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Il 20 maggio era considerato, secondo la tradizione attica, il dì natale di Apollo, e il dio solare era festeggiato con riti che si svolgevano per due giorni: il 19, la vigilia, aveva carattere prevalentemente agrario, e vi erano processioni, si offrivano primizie; il 20 maggio aveva invece carattere purificatorio. Da questo carattere purificatorio del 20 maggio è tratto l'argomento per lo studio che qui si presenta.

Il capro espiatorio, particolarmente noto attraverso i riti ebraici, era diffuso nell'antichità, sia pure sotto aspetti diversi, e svolgeva la sua funzione magica di emissario del peccato nelle società primitive.
Caratteristica essenziale e pratica delle religioni è sempre stata il ristabilire, con la prassi rituale dei culti, tra i singoli credenti e nello insieme delle comunità profane, quell'equilibrio psichico, individuale e collettivo, a mano a mano che esso veniva infranto con le deroghe ai dogmi sacri, alle norme divine e ai tabù venerabili, che in fondo erano e sono simboli delle misteriose leggi della natura.
Le funzioni sacre erano sempre esercitate da persone autorevoli, investite di prerogative sacerdotali; erano, cioè, sempre «iniziati» coloro i quali avevano il potere di intendere, di mettere in moto e di dirigere, nell'interesse di tutti, quelle forze invisibili dell'universo con l'arte che comunemente diciamo magica.
Il male scaturisce appunto dalla rottura dell'armonia tradizionalmente stabilita tra lo spirito e il corpo umano da una parte e le leggi cosmiche dall'altra; esso, il male, è, purtroppo, una realtà infettiva dinamica e opera non solo a danno dell'individuo, ma contamina tutto l'ambiente in cui si sviluppa, si propaga e si accumula.

Gli antichi se ne liberavano periodicamente, almeno una volta l'anno: per esempio, oltre che come nei riti ebraici, già citati, anche come, il 20 maggio, nelle Tharghelia in Atene, con un procedimento catartico di magia, scaricandolo sui «Farmakòi», cioè sopra uno schiavo e una schiava, rappresentanti i due sessi, appositamente destinati quali vittime, ovvero ostie liberatrici. Essi, dopo essere stati fustigati, venivano sacrificati, o con la lapidazione (questa, avvenendo a distanza, aveva il vantaggio di evitare ogni contatto con le vittime contaminate) o finivano bruciati e le ceneri erano disperse nel mare, sicché non ne restasse traccia tra il popolo.
In seguito con l'addolcirsi dei costumi, i Farmakòi venivano solo scacciati dal paese (é qui l'origine dell'ostracismo e della pena infamante dell'esilio).

Con il Cristianesimo il capro emissario, il farmakos, acquista, come tra gli Ebrei, il significato più profondo di «espiatorio», in quanto non ristabilisce più soltanto l'equilibrio infranto tra l'uomo e la natura, ma tra l'uomo e Dio; e non è più impersonato da schiavi qualsiasi, ma viene sostituito addirittura dal solenne sacerdote in persona, il quale, come il Cristo, si offre espiatore volontario, a nome di tutti, presso il Padre.
Teoricamente dovrebbe essere davvero spaventoso il dramma intimo del sacerdote (intendo il «vero sacerdote») che «toglie», ossia prende sopra di sé, anzi prende in sé, con la confessione, il male, il peccato del singolo ed anche tutto quello della comunità a lui affidata; il dramma è in questo passaggio, in questo travaso mistico, per cui l'ossessione del peccatore si riversa nello spirito innocente del sacerdote, onde avviene una inversione di polarità: il peccatore ritrova la sua perduta pace, il sacerdote temporaneamente si danna. In questa breve sintesi, non è possibile approfondire gli aspetti antichissimi e largamente diffusi della confessione dei peccati; dirò, che il sacerdote non potrebbe assolutamente reggere e sopportare a lungo la tensione, il tormento della propria coscienza contaminata, insozzata dal bagaglio di impurità di cui si è volontariamente infettato, e finirebbe con l'esserne sconvolto fino alla pazzia, se non trovasse, nella celebrazione della messa, il lavacro in cui rigenerarsi, il modo, la tecnica adatta per scaricarsi, per purificarsi giorno per giorno. Con forte emissione di fiato egli liturgicamente riversa sull'ostia, vittima sacrificale, tutti i miasmi di cui è saturo; l'ostia, giusto il suo significato, è, così, il vero, l'ultimo definitivo capro espiatorio; ma l'alito è fuoco; nel versare con orale veemenza i peccati sull'ostia, essi sono contemporaneamente bruciati, distrutti, e l'ostia, elevata, in fine, dal sacerdote in alto, nel regno dei cieli, ritorna a sua volta pura, simbolicamente sublimata.

