L’opinione generale che presentiamo in questo articolo, sostiene che nel messaggio biblico è presente tutta una serie di dimensioni nascoste, dotate di un potere terapeutico enorme, ma quasi inutilizzato. Solo contattando quei piani interiori, esoterici, solo condividendo almeno in parte l’esperienza mistica ed estatica che essi contengono e descrivono, è possibile l’attivazione piena dei suddetti archetipi e modelli.

 

Il documento che segue è opera d'ingegno di Nadav Eliahu Crivelli. Il suo contenuto non esplicita di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è dichiarato.

© Nadav Eliahu Crivelli

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Com’è noto, i racconti biblici contengono degli archetipi di dimensioni oceaniche, universali, vere e proprie fiumane sotterranee di simboli e di messaggi che scorrono sotto la superficie della storia umana. Questo apporto esercita una grande influenza, ed alimenta in segreto gli eventi e i fatti umani. Ogni individuo viene in parte sostenuto, nutrito, ma anche ostacolato, messo alla prova da quei modelli universali.


Quando in Occidente il posto delle Sacre Scritture era più ufficiale ed influente, le corrispondenze e l’efficacia dei loro archetipi erano più evidenti, le loro tracce facili da identificare. Con le varie rivoluzioni culturali, filosofiche e politiche, con i movimenti del Razionalismo prima e dell’Illuminismo dopo, si iniziò lo sgancio e il distacco tra la cultura laica e quella religiosa. La novella libertà venne da prima utilizzata per costruire gradualmente una nuova comprensione scientifica del creato, che non dovesse più adeguarsi ai limiti, indubbiamente angusti, delle descrizioni bibliche. In seguito, i principi laici, in sviluppo e crescita, iniziarono una serie di rivoluzioni in ogni campo del vivere: sociale, politico, economico, culturale, tecnologico, artistico.
 

Oggi, la cultura laica è dominante, nel mondo occidentale e in tutti quei paesi che hanno fatto proprio il suo sistema di vita. Scienza, tecnologia ed economia, dominano i suoi vari settori, e l’antica influenza delle immagini e dei precetti biblici si è apparentemente molto ristretta, e a volte sembrerebbe perfino scomparsa.
 

È tuttavia evidente agli occhi di tutti come l’approccio laico, razionale e scientifico ai problemi della vita umana, pur avendone migliorato molti suoi aspetti in modo incomparabile ed irrinunciabile, rimanga carente ed insufficiente nei settori più delicati della psiche e del carattere umano. La capacità dell’uomo di essere felice e soddisfatto, di sentirsi sicuro, in pace con se stesso e con gli altri, non dipende dal grado di ricchezza e di evoluzione della società nella quale egli è inserito. La società moderna è piena di problemi, alcuni dei quali molto gravi, in quanto mettono perfino in dubbio la sua stessa sopravvivenza. Tra di essi, citiamo solo le armi di guerra totale, o i colossali rischi che gli inquinamenti di tutti i tipi pongono al pianeta.
Nonostante non siano tutti d’accordo su ciò, a molti appare chiaro come la loro risoluzione non dipenda da un serie di balzi ulteriori che la scienza e la tecnologia potranno far fare al genere umano. Per curare i malesseri non fisici degli esseri umani, psicologia e sociologia si sono diffuse, e sono sempre più apprezzate ed efficaci. Nell’area del carattere umano, fondamentale per poi capire le sue interazioni sociali, la psicologia e la psicoterapia, hanno scoperto la presenza e l’importanza degli archetipi e dei simboli che le antiche religioni contenevano. In un cammino di guarigione, alcuni di quei simboli vengono contattati, tradotti in termini attuali, e reintegrati dalla personalità. Solo così essa potrà considerarsi guarita.
Come reazione alla delusione generata dall’incapacità di trovare risposta a molte delle più importanti esigenze umane, molti individui sono ritornati al credo e ai valori delle religioni tradizionali. Altri lo hanno fatto come conseguenza di un bisogno di radici più profonde. Intanto, in tutti questi ultimi secoli, anche le religioni dell’occidente hanno cercato di cambiare e di trasformarsi. Parecchi dei loro aspetti di intransigenza e di ottusità se se sono andati. Si è cercato di mettere l’essere umano al centro dei riti e dei credi. I confini della “salvezza” non sono più appannaggio esclusivo dei soli credenti e praticanti. Il controllo delle autorità centrali si è indebolito, rimanendo tale solo per quanto riguarda gli aspetti economici e politici della struttura. Ciò dà agio e possibilità a singoli personaggi geniali e creativi, di spiegare e di vivere la religione in modi molto più in sintonia con la cultura laica, ormai dominante.
 

L’opinione generale che presentiamo in questo articolo, sostiene che nel messaggio biblico è presente tutta una serie di dimensioni nascoste, dotate di un potere terapeutico enorme, ma quasi inutilizzato. Solo contattando quei piani interiori, esoterici, solo condividendo almeno in parte l’esperienza mistica ed estatica che essi contengono e descrivono, è possibile l’attivazione piena dei suddetti archetipi e modelli. L’ipotesi è che in essi siano presenti le risposte più corrette ai veri problemi esistenziali dell’uomo di ogni tempo, che le conoscenze, pur vastissime del mondo moderno, non hanno neppure sfiorato. Come esempio, si pensi alla questione dei rapporti affettivi. Nel mondo moderno il fallimento dei rapporti di coppia avviene ormai nella massima parte dei casi. Attraversando tali esperienze, la maggior parte degli uomini e delle donne testimoniano di provare acuti dolori e delusioni. In alcuni casi ciò può durare anni interi. E, a detta di chiunque li abbia provati, non sono affatto pene di poco conto, bensì paragonabili a quelle inflitte da povertà e malattie. Di conseguenza, molte persone hanno smesso di provare ad amare, e scelgono di rimanere sole, o di cimentarsi in rapporti dove si cerca una sola soddisfazione fisica, oppure temporanea, senza puntare ai tempi lunghi.


Vorremmo dare un esempio della ricchezza degli archetipi biblici, riletti ed interpretati alla luce degli insegnamenti della tradizione mistica ebraica, la Qabalah, rivolgendoci a quella che è forse la prima e più famosa storia del racconto biblico: Adamo ed Eva e gli eventi del Giardino dell’Eden. Vorremmo mostrare come, nonostante l’enorme attenzione che essa abbia ricevuto, sia nei libri sacri che in quelli profani, la storia contenga degli aspetti oscuri e mancanti. Essa viene sempre affrontata con una serie di pregiudizi simili, sia per i laici che per i religiosi. Questo articolo sostiene come solo portando alla luce le sue componenti nascoste, e ritrovando quelle mancanti, sarà possibile comprendere il quadro complessivo degli eventi. Solo così, donando ai singoli ruoli dei personaggi là agenti, una più equilibrata e simmetrica dinamica di interazioni complessive, ritroveremo in noi i frammenti di quelle entità. Solo così potremo ricostruire un’unità organica tra le varie parti, capace di superare i blocchi, i traumi, le paure delle punizioni, il senso di ribellione, che tutt’oggi limitano lo sviluppo dei singoli e della collettività.


Come archetipi del genere umano, le esperienze compiute dai personaggi degli eventi del Giardino dell’Eden, si sono incise in modo indelebile nell’anima di ognuno di noi. Il racconto dei primi capitoli del Genesi descrive una coppia di individui, un uomo e una donna, che vengono all’esistenza in un ambiente meraviglioso, idillico: il giardino dell’Eden. Secondo i midrashim (tradizioni orali rabbiniche), i corpi di Adamo e di Eva erano perfetti, non potevano contrarre malattie, erano eterni, capaci di provare piaceri ma non di sentire dolori. Il successivo essere stati allontanati dal Giardino fu un trauma di portata incalcolabile. Ogni tradizione antica contiene tracce della memoria di uno stato di perfezione che venne poi perso, e al quale si anela di ritornare.
Per comprendere l’insieme delle complesse dinamiche del Giardino, occorre sempre tenere presente che in esse parteciparono quattro personaggi principali:


1. Dio, chiamato anche il Santo, benedetto Egli sia
2. Adamo
3. Eva
4. Il Serpente
Inoltre, vi erano anche due presenze molto importanti, che hanno in qualche modo interagito con gli altri quattro:
5. l’Albero della Vita
6. l’Albero della Conoscenza del bene e del male.
 

