Il documento che segue è tratto dal periodico, distribuito gratuitamente, dell'Associazione Culturale Teshuva (Ritorno) Solstizio d'Inverno 1999. Ogni diritto è riconosciuto.

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In Archivio due altri documenti sull'Albero Sephirotico

L'Albero della Vita

L'Albero della Vita

 

Molte Tradizioni tra cui quella vedica, quella cabalistica e molte altre usano l'albero quale simbolo sacro, esso appartiene alla Tradizione unica, infatti lo ritroviamo in tutti i suoi rami anche se visto da diverse prospettive.
Raphael ci conferma che: «Il concetto dell'albero universale è di ordine tradizionale per cui lo troviamo in tutte le diramazioni tradizionali, sia orientali che occidentali ».
Uno dei modi di considerare l'albero è quello rovesciato, cioè con le radici in alto e i rami in basso come recita il primo sutra del quindicesimo capitolo della Bhagavad Gitâ (il canto del Beato): «Dicono che l'eterno Asvattha (albero sacro) ha le radici in alto e i rami in basso, le foglie sono gli inni ritmici dei Veda e colui che lo comprende è un conoscitore dei Veda ».



Il testo completo della Bhagavad Gitâ è consultabile nella sezione “I Testi senza età”
Bhagavad Gitâ
 
 

Samkara, codificatore dell'Advaita Vedanta, nel suo commento alla Bhagavad Gitâ afferma: «Poiché Brahman (l'Assoluto), insieme al potere creativo, si sottrae al tempo, poiché Egli è la Causa, poiché è Eterno, poiché è Grande, si dice che Egli, la radice dell'Asvattha (albero sacro), è Quello che sta in alto: perciò si sostiene che le radici di questo albero sono in alto» e ancora: «La Grande Mente, la coscienza individuale, gli elementi primordiali etc. sono i suoi rami, che ricadono verso il basso; perciò si dice che quest'albero ha i rami all'ingiù».

Nella Katha Upanisad (III-2,1): «Questo Asvattha che ha le radici in alto e i rami in basso è eterno ».
E ancora i Purana ci dicono che: «La radice da cui è nato l'Albero Eterno del Brahman è il non-manifestato, con la cui forza esso è cresciuto. Il suo tronco è l'intelletto, le sue cavità sono le aperture dei sensi, i suoi rami sono i grandi elementi, le sue foglie e le sue fronde sono gli oggetti sensibili ».

Notiamo qui come lo stesso simbolo può essere considerato sia dal punto di vista macrocosmico che da quello microcosmico, cioè come simbolo dell'uomo e a questo proposito Paramahamsa Yogananda nel suo commento alla Bhagavad Gitâ così si esprime: «L'Albero della Vita è il corpo e la mente dell'uomo... quando il Signore permise alla terra di dar vita agli alberi, Egli creò esseri umani modellati in maniera molto simile ad alberi capovolti ».
In un altro passo dice che: «...l'uomo di auto-realizzazione diventa onnisciente, conoscitore dei Veda, e quando si sintonizza con l'Infinito così da vedere l'albero-simbolo come sintesi dei tre stati di vita: nervi=grossolano, forza vitale=sottile e pensiero=causale ».

Tornando in Occidente, Platone afferma che: «l'uomo è una pianta celeste, il che significa che è come un albero rovesciato, le cui radici tendono verso il cielo e i rami in basso verso la Terra ».
Dante, nel Purgatorio, ci descrive due alberi rovesciati vicino al vertice della montagna che si trova proprio sotto il piano del Paradiso terrestre. Due alberi che tuttavia nel Paradiso appaiono raddrizzati, una volta dunque attuato il passaggio dalla terra al Cielo. Dante sembra volerci suggerire quanto può mutare la visione di una stessa immagine, di uno stesso simbolo a secondo di come ci poniamo nei suoi confronti secondo la nostra posizione coscienziale; come tutto dipenda dal nostro sguardo e non nella cosa vista-oggetto.
Per quanto riguarda la tradizione islamica, nel Corano si parla di un albero benedetto cioè carico di influenze spirituali, e quest'albero è l'ulivo il cui olio alimenta la luce di una lampada; tale luce simboleggia la luce di Allah che in realtà è Allah stesso dato che "Allah è la Luce dei cieli e della terra ".
Un passo dello Zohar parla dell'Albero della Vita, che peraltro è detto "estendersi dall'alto verso il basso" quindi rovesciato, e lo rappresenta come un Albero di Luce. La radice anche nella Tradizione ebraica è vista come l'oscuro e silente Assoluto Aïn Soph da cui promana la manifestazione.

