Per un numero ancora troppo considerevole di cattolici, la pietà verso il Cuore Divino é una concezione tardiva, sorta nel XVII secolo dalla spiritualità sentimentale diffusa dai Gesuiti e da altri predicatori. Per alcuni altri - fra quegli stessi che sono costretti a riconoscere che la fede del Medio Evo, soprattutto, ha onorato ed adorato come noi il Cuore redentore - non é che un'idea germogliata nello spirito tanto pio di quella società medioevale tutta impregnata di poesia tenerissima e nello stesso tempo di un realismo sorprendente...

Così, Charbonneau Lassay in "Regnabit", n°6 di Novembre 1924, che offriamo ai nostri Ospiti per la lettura e lo studio.

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Per un numero ancora troppo considerevole di cattolici, la pietà verso il Cuore Divino é una concezione tardiva, sorta nel XVII secolo dalla spiritualità sentimentale diffusa dai Gesuiti e da altri predicatori. Per alcuni altri - fra quegli stessi che sono costretti a riconoscere che la fede del Medio Evo, soprattutto, ha onorato ed adorato come noi il Cuore redentore - non é che un'idea germogliata nello spirito tanto pio di quella società medioevale tutta impregnata di poesia tenerissima e nello stesso tempo di un realismo sorprendente. Per un po' non si dirà forse che il culto del Cuore, centro di tutto l'amore sapiente, derivava a sua volta dalle "Corti d'Amore" e dalle meditazioni esaltate degli anacoreti? In ogni caso, essi ammettono, quasi come da informazioni sicure, che l'anima cristiana del primo millennio non ha avuto, non ha potuto avere, neppure l'ombra di un pensiero per il Cuore di carne di Gesù, sede dei suoi sentimenti affettivi, e che questa concezione é situata del tutto al di fuori del dominio che gli era accessibile.
A maggior ragione, sembrerà loro assolutamente stupefacente che tutti i Sacerdoti di un popolo pagano di tutte le prime ci viltà umane abbiano avuto per il Cuore del Dio Unico - situato, secondo loro, come potevano concepirlo, al di sopra degli dei - un pensiero, una attenzione tanto particolari da far sì che attribuissero come innato a questo Cuore tutto ciò che la Divinità stessa possiede quanto a perfezione: potenza creatrice, sapienza, bellezza, bontà e giustizia infinita, e che di questa idea i Sacerdoti abbiano intriso tutta la nazione, con i suoi sovrani superbi, i suoi artisti, i suoi sapienti ed i suoi meravigliosi architetti. Ecco pertanto quello che le scoperte fatte, soprattutto in questi ultimi anni, dagli approfonditi studi di egittologia, permettono di affermare, sulla base di documenti materiali reali: scritti, iscrizioni lapidarie, sculture, oggetti d'arte..., cose tutte la cui mirabile testimonianza non potrebbe essere discussa.