Gli eventi del Paradiso sono come una complessa formula matematica, con molte e imprevedibili variabili, solo in parte note. Una sua soluzione permetterebbe all’umanità di liberarsi dai pesi e dai condizionamenti di quella esperienza traumatica, tutt’oggi chiamata il “peccato originale”. Ciò significherebbe sollevarsi al di sopra dei sensi di colpa, dell’ineluttabilità delle punizioni, delle sofferenze espiatorie. Ci proponiamo di indagare noti e meno noti aspetti spirituali e psicologici dei personaggi, sperando che ciò possa far luce sulle loro intenzioni, sui loro corrispondenti oggi, nella vita di ognuno, e sui possibili mezzi per rettificare ciò che avvenne in quelle poche ore fatali.


1) Il Santo, benedetto Egli sia
È forse l’aspetto più noto di tutta la complessa equazione. Tutti affermano di sapere tutto di Lui, cosa pensi, cosa voglia, cosa faccia in caso non lo ottenga.. Pur se le teologie concordano nel ritenerlo Infinito, Invisibile, Sconosciuto, Insondabile, Inconoscibile, e così via, al lato pratico, nel corso della storia umana, i sacerdoti e i maestri delle varie religioni, hanno sempre parlato a nome Suo, col massimo della sicurezza. “Dio pensa così.. Dio vuole questo, Dio vuole quello.., Dio vi farà questo, Dio non vi farà quello..” Chiaro, una autorità di questo tipo non è nata dal nulla, non è stata inventata. Nella tradizione giudaico-cristiana si basa sui versi biblici, su numerose rivelazioni ed occasioni nelle quali Dio parla in prima persona per bocca dei Profeti, o dei Padri, o dei Veggenti, dei Saggi, e dice quello che pensa e quello che vuole.
È tuttavia innegabile che i versi della Bibbia, da soli, contengano sempre aspetti contrastanti, contraddittori, paradossali, oppure di difficile interpretazione letterale. Ed ecco che qui si è potuta esprimere l’autorità interpretativa dei maestri della religione, che si sono assunti il non facile incarico di definire cosa Dio voglia o faccia, in modo preciso ed esatto.
Non è certo l’intenzione di questo articolo contestare o criticare, ma nemmeno confermare e lodare, l’operato dei maestri della religione. L’unico punto che vogliamo affermare è che, nell’equazione “paradiso Terrestre”, la variabile “Santo, benedetto Egli sia”, è la più nota e studiata. Egli appartiene senza ombra di dubbio al lato della Bontà, vuole solo il benessere delle sue creature, ed escogita ogni possibile mezzo per farglielo arrivare. Comprese punizioni ed esili, pene e sofferenze.


2) Adamo
Anche il fattore “Adamo” è notissimo. Da sempre ci si occupa di lui, ci si occupa dell’uomo. Scienze esatte, scienze umanistiche, filosofie, psicologie, teologie, arte.. Adamo è sempre più al centro. L’uomo e i suoi bisogni, le sue risorse, le sue necessità, l’uomo come coppia, come singolo, come società, come soggetto e come oggetto, come produttore e come consumatore. Adamo è inflazionato. Non si fa altro che parlare di lui, per lui, a lui. Nella cultura laica, che ha accantonato Dio, il suo posto è stato preso da Adamo. Quindi, ora, in fin dei conti, egli riceve doppia attenzione. Tutte le possibili soluzioni sono state suggerite, tentate, esplorate, perfino quella di mandarlo sulla luna o nello spazio extra-terrestre. Non è qui che possiamo aggiungere o chiarire qualcosa.


3) Eva
Se per Eva si intende la sola moglie di Adamo, la donna che vive in funzione dell’uomo, per fargli i figli, per tenergli la casa, per dargli piacere di notte, ecc., anche per Eva la saturazione è ormai raggiunta. In realtà, qui iniziano delle serie problematiche. Nel racconto dei fatti del Paradiso terreste, senza diminuire le responsabilità di Adamo, sembrerebbe che sia stata Eva a fare da prima la scelta del frutto proibito. Secondo le tradizioni orali, non solo lei ne mangiò e ne diede al marito, ma ne offrì a tutte le creature terrestri, che l’accettarono. A giudicare dal solo senso letterale, Eva è la responsabile numero uno della caduta dell’umanità. Venne indicata da Adamo a Dio come la diretta responsabile della propria colpa: “la donna che Tu mi hai dato mi ha dato da mangiare dell’albero” (Gen. 3, 12).
Per secoli teologie e sistemi di vita famigliari e sociali, discriminarono la donna, o basandosi su quell’episodio biblico, o semplicemente per adeguarsi all’usanza collettiva. La storia umana registra una serie di fatti, di eventi, successi o insuccessi, a stragrande maggioranza maschile, con qualche grande donna che spunta qui e là.
È vero che negli ultimi secoli, forse decenni, il ruolo e la posizione della donna stanno cambiando. Le vengono riconosciute una personalità propria ed indipendente, capacità e libertà di scelte autonome. Nell’arte, nella psicologia e nel misticismo si è enormemente affascinati dalla figura del femminile, non solo della madre, ma della donna in se stessa, i suoi misteri, il suo inconscio…
Con Eva abbiamo un’incognita vera e propria. E torneremo a parlarne.


4) Il Serpente
Eccoci al punto chiave. Dei quattro personaggi suddetti, il serpente è il più sconosciuto, il più ignorato. Ad esso viene automaticamente assegnato il ruolo del male, il puramente ed unicamente cattivo. Se su Eva possono esserci opinioni diverse, alcune delle quali metteranno più in evidenza la sua colpa, altre meno, sul serpente sono tutti d’accordo. É lui il colpevole di tutto! Poco aiuta se nella simbologia di molte antiche tradizioni, se nell’esoterismo, se nelle intuizioni dei mistici, si dica che il serpente ha anche degli aspetti positivi, perfino terapeutici. In quei casi, si pensa, non si sta certo parlando del serpente del giardino dell’Eden. Portata allo stretto, la religione giudaico-cristiana si trova sempre vicina al pericolo di ricadere in una visione di totale dualismo, identificando nel serpente una specie di “anti-Dio”.
Qui c’è la più importante delle parti mancanti. Il serpente è la più sconosciuta delle variabili dell’equazione generale. Il suo ruolo, la sua identità, sono totalmente relegati in quella zona che nella terminologia junghiana si chiama “ombra”: il male e le mancanze così gravi che una persona non sarebbe mai disposta a riconoscerle in se stesso, bensì le proietta sempre e soltanto sugli altri.
Il suggerimento che presenteremo in queste righe è che il ruolo del serpente vada rivalutato. Attribuendo all’asse dei quattro personaggi chiave Dio-Adamo-Eva-Serpente una scala decrescente dal Bene assoluto di Dio al male assoluto del serpente, non si farebbe che dimostrare il trionfo del frutto dell’albero della conoscenza, il cui inganno sta proprio nel portare il bene sempre da una parte sola, e lasciare il male dall’altra.
Ripetiamo questa osservazione fondamentale: un’etica e un insegnamento religioso basato sull’inequivocabile differenza, distanza, inconciliabilità del bene e del male, sono per sempre relegati nell’ambito proprio di quanto condannano ed aborriscono: l’albero della conoscenza del bene e del male.


Ci sono due alberi nel racconto, o meglio, ce ne sono tanti, ma solo due di essi svolgono un ruolo primario: l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Del primo si dice: “e l’albero della vita nel mezzo del giardino..” (Genesi 2, 9).
Cioè si specifica dove si trovava. Nello stesso verso si nomina anche il secondo ma semplicemente col suo nome: “e l’albero della conoscenza del bene e del male”.
Dell’albero della conoscenza si riparla in seguito, specificando meglio la sua collocazione: “del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino” (Genesi 3, 3)
Viene da pensare che si trattasse dello stesso albero, se occupavano la stessa collocazione spaziale.


Parliamo brevemente dei due alberi, la quinta e la sesta incognita nell’equazione base.

L’Albero della Vita è ampiamente descritto nella Qabalah. Sebbene, in teoria esso sia tenuto lontano dalla portata degli esseri umani, custodito dai due Cherubini dalla spada fiammeggiante (Gen. 3, 24), con la rivelazione della Torà, Dio lo riporta nel panorama quotidiano, lo rende accessibile. Praticando le vie della Torà, uomini e donne recuperano, in misura variabile, i privilegi e il benessere nei quali e per i quali Adamo ed Eva erano stati creati. La Torà è chiamata “etz chaim”, “albero della vita”.
C’è da osservare tuttavia che, parallelamente ai due alberi, esistono due Torà: quella della conoscenza del bene e del male e quella della vita. La prima si nutre delle sole interpretazioni letterali ed etiche. Essa altro non è che una lunga e dettagliata serie di permessi e di proibizioni, del come compiere gli uni e del come allontanarsi dalle altre. La seconda, la Torà della vita, grazie al contatto con la parte nascosta, cabalistica, del testo biblico, cerca il sollevarsi al livello dell’esperienza mistica, la sola capace di unificare gli opposti, e di trasformare in modo permanente, la realtà contingente.
 