Omraan Mikael Aivanhov scrive: «La Qabalah insegna che al di là di Kether esiste un mondo sconosciuto, misterioso, incommensurabile. Là risiede l'Assoluto da cui emana Dio Padre, Kether e l'intera manifestazione. I Cabalisti chiamano quel mondo Aïn Soph Aur (Aur-luce; Aïn-senza; Soph-fine). Aïn è una negazione ma ha un significato che va oltre la semplice negazione».
Ancora Aivanhov descrivendo la Gerusalemme Celeste dice tra l'altro che: «il fiume della vita è un travaso di energie che sgorga dalla sorgente divina e discende per alimentare tutto l'universo».
Il travaso energetico della discesa viene dalla Qabalah descritto quasi figurativamente: «dalla radice del Tutto, sostrato del formale e non-formale, Infinito e Assoluto Aïn Soph Aur (la sfera di Atziluth) promana la prima triade sephirotica del mondo causale, dei Principi che si manifesta con luci e suoni di altissima frequenza (sfera di Briah nel macrocosmo e di Neshamah nel microcosmo) espressione di Binâ-Beatitudine Infinita. Scendendo di un'ottava al livello della triade mediana (Yetzirah nel macrocosmo e Ruah nel microcosmo), aumenta la densità e la frequenza dei colori e dei suoni è più bassa: è il mondo universale, espressione d'Amore, Conoscenza e Volontà Spirituale di cui la sintesi è Tiphereth. Scendendo ancora di un'ottava la terza triade sephirotica rappresenta la sfera della concretizzazione, del prototipo, dell'intera manifestazione. Siamo nel quaternario inferiore, la sfera di Assiah nel macrocosmo che corrisponde nel microcosmo a Nephesh ».
Sino a quando l'uomo, in Identità unitiva con l'Assoluto e in perfetta Beatitudine era un tutt' uno con l'Albero della Vita, non aveva certo bisogno di scegliere tra il bene, nel quale è la vita eterna e divina, e il male che attira l'annientamento, la morte e la dannazione.
Egli stesso si impose tale scelta assaggiando il frutto proibito. Nutrendosi dei frutti dell'Albero della conoscenza del bene e del male, si scisse costringendosi a bagnarsi nelle acque del dualismo e della molteplicità, a riconoscersi in altro sperimentando la dicotomia: pienezza e vuoto, unione e separazione, luce e tenebre, gioia e dolore, creatore e creatura.
Ebbe così inizio la discesa agli inferi, nell'oblio della propria Fonte Originaria, della propria Realtà Divina, nell'alternanza indefinita delle due polarità. Un dualismo senza vie d'uscita se non ci si riporta a uno stato coscienziale di identità con il Supremo Sé, se non ci si pone su altre coordinate, su un piano di coscienza unitivo e sintetico.
L'uomo deve invertire la rotta, percorrendo a ritroso la Via della caduta per poter ritrovare quel Paradiso perduto che da sempre attende di essere vissuto, essendo l'uomo stesso lo sfolgorante Sole dell'Immortalità, Infinito, Assoluto, Aïn Soph Aur.
Sono stati versati fiumi d'inchiostro sull'albero visto sotto un aspetto essenzialmente simbolico e riportiamo il lettore ai pregevoli libri di autori che hanno approfondito l'argomento tra cui ci sentiamo di citare di René Guénon: "Simboli della Scienza sacra".

Ciò che con profonda umiltà tentiamo di fare in questa sede è spargere attorno a noi dei piccoli semi di meditazione, lanciare nello spazio note non condizionate da schemi prestabiliti o linguaggi determinati che, secondo il grado di ricezione e il canale di espressione di chi legge, verranno integrate e poi sviluppate nel più vasto tema melodico del nostro vivere un istante dopo l'altro.
Ciò che vorremmo invece evitare è stimolare e nutrire un veicolo già sufficientemente sollecitato e iperattivo, soprattutto nel nostro contesto occidentale, come quello mentale, per dare spazio a una sorta di sensibilità intuitiva a cui non siamo avvezzi, un tipo di sentire che senza interferenze (pensieri e ricordi, paragoni e raffronti, giudizi e critiche, simpatie e repulsioni...) porta direttamente all'Anima.
Un sorriso, uno sguardo, una parola, se solo ci sapessimo affidare alla Vita, potrebbe diventare una scintilla divina, un'ulteriore opportunità per renderci consapevoli dell'Assoluto, del Supremo Sé che eternamente risplende in noi, seppur velato dalla nebbia del caos individuato.
Se ci ponessimo in quella giusta condizione di silenzio che ci permette di ascoltare realmente per accogliere ciò che ci viene dato... ogni cosa, qualunque cosa, potrebbe insegnarci a parlare il linguaggio del Cuore, dello spontaneo accostarsi alla Vita in armonia con le Leggi del Cosmo.

Proviamo dunque ad accostarci alla forma albero andando oltre la materia, oltre ciò che i cinque sensi ci trasmettono, oltre un nozionismo fine a se stesso per ritrovare la vibrazione, la forza, la Luce e la Beatitudine che ci rende UNO.