Dai tempi delle sue prime dinastie storiche, verso il 3.300 e fine del 2.600 a.C., l'Egitto ci é mostrato dai documenti come una nazione estremamente civilizzatale statue e le sculture di questo periodo che ci restano sono di un'arte la cui perfezione ci confonde, e, quando i Faraoni della IV dinastia, Cheope, Chefrem e Micerino, eressero, o lasciarono erigere dai Sacerdoti, i misteriosi santuari che sono le Grandi Piramidi di Gizeh, fra il 2840 e il 2680 prima della nostra era, la scienza degli Egizi, in astronomia, cosmogonia, aeometria e geodesia era tale che, per arrivare al loro livello, sono stati necessari i nostri strumenti perfezionati di oggi, ed i loro metodi matematici hanno permesso loro di risolvere, nel campo delle suddette scienze, calcoli tali che i nostri sapienti restano stupefatti (1).
Ora, in passato ed ancora in quell'epoca, quando i Pontefici di Menfis e di Tebe erano i custodi della scienza come della religione dell'Egitto, vi si conservava ancora il culto del vero Dio, alterato, é vero, ma nettamente indicato, dai geroglifici dei monumenti della III e IV dinastia per esempio, come il Dio Uno, il Dio unico. Entità spirituale, esso vi appare come del tutto differente dagli del che non furono che "totem", oppure antenati divinizzati, a cominciare da Atoun (l'Antenato) (2), uno dei figli del quale, Osiris, diventò uno dei ministri della Divinità unica, con lo speciale incarico di presiedere alla pesatura delle anime sulla soglia del regno delle trasformazioni. Quanto al Dio Unico personificato spesso nel Sole, a seconda dei luoghi, dei tempi e delle Scuole Sacerdotali, Amon, o Râ, o Aton, ed alcune delle sue perfezioni furono identificate sotto altri nomi. Il culto, molto tardivo, di certi animali non fu che la deformazione di un "totemismo" che sembrava essere stato, all'origine, puramente "araldico".
É di questo Dio unico che parla il "pagano" d'Egitto che scrisse, in quel tempo, il papiro del British Museum, nel quale leggiamo questa espresssione: "Dio grande, Signore del cielo e della terra, che hai fatto tutte le cose che esistono. O mio Dio, o mio Maestro, che mi hai fatto e mi hai formato, dammi un occhio per vedere, un orecchio per sentire le tue glorie! ...". Dove si trovano, nei classici di Roma e della Grecia antica, preghiere simili a questa? (3)
Quello che risalta, al primo contatto con le opere specialistiche che trattano delle ultime scoperte religiose dell'Egittologia (4), é che il popolo Egizio conservò a lungo la nozione di verità primarie e che, d'altra parte, benché non fosse "la nazione in cui tutte le nazioni sono state benedette" (5), in questo popolo, e soprattutto nella sua classe Sacerdotale e nella sua élite intellettuale, devono esserci state dello anime molto elevate, spiritualmente molto pure, che Dio aveva dotato di lumi e di intuizioni meravigliose. Non ce ne meravigliamo: Melchisedech di cui. parla il Genesi, e i tre Magi degli Evangeli, non erano Ebrei, però il primo prefigurò l'Eucaristia e gli altri scoprirono il Cristo appena nato: "lo Spirito di Dio soffia dove vuole".
Ecco perché troviamo nei testi sacri dell'Egitto passaggi davanti ai quali grandissimi sapienti di oggi, come Alexandre Mort (6) non esitano a considerare come una sorta di pre-cristianesimo certi capitoli degli scritti teologici dell'Antico Egitto; così Moret, nella sua stupenda opera Mystères Egyptiens intitola arditamente uno dei suoi capitoli più belli: Il Mistero del Verbo Creatore". Sono i resti di quelle antichissime credenze dei bei tempi dello splendore dell'Egitto, che, raccolti nei Libri Eretici, stupivano i nostri primi dottori cristiani a un punto tale che uno di essi, Lattanzio, diceva: "Ermete ha scoperto, non so come, quasi tutta la verità".

