Il documento che presentiamo ai nostri visitatori esoterici, è uno scritto pubblicato sulla rarissima rivista bimestrale di studi esoterici (1949) "La Fenice", che pubblicherà l'anno successivo (1950) con il titolo distintivo di "Ibis" ed è a firma di A. Bertet nella traduzione di G. Moggia.

Lo scritto ritrae un opera della maestria dell'Autore e non indica di necessità la visione della Loggia o del GOI. Ogni diritto gli è dichiarato.

 

© A. Bertet

 

... Dio é l'intelligenza suprema, increata, eterna, che abbraccia tutto nella sua concezione infinita, Egli é Lui come lo chiamava Orfeo, Colui che è stato, è e sarà: egli è l'Essere unico, perché Lui solo é per sé stesso, indipendente da ogni altro essere secondario o contingente, che non può esistere che per mezzo di Lui e in Lui...

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Dio é l'intelligenza suprema, increata, eterna, che abbraccia tutto nella sua concezione infinita, Egli é Lui come lo chiamava Orfeo, Colui che è stato, è e sarà: egli è l'Essere unico, perché Lui solo é per sé stesso, indipendente da ogni altro essere secondario o contingente, che non può esistere che per mezzo di Lui e in Lui.

La sua essenza é la pura intelligenza; la sua natura è dunque puramente spirituale ed intelligibile; essa non può essere svelata che dai due testimoni fedeli che Dio ha dato ad ogni uomo che viene al mondo: la ragione o intelligenza ed il senso intimo o la coscienza.

Perché l'intelligenza pura di Dio possa agire in tutte le parti della creazione, le abbisogna necessariamente un istrumento, un agente unico, infinito con la sua essenza medesima; é quello che noi chiameremo il corpo di Dio.

Questo agente, in armonia con l'intelligenza infinita alla quale é subordinato, deve necessariamente essere di una natura infinita alla quale sottigliezza e di una elasticità che lo rendono atto a penetrare tutto senza poter essere arrestato, né limitato da nulla.

Questo agente non ha bisogno di sensi che sono gli attributi limitativi e distinti dell'essere creato ed essenzialmente limitato: non ha bisogno di occhi, poiché é lui stesso la luce increata; non ha bisogno di orecchie per udire dovunque, giacché il suono non si produce punto fuori di esso, ma in lui stesso; non ha bisogno di piedi per muoversi, poiché é immutabile nel suo riposo eterno, occupando lo spazio infinito, comprendendo in sé ogni movimento. Non potrebbe muoversi ed uscire dal suo riposo eterno ed inalterabile che uscendo di sé stesso e trasportandosi fuori di sé medesimo, ciò che é impossibile, poiché esso occupa tutto lo spazio senza limiti, e per conseguenza non può esservi nulla al di fuori di lui.

Non ha bisogno di mani, poiché con la sola direzione della volontà agisce simultaneamente su tutta la natura, senza limitazione alcuna. Così, con un paragone molto debole e molto imperfetto, allorquando lo spirito dell'uomo é per un istante sciolto - nell'estasi o nel sonno magnetico - dai legami della materia, v'è allora astrazione dei sensi o trasposizione accidentale dei sensi: in quel caso lo spirito non vede più con gli occhi, non ode più con le orecchie, non si muove più coi piedi, non palpa più con le mani: egli vede sente, intende, si muove, palpa, per così dire sé stesso, nella luce astrale che gli serve di luce, di udito, di veicolo, di gusto e di tatto. Lo spirito dell'uomo gioisce allora temporaneamente di un sesto senso che comprende tutti gli altri in sé, che contempla la sua natura riportandola temporaneamente alla sua natura essenziale, primitiva e finale, alla sua natura angelica da cui é caduto quando é stato rinchiuso nella prigione del corpo e nei legami dei sensi materiali e grossolani.

Parimenti in Dio, questo agente unico che si chiama qualche volta il quinto elemento, l'elemento primitivo o il primo elemento che comprende in sé la quintessenza di tutti gli altri, e dal quale questi sono usciti per la separazione nella creazione, questo agente - dico - non può essere limitato da sensi, né racchiuso nella luce di un solo astro, nemmeno del sole, poiché abbraccia in sé stesso la infinità dei mondi non solo visibili, ma anche intelligibili.

Si riteneva che questo primo elemento, quintessenza dei quattro altri che i sacerdoti egiziani nella loro scienza occulta, che Talete presso i greci, che Mosé nel Genesi chiamavano le grandi acque superiori componesse un circolo immenso, un oceano senza limiti nel quale fosse racchiusa tutta la creazione e da cui questa fosse uscita con la separazione dei quattro elementi.

Mosé nel primo capitolo del Genesi, separa bene l'intelligenza di Dio dalla natura o dal suo agente, quando dice che lo spirito di Dio era portato sulle acque e allorquando fa venir fuori la creazione dalla separazione di queste acque che sono sotto al firmamento da quelle rimaste al di sopra e che costituiscono il Grande Agente o il Corpo di Dio.