Nella Qabalah, l’Albero della Vita viene riccamente descritto ed insegnato come l’unione organica ed interattiva di dieci componenti, che sono le dieci potenzialità dell’anima umana, nel suo essere immagine e somiglianza dell’anima divina. Su questo argomento tanto è già stato scritto e pubblicato dalla nostra scuola e da molti altri insegnanti. Aggiungeremo che, negli ultimi anni, diventa sempre più chiaro come nell’Albero della Vita vi sia un’undicesima componente, la misteriosa Da’at, Conoscenza. La sua presenza è volta a rendere possibile l’integrazione tra le prime dieci. Da’at è in realtà l’unica colla, la fonte dei gluoni (si direbbe in termini di fisica quantistica) che permettono l’unificazione reale, tangibile, operativa, di tutte le altre Sephiroth.


L’albero della conoscenza, scelto da Adamo ed Eva, è la comprensione di se stessi e della realtà nella quale si vive, tramite un’irrefrenabile corsa alla sua separazione in pezzettini sempre più piccoli. Confrontandoli, mettendo in evidenza similitudini, ma soprattutto differenze, l’albero delle conoscenza permette un impadronirsi dei meccanismi funzionali dell’esistenza umana e terrena. Avendone la comprensione, l’uomo e la donna si garantiscono la sopravvivenza. Anche una certa evoluzione è possibile, come si vede negli ultimi secoli. L’accumulo di conoscenza scientifica, tecnica, umanistica, ha permesso grandi balzi in avanti nel controllo dell’ambiente e delle risorse. Tipico, però dell’albero della conoscenza, è il rimanere eternamente in uno stato dualistico, o ancor più frazionato di quello iniziale. Ogni conquista e passo in avanti del progresso, costano una perdita, una sconfitta, una lesione, da qualche altra parte. Non importa come e cosa si faccia, ci sono sempre delle scorie più o meno evidenti, più o meno ingombranti, che si accumulano, e alla fine, mettono a repentaglio i vantaggi ottenuti in altri campi.
Ciò e valido in tutti i settori. Anche la spiritualità, la religione, perfino gli insegnamenti esoterici tradizionali, risentono in modo spesso non correggibile, dell’influenza dualistica bene-male, con il continuo bisogno di svalutare o condannare una parte del tutto, nel tentativo di elevare o santificare o rendere preferibile, l’altra parte. Questo è un meccanismo che va superato. Ci si trova davanti al paradosso di chi condanna l’albero della conoscenza, additandolo come la fonte di ogni male, mentre in realtà ne usa i parametri e i metri di giudizio quotidianamente.
 

Lo studio attento dei primi tre capitoli del Genesi, rivela come entrambi gli alberi siano “nel mezzo del giardino”. Secondo la Qabalah si tratta, in realtà, di uno stesso ed unico albero. Ciò che cambia, sono i modi di vivere, di esperimentare, e di correlare l’insieme delle loro dieci o undici componenti.


Ci rivolgiamo ora al compito di proporre una ridistribuzione di bene e male lungo tutto l’asse dei 4 + 2 partecipanti alla grande equazione “Giardino dell’Eden”.

Ci guiderà in ciò il principio dell’interinclusione, secondo il quale l’unificazione tra degli opposti, è possibile solo quando in ognuno di essi si scopre un po’ dell’altro. Iniziamo dal meno noto, dal serpente.
In Isaia, 27,1 si parla dell’esistenza di due serpenti:
 

“Il serpente diritto e il serpente piegato”
“nachash bariach ve nachash aqalaton”
 

Nel contesto letterale del verso, essi sono due aspetti di un unico malvagio mostro marino, dal nome “Liviatan” (il Leviatano), destinato a venire distrutto da Dio al momento della resa dei conti finale. Ma da sempre la Qabalah fa propria la libertà interpretativa di leggere significati diversi nei versi biblici, a volte perfino capovolgendoli. Ed ecco che il serpente diritto ed il serpente curvo diventano due aspetti di un’unica forza motrice divina, presente in tutto l’universo, sia macrocosmico che microcosmico. È la vitalità universale ancora nella sua forma bruta, non abbastanza differenziata. È una somma di potenzialità in parte già operative, in parte potenzialmente presenti ma non ancora attive. È un enorme serbatoio cosmico di capacità, di risorse, di conoscenza. A detta dei maestri di Qabalah, un tale serpente appartiene alla Santità, ed è essenziale non solo per il presente corretto funzionamento dell’universo, ma anche per la sua futura rettificazione.

Si guardi il grafico. Il serpente diritto è nel mezzo dei due semicerchi, che nel loro insieme sono il serpente piegato. Si potrebbe comprendere ciò in modo psicologico. La parte diritta è il conscio dell’essere umano. Quella parte conscia che ci dà la misura dell’essere diversi e distinti dagli altri individui. Essa ha una più o meno marcata dimestichezza con le proprie risorse. Le sono chiari sia i punti di partenza che quelli di arrivo. La parte retta segue delle direttive, dei principi, si attiene a delle etiche. Non ammetterebbe mai di essere malvagia o perversa. Il suo motore evolutivo fondamentale è il raziocinio, applicato ai campi più disparati. Sa di avere poteri limitati, di avere un principio ed una fine.
Il semicerchio a destra raffigura l’inconscio legato a piaceri e soddisfazioni. È il luogo degli amori, delle passioni, intese come occasioni per trarre godimento e soddisfazione. Potrebbero essere gli svaghi, oppure le gioie delle famiglia, giochi ed avventure. È una via non diritta, non facilmente integrabile con quella centrale, che cerca sempre di avere il predominio. Nella parte circolare c’è molto inconscio. La personalità, nelle sue scelte, è motivata da meccanismi creatisi in seguito a traumi, ad esperienze lontane, anche piacevoli, le famose fasi orali o altro, parti della propria educazione ormai dimenticate. A destra ci sono anche le passioni intense, al limite del concesso, del lecito. Ma solo fino al limite. La parte circolare destra risente molto più del controllo della parte rettilinea, di quanto non faccia la sua controparte a sinistra.


A sinistra c’è il semicerchio di quella zona dell’inconscio dove si raccolgono tutte le componenti di più difficile gestione. Quest’area si attiva nei momenti di rabbia, quando la personalità abbandona la prevedibilità e la dirittura del centro, per lasciarsi andare a drammatiche scene di irascibilità, grida e minacce. Oppure, essa domina la personalità nei periodi di tristezza cronica, di depressione. La vediamo in opera anche quando le paure sopraffanno l’individuo, bloccandolo oppure agitandolo ad una iper-attività compulsiva e psicotica. La parte sinistra del serpente è veramente la più difficile da gestire. Essa è la sede dei blocchi causati da paure ataviche, dalle repressioni subite da bambini, dai sensi di colpa, dal dolore delle punizioni ricevute per gli errori e le trasgressioni fatte. Tutto ciò si sposta volentieri, quasi travasa, nella parte circolare destra, cambiando polarità. Per un comprensibile bisogno di compensazione, una paura o un qualcosa che è stato troppo represso dalle proibizioni, diventa improvvisamente uno degli stati desiderati e ricercati, potenzialmente capaci di dare enormi dosi di piacere. A sinistra risiede, in particolare, la tendenza trasgressiva dell’individuo, la sua inclinazione verso atti ed azioni del tutto fuori dalle regole morali. Quando questa parte prende il sopravvento, perfino il segmento centrale si mette a sua disposizione, cessando di avere un ruolo critico, e passando ad un ruolo di un avvocato difensore, che trova ogni possibile cavillo ed interpretazione per avallare le scelte della personalità, anche se errate.
L’equilibrio tra le tre componenti suddette è oltremodo difficile. Il travaso destra-sinistra e viceversa, dovrebbe essere controllato, diretto, modulato, dalla parte centrale, rettilinea. Ma ciò non sempre è possibile, anzi, è la situazione tutto sommato, meno probabile.
 

La personalità individuale emerge da tutte queste interazioni, nella sua complessità, contraddittorietà, nella sua inconoscibilità variegata. Il serpente è l’anima vitale umana, nei suoi stati inferiori. L’essenza della struttura fisica umana è la colonna vertebrale, lo sviluppo e la crescita di un tenue filamento già presente nello spermatozoo che aveva fecondato l’ovulo. Nel contempo, nella parte circolare del serpente, hanno sede anche i grandi archetipi individuali e collettivi: il Padre celeste, la Grande madre, la figura dell’anima gemella, l’eroe, il principe, la regina e la principessa, per citarne alcuni.