Vediamo adesso, secondo i più antichi documenti certi, che posto rilevante viene attribuito al cuore umano in questa concezione di psicologia religiosa che non aveva ancora approfondito, o lo aveva fatto assai poco, il politeismo e la zoolatria degli ultimi secoli della decadenza egiziana. Nei geroglifici, scrittura sacra in cui spesso l'immagine della cosa rappresenta la parola stessa che la designa, il cuore non fu rappresentato che con un emblema: il Vaso. Il cuore dell'uomo, infatti, non é il vaso in cui la sua vita si elabora continuamente con il suo sangue? Il vaso dove nascono e si ingrandiscono e dove muoiono le passioni buone o cattive che governano la sua volontà e lo dominano, talvolta al punto di tiranneggiare la sua intelligenza. Proprio all'origine del genere umano, che la piramide del Faraone Pepi II racconta a suo modo, Atoum, il primo uomo, estrasse i figli dal proprio seno, dividendo il suo cuore in nove parti, ciascuna delle quali diventò un essere umano completo; così nacquero gli dei e le dee ancestrali Toum, Shou, Tafnouit, Seb, Nouít, Osiris, Isis, Set e Nephtys. Questo, per far capire che l'uomo trasmette la vita attraverso il suo cuore, come più avanti vedremo il Verbo di Dio creare la vita con il suo cuore. Dal cuore viene tutto quello che l'uomo sa e può fare, ed é a lui che l'attività umana chiede la sua ispirazione; é quanto ci confida la stele del prestigioso Faraone del XV secolo prima dell'era nostra, Tout-Ankh-Amon, che da non molto ci é stata restituita, in mezzo all'incredibile splendore dei suoi tesori funerari.
Il testo che ci parla di lui, sulla stele suddetta, assicura testualmente che "egli meditava profondamente per la felicità del suo popolo comunicando con il suo proprio cuore".
E quando Ramses II rimprovera i suoi ufficiali per essere stato male assistito da loro nel corso di una battaglia: "Io non vi porto più nel mio cuore" dice loro; poi, rivolgendosi a suo padre che é nel cielo, Dio Ammon, osa parlargli così: "Che cosa fai dunque, o padre mio Ammon? É da padre non vegliare abbastanza sui suoi figli... E che cosa sono questi Asiatici per il cuore tuo?..."(7). É dunque del Cuore di Dio, di Dio Anrnon, che si tratta, ma solamente, e questo é chiaramente evidenziato, del Cuore metaforico di Dio in quanto sede degli affetti divini; ma alcuni nostri testi di liturgia cattolica non lo scongiurano forse con accenti talvolta quasi simili? Oh! Il cuore umano, come l'ha amato l'Egitto idealista! Si legga la favola, così poetica, di Bitaou, che si é sacrificato, ma il cuore del quale non vuole morire e rinasce, e si trasforma ogni volta che un nuovo colpo di se stesso mortale, lo scuote; fino a che, infine, Anubis rianima Bitaou ritrovando il suo cuore errante e mettendolo nell'acqua. E Bitaou ritorna verso la vita riportando il suo cuore.
Ma é soprattutto nel giudizio delle anime, all'uscita dalla vita terrena, che il cuore appare come il compendio completo dell'uomo. La pesata delle azioni delittuose di ogni esistenza umana é espressa sui monumenti dell'antico Egitto con scene scolpite abbastanza simili, in complesso, a quelle che ci mostrano, sulle nostre chiese romane e gotiche, il giudizio individuale degli atti delle nostre vite, con San Michele che pesa piccole anime alla presenza del l'angelo addetto alla nostra protezione e di Satana, nostro accusatore. Che cosa ci mostra la scultura egizia? Davanti al trono di Osiris, incaricato di giudicare i Morti e circondato dai suoi aiutanti, vicino a Maàt personificazione divina della Verità, si innalza una bilancia; a lato di essa, o al di sopra, un mostro ibrido, "La Divoratrice",
giustiziera della Divinità, si appresta ad impadronirsi dell'anima, se la giusta pesata é in suo sfavore. In uno dei piatti é pesato il cuore del defunto, da solo, con l'aspetto del vaso geroglifico nel quale si trovano le azioni malvagie della vita che sta per essere giudicata. Allora Maàt-Verità avanza, stacca dalla sua acconciatura la bianca piuma di struzzo che la caratterizza, talvolta siede essa stessa nel piatto (8), ma, siccome essa é sostanza spirituale, soltanto la piuma bianca pe sa con il suo peso tanto leggero...e subito deve stabilirsi l'equilibrio perfetto tra il vaso-cuore e la piuma immacolata; se ciò non avviene, é il mostro giustiziere che trionfa, e l'arai ma non sarà accettata nel regno delle trasformazioni felici.
Guardate: sulla lapide della sua tomba é Ramses VI che la bella dea antenata, Isis, figlia di Atourri, conduce per mano davanti a lui ed ai suoi aiutanti, davanti all'incorruttibile Maat-Verità, il Faraone pronuncia il suo "mea non culpa, poiché qui entra in questione soltanto il male commesso: E Ramses comincia:
 

"Omaggio a te, grande Dio che possiede la certezza!

Io vengo verso di te, o mio Signore, io mi presento per

contemplare la tua gloria.

Io ti conosco, io conosco il tuo Nome e conosco il nome delle

quarantadue divinità che sono con te nella sala della Verità...

Io non ho messo l'iniquità al posto della rettitudine.

