Tolleranza come prima virtù del Libero Muratore. Virtù come forza.

Per il principio di Tolleranza nel contesto umano rimane classica l'Epistola sulla Tolleranza di John Locke...

Lo scritto che si presenta ai visitatori esoterici, opera dell'ingegno del Carissimo F... Walter De Donatis, è stato pubblicato sul volume LXI -VIII della nuova serie di "Rivista Massonica" nel mese Dicembre 1973, Società Editrice Erasmo.

Lo scritto rappresenta un opera della maestria dell'Autore e non indica necessariamente la visione della Loggia o del GOI. Ogni diritto gli è riconosciuto.

© Walter De Donatis

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Tolleranza come prima virtù del Libero Muratore. Virtù come forza.

Per il principio di Tolleranza nel contesto umano rimane classica l'Epistola sulla Tolleranza di John Locke. Magari neppure in essa il principio trova una espressione completa; Locke ritiene che coloro i quali negano l'esistenza di Dio non devono essere tollerati in alcun modo. Tuttavia resta fondamentale la distinzione tra i compiti dello Stato e quelli della Chiesa. Il magistrato civile da un lato è incompetente, come qualsiasi altro cittadino, di fronte ai problemi che riguardino la cura delle anime e della loro salvezza eterna, dall'altro non possiede alcun strumento efficace, giacché l'unico suo strumento è la costrizione e nessuno può essere costretto a salvarsi. La Chiesa, come società libera e volontaria di uomini che si uniscono spontaneamente per servire Dio in pubblico, non può vincolare nessuno con la forza; le sanzioni di sua competenza sono le esortazioni, gli ammonimenti e i consigli che, soli, possono promuovere la persuasione e la fede.

Per la Tolleranza definita come la norma o il principio della libertà religiosa, fondamentale anche il pensiero di Francesco Ruffini così come viene espresso nel suo libro La Libertà Religiosa, a cura e con prefazione di A.C. Jemolo.

Molto in breve, la libertà religiosa nel suo significato tecnico non può confondersi con quella più generale di pensiero e non ne è neppure una parte o un aspetto. Lo dimostra il fatto che ci sono stati dei ferventissimi credenti in tutto e per tutto favorevoli alla libertà religiosa, e dei liberi pensatori spregiudicatissimi ad essa assolutamente contrari, in quanto dispregiatori dei riti religiosi, creduti dannosi al progresso e al benessere umano. Fino alla seconda metà del secolo scorso si è sempre fatta questione, piuttosto che di vera libertà, di semplice tolleranza, concetto elastico che solo col conferimento pieno di tutti i diritti civili e politici fino al riconoscimento della facoltà di esercitare il culto con tutti i contrassegni e i privilegi della pubblicità collima di fatto con la vera libertà. La tolleranza, che è una mirabile virtù privata, ha nei rapporti pubblici un suono odioso, di cui non ultima cagione è certamente il significato tecnico, ch'essa conserva tuttodì nel diritto ecclesiastico, come di riconoscimento forzato ed opportunistico di quanto peraltro non si intende assolutamente approvare. La parola tolleranza presuppone l'esistenza di uno Stato confessionalistico. Lo Stato moderno non deve più conoscere tolleranza ma solo libertà: poiché quella suona concessione graziosa dello Stato al cittadino, questa invece diritto del cittadino verso lo Stato. Ora la religione è un campo in cui lo Stato nulla può dare, il cittadino invece tutto pretendere.

La libertà religiosa, in rapporto ai singoli individui si chiamerà più propriamente libertà di coscienza, o di fede, di confessione; può formare oggetto di pura indagine filosofica o psicologica ma non si può sancirne la libertà che sarebbe come il voler proclamare la libertà della circolazione del sangue; cade invece nel campo giuridico unicamente in quanto dà origine a manifestazioni esteriori e quindi giuridicamente rilevanti.

Oggi, si ritiene di dover affermare che il principio di Tolleranza è entrato a far parte della coscienza civile dei popoli di tutto il mondo. Si riconosce nello stesso tempo che la sua realizzazione nelle istituzioni che reggono la vita di molti popoli è incompleta e soggetta a sempre nuovi pericoli.

Quale può essere allora il valore di tale principio, sottoposto non solo ai colpi dell'alterna fortuna ma ad una critica incalzante e corrosiva, non sempre volta ad una sua nuova collocazione? Quale il suo valore per un individuo, una classe, un popolo, in soggezione o in abbandono? E quale per un Massone, teso a raccordare parole e opere, ascesa e sentimento della storia, impegno di perfezionamento individuale e mondo degli uomini, degli altri, affatto o diversamente impegnati? Chi vive e opera nelle società industriali avanzate può scorgervi ormai tutti gli elementi adatti a promuovere effettivamente la realizzazione dei valori dell'illuminismo; può scorgervi anche il modo in cui gli stessi elementi si rivolgono (o vengono rivolti) contro l'individuo, nel momento medesimo in cui si mettono alla sua portata beni di ogni natura.

A parte certi motivi, non accettabili probabilmente, come quelli che legano indissolubilmente l'illuminismo al concetto di borghesia e a una struttura economica determinata, le inquietudini manifestate dal Goldmann rivelano certamente un'ansia che sembra essere alla base, soprattutto in Europa, di tendenze non sempre, sul piano storico politico, decisamente o efficacemente espresse.

Si tratta, di fronte all'alternativa posta oggettivamente dalla storia tra socialismo e capitalismo, del preoccupante quesito che interessa la vita spirituale, il quesito sulla possibilità di salvaguardare, rispettivamente, entro la struttura della società industriale occidentale il contenuto della vita spirituale, o, entro la struttura della società socialista, i valori dell'illuminismo: uguaglianza, libertà e tolleranza, ancorati nell'autocoscienza di ogni singolo membro della società umana.

Ma che cosa in concreto può viziare la formazione di questa autocoscienza? La mancanza di libertà certamente. Se essa è autodeterminazione, autonomia, appare indispensabile per la ricerca della verità e quindi implica la tolleranza delle idee, la libertà di pensiero. Certamente anche la non effettiva partecipazione.

Per decidere e scegliere non solo è necessario possedere gli indispensabili, fondamentali, livelli culturali ma essere altresì in grado di liberarsi da ogni forma di manipolazione, in grado di non accogliere acriticamente i modelli elaborati dagli altri e che lo stesso ambiente propina. La formazione dell'individuo allora, la sua informazione, la comunicazione non adulterata dei vari mezzi di diffusione; un processo che coinvolge i problemi dell'educazione e quelli che toccano i contenuti della uguaglianza. Si giunge al marcusiano posto d'entrata. É là, dove prende forma la falsa coscienza, che si possono cominciare a bloccare le parole, le immagini, le situazioni che la nutrono.

La proposta massonica introduce la possibilità di una rottura, di un rigetto delle idee profane convenzionali. Il suo deposito di simboli si offre alla costruzione della dimensione muratoria, ossia della dimensione interiore, iniziatica. Essa viene drammaticamente svelata sin dal momento in cui il candidato si trova rinchiuso in luogo oscuro e appartato, sospinto nelle viscere della Terra, le sue viscere.

Nella cultura del nostro tempo, da parte soprattutto delle correnti di derivazione razionalistica - timorose, magari non a torto, di nefasti riflussi irrazionalistici - una proposta che si affidi ai simboli viene considerata aberrante o, nei casi più indulgenti, frutto di menti deboli e immature, da prescriversi a spiriti depressi. Vi è peraltro una corrente, che spesso si intreccia con la prima, per la quale il Vico ha pure detto qualcosa.

L'esigenza insopprimibile di fondarsi, di risalire ai valori ultimi dell'esistenza, rintraccia nei simboli gli ingredienti costanti della vita umana, oltre a scoprirvi una sorgente creatrice di infinita varietà. D'altronde, un'atmosfera trascendente non uccide od oblia la natura ma la penetra meglio.

Occorre certo coraggio e fiducia. É un avvertimento non peregrino fatto nella cerimonia di iniziazione. É la condizione essenziale per poter ricevere la luce. Come Kant (e Cicerone) sottoporre a leggi non la libertà esterna ma quella interna è una prerogativa della virtù.

D'altro canto, nella semantica la stessa parola tolleranza accoglie il segno di audacia. Il cammino iniziatico non si prospetta affatto comodo e sicuro. Si leva il massiccio delle nostre viltà e del nostro istinto di auto protezione. La topografia interiore, al momento della iniziazione, ha ormai le sue colline festanti e i suoi tiepidi valloncelli. Al problema con le sue infinite incognite meglio preferire la quiete di una opaca soluzione.

Conoscevano bene certe discese e certe metamorfosi gli antichi iniziati delle sette pagane. I miti, in verità, per quanto si demitizzi furiosamente (e rozzamente), funzionano dentro e fuori i secoli; si tratti della Commedia di Dante o del Flauto Magico di Mozart, della Balena bianca di Melvílle, della Terra Desolata di T. S. Eliot o dell'Ulisse di Joyce (un Ulisse che percorre la sua squallida giornata, quella dei nostri tempi, dal linguaggio frantumato e privato dei nessi conosciuti, un Ulisse contemporaneo ma elevato ugualmente a simbolo del percorso esistenziale, un microcosmo che è una replica in scala ridotta dell'universo. C'è stato un approccio esoterico a questo romanzo capostipite, non proprio dall'interno, al quale converrà tornare. Come converrà riguardare le scoperte di un favoloso critico americano, Edmund Wilson, il saggista non facilmente eguagliabile di T. S. Eliot e Joyce. Esse richiamano il mitraismo di Rudyard Kipling nei racconti romani di Puck of Pook's Hill e in The Church that was at Antioch, oltre che la parte della Massoneria nel più noto lavoro Kim.

Allo scopo di rendere più armonico, più proporzionale il proprio edificio, l'opera si svolge in Loggia, insieme agli altri, con risposte soggettive, non necessariamente autenticate da tutti ma legittimate dal comune impegno.

Sembra scaturire da qui, dal riconoscere cioè la esistenza di una molteplicità di itinerari, la persuasione della necessità di uno sforzo per comprendere gli altri (e non certo per sopportarli o cortesemente, cavallerescamente, ascoltarli); sembra promanare egualmente da qui quel senso di affettuosa solidarietà, oltre che di rispetto, per chi è impegnato a percorrere il proprio cammino iniziatico, a sconvolgere e ricomporre la propria topografia interiore.

Parafrasando il Locke dell'Epistola sulla Tolleranza (per il quale chi trascura la propria salvezza difficilmente potrà dare a credere di essere eccezionalmente sollecito di quella altrui), si potrebbe dire: Chi trascura la propria iniziazione difficilmente potrà dare a credere di essere eccezionalmente sollecito di quella altrui.

Per una provvisoria conclusione, sul piano esoterico, profano, esterno, la Tolleranza è un valore, una regola che penetra i rapporti etici, giuridici, politici e sociali, in quanto ogni verità è sempre la verità di qualcuno che deve tener conto della verità degli altri; sul piano muratorio, iniziatico, esoterico, interno, la Tolleranza come prima virtù è la forza di intraprendere e compiere con audacia il proprio cammino iniziatico. I piani appaiono distinti ma la tensione è unica e dovrebbe spingere alla ricerca continua di quel punto d'impatto che fa del massone anche un uomo del suo tempo e dell'uomo del suo tempo un possibile massone. Se è pertanto indispensabile, in quanto inalienabile sigillo massonico, una fatica iniziatica è altrettanto indispensabile una frequente ricognizione del mondo culturale in cui si vive, accogliendo magari la lezione antropologica di cultura come civiltà, insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume.

 

 

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