In un individuo poco consapevole, tutti questi vettori dell’anima si compensano a vicenda, e la risultante della loro sommatoria è una forza trascurabile. In tal caso, piuttosto che essere guidato da principi superiori, l’individuo in questione agirà sospinto dalle fluttuazioni casuali dei campi delle opinioni degli altri. Ma in determinati periodi ed occasioni della vita, uno o più di quegli archetipi emergono, e forniscono alla personalità una incredibile energia di funzionamento. L’individuo si trasforma, cambia stile e modo di comportamento, può iniziare ad agire seguendo principi altamente creativi e geniali. In conclusione, i tesori riposti nel serpente, pur con la loro patina pericolosa, perfino velenosa, sono di fondamentale importanza per il vivere umano.


Ritorniamo al testo biblico. I midrashim narrano che nel giardino dell’Eden Adamo ed Eva avevano un aspetto super umano, quasi fantascientifico. Erano altissimi, coi corpi ricoperti da una pelle luminescente. Le loro voci erano più soavi di quelle degli angeli. Anche il serpente, prima della caduta, non era di meno, era paragonabile al quello che oggi potrebbe venir definito come un uomo bellissimo, di straordinarie fattezze, dotato di una intelligenza acuta, superiore perfino a quella di Adamo ed Eva. Fu solo dopo il “peccato” che, come punizione, al serpente venne cambiato l’aspetto, amputati gli arti, e venne ridotto più o meno alla figura fisica dell’animale che conosciamo con quel nome.
Anche Adamo ed Eva subirono una grave riduzione, e si ritrovarono praticamente ad occupare fisicamente quello che era stato il corpo del serpente prima del peccato. Questa bellezza sarebbe però stata destinata a decrescere, a ridursi, col passare delle generazioni successive.
Vedremo in seguito i dettagli delle varie pene e punizioni inflitte.

Ora introduciamo un concetto base, l’identità numerica tra il valore ebraico della parola nachash, serpente, e mashiach, Messia, 358.
È da sempre una delle identità numeriche (ghematrie) più problematiche di tutta la Qabalah, spesso citata dai detrattori di quest’ultima.

 

Essi infatti dicono: “cosa volete dimostrare con tutte queste analogie numeriche? Volete forse dire che il serpente è il Messia?” La logica affermerebbe invece che si tratta di due figure opposte, e che sia proprio il Messia il personaggio che deve venire a rettificare gli errori originati con serpente, passati poi ad Adamo ed Eva. Questa è la logica, ma la logica è anch’essa un solo aspetto del complesso “serpente”, la sua parte centrale rettilinea.. la logica non è che un semplice frutto dell’albero della conoscenza. La realtà nuda e cruda è che senza la collaborazione del serpente, il Messia non potrà mai rivelare al mondo le vie per riportare l’Albero della Vita tra le possibili scelte ed opzioni dell’essere umano.
 

Da sempre il serpente è lo schermo preferito sul quale proiettare le ombre negative dell’esistenza. Su di esso vengono buttate tutte le parti non riconoscibili e non accettabili della propria personalità. Il cattivo, il tentatore.. ma cosa voleva veramente: solo rovinare Adamo ed Eva? Ma da dove veniva una tale creatura così malvagia in un luogo così perfetto come il giardino?
La risposta è una sola: anche il serpente era agli inizi una creatura meravigliosa, per nulla malvagio. Era un angelo in missione. La missione gli era stata affidata da Dio stesso, e consisteva nel mettere alla prova le due nuove creature di Dio, Adamo ed Eva, che dovevano ricevere l’iniziazione alla libertà e alla indipendenza delle proprie scelte. Dovevano iniziare la via verso il raggiungimento della Consapevolezza universale. Pur nella loro risplendente perfezione, Adamo ed Eva erano come due infanti, quasi due automi, due creature meravigliose ma che avevano ricevuto tutto ciò che possedevano come semplice dono. C’è un concetto in Qabalah di “pane della vergogna”. In breve, esso afferma che cibarsi e nutrirsi di un qualcosa che non si è meritato, o per il quale non si ha lavorato in nessun modo, è fondamentalmente negativo, e lascia in coloro che se ne cibano, un senso di vergogna. É importante comprendere questo concetto: la vergogna che coglie Adamo ed Eva dopo il frutto proibito, e che li costringe a nascondersi, era già presente in loro, come tangibile potenzialità, già ben prima del peccato, e non ne è la sua conseguenza diretta.
 

Adamo ed Eva avevano un compito importantissimo da svolgere. Intorno a loro, oltre ai confini del Giardino, c’erano le rovine delle prime creazioni, c’erano milioni di anime, di persone, in pena.. le creature dell’Olam ha Tohu, dei primi mondi costruiti da Dio e poi distrutti, nel segreto del “fabbricava mondi e li distruggeva”.
 

Quei mondi, e le persone che vi dimoravano, aspettavano la redenzione, l’attendevano con una urgenza disperata, volevano qualcuno che insegnasse loro come uscire dalla relatività dell’eterno ripetersi del ciclo creazione-distruzione. Adamo ed Eva avrebbero dovuto essere i Messia, lui il Figlio di Davide, lei il Figlio di Yosef. Per fare ciò dovevano attivare in modo autonomo, liberamente scelto, le loro enormi e perfette potenzialità. Il serpente era un angelo in missione, rappresentava le anime del mondo del Caos, tutte le loro esigenze, il problema esistenziale di chi sa così tanto della vita e del mondo, ma che tutto ciò non gli serve per essere felice.
 

C’era un modo, difficile, improbabile, nel quale Adamo ed Eva avrebbero potuto svolgere il loro compito tramite la via della gioia e della felicità. Lo tentarono. Il serpente era l’angelo divino che era venuto a dare loro l’iniziazione necessaria. Gli angeli sono creature molto speciali, pur avendo un’esistenza in qualche modo separata da quella di Dio, sono sempre connessi con la Sua volontà. Per fare un esempio tratto dal mondo spiegato oggi dalla fisica, gli angeli vivono in uno stato di consapevolezza da “campo del punto zero”. Pur non avendo nulla in se, il “campo zero” è il più alto stato energetico noto: un insieme di innumerevoli coppie elettrone-positrone, che si manifestano per brevissimi intervalli di tempo, ordini di grandezza vicini al tempo di Planck (circa 10 alla -44 secondi), si scontrano per annichilarsi in un fotone anch’esso destinato a restare solo pochi istanti infinitesimali. Simbolicamente, è una condizione di parità simmetrica materia-antimateria, tutta immersa nella luce. Ecco perché gli angeli, creature di luce, possono agire nel mondo fisico senza necessariamente farne parte.
 

Il serpente arrivò nel giardino per ricordare ad Adamo e a Eva il compito per il quale erano stati creati. Preso da dinamiche molto imprevedibili, avvenute altre volte in incontri ravvicinati tra essere umani ed angeli, il serpente usci dalla consapevolezza del campo del punto zero. Acquistò un ego ed una consapevolezza separata. Vide Eva e se ne innamorò. Il serpente conobbe Eva, che ebbe una reazione positiva al suo approccio. Pur non essendo deducibile da qualche immediato dettaglio del testo, c’è chi dice che Eva permise all’amore del serpente di entrare in lei, e che nessuno sa quanto veramente in profondità esso sia penetrato. E non si pensi ad una passione fisica, come apparentemente indicato dai midrashim.. era un amore totale, quale quello provato dal re Davide per Batsheva, la prima volta che la vide. Un amore travolgente e sconvolgente. Era l’amore di chi ha sempre cercato la perfezione e se la trova davanti per la prima volta. Il serpente non voleva il male di Eva, voleva corteggiarla offrendole il più bello ed importante dei doni che egli possedeva: la Conoscenza. E lo fece.
Ed Eva conobbe... la conoscenza è tutta la storia dell’umanità. Dagli inizi alla fine. Il viaggio è quello dalla conoscenza separatrice a quella unificatrice. Il primo stato di unione di Adamo ed Eva in Paradiso era simile a quello di due feti, ancora contenuti nel grembo materno, perfettamente protetti e nutriti. Il passaggio era inevitabile il distacco, la nascita.. la discesa.. il confronto con l’imperfetto, tutti i problemi che ciò causa. Ma la medicina è una ed una sola.. il passaggio dalla conoscenza separatrice a quella unificatrice.. ed è quanto sta avvenendo oggi in termini di umanità complessiva.