Io non ho fatto quello che gli dei detestano.

Io non ho ucciso né fatto uccidere perfidamente.

Io non ho tradito nessuno.

Io non ho fatto versare le lacrime dei poveri...".
 

Quarantatre capi di accusa sono così respinti dal Faraone, che conclude gridando:

 

"Io sono puro, io sono puro, io sono puro!"

 

E mentre la Verità lo guarda e si prepara a lasciar cadere sul piatto della bilancia la sua piuma, terribilmente leggera, lo scarabeo di pietra fine, che nella mummia reale occupa il mezzo del cuore, ripete in invocazione la parola magica che fu pronunciata su di lui, quando fu consacrato dai geroduli:

 

"O cuore, che eri il mio cuore sulla terra,

tu che mi vieni da mia madre e mi sei necessario

per le mie trasformazioni, non testimoniare contro di me,

non abbattere tuo padre, o mio cuore!"
 

Ma Maât-Verità ha lasciato cadere la piuma dal suo diadema, i due piatti della bilancia oscillano, e si arrestano al punto preciso dell'equilibrio perfetto. Ramses é assolto.

Sulla sua stele funeraria, conservata al Museo di Torino, e tradotta da Chabas, Beka, prima di recitare, come Ramses VI, il suo "mea non culpa", lo riassume in anticipo, con queste parole vincitrici: "Io sono stato un uomo giusto, sincero e buono, che aveva messo Dio nel suo cuore"(9). Dio, Beka dice proprio Dio, in geroglifico "Nouter" (10) e non uno degli dei. Beka comprendeva perfettamente che non si sarebbe potuto condannare un cuore in cui risiedeva Dio, e che viveva lui, poiché lo aveva al centro stesso della sua vita!

 

Dopo di lui, e quasi nello stesso senso, il Cantico dei Cantici farà dire all'anima: "Mettimi come insegna sopra il tuo cuore. O Dio, mettetemi come un sigillo sopra il vostro cuore! E, assai più di mille anni dopo, un'altra parola, ancora più espressiva, quella di S.Paolo, gli farà eco: "No, non sono più io che vivo, é il Cristo Gesù che vive in me! ...".
Così dunque, per l'Egitto religioso, il cuore era tutto nell'uomo: la sede delle facoltà intellettuali, come anche delle passioni che, con quelle, governano la sua volontà, il vaso di vita dove l'anima, abbandonando il corpo, lasciava il deposito delle azioni compiute con lui, il tabernacolo, infine, dove il giusto portava la Divinità quando, grazie alle sue virtù, come si vantava Beka, aveva messo Dio stesse in sé.

L'attenzione del pensiero egizio andava troppo al cuore umano e gli attribuiva, al di fuori della sua funzione fisica, una importanza troppo grande, per cui esso non risaliva, da solo, verso il cuore di quella Divinità unica che i Sacerdoti del paese riconoscevano come la detentrice dell'onnipotenza e di ogni perfezione, fino al massime grado della totalità e dell'infinità. Il Faraone Anemophis IV, detto Moruzaton, il cui busto superbo e raffinato é al Louvre, e la Regina Nefer-Neferiou-Aton, sua sposa, composero insieme gli splendidi cantici che numerosi monumenti ancora integri ci hanno conservato in uno dl questi inni, rivolto a Dio, a Dio-Aton, ovvero considerato sotto l'emblema radioso del disco solare, leggiamo a caso in un testo lunghissimo, parole come queste: "Tu hai creato la Terra nel tuo Cuore, quando eri completamente solo... tu hai fatto le stagioni dell'anno per far nascere e crescere tutto quello che hai creato... tu hai fatto il cielo lontano per elevarti ad esso e di là vedi tutto quello che hai creato, tu tutto solo... Tu appari sotto la forma di Aton vivente, ti alzi radioso, ti allontani, e ritorni; tu sei nel mio cuore"(11).
Dunque, secondo l'inno di Amenophis-Kounaton, é dal cuore stesso di Dio che é partito il gesto divino del grande atto creatore: "Tu mi hai creato la Terra nel tuo cuore...".
La stessa asserzione ci é data anche dall'iscrizione funeraria di un sacerdote di Menfis il testo ed il senso del quale sono stati chiariti da Breasted, Maspero ed Erman: ne deriva che i teologi della scuola di Mentis distinguevano nell'opera del Dio Creatore il ruolo del pensiero creatore, che essi chiamano la parte del Cuore, e quello dello strumento della creazione, che chiamano la parte della Lingua. Quindi, in Dio ogni Verbo é un concetto del Cuore, e per realizzarsi ha bisogno della parola; così ogni atto divino si forma in pensiero dal Cuore, in emissione dalla lingua (12).
Pertanto, il Cuore di Dio é considerato, dai saggi d'Egitto, non soltanto come la sede iniziale della potenza creatrice, ma anche come il centro del pensiero divino, ed é per mezzo suo che Dio possiede la scienza divina di tutte le cose. Sul papiro di Leida si legge, a proposito di Dio, designato con il nome di Amnon: Il Suo Cuore conosce tutto, le sue labbra gustano tutto.

