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La transizione non è un evento esterno, ma uno dei tanti modi che l'uomo ha immaginato per esprimere una vicenda interiore - Morte e rinascita simboliche

Tutti sanno che le misure umane del tempo, come quelle dello spazio, sono convenzionali. Il tempo, di per sé, non è diviso in anni, giorni, ore, minuti e secondi – così, come lo spazio non è diviso in chilometri, metri e millimetri. Le divisioni in questione sono semplicemente «operazionali», servono all'uomo per introdurre un ordine conveniente, anche se artificioso nel continuo senza pause del tempo, nell'immensità senza frazionamenti dello spazio.
Il «presente» non esisteva un attimo fa, e sarà «passato» fra un attimo. Il «crudele » Zenone (così lo definiva Paul Valéry) ben sapeva che dividendo all'infinito lo spazio che li separava, Achille non avrebbe potuto mai raggiungere la Tartaruga.
Dalle anzidette premesse, si desume che l'espressione «Anno nuovo» è, in assoluto, senza senso. L'uomo ha classificato e numerato anni, mesi, settimane e giorni...: ma le loro «misure» sono artificiose, o nella migliore ipotesi approssimative.
Nessun mezzo esteriore umano può misurare l'assoluto. Non v'è orologio astronomico che possa dividere il secondo all'infinito. Del paradosso di Zenone si dimostra l'infondatezza per via logica e psicologica non certo per via matematica.
Il passaggio da un «anno vecchio» all'«anno muovo» non è dunque affatto, di per sé, un evento esterno: è uno dei tanti modi che l'uomo ha divisato per esprimere una vicenda interiore. Ma nella loro maggioranza, gli uomini stessi sembrano averlo dimenticato, e non riescono ad intendere che «fuori», nel momento in cui si stappano le bottiglie di spumante, e s'inneggia a un'apparente nuova pagina della nostra vita, non succede assolutamente nulla di «nuovo».
Nell'ordine cosmico, gli «anni nuovi» non esistono.

Se dunque si vuol veramente sperimentare, quando ci si avvia verso la mezza-notte del 31 dicembre, qualcosa di «nuovo» occorre compiere un'operazione interna, che trova il suo paragone in quei fenomeni della natura - inanimata o biologica - che pur non potendo essere costretti in precise misure umane (temporali o spaziali), hanno quale contrassegno la periodicità e la ritmicità.
Se ne potrebbero citare all'infinito - a cominciare dai moti reali o apparenti degli astri per terminare con le più o meno rapide successioni di vita. e di morte nel mondo animale o vegetale. L'universo non ha atteso la Quarta Egloga di Virgilio per indicare a chi sa intendere l'opportunità, ogni tanto, di sperimentare una rimessa a zero, l'inizio di un ordine nuovo. Persino in certi insetti, la linea ascen-dente della crescita sembra a un certo punto interrompersi, i tessuti e le cellule subiscono un processo di ritorno a una sorta di magma, a un indistinto, a una nuova matrice, da cui la vita riparte e l'individualità si definisce.
In non poche tradizioni, colui che aspirava a inserirsi, con maggiore consapevolezza, nella suprema armonia delle cose, veniva invitato a compiere esperienze di morte simbolica, e di simbolica rinascita. Anche al giorno d'oggi, riti del genere si compiono in seno a ordini religiosi e ad organizzazioni iniziatiche. La «morte» e la «risurrezione» di qualche cosa a ogni fine e principio d'anno possono indubbiamente essere assunte come simboli di un processo analogo: ma si rivelano utili - ed anzi, for-mative e preziose - per l'uomo, a condizione che egli le viva sub specie interioritatis, che riesca cioè, sia pure in modo approssimativo, a mettersi interiormente al «livello zero», e a sentire il passaggio dell'anno come il sorgere in lui di qualcosa di veramente «nuovo» - paragonabile, se si vuole, all'archetipo del neo-nato, dello spirituale bambino, la cui immagine campeggia, in questi giorni, un po' dappertutto.
Se si riesce - sia pur di poco - in questa «operazione», si dimostra, e non soltanto a parole di avere quella «buona volontà» di cui parlano i sacri testi, e si può sperare che quella certa «pace» del cuore che si sarà in tal modo ottenuta, si estenda un poco, per vie sottili, a tutta quanta la Terra.

EMILIO SERVADIO


 

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