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L'uomo muore perché immortale

 

La festività della Pasqua, è una festa religiosa di grande importanza. Ovunque, nel mondo, milioni di persone entrano nelle chiese a pregare e ad offrire il loro omaggio al Signore Gesù. Forse la Pasqua è ancora più importante della celebrazione del Natale, della nascita del Messia. Oggi si celebra la resurrezione. Gesù non è morto; è vivo. Qualche giorno fa ho riletto il vangelo secondo San Tommaso, il quale ha sempre parlato del Gesù vivente. In esso non si dice che egli sia morto il venerdì santo, ma che si è risvegliato quel giorno per riscattare gli uomini. Gesù, dunque, è sempre vivo.
Dal venerdì santo al giorno di Pasqua si pensa alla morte e alla resurrezione. Si pongono, così, a noi tutti, due questioni molto importanti: la morte ineluttabile e ciò che segue ad essa. Da molti secoli la gente riflette su questo e tenta di trovare una risposta abbastanza soddisfacente, ma fino ad oggi il problema è rimasto insoluto e noi continuiamo a porci le stesse domande.
Svâmi Vivekânanda, in una conferenza sull'immortalità tenuta negli Stati Uniti, ha detto che gli uomini sono sempre preoccupati a questo proposito perché in essi permane l'interrogativo: la vita, ma dopo? Noi consideriamo la morte un fatto naturale, inevitabile; ma l'accettiamo difficilmente. Non vogliamo morire; vorremmo vivere sempre. Da secoli, gli uomini hanno tentato di trovare un mezzo per perpetuare la vita. L'alchimia ha cercato un elemento che permettesse di prolungarla. In India si credeva, anticamente, e ancora oggi, che qualcosa ce lo potesse consentire. Si tratta di un mezzo col quale si può fortificare il corpo e portarlo a uno stato di perfezione per eternare la vita. Vi è anche lo Yoga tramite il quale un individuo può smaterializzare il proprio corpo e vivere a lungo se lo desidera. Quando lo vuole, può tornare a materializzarsi ancora. Tutto questo ci dimostra quanto siamo interessati a perpetuare la vita, sottraendola alla morte.
Poiché si tratta di una questione di fondamentale importanza, la scienza, la filosofia e le varie religioni hanno tentato di rispondere. Dobbiamo morire o possiamo sussistere? Potreste dire che questa è una domanda assolutamente ridicola, perché vediamo attorno a noi che la gente ineluttabilmente muore. Dunque, non si può parlare di immortalità. Possiamo affrontare allora la questione sotto un'altra prospettiva: tutti gli esseri venuti all'esistenza sono mortali; dunque, devono morire. Tutte le religioni si sono sforzate di dare una spiegazione. D'altronde gli Egiziani, la cui civiltà è molto antica, in altri tempi hanno costruito le piramidi. A quale scopo? Per conservarvi i corpi dei defunti, nella credenza di un loro ritorno. Là essi troveranno tutto ciò di cui avranno bisogno. Quello di cui si erano serviti durante la loro vita lo ritroveranno nella piramide: nutrimento, vestiti, gioielli, mobili, ecc. Tutto è pronto. Il corpo è ben conservato affinché ciò che era in esso, e che se ne è andato, un giorno possa ritornare e riprendere la vita.
La nozione di immortalità non data da oggi. Si è sempre creduto che il corpo debba essere abbandonato ma che, malgrado questo, vi sia un'altra entità che è immortale. Nella Katha Upanisad un allievo domanda al suo maestro: «Ditemi se dopo la morte non c'è più niente o se sussiste qualcosa». Questa domanda molto importante è posta a Yama, il quale risponde: «Oh, che domanda mi hai fatto! É meglio che tu me ne faccia un'altra». «No, no, dice l'allievo, non ho bisogno di sapere altre cose». Allora Yama dice: «Ti darò tutto ciò che mi domanderai e anche una lunga vita che ti permetta di godere pienamente Lutto ciò che ti piace». L'allievo risponde: «No, non mi interessa; anche se mi procurate ciò che mi piace, un giorno me ne dovrò andare. Dunque, vorrei sapere unicamente che cosa c'è dopo la morte». La spiegazione data dal maestro è che, dopo la morte, sempre sussiste qualcosa.
Esaminerò diversi aspetti di questo soggetto per tentare di arrivare a una conclusione. Innanzitutto voi dite: l'idea di immortalità è assurda, perché costantemente vediamo che la gente muore, che tutto è finito. La risposta viene da sola: non vi è immortalità perché con la morte la vita si è spenta per sempre.
Ma se ammettiamo che rimane qualcosa di vitale, sarà difficile stabilirlo scientificamente. Però voi potete rispondere: perché no? Gli spiritisti affermano la possibilità di incontrare o di parlare con coloro che sono scomparsi. Forse, ma non tutti possono accettare questo perché non ci sono prove dirette; è solo una prova soggettiva. Dunque, anche se è molto interessante, non è così che otterremo la prova dell'esistenza di quanto in noi rimane per sempre. Se si pone un argomento, questo deve poter rispondere a tutte le domande che abbiamo sollevato.
La religione fornisce, peraltro, la credenza che ogni individuo possiede un'anima. Se la vita di questo individuo è stata corretta, pia, virtuosa e sottomessa ai comandamenti, dopo la morte del suo corpo, l'anima proseguirà eternamente la sua esistenza alla presenza di Dio. Questa idea è comune alle varie religioni, sia al Cristianesimo come all'Induismo in cui è detto che l'adoratore di Siva andrà, dopo la morte, nello Siva Loka, il regno di Siva. Gli adoratori di Visnu andranno nel regno di Visnu e vi rimarranno sempre. Perciò ogni devoto che adori un aspetto particolare di Dio crede che per l'anima ci sia una vita eterna. É una credenza che sfugge alla discussione e non ha bisogno di alcuna spiegazione.
La religione deve portare una speranza. Senza la speranza di una vita dopo la morte, di una vita eterna, sembra che la religione sia sprovvista di valore. Perché, allora, professare una religione se la vita può essere sufficientemente gradevole?
Nell'India antica, al tempo della religione brahmanica, si praticavano i riti insegnati dai Veda. I devoti avevano la certezza di ottenere una vita postuma grazie alle loro buone azioni e ai riti compiuti per soddisfare Indra e le altre divinità. Perciò essi speravano di andare nei domini di Indra e dei deva per vivere là con tutte le gioie che essi amavano.
Evidentemente, un uomo non resta sempre lo stesso. Perciò riflette molto e cerca degli argomenti validia confutare quello che ha appreso prima. Si può dire che è assurdo parlare di gioie. Come può godere? Per quanto tempo? Che cosa farà in cielo? Poiché viviamo in questo mondo con le nozioni di tempo, spazio e causalità, proiettiamo queste nozioni a tutti i livelli, in tutti gli aspetti dei nostri oggetti di studio. Quando vi rivolgete a un prete, egli, naturalmente, non può darvi una risposta che vi soddisfi, perché esiste un dominio in cui dovete aver fede. Se non avete fede egli dirà: «Io non posso aiutarvi». Generalmente la gente crede, perché è più conveniente che non credere. E con questo spera di assicurarsi il cielo dopo la morte.
Si può anche tentare di risolvere il problema con la filosofia. I filosofi greci, come Platone e Aristotele. credevano in un'entità che risiede in noi e che sopravvive dopo la morte del corpo.
Ora esamino un punto molto importante. Che cosa si può esprimere con la parola immortale? Paragonando le parole mortale e immortale, possiamo trovare il significato della parola immortale? Mortale significa che l'uomo nasce, poi vive un po' di tempo e infine muore. Noi comprendiamo molto bene che tutti gli esseri sono mortali. Immortalità significa liberazione dalla morte: è il suo contrario. Se trattate la questione sotto questa prospettiva, non potete darvi una spiegazione soddisfacente, perché non esiste. Tutto deve morire anche se è molto spiacevole pensare alla morte.
Recentemente ho letto una cosa che mi ha molto colpito sul soggetto che ho voluto trattare: Siamo immortali? Ma chi parla di immortalità? Chi fa le domande? C'è il sé e l'io. Io penso che sono mortale. Questa parola significa che si è collegati con la morte.
Chi sono io? Ai nostri giorni la spiegazione più esauriente di me stesso è quella di un organismo psicofisico. Vi è un aspetto che pensa e, come diceva Cartesio, io sono perché penso. Dunque il pensiero, la mente è molto importante. Perciò il corpo è composto di due parti: una che pensa e una che vive. Ciò che penso lo considero me stesso.
Allora, prima di tutto studiamo il mentale, quella parte che pensa. É sempre lo stesso? Ieri ho pensato a una cosa, ma oggi penso a un'altra cosa. Se questo mi procura un'idea diversa, io muoio, per così dire, ad ogni istante, perché non sono lo stesso che ero prima. Sono, al momento stesso, un essere mutevole, e colui che esisteva non esiste più. E questo si ripete continuamente. La questione della vita come "io" può essere risolta ora. Non ho nessun bisogno di cercare un'altra spiegazione. Se sono il pensiero, la psiche che pensa costantemente, in ogni momento c'è la morte. L'aspetto distruttivo di questa è visto qui stesso, in ogni istante, perché c'è mutamento. Per il fisico non è necessaria una lunga spiegazione perché noi stessi vediamo quanto sia cambiato il nostro corpo nel corso degli anni. Noi non siamo costantemente il medesimo corpo. Se lo esaminiamo con attenzione, ci accorgiamo che ad ogni istante avviene in esso un cambiamento considerevole, poiché il corpo non resta sempre lo stesso, ma muore ad ogni momento.
Se considero, dunque, come "io" questo organismo psicofisico, esso viene negato dalla vita del momento. Non è al di fuori che devo cercare la negazione, ma nello stesso mondo in cui vivo. Qui l'aspetto negativo si dimostra da sé. É davvero un argomento sorprendente. Ma, comunque, c'è qualcuno in noi che pone sempre delle domande.
La questione, perciò, non è risolta; essa sussiste anche se non comprendo chi io sia. É difficile da spiegare poiché si può negare che il pensiero sia l'io che cambia continuamente; tuttavia, ad ogni momento, io sono un'altra persona. Inoltre, non posso dire di non essere qui. Io sono qui, io penso, io parlo. Dunque, qualcosa continua ad esistere e afferma che sono qui.
C'è un punto ancora più importante, più sorprendente. Come ho già detto, il termine morte implica tempo. Se non si fa una questione di tempo, non potremo mai comprendere la morte. La nozione di tempo è assolutamente necessaria. Per esempio, vi sono in California grandi alberi chiamati sequoie. Essi vivono migliaia di anni, forse 4.000 o 5.000 anni; ma non sono immortali. Dopo circa 5.000 anni essi muoiono. Il nostro studio torna sempre al problema dell'immortalità posto nel tempo. Affermare l'immortalità è, quindi, negare il tempo, perché se c'è il tempo non c'è immortalità. Si può concludere che solo al di là del tempo non c'è morte.
Noi concepiamo il tempo come triplice: passato, presente e futuro. Quale dei tre è reale? Non può essere il passato, perché esso è scomparso, non è più. La realtà dev'essere sempre presente. Dunque, dovete rifiutare l'idea di passato come realtà. Il futuro esiste solo nel nostro pensiero; verrà, ma attualmente non c'è. Allora, quale di essi esiste? Il presente. Solo il presente esiste, perché nello stesso istante io penso al passato e penso anche all'avvenire; dunque, è il presente che ha una realtà. Il passato e il futuro si pongono sul piano dell'irreale.
Posso, tuttavia, parlare del presente? Ciò è ancora più complicato. Non appena tento di descrivere il presente, esso è già entrato nel passato e, ad ogni momento, il passato scompare. Dunque, la descrizione del presente non è facile. Allo stesso tempo non posso dire che il presente non esista. Studiando minuziosamente la questione qualcuno ha detto: «É un solo medesimo problema». Se volete risolvere il problema dell'immortalità, il solo mezzo è superare il tempo. Il problema della morte e dell'immortalità è legato alla nozione del tempo. Per comprendere veramente l'immortalità dovete superare l'influenza del tempo operata dalla mente. Gli Indù si rifanno sempre alla nozione del tempo. Nella loro analisi concludono che solo il presente ha valore, per quanto non si possa stabilire esattamente la sua esistenza, perché esso è del tutto fuggevole e diventa immediatamente passato. Il passato e il futuro non possono essere considerati validi, in senso pratico, in nessun istante.
Per una persona capace di mantenere la coscienza nel momento del presente, non vi è questione né di passato né di futuro e nemmeno di immortalità. Vivere nell'immediato presente, risolve molti problemi. Comunque, pochissime persone possono vivere così.
Fui molto colpito dalla bellezza di questa conclusione.


Ecco un aneddoto del Buddhismo Zen. Un discepolo chiese al suo maestro: «Che cosa devo fare? Non arrivo alla Realizzazione, al nirvana». Il maestro non diede consigli, come meditare a lungo, o in una particolare maniera. Disse semplicemente: «Mangia quando mangi; dormi quando dormi». Veramente non sembra che sia un grande consiglio. Il discepolo rispose: «Lo faccio tutti i giorni. Mangio e, dopo aver mangiato, dormo». Ma riflettendo scoprì che la sua mente pensava continuamente a cose molto diverse, al passato e al futuro. La sua mente, dunque, era continuamente a livelli diversi; non era occupata col soggetto del momento. Il consiglio, perciò, era di essere cosciente della necessità di agire sempre nell'immediato presente. Si dice che ciò costituisca il tempo assoluto, il quale, in ogni momento, è davanti a noi. É chiamato anche Coscienza assoluta.
Questa storia molto semplice contiene un consiglio straordinario. Penso che sia anche un grande messaggio: Bisogna vivere nel presente.
Vi è un altro punto ugualmente importante: Se si vuole vivere nello stato dell'immediato presente, si deve avere uno spirito puro, libero dal fardello delle varie esperienze e dei molti pensieri. Ma questo è difficile, perché nella vita quotidiana siamo oberati dalle esperienze e dai pensieri. Peraltro, questo è l'insegnamento del Buddhismo per arrivare al nirvana.
Nel Vedanta, gli Indù hanno studiato tale questione e vi ritornano spesso. Non vi è libro che non abbia parlato dell'immortalità. In tutti i libri, gli esseri umani sono chiamati "figli dell'immortalità". Voi siete i figli dell'immortalità. Dovete ricordarlo.
Se ricorderete non ci sarà più nessun problema. Se sarete coscienti di essere immortali non avrete più nessuna domanda da fare. Nella Brhadâranyaka upanisad è detto:


Mrtyor mâ amrtarh gamaya
Conducici dalla morte all'immortalità!


Da molti secoli questa idea è presente nel pensiero vedantico.
Come ho detto un momento fa, nell'Induismo non troverete mai la parola immortalità opposta a quella di morte, ma a un concetto particolare della nozione di tempo. É l'idea corrente di tempo che provoca questa domanda: Siamo immortali? Se superate la nozione di tempo, il tempo non esiste e, fuori di esso, non esiste nemmeno la morte. Forse è difficile ammettere questo, perché siamo del tutto condizionati dalla logica, senza la quale ci sentiamo perduti. In Germania, in un libro sul pensiero dell'India edito in inglese, si dice: Gli Orientali non vivono come noi. Essi pensano in modo diverso. Non pensano oberati dalla logica; essi vivono sul piano dell'intuizione. C'è la logica, la buddhi — noi diciamo l'intelligenza —, ma essi parlano della buddhi ordinaria nella vita quotidiana e di un'altra buddhi che è molto vicina alla nostra vera anima. É questa buddhi che ci renderà consapevoli della nostra natura immortale. Il tempo è presente solo nella buddhi ordinaria. Non è un dogma al quale siamo obbligati a credere; si può sperimentare, si può sentire la Verità in questa stessa vita. I grandi maestri lo hanno sperimentato e hanno conosciuto questa Verità.
Vediamo, così, che alla nostra domanda è stato risposto parecchie volte.


Nella Bhagavad Gitâ, Arjuna, sul campo di battaglia, era molto addolorato al pensiero della morte dei suoi congiunti. Questa morte non poteva accettarla e il pensiero di essa gli procurava molta pena. É sempre il problema della morte. Come si può affrontare la morte? Molta gente è terribilmente spaventata da questo pensiero. Perciò la Bhagavad Gitâ, innanzitutto, parla di tale questione prima di sviluppare l'insegnamento del Jnâna Yoga, dello Yoga della rinuncia, dello Yoga della Bhakti, ecc. Perché è necessario questo studio? Perché siete angosciati e avete paura della morte, la vostra e quella dei vostri cari.


Vi leggerò ciò che, nel secondo capitolo, Sri Krsna dice ad Arjuna:
«Non c'è mai stato un tempo in cui Io non sia esistito, né tu, né questi principi. Non ci sarà nel futuro un tempo in cui cesseremo di esistere».
É come dire che noi saremo sempre. Siamo immortali. Quindi, spiega:
«Come in questo corpo mortale l'anima passa, di volta in volta, attraverso l'infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, così essa passa in altro corpo. Il Saggio non ne è toccato».


Non vi è assolutamente problema di morte. Il Saggio non è toccato da questo. Dobbiamo, allora, cercare la saggezza; è una conclusione logica. Ma quale saggezza? Bisogna arrivare a comprendere che il vero Sé è immortale. Pensare che io sono mortale è un errore, una falsa identificazione. É assolutamente importante riflettere costantemente sul fatto che, vivendo nel mondo, io partecipo a tutti i suoi aspetti. Farò tutte le azioni che devo fare, perché sono in questo mondo, ma devo anche riflettere ogni giorno che io sono essenzialmente questo essere che è il mio vero Sé, affrancato dalla nascita e dalla morte. Se un uomo può arrivare a questa realizzazione, come la Bhagavad Gitâ ed altre Scritture ci insegnano, egli supera questa falsa identificazione. Il Vedânta si è occupato soprattutto di questi studi e richiama la nostra attenzione sul nostro vero Sé. Allora non esiste più il problema: Sono mortale o immortale? Nella vita quotidiana tutto occupa un posto relativo. Ma devo essere convinto della mia vera natura.


Questo è un pensiero particolare dell'India? Coloro che hanno studiato profondamente il pensiero indiano possono dircelo nei loro scritti. Per il Maestro Eckhart noi non siamo come pensiamo. Avrei voluto citare esattamente quanto egli ha detto, ma non ho trovato la traduzione francese delle sue parole. Tuttavia, possiamo facilmente comprendere perché cita la Santa Bibbia: «Noi siamo l'immagine di Dio».


Ma non bisogna commettere l'errore di pensare che questa immagine di Dio sia il nostro corpo. Essa è il nostro vero Sé, che possiede gli attributi di Dio, la grandezza di Dio, l'eternità di Dio. Se siamo la Sua immagine dobbiamo possedere la Sua natura. Dio, dunque, che è in noi, è eterno. Se ci consideriamo come riflesso di Dio che è eterno, cade per noi il problema della morte. Noi siamo sempre vivi, solo che non ne siamo coscienti.


Maestro Eckhart ha trattato questo soggetto in parecchie discussioni e tutti i suoi sermoni ci ricordano questa verità. Egli non era molto attratto dalla forma esteriore del Cristianesimo, ma dalla sua forma interiore: Dio eternamente presente in noi. Allora, alla domanda: Siamo eterni, siamo immortali?, abbiamo trovato la risposta. Essa è là, chiaramente, nell'espressione religiosa: Ciò che è in noi, e che viene da Dio eterno, è per sempre eterno. Non vi è morte, ma eternità. Il Vedânta afferma: Voi siete Brahman, Brahman è eterno, per cui voi siete eterni.
Poiché siamo sempre molto pragmatici, ci si presenta una domanda molto semplice: Qual è il valore di tutto questo? Nella Bhagavad Gitâ è indicata la risposta: Srii Krsna dice ad Arjuna: «Tu piangi e vuoi abbandonare il campo di battaglia per timore della morte dei tuoi parenti. É un pensiero assurdo. Essi non possono morire perché non c'è morte».


Non appena viene risolta la paura della morte, subentra una grande fiducia. Noi possiamo compiere qualsiasi azione, liberi da tale paura; questo è il valore dell'insegnamento. Così, la vita può continuare. Noi siamo in questo mondo per realizzare, secondo la spiegazione Indo-Buddhista, il nostro vero Sé, Brahman, togliendo l'ignoranza [avidyâ] e le false idee su noi stessi. Ogni azione deve essere compiuta per esaurire il nostro karma e per realizzarci.
Se si prende un altro cammino, ugualmente si può arrivare ad eliminare l'ignoranza, cioè la falsa idea di noi stessi. Persuasi della giustezza di questa idea, si deve realizzarla. Si può anche seguire l'insegnamento del Buddhismo, la ricerca del nirvana. Il Buddhismo non parla di anima, non parla di Dio, ma, in particolare, di una cosa assolutamente importante, cioè il tempo. Parla molto del tempo, perché tutti i pensieri, tutte le angosce derivano dal tempo. Ecco perché, nella nostra vita quotidiana, diamo tanta importanza al tempo. Ma, al limite, si può trovare assurda questa idea. Gli Indù si sono sforzati in molte maniere di stabilire fermamente in tutto la nozione dell'Infinito, del Brahman assoluto. Brahman è infinito - ananta: senza fine. E non c'è nemmeno inizio. Quando si parla di fine, si deve pensare all'inizio. Una cosa che ha un inizio deve avere una fine; al mondo non esiste nulla con un inizio e senza una fine. Dunque, si devono scartare entrambi i termini. Si parla anche di kalpa e di creazione senza inizio e senza fine. Non c'è un momento in cui sopraggiunga la creazione; essa esiste in ogni tempo. Si manifesta, poi scompare. Si palesa come il soffio.


Dunque, non c'è inizio, non c'è fine. Allora, la domanda: Siamo immortali? assume un significato diverso. Non è una negazione della morte. Ad ogni momento, la morte è presente; ma di là dal tempo si trova l'immortalità.
Possiamo anche porre questa domanda: Siamo di là dal tempo? Sì. Non sappiamo di esserne fuori a causa della nostra mente. É solo questa che solleva il problema. Quanti problemi sono creati unicamente dal pensiero! Anche solo vedendo il disegno di una tigre, posso immaginare che essa ci sia realmente. In realtà non esiste, tuttavia ho paura e soffro. É l'effetto della proiezione mentale.
Molte persone dicono di aver paura della morte. Innanzitutto, questo pensiero deriva dall'ignoranza del proprio Sé e dalla nozione errata della morte. Superata questa falsa concezione, ciò che resta è una cosa che non si può descrivere, ma è la Verità. Si dice che si può liberare completamente la propria mente da tutti i pensieri, da tutti i sentimenti, da tutte le angosce; si può divenire pura coscienza. Da quel momento, il tempo non esiste più. Esso è assolutamente un concetto mentale. Se il pensiero non esiste, il tempo non esiste. Quando il tempo non esiste, la domanda della morte non si pone più. Allora, cosa resta? Resta solo e sempre l'immortalità.
Nel giorno di Pasqua, perciò, il Signore Gesù ha voluto dimostrarci questo: Io sono uscito dal mio corpo fisico; ma ricordate, Io sono immortale, Io sono il Signore!
Riflettendo sul soggetto della morte e dell'immortalità, posso arrivare a questa conclusione: Io non sono mortale, sono immortale. Immaginando di essere mortale, commetto già un errore. In quell'istante considero identiche due cose dissimili: il mio corpo che è mortale e il mio vero Sé che è immortale. Dunque, è un grande errore. Bisogna rifiutare questo modo di ragionare; bisogna riflettere e comprendere che il nostro vero Sé non è niente altro che il riflesso della Divinità.
Questo è il grande messaggio che possiamo trovare in diverse religioni, esposto chiaramente e in modo comprensibile a tutti.