunque probabilmente una civiltà anteriore alla nostra a cui spetta di buon diritto il nome di «civiltà magica» e tutto ci fa credere che i popoli primitivi, tanto quelli che ancor oggi si trovano nell’Africa e nell’Asia, quanto quelli ormai estinti, di cui la storia e la tradizione ci descrivono i costumi, conservano e conservavano il ricordo inconscio di quell’antica civiltà.
Ciò che é l’atomo per il materialista, ciò che è la monade spirituale per lo spiritualista, era il «mana» e il «brahma» nella concezione magica dei primi abitatori del mondo.

Secondo una dottrina esoterica che si riscontra in molte antiche scritture, l’evoluzione cosmica ha un movimento ciclico per cui il passato si ricongiunge misticamente al futuro. Questo era il significato del mito antico dell’«eterno ritorno» che non si deve interpretare materialisticamente come una semplice riproduzione identica di fatti in epoche diverse, bensì come un movimento evolutivo a spirale che ritorna nella stessa direzione ma ad un livello ben diverso. Secondo la tradizione esoterica a cui abbiamo accennato, la civiltà non era dunque soltanto il primo stadio degli Atlantidi o dell’Uomo originario, ma dovrà pur essere la meta finale verso cui tende l’umanità.