Il resto del racconto degli eventi del Giardino è una serie successiva di errori, che si amplificarono vicendevolmente, fino a travolgere tutti, ripetiamo, tutti, i personaggi del racconto. Tra gli aspetti più deprimenti c’è l’estrema poca fiducia che Adamo aveva mostrato per Eva fin dagli inizi. Al comandamento di Dio: “non ti ciberai dell’albero della conoscenza.. ” (Gen. 2, 17)

Adamo, in seguito aveva aggiunto ad Eva anche la proibizione di toccare l’albero stesso. Adamo fu il primo di una lunga serie di personaggi di spicco del mondo etico e moralistico, che concepiscono precetti da venire aggiunti a quelli già esistenti, onde, in teoria, rendere più difficile il cadere in errori e peccati.
 

Come ampiamente narrato da tutti i Midrashim, il serpente si appoggiò proprio su quel precetto in più, aggiunto da Adamo. Chiese ad Eva quale fosse la situazione nei confronti del cibarsi degli alberi. Lei, fedelmente, rispose "del frutto dell’albero che è nel mezzo del giardino, Dio ha detto: non ne mangerete e non lo toccherete”  (Gen 3, 3).


Il “non ne toccherete” era farina del sacco di Adamo. Siamo ancora prima del gesto fatale. Come mai Adamo già non si fida della donna, al punto di metterle delle regole in più, di propria iniziativa?
I midrashim unanimi raccontano che il serpente spinse Eva contro l’albero proibito, questa lo toccò, e vide che non succedeva nulla, e così lei ne trasse la conclusione che anche mangiarne non sarebbe stato così disastroso. Nonostante quel primo gravissimo fallimento della tecnica dell’aggiungere regole alle regole, tutt’oggi è la pratica dominante negli ambienti religiosi ortodossi dell’ebraismo, ignorando un principio che afferma chiaramente: “colui che aggiunge è come se togliesse” (kol ha mossif gorea). É pur vero che esiste un precetto di “farai una siepe alla Torà”, e “colui che aggiunge è lodevole”, ma è ignoto dove vi sia una specularità tra quei poli, o a che punto si sia rotta la super-simmetria che sicuramente esisteva tra di loro agli inizi.


Ma il punto non è questo, ma sta piuttosto nella infelice reazione degli esseri umani agli effetti della conoscenza appena acquisita. E non si pensi che fossero reazioni automatiche. Più passava il tempo più cresceva in Adamo ed Eva la libertà di scelta. Il pudore, il sentirsi nudi, il nascondersi, reazioni sane e comprensibili, si direbbe. Bene, può darsi. Tuttavia furono automatismi e non guidati dall’utilizzo dei nuovi acquisiti poteri, poteri e capacità che certamente non erano presenti quando iniziò la catena dello scaricabarile: “La donna che mi hai dato ella me ne ha dato.. “Il serpente mi ha ingannata…”


La caduta e lo slittamento sono totali. Il serpente viene punito con l’opposto di ciò che desiderava di più: invece dell’amore, tra lui ed Eva ora ci sarà sempre e soltanto l’inimicizia, “eivà”, l’odio (cap. 3 verso 15). Eva viene punita con i travagli del parto e con il dover sottostare al marito. Adamo? Dovrà lavorare duramente. Perfino la terra riesce in qualche modo a meritarsi una maledizione: “maledetta sia la terra per colpa tua..” (Gen 3, 17).


E Dio? Che figura ci fa Dio in tutto ciò? I primi due capitoli del Genesi lo vedono nel ruolo glorioso del Creatore, del Saggio Architetto che ordina l’intera creazione, fino al Suo capolavoro, fino ad Adamo. Fino alla domanda che pone ad Adamo: “Dove sei?” domanda magistrale, che ognuno di noi dovrebbe farsi ogni momento, Dio è il Saggio e il Maestro a tutti gli effetti. E poi? A quanto pare gli effetti del frutto proibito si fanno sentire anche sulla Sua immagine. Di colpo Egli diventa giudice e castigatore. Ci siamo troppo abituati a quegli aspetti della realtà, non ce la possiamo nemmeno immaginare priva: giudizi e condanne. Giudizi e condanne di ogni tipo hanno continuato a colpire l’umanità, colpevole o innocente, non fa differenza, ininterrottamente, da allora a oggi.
 

Ma domandiamoci se ciò sia inevitabile: non è piuttosto una sola versione delle possibilità? Non è forse il continuare la catena di errori iniziata da Adamo ed Eva che tremano impauriti? Non c’è forse nell’albero della conoscenza anche il bene? Non c’è forse in esso un’altra possibilità, un’altra opzione attivabile dalla benedetta, ormai acquisita, libertà di scelta?
 

É forse a caso che il valore numerico di nachash-serpente sia lo stesso di mashiach-messia? 358.. senza per ora entrare nella ricchissima simbologia di questo numero, fondamento di tutta la Qabalah.. il doppio otto, il raddoppio dell’Infinito verticale…
Anche il Dio degli eventi del giardino e decaduto nel suo ruolo. È diventato severo, cattivo! Ma che serie di punizioni! Inappellabili per di più. Che processo fu mai? Dov’era una avvocato difensore? Dov’era la possibilità di invocare grazia?
 

Ci si metta, per così dire, nei panni di Dio, la sera, dopo la cacciata. Solo, perfetto, riflette sugli eventi. Il giardino è vuoto, i suoi due capolavori, Adamo ed Eva, siedono nell’oscurità più fitta, interna ed esterna, al limite della depressione totale. Il serpente, il Suo emissario, si sta rotolando nella polvere, cercando di guarire le ferite che gli rimangono al posto degli arti, ormai amputati. Forse sogna l’amore che ha avuto per pochi istanti, e poi gli è stato cambiato in odio.
Ci si sentirebbe soddisfatti di tutto ciò? Ci si auto congratulerebbe? Bel finale, vero? E gli applausi? Chi glieli fa gli applausi: Adamo, che nel frattempo si è anche allontanato da Eva, il primo divorzio della storia? Eva, che forse sta usando le mani per asciugarsi le lacrime? O il serpente che le mani non le ha più?
 

È ovvio che l’equazione iniziale non è risolta. È evidente che qualche calcolo non ha funzionato, e che il male non è rimasto confinato ai “cattivi”. A questo punto sembrano tutti cattivi e malvagi! O terribilmente severi.. E il bene? Non doveva esserci anche del bene nel frutto della conoscenza? Se si, diventa chiaro che non lo si può limitare a solo uno o due dei sei partecipanti al dramma che si svolge nel Giardino. La scelta diventa l’estenderlo il più possibile, oltre l’immaginario, fino ad abbracciarli tutti. Se Adamo fa coppia con Eva, l’Albero della Vita la fa con quello della Conoscenza (Da’at è a tutti gli effetti una delle sue Sephiroth), con chi fa coppia Dio? Ovvio, col Messia, il 358.
Ci avviamo alla conclusione di queste lunghe riflessioni. Non volevamo promuovere una nuova via, una rivoluzionaria medicina agli eventi dell’Eden. Semplicemente, ci premeva portare in evidenza i suoi profondi, nascosti e dimenticati aspetti, insieme al bisogno di cambiare la percezione e la lettura che solitamente ne vengono dati.


Ora vorremmo proporre una applicazione di un famoso insegnamento della Qabalah, riguardante le due Luci che scorrono lungo l’Albero della Vita:
 

la Luce diretta (Or Yashar) e la Luce ritornante (Or Chozer)
 

La Luce diretta ha origine nell’Infinito, scende da un gradino all’altro, attraversa tutte le Sephiroth, le riempie e le nutre, fino ad arrivare a Malcouth, il Regno, la più bassa. Questa è la sua ultima stazione.
Da qui inizia un nuovo tipo di luce, quella Ritornante. È tutta in ascesa. Essa non è un semplice riflettersi della prima luce, una specie di sua immagine speculare, ma è di natura profondamente diversa. Pur se inferiore, pur se parte dal basso, è oltremodo importante all’economia di tutto il creato. Nel suo salire, essa interagisce con quella discendente. Le due Luci si accoppiano e si intrecciano in vari modi, ed è da ciò che nascono le Sephiroth, i frutti dell’Albero. Non le si pensi come due fenomeni consecutivi, prima l’uno e poi l’altro. Forse si, ma solo se immaginati in una dimensione dove il tempo è un vettore irreversibile. In dimensioni più profonde dell’Essere, queste due Luci sono simultanee, anche se decisamente la seconda è parte di ciò che la prima genera e crea.
Da un punto di vista più fisico, la Luce ritornante è il canto di bellezza emesso dal creato e da tutte le creature. Ogni movimento, animato o inanimato, ogni respiro, ogni sorriso, ogni colore, onda, particella, pianeta e galassia, sono la fonte di note e di armoniche, che si aggiungono l’un l’altra nella più strabiliante e complessa delle sinfonie possibili. Gli esseri umani ne sono la parte principale, poiché con il libero arbitrio scelgono che tipo di note aggiungere, quali melodie sovrapporre.
Dolore, piacere.. accettazione, rifiuto.. comprensione, ignoranza.. amore, indifferenza..
Pur essendo tra le più piccole e meno numerose delle creature, gli esseri umani stabiliscono la qualità complessiva della Luce Ritornante, fino a che livello essa arrivi, in che grado di intimità si unisca alla Luce diretta, ecc.
 