Un'altra scuola teologica che dei monumenti dell'epoca dei Ramessidi (XIX dinastia, verso il 1250 prima della nostra era) fanno conoscere, ci espone un'altra teoria teologica secondo la quale Dio - il Dio unico la natura (letteralmente: il Nome) del quale é un mistero assoluto - ci é presentato come costituito da tre entità divine che formano una vera trinità-unità: Phtah, Horus e Thot. Phtah é la seconda persona suprema e rappresenta l'Intelligenza divina; Horus, secondo una tradizione già antica allora, ne é il Cuore; Thot é il Verbo, strumento delle opere divine. E Phtah é indicato anche come l'Essere Supremo perché l'intera triade deriva, in qualche modo, da lui; egli é, secondo il testo stesso del documento citato "Colui che diventa Cuore, Colui che diventa Lingua”(13). La seconda persona di questa trinità, Horus, il Cuore divino, fu rappresentato nell'emblematica sacra con la figura dello sparviero, del falcone. Dai tempi della IV Dinastia, vale a dire circa tremila anni prima del la nostra era, egli portava, sulla bandiera sovrana del Faraone Chefrem la doppia corona degli Egitti del Nord e del Sud, e nel la formula geroglifica del suo nome appare il Vaso-Cuore.
Il falcone, il falcone-dio fu il totem, vale a dire il genio e il simbolo familiare dei Faraoni, considerati, in quanto figli, in quanto emanazione terrestre della divinità, come fu anche l'emblema di Horus, Cuore di Dio. Sulla bella statua dello stesso Chefrem, lo sparviero sacro appoggia il suo cuore contro la nuca del Faraone che protegge, e gli stringe la testa con le ali spiegate. Io mi chiedo se tale posizione non significhi molto di più che una semplice protezione... Essa é, certamente, espressiva, poiché l'uccello divino copre con il cuore il cervelletto stesso del sovrano nel punto più sensibile, al livello del "Ponte di Varole", ed il suo corpo ripara quel fascio di nervi cervicali che certi anatomisti chiamano "l'albero della vita"; ma non ci sarà altro?
Numerose sono le sculture sacre d'Egitto che ci mostrano dei sacerdoti, degli oranti o altri operatori che usano passi magnetici su di un soggetto; talvolta, un personaggio di riguardo é favorito da una completa assistenza di questo tipo: per esempio, un Faraone che nasce, ed un testo formale ci dice, a proposito della regina regnante Hatshopsitou che "gli dei lanciano continuamente su di lei ogni giorno i loro fluidi vitali"(14). Si tratterà forse, nel contratto tanto suggestivo che li unisce con una sorta di comunicazione, di trasmissione di questa natura, di una forma di comunione intima per emanazione e per assorbimento dei caldi fluidi divini tra il cuore dell'Uccello-dio ed il cervello del Faraone Chefrem?...
Qualche migliaio di anni dopo di lui, quando il fastoso Tout-Ankh-Anon sedeva sul suo trono, il primo dei suoi troni in tutto lo splendore della sua magnificenza, le sue braccia posavano cosi, nude, tra le ali tese del grande sparviero di lapislazuli... e presso gli Egizi come presso gli Ebrei era alle braccia che si attribuiva l'idea di potenza, di autorità.