I Persiani e i Caldei vedevano nel fuoco quel primo elemento, cioè - secondo noi - essi vedevano nell'effetto la causa; giacché per noi il fuoco o il calore non è l'elemento della vita, ma é il risultato o lo effetto del gioco della vita che é il movimento perpetuo; e quel che ci conferma in questa opinione si é che quando noi studiamo nell'uomo i segreti della natura con la legge dell'analogia, vediamo che nella catalessia o nella letargia, allorquando la vita si ritira in riserva nelle cavità splancniche del cervello, del plesso solare e degl'intestini, sospeso il gioco di essa per la cessazione momentanea della circolazione del sangue nelle nostre vene e del fluido vitale nei nostri nervi, il corpo dell'uomo diventa freddo come un cadavere, e il calore ritorna dopo che il gioco della vita viene ristabilito con il doppio flusso del sangue e del fluido vitale.

I Persiani seguivano la stessa dottrina degli Egizi, ma essi adoravano nello stesso tempo l'acqua ed il fuoco; la prima come l'elemento primitivo e passivo, e il secondo, come lo chiamavano i seguaci di Zenone, come il principio attivo o l'intelligenza divina che ha tutto creato dall'elemento primitivo o dall'acqua: perciò essi rappresentavano questo agente unico non già con l'acqua che é il sangue della terra, ma con altra raffigurazione, tratta dal serpente che é l'emblema dell'origine della vita nella natura elementare e creata: perciò essi rappresentano questo agente unico con un grande serpente che, mordendosi la coda, formava un grande ed immenso cerchio avvolgente in sé tutta la creazione.

Da questa differenza dei simboli é risultato che i Giudei, e dopo di essi i Cristiani, hanno dato a questo principio passivo della materia il nome di diavolo o di Satana e ne hanno fatto il serpente che, tentando Eva, ha perduto il genere umano.

É qui il caso di dirvi dove i Giudei hanno preso l'idea del diavolo, la quale, infatti, non é che l'idea di Dio medesimo concepita dai malvagi. L'idea dei due principi é anche vecchia quanto il mondo; essa era presso gli Egiziani, dai quali la ricevettero i greci; presso i Persiani e presso i Caldei da cui passò in Giudea; era nella Trinità Indù poiché Schiva, uno dei termini di quel ternario, significa la distruzione perpetua della materia o il cattivo principio, come Visnù esprime il trionfo perpetuo del buon principio con la conservazione o il rinnovamento, con la risurrezione sotto la guida suprema dì Brama, che é l'intelligenza divina o Dio medesimo.

Presso i Greci le Arpie destinate a perseguitare i malvagi nel Tartaro, (come i nostri diavoli lo sono a perseguitare i nemici dei preti nel loro inferno, copia del Tartaro) erano rappresentate con delle code di pesci, per far comprendere che erano tratte dal mare o dalla umanità. Avevano dei corpi di donna per far intendere che appartenevano alla parte passiva della natura o al cattivo principio della materia; dal loro cervello venivano fuori, attraverso i loro capelli irti, dei serpenti sibilanti e minacciosi, e le loro mani, al luogo di unghie, terminavano con artigli di aquila, che si riteneva straziassero incessantemente i fianchi eternamente restaurati di Prometeo, questo emancipatore del mondo che aveva voluto rapire il fuoco del cielo o divulgare l'agente magico.

Al posto delle code dei pesci i nostri demonomani hanno dato al loro diavolo il basso del corpo o le gambe e la coda di caprone o del dio Pan o del Satiro che precedeva e dirigeva la corsa del primo Bacco nella sua conquista delle Indie; essi gli hanno attribuito un corpo di uomo che é la parte attiva dell'umanità; finalmente gli hanno dato due corna, o gli attributi di Bacco dalla testa e dalle corna di toro, le quali corna sono l'emblema dei due poteri che asserviscono l'umanità, come le due corna simboliche attribuite a Mosé e ad Aronne.

L'agente unico che noi chiamiamo qui il corpo di Dio, suo principio passivo, ha ricevuto diversi nomi senza cessare pertanto di essere sempre il medesimo; così qualche volta lo si é chiamato la natura; e per il vero filosofo la natura non significa qui altra cosa che il principio passivo, nel quale tutto é creato e si realizza attraverso il principio attivo che é la intelligenza suprema.

Altri hanno chiamato questo agente unico il cielo, altri il mondo, e in questo senso generico ecco come il sapiente Plinio definisce queste due parole che esprimono la medesima cosa:

Il mondo é quello che noi chiamiamo cielo, il quale, nei suoi vasti contorni, abbraccia gli altri esseri e deve essere riguardato come un Dio eterno, immenso, improdotto, indistruttibile. Cercare altri esseri fuori di esso é una cosa non solo inutile all'uomo, ma anche al di sopra delle forze del