L’argomento è vasto e complesso. In breve, ricordiamo qui un detto della Qabalah, secondo il quale la Luce Ritornante non solo arriva fino al luogo dove ha avuto origine la Luce Diretta, ma entra più in profondità dei recessi del Divino superno, che ha generato la Luce Diretta. Meglio, si dice che arrivi più in alto ancora. La Luce Diretta è l’origine delle Luci che riempiono le Sephiroth, cioè i vari gradi dell’Essere. La Luce Ritornante è l’origine dei Recipienti, cioè di quello che permette alle Luci di venire contenute e rivelate. L’espressione cabalistica esatta è:
 

“la sorgente dei Recipienti (Kelim) è superiore alla radice delle Luci (Orot).”
 

Applicando queste osservazioni di base alle riflessioni sui personaggi degli eventi del Giardino: il rapporto Dio-Uomo inizia quando questi gli soffia nelle narici la nishmat chaim, l’anima della vita. Poi, se i lettori ci concedono la descrizione fatta, a misura umana, dell’enorme riduzione avvenuta dopo il delitto e il castigo, anche il Creatore appare provato, diminuito, dagli eventi.

Sovente, nella Bibbia, Egli assume il ruolo di Colui che si offende, si arrabbia, si vendica, maledice. É ormai arrivato il turno di Adamo di soffiare un po’ di vita nelle Sue narici. Quante volte nel corso della storia ciò è stato fatto dai grandi e dai piccoli! Si pensi solo al santo Ba’al Shem Tov, e alla sua gioiosa e mistica re-interpretazione dell’Ebraismo, inteso come sistema di vita e di fede quotidiana per milioni di Ebrei. Un esempio tra i molti.

Certo, ognuno di noi, adesso, in questo momento, nei suoi prossimi momenti, può sentire questa urgenza. A livello del piano evolutivo cosmico, siamo in piena fase di Luce Ritornante.

È arrivata la nostra occasione di restituire a Dio vitalità, freschezza, anima, significato, pace, serenità, perdono…
 

E il respiro di ritorno è un soffio, e l’origine del soffio è nel serpente che “fischia” verso il tallone di Eva..


... Sia chiaro ed inequivocabile: secondo la Qabalah, l’essenza della Divinità è una sommatoria vettoriale di molteplici Espressioni, chiamate in ebraico “Partzuphim”, che si estendono lungo tutti i livelli del creato e dell’increato, senza soluzione di continuità. L’Unità di Dio non è affatto minacciata né tanto meno negata dalla presenza in Lui di queste varie componenti. L’assoluta Unità di Dio è contemporaneamente sia l’origine dei Partzuphim, che la loro risultante.
 

Le Espressioni Divine sono Sei:

  • la più remota ed inaccessibile delle quali, Atiq Yomin, l’Antico dei Giorni, com’è a volte chiamato, è del tutto rimosso dagli eventi della Creazione. L’Antico dei Giorni rimane immutabile ed inconoscibile, e non subisce influenze da qualsivoglia trasformazione in atto nel creato.

  • La seconda Espressione, Arikh Anpin (il Volto infinitamente lungo), è una onnipervadente presenza di coesione, che attraversa l’intero creato come se fosse una rete di fili sottilissimi, che cuce e tiene insieme le miriadi di creature. Anche questa componente non è modificabile o limitabile dal libero arbitrio umano, né dai destini lungo i quali si svolge la storia del cosmo. Essa è bensì la responsabile ultima della sopravvivenza del tutto. Il “Volto infinitamente lungo” è l’origine di ogni guarigione, fisica e spirituale, come dice il verso “Poiché io sono Dio, il tuo guaritore“.

  • Poi ci sono due Espressioni già più vicine: Abba e Ima, il Padre e la Madre. Esse rientrano già nelle descrizioni antropomorfiche che la Scrittura offre di Dio. Sono presenti in ogni esperienza religiosa o meno del vivere umano. Il loro stesso nome indica dei ruoli che gli uomini e le donne possono assumere nel corso della loro esistenza. Queste due Entità Divine sono già nel regno antropomorfico, e la loro comprensione varia a seconda degli individui e delle culture. Di conseguenza, anche l’efficacia del loro intervento divino è diversa, e può venire percepita in modo più o meno forte, avendo così un effetto più o meno marcato sulla storia dell’individuo e della collettività. Abba e Ima, Padre e Madre, sono componenti della Divinità che già, in piccola misura, variano e si trasformano a seconda del grado evolutivo umano. Fanno parte del mondo nel quale esistono l’autorità, la legge, il giudizio, il sostegno ma anche il rimprovero, l’aiuto ma anche la richiesta. Un mondo dove malattia, distacco, solitudine, l’abbandono, sono esperienze possibili, per quanto temute.

  • Per ultimo, ci sono le due Espressioni Divine chiamate: Figlio, o anche Zeir Anpin, “Volto in miniatura“, e la Nuqva, la Femmina. La costellazione di caratteristiche del Figlio è enormemente complessa. La maggioranza dei comportamenti e delle frasi che la Scrittura attribuisce a Dio fanno parte di questo archetipo. Esso si modifica nel tempo e nello spazio, e, soprattutto, a seconda dell’interpretazione e della lettura che gli uomini fanno di Esso. Zeir Anpin cresce e si ferma, può regredire. Si offende, è geloso, vendicativo, punitore, giudice severo. Contemporaneamente, Zeir Anpin è la sede dell’amore e della forza. Qui c’è l’amore tra gli esseri, l’amore che unisce uomo e donna, il loro afflatus romantico, i travagli che le relazioni umane si trovano ad attraversare. È compassione, perdono, speranza, visione, forza e sostegno. Insomma, è Lui il Dio della Bibbia.
    Nuqva, la Sua Femmina, è più misteriosa; è il suo aspetto nascosto, è il popolo, la comunità dei fedeli. È nascosta nella terra santa, o nei luoghi particolarmente cari alla vita religiosa. Essa è totalmente incarnata negli individui e nelle situazioni. All’opposto del polo più alto, Atiq Yomin, la Nuqva, la Femmina, è la più influenzabile tra le Potenze Divine, la più coinvolta con la storia della Creazione. Addirittura, Essa soffre le pene del Suo popolo, quando è esiliato (si veda il concetto dell’Esilio della Shekhinà). Peggio, Essa cade in preda ai malvagi, e presta, controvoglia, i suoi poteri divini al servizio degli idoli, alla realizzazioni di progetti tirannici e malvagi.
    Paradossalmente, tutto questa componente caduca e fragile coesiste e convive in simultanea col ruolo di felice controparte del Divino maschile, già unita a Lui, già godente dei piaceri della festa nuziale, già contemplante la perfezione assoluta dell’universo. Essa sembra separata solo all’incompleta capacità di visione e di interpretazione degli esseri umani.


Come ultima osservazione, mettiamo in guardia i lettori dall’immaginarsi l’insieme dei Partzuphim (Espressioni di Dio, o Ipostasi), come entità disposte in modo lineare, ad esempio, dall’alto al basso. Neppure una rappresentazione in tre dimensioni, tipo sfere concentriche od intersecantesi potrebbe bastare.

I sei Partzuphim potrebbero inizialmente essere associati alle sei facce di un cubo, ma solo come prima approssimazione. Un esempio geometrico più corretto potrebbe venire dall’ipercubo a quattro dimensioni, dotato di 24 facce, 32 lati e 16 vertici.. In altri termini, i Partzuphim sono realtà multi-dimensionali, tutte coesistenti anche nei piani inferiori della realtà, pur se in modo più o meno misterioso e rivelato. I due articoli precedenti si svolgevano intorno agli ultimi due livelli delle Espressioni divine: Il Volto in Miniatura e la Femmina, pur con la presenza invisibile degli altri quattro Partzuphim.
 

Ora, il Dio che compare ed agisce nel capito 3 del Genesi, pur essendo Uno con tutti i Suoi altri aspetti, assume delle caratteristiche decisamente grigie. Tali componenti si riveleranno in innumerevoli altri brani della Bibbia, laddove sono il giudizio, la condanna e la punizione, a costituire il pilastro portante dei racconti. Non in poche occasioni, questo aspetto del Divino decide di eliminare l’umanità dalla faccia della terra, o il popolo d’Israele. Non in poche occasioni Egli proferisce maledizioni terribili, Se esse fossero solo restate espressioni colorite, purtroppo invece si sono quasi tutte già manifestate varie volte nel corso della storia. Certo, in simultanea a ciò, ci sono sempre anche i Suoi lati del perdono, della misericordia, della vita, dell’amore, della compassione, della guarigione, dell’assoluzione, della cancellazione della colpa e del peccato. Ma nessuno potrebbe misurare quale dei due aspetti prevalga: il Destro, l’Amore, o il Sinistro, il Giudizio severo.