Ciascuno di noi, a questo punto, può meditare sul mito, comune a tutti gli eroi, quindi anche al Cristo, della discesa agli inferi: il profano nel gabinetto di meditazione; l'ostia nel calice (il calice è appunto la caverna) e la risurrezione: il profano che risorge nella luce del Tempio massonico; Ercole che sale al cielo tra le fiamme; l'ostia elevata in alto.

Col decadere del sentimento religioso nel mondo profano, fenomeno a cui oggi si assiste con indifferenza, l'uomo crea in sé, nella profondità del proprio spirito un vuoto angoscioso, il quale, come ogni vuoto, ha la prerogativa di tendere, di aspirare con tenacia ad essere riempito, perché «la natura ha paura del vuoto»; si cerca, quindi, magari inconsciamente, una sostituzione alla fede religiosa per ristabilire l'equilibrio perduto.
Qui interviene la scienza psicologica.

La potenza del male una volta suscitata, scatenata, poiché non è più dissolta, eliminata via via che si produce, si immagazzina nello spazio e nel tempo e agisce sulle masse profane, moltiplicandosi, simi-le ai virus nell'aria che noi tutti respiriamo, e ci contagia, ponendo oggi problemi nuovi, che la civiltà delle macchine non sa e non può risolvere: sono problemi che bisognerà risolvere sul piano di una superiore visione d'igiene spirituale, metafisica. Sarà questa purificazione generale uno dei compiti più ardui della Massoneria.

L'uomo, immerso nel ritmo avvelenato, irrequieto e febbrile della vita moderna, è sempre più attanagliato dall'ansia e dall'angoscia; è sempre più intossicato dal fluido malefico del peccato, che nessuno si preoccupa di eliminare e che, simile ad invisibile «smog», lo circonda, lo avvolge e l'opprime. Il profano non ha più nessun sicuro ancoraggio e finisce sospinto verso la nevrosi, verso la falsificazione di ogni valore della realtà, al capovolgimento arbitrario di tutto ciò che era tradizionalmente valido fondamento di sicura stabilità.
Si crea un rimedio; un compenso. E la psicanalisi si presenta come la sostituzione moderna della vecchia religione scaduta; lo psicanalista assume il posto del sacerdote; il lettino sanitario subentra al confessionale; la scienza psicologica si asside sul trono di Dio.

Per noi massoni il problema non esiste, o, almeno non dovrebbe esistere; ma che cosa avviene nel mondo profano?

Mentre il vero sacerdote elimina il male, distrugge il peccato, lo psicanalista, invece (salvo il caso che egli non intenda la sua scienza quale una missione superiore, quasi magica, spirituale, e trascendente, simile a quella degli antichi veri maestri iniziati alla medicina e alla taumaturgia come ad arte sacra e quindi agisca e operi da sacerdote laico, ovvero che sia un autentico massone) il male di cui libera il «paziente» - il credente oggi é diventato «il paziente» anzi «il cliente» - non lo distrugge, non lo elimina, non lo prende sopra di sé, ma lo getta con indifferenza scientifica, in un ipotetico cestino dei rifiuti, cioè, alla fine, lascia che esso torni liberamente in circolazione tra noi.

 

 

 

 

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