Non voglio esagerare, né farne una norma, e dire che la teologia dell'antico Egitto, talvolta così strana, abbia contenuto in sé, se così si può dire, una sorta di preistoria del nostro culto cattolico del Cuore divino questo noma ho ritenuto che fosse bene egualmente esporre qui che grande parte abbia occupato nel suo pensiero, e quale posto e quale ruolo abbia saputo riconoscere al Cuore di Dio onnipotente, onnisciente ed assolutamente buono, la religione di questo popolo pagano; religione grossolana e materialistica sotto certi aspetti, quasi priva di ascetismo e, d'altra parte, così alta in certi dogmi e così eloquentemente espressiva nelle sue formule di adorazione e di preghiera. Ed io oso pensare che se i nostri santi dottori dei secoli del Medioevo avessero conosciuto i dati che le scoperte di questi nostri ultimi tempi ci hanno rivelato sulle idee e le cose dell'antico Egitto, senza dubbio oggi ne troveremmo il riflesso nella patristica del Sacro cuore, e forse persino nella liturgia: il rituale romano ammette, nell'officio dei Morti, la testimonianza degli oracoli sibillini, in accordo con quelli del re profeta: “...teste David cum Sibylla".
Certamente, non é da mettere sullo stesso piano da una parte il cuore fisico di Gesù, che fu adorato in prime luogo come la principale delle ferite redentrici e la sorgente corporale del Sangue salvatore, e, d'altra parte, il Cuore puramente metaforico che gli Egizi non potevano considerare che come il centro della bellezza e delle altre perfezioni divine: ma resta il fatto che per il Cuore di Dio, come per il cuore umano, essi rappresentarono questo cuore, metaforico o fisico, separatamente dal resto della forma umana, con un comune emblema consacrato, il vaso geroglifico, di un simbolismo così eloquente. Inoltre, fu attraverso il suo Cuore che diversi altri popoli antichi si rivolsero alla divinità, si indirizzarono a Lei e la scongiurarono di avere misericordia di loro, come quelli scongiuravano il proprio cuore di non testimoniare a loro sfavore nell'ora suprema
Ed i testi geroglifici non ci lasciano intravedere che questa attenzione dell'anima egizia nei confronti del Cuore di Dio e dell'uomo abbia corrisposto in qualcosa ad uno stato d'animo particolarmente sentimentale. L'élite religiosa dell'Egitto, perduta com'era nella sua teologia generale, ci appare troppo scientifica, troppo speculativa, per essersi lasciata guidare in quello che stiamo trattando, dalla dolcezza del sentimento più che da riflessioni serie e razionali (15).



1 - Vedasi abbé Moreux, La Science Mystérieuse des Pharaons, Paris, Doin, 1923 (traduzione italiana presso le edizioni Atanòr di Roma),

2 - Molto somigliante all'Adamo biblico.

3 - Cf. Ph.Virey, La Religion de l'antienne Egypte, p.13

4 - Baso tutte le pagine che seguiranno soprattutto su quattro opere: il libro del Virey (1910) addetto alla Missione archeologica francese al Cairo, già citato; il libro del Moreux (1923), direttore dell'Osservatorio di Bourges, op. cit.; Rois et Dieux d'Egypte (1923) di Alex.Moret, professore al Colége de France; Mysteres Egyptiens (1923)sempre del. Moret; ed inoltre le varie opere del Maspero.

5 - Genesi, XX1I.18

6 - Alex Moret, op.cit.

7 - Cfr. Ph.Virey, op.cit., p.117

8 - In questo caso, Maât tiene in mano "il segno di vita", piccola croce a forma di Tau, munita di un anello in cima (vedere la figura).

10 - Ph.Virey, cp.cit., pag.63

11 - Ibid.

12 - Cfr. Moret, Rois et Dieux d'Egypte, p.64

13 - Cfr. Moret, Mystéres Egyptiens, p.122

14 - Id. pag.126

15 - Cfr.Moret, Rois et Dieux d'Egypte, p.26
 

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