Questa indeterminazione è semplicemente il risultato del fatto che ogni individuo umano ha una differente soglia di dolore, o una sensibilità e reattività più o meno marcata alla pena, sia dell’anima che del corpo. Variano anche le memorie, che sono selettive.. Ed ecco che la stessa quantità di male può avere effetti disastrosi per gli uni, oppure rappresentare solo una sopportabile e temporanea prova d’iniziazione per gli altri.
 

Il punto fondamentale di quanto detto in precedenza, risiedeva nell’affermazione di quanto l’immagine di Dio che noi ci facciamo dipenda dai vissuti e dalle interpretazione da noi stessi date a tutto quello che succede.

La componente psicologica, l’auto-consapevolezza dell’individuo sono in continua crescita. I simboli del sacro, Dio compreso, che le Scritture, le Religioni e i loro maestri ed interpreti, trasmettono ed insegnano, ne devono tenere conto, devono rispettare tale evoluzione, anticiparla, guidarla, o come minimo, seguirla, se non vogliono perdere il contatto col genere umano.
 

Come detto, nella storia del Giardino hanno un ruolo attivo o distinto sei soli personaggi principali: Dio, Adamo, Eva, l’Albero della Vita, l’Albero della conoscenza, il Serpente. Essi sono riconducibili a tre coppie. Per esclusione, visto che Adamo ed Eva sono stati creati uomo e donna, l’uno per l’altro, e visto che i due alberi fanno anch’essi parte della stessa famiglia, rimane solo la possibilità di avvicinare Dio e il serpente. L’idea non è così eretica come sembra. Ad esempio, nella psicologia junghiana il fatto che il Divino, così com’è percepito dagli individui, presenti aspetti d’ombra e di imperfezione è un dato fondamentale e scontato. Se ti tiene conto che il Dio del quale si parla nel capitolo 3 del Genesi è una imperfetta commistione del Figlio e della Femmina, che risentono delle proiezioni umane, e visto che Adamo ed Eva leggono gli eventi di quel primo loro giorno di vita come un colossale fallimento, è evidente che anche l’immagine di Dio collegata a tutto ciò soffra di macroscopiche ed inaccettabili carenze. Si noti bene, non sottolineeremo mai abbastanza questo punto: tali carenze non sono solo il risultato della colpa di Adamo ed Eva!! Esse sono insite nello stesso mistero delle due Espressioni divine inferiori, il Figlio e la Femmina, ad immagine delle quali Adamo ed Eva sono stati creati. Una di queste carenze sta nel fatto che nell’analisi dei sei personaggi raggruppati in tre coppie, Dio si ritrova necessariamente associato al serpente, che nel racconto rappresenta il male stesso.

Della presenza della Femmina non ci sono tracce nel testo letterale di quei tre capitoli.
Non si tratta di una associazione arbitraria o eretica! Uno, abbiamo notato, il serpente era in origine un angelo, un “inviato” di Dio, arrivato lì appositamente per mettere alla prova Adamo ed Eva.

Nella sua opera magna di Qabalah, “Leshem, shvo ve’achlamah“, Rabbi Shlomo Elyashiv, basandosi sull’Arizal e sul Gaon di Vilna, afferma in sostanza che Adamo ed Eva non avevano nessuna possibilità di superare la prova della scelta tra i due alberi, dato che il serpente proveniva da livello chiamato Ima (Madre), mentre loro due erano solo nel piano di Figlio, Zeir Anpin. Era come se una coppia di studenti appena entrati al liceo fosse stata sottoposta ad un esame universitario.
 

L’altro grande elemento associativo tra Dio e il serpente, al quale si è accennato in precedenza, è l’identità numerica tra nachash, 358, e Mashiach, 358, tra “serpente” e “Messia”, che meriterebbe spiegazioni molto più ampie. Pur se soltanto indicata, essa mostra tuttavia una vicinanza tra i due personaggi suddetti.

Infatti, l’evento messianico, la trasformazione gloriosa di tutta la creazione, è un’opera di sommo intervento divino, e certamente richiede la partecipazione simmetrica di tutte le Personificazioni, o Ipostasi Divine.
Comunque la si rigiri, l’associazione Dio-serpente può e deve rimanere problematica. C’è un solo modo di liberare Dio da essa, rispettando la simmetria generale del racconto, ed evitando accuratamente di ricadere nelle descrizioni dualistiche. L’approccio dualistico, etico e moralistico, ha fallito il so compito interpretativo, in quanto confina tutto il male da una parte e tutto il bene dall’altra, con poche e confuse gradazioni intermedie, sempre comunque riconducibili all’uno o all’altro dei due poli. Ripetiamo senza stancarci: un tale dualismo è la tomba della capacità evolutiva di una religione, forse dell’intera umanità. È il peggiore di tutti i possibili stalli energetici. È il risultato più diretto ed evidente del frutto dell’albero della conoscenza, divorato in quantità industriali mentre si è convinti che ci si sta alimentando del frutto dell’albero della vita. La classica lettura, il Dio buono da una parte, e il serpente cattivo dall’altra, con alberi ed esseri umani oscillanti da una parte all’altra dei poli estremi, è il risultato più clamoroso del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male! Chiunque la ritenga indiscutibile sia almeno onesto nel dichiararsi affetto da quel frutto, e non dichiari di stare già cibandosi del solo frutto dell’albero della vita. Sia chiaro, la lettura etica classica non è sbagliata, ma è lineare ed incompleta, provvisoria, e richiede un grande cammino evolutivo, simbolicamente connesso con il digerire il frutto famoso, ormai comunque mangiato da Eva e da Adamo a nome di tutta l’umanità.
 

L’albero della conoscenza non è così velenoso, visto che contiene anche il bene, ma il problema vero è quando lo si confonde con l’Albero della Vita, qualcosa di straordinariamente diverso, di totalmente integrato. Non ci sono più conflitti nell’Albero della Vita, solo polarità generatrici di diverse gamme energetiche.. solo uno scambio ritmico ed armonico di ruoli e di attributi, senza confusioni, senza sopraffazioni.
 

C’è un solo modo per riportare il Dio che parla ed agisce nel capito 3 del Genesi al Suo ruolo felice, saggio, compassionevole: quello di inserire un settimo personaggio, che faccia coppia col serpente. In tal modo, le tre coppie create si perfezionano vicendevolmente, e Dio è il settimo, libero di mostrare in una dimensione parallela la perfezione del Settimo giorno, il Shabbat, nel quale Egli è perfettamente riconciliato ed unito con la Shekhinà.

Nel linguaggio cabalistico precedentemente utilizzato, significa dire di un Zeir Anpin, il Volto in Miniatura, che si unisce indissolubilmente alla Nuqva, alla femmina.
 

Ma chi è allora questo settimo personaggio? E qui facciamo un’ipotesi, l’ipotesi centrale di questo elaborato. Il settimo personaggio è la serpentessa.!
 

Sebbene non se ne parli in modo esplicito, sappiamo per certo dal midrash che: “Dio disse ad Israele: Tutto ciò che ho creato l’ho creato a coppie: cielo e terra, sole e luna, Adamo ed Eva, questo mondo e quello a venire”. Questo midrash si basa su di un verso del Qoelet: “ze l’umat zeh assa ha Elohim”, “questo parallelo a quello ha fatto Dio“. Perfino il Leviatano, il mostro marino, la cui pericolosità può considerarsi sicuramente superiore a quella del serpente, aveva una leviatanessa. Secondo i midrashim, il Leviatano era così vorace che avrebbe potuto divorarsi il mondo intero
Al di là di una sua ipotetica realtà fisica, possiamo interpretare la serpentessa come la parte nascosta, interiore, del serpente. Con il non essere ancora abbastanza consapevole del proprio femminile, il serpente proiettò ogni suo desiderò all’esterno, e si innamorò di Eva. Uscì dalla semplice e pura consapevolezza della sua missione, e rese il test più severo di quanto non avrebbe già dovuto essere. Ci mise del suo ego. Ciò gli si rifletté contro quando rimase punito con l’odio eterno tra lui ed Eva, esteso ad ogni essere umano. Ma se il serpente identifica ed assimila la sua parte femminile, meglio, se si unifica con essa, l’esempio che potrà dare ad Adamo ed Eva sarà totalmente diverso.
 

È importante non confondere la serpentessa con Lilith. Lilith, come narrano i midrashim, era una donna in carne ed ossa, creata subito dopo Adamo, creata dalla polvere, come lo stesso Adamo. Tutto ciò avveniva prima della creazione di Eva. Lilith fu la prima moglie di Adamo, e voleva piena eguaglianza col marito, dato che era stata creata dallo stesso elemento e nello stesso modo. Ben presto la prima coppia incontrò dei problemi, e così dicono i midrash, Lilith lasciò Adamo. Solo nel corso del tempo, dopo essersi isolata vicino al Mar Rosso, essa divenne un demone e iniziò a generarne legioni su legioni. Preghiamo inoltre i lettori di sospendere l’automatismo col quale Lilith è dai molti subito associata al peggiore dei mali.

Proprio per mostrare la relatività di tali opinioni, in alcuni aspetti della cultura moderna Lilith è invece diventata l’esempio della donna libera ed indipendente, che non sottostà più alle imposizione dei maschi. Un esempio da proporre e da seguire. Cercare chi abbia ragione e chi torto, è parte del dualismo che vorremmo proprio evitare. Inoltre, questo scritto non vuole occuparsi della figura della Lilith.
 

A questo punto delle nostre ricerche, quella che presentiamo sulla serpentessa è solo un’ipotesi. Ma se la serpentessa esiste, e non è solo male, come neppure lo è il suo compagno, il serpente, allora nel corso del tempo essi imparano a costruire un’armonia di coppia sufficiente a sostenere una dinamica da Albero della Vita e non da Albero della Conoscenza. Ricordiamo ancora una volta che la differenza tra i due alberi non sta nella proporzione tra bene e male presenti in essi, bensì nel diverso modo col quale interagiscono.

I due alberi sono fondamentalmente uno solo, quello delle Sephiroth. A seconda dello scambio ed interazione che diventano possibili tra le loro dieci entità costituenti, il risultato complessivo sarà più o meno vicino al segreto della vita. In breve, il segreto della vita consiste nella capacità di una crescita nel livello di organizzazione e collaborazione reciproca, con il manifestarsi di condizioni di coerenza organica sempre più vicine all’auto-consapevolezza totale ed eterna. Il punto di svolta nella trasformazione dell’albero della conoscenza in albero della vita sta proprio nella sua undicesima sephirâ, chiamata per l’appunto “conoscenza”. Il suo utilizzo è la chiave di accesso alla scelta tra i due veri opposti: conoscenza e vita.
 

Quando la Conoscenza è comunicazione, scambio, comprensione dei punti di vista opposti, relativizzazione di quei principi che, pur parziali, si ritenevano assoluti, riconoscimento ed identificazione con i piani superiori dell’Essere, la conoscenza diventa la colla gluonica multi-cromatica che unisce tutte le altre Sephiroth, portandole all’inscindibilità della vita eterna, chiamata in Cabala: “la vita di tutte le vite” (chaiei ha chaim, valore numerico 101).
Nella storia del Giardino la danza tra i poli viene raffigurata nella relazione tra Adamo ed Eva. Il problema del come raggiungere una sufficiente armonia tra il maschile e il femminile è da sempre la più grande ricerca esistenziale, intorno alla quale ruota lo stesso tikkun del mondo, la rettificazione dell’universo.

Adamo incontra seri ostacoli in questo processo, che i midrashim testimoniano, col loro modo non lineare di spiegare i dettagli. Addirittura Eva non è la sua prima moglie, bensì Lilith lo fu. E chissà se la versione di Lilith allontanata per colpa di lei, per mancanza di umiltà e di arrendevolezza verso marito, non sia solo una metà della verità, la metà maschile! È ora che tutti si apra gli occhi e si accetti che in un sistema patriarcale come quello nel quale è stata rivelata la Torà, essa doveva necessariamente farne proprie le vesti, o sarebbe stata rigettata fin dagli inizi. Ma lo Zohar mette in guardia chi vuole valutare una realtà qualsiasi solo in virtù delle sue vesti esterne. È scontato che nel suo senso letterale la Torà e l’insieme di midrashim che la spiegano, preferisca inclinare i giudizi e colpe prima verso la donna. Ciò rafforza e stabilizza il potere del maschio sulla femmina.
Anche con Eva, pur col colpo di fulmine iniziale che Adamo provò per lei, arrivando a dire: “questa volta lei è ossa delle mie ossa, carne della mia carne”, arrivano presto i problemi, con Adamo che le aggiunge una regola a quelle date da Dio, ovviamente per poca fiducia in lei. Qualcuno potrebbe sempre obbiettare che anche ciò è a causa della prima moglie, che lo aveva tradito e deluso, e così riportare la colpa tutta sulla donna… ma sarebbe poco elegante, oltre che poco leale.
 

Un altro famosissimo midrash afferma che Adamo ed Eva vennero creati come una coppia di fratelli siamesi, schiena contro schiena. Non si potevano guardare in faccia, e questo è considerato dalla Qabalah uno stato molto inferiore di comunicazione. Inoltre, Eva, che era leggermente più piccola, aveva i piedi che letteralmente penzolavano in aria. Si lamentava perciò di non poter scegliere la direzione del loro movimento, che veniva sempre decisa da Adamo. Per cercare di rimettere un po’ di equilibrio, Dio decise di separali. Ci fu la cosiddetta “segatura”, una specie di operazione chirurgica grazie alla quale Adamo ed Eva ricevettero la reciproca dovuta autonomia. Nel corso del tempo, impareranno anche a guardarsi “faccia a “faccia”, “panim le panim”, posizione che rende possibile il meglio del comunicare.
Il serpente può venire capito come lo stesso strumento, o sega, utilizzata da Dio per dividere Adamo ed Eva. Simbolicamente, lo si può vedere come una lettera Vav che entra a metà tra l’uomo e la donna. Ecco perché gli vennero amputati gli arti, per diventare ancora di più rettilineo, più affilato! Il serpente è anche una dimensione interiore, è la verticalità della colonna vertebrale.

Che il serpente sia connesso con la lettera Vav è confermato da uno straordinario fenomeno della Torà. Il Pentateuco, i cinque libri di Mosè, contengono esattamente 304.805 lettere.

Nel suo mezzo esatto, cioè la sua 152.403 esima lettera, è una Vav, scritta in modo grande rispetto alle altre lettere. Tale Vav fa parte della parola “gachon”, “ventre”, nella frase “tutto ciò che si muove sul ventre”, alludendo ai rettili.
In altri termini, si può capire il ruolo del serpente nel Giardino proprio come lo strumento utilizzato da Dio per separare i due siamesi, che pur essendo anime gemelle, non sapevano come riconoscersi tali.

Si tenga tuttavia presente che, dopo la separazione, il ricongiungimento “faccia faccia” richiese ben 130 anni! Per tutto quel periodo Adamo si era separato da Eva, si suppone adirato contro di lei. 13 è “ahavà”, “amore”. È come se Adamo ed Eva avessero dovuto fare esperienza dell’amore, ognuno per conto suo, in ognuna delle 10 Sephiroth dell’Albero, prima di diventare in grado di ritornare l’uno all’altra, e provare a scambiarlo fino in fondo.
 

In ultima analisi, il serpente fece loro un grande favore, iniziandoli ad una via di evoluzione che, per quanto penosa, lunga e difficile, li porterà al sommo dei beni. Il serpente non è stato utile solo agli inizi. Col suo ridimensionamento, questa creatura si rimette sulla rotta verso il campo zero, verso la base dove pur se l’ego si annulla, rinasce e si rafforza il sé. Il serpente è un simbolo universale di potenza, di saggezza, di guarigione, di sopravvivenza. E la serpentessa? Per terminare la ricerca, sarebbe importante cercare di darle un nome. Prima di esplorare l’ebraico, un’occhiata alla storia antica permette di individuare il personaggio della Pitonessa. Si trattava di una donna veggente, chiamata anche Pizia, che canalizzava particolari visioni nel tempio dell’oracolo di Delfi. Essa veniva consultata dai visitatori, ed entrava in una specie di trance prima di dare le risposte. Sacerdotessa del Dio Apollo, i riti alla quale partecipava erano avulsi da ogni connotazione sessuale. Richiedevano purezza e elevazione.
 

Può essere interessante far notare che l’ebraico “nachash”, “serpente”, è la stessa identica radice di “lenachesh”, “divinare”.
Ritornando ad un tentativo di dare un nome ebraico alla serpentessa (dato che nella Scrittura non ve ne è menzione) ci si potrebbe rivolgere al termine “nachoshet”, ottenuto semplicemente aggiungendo una Tav al termine “nachash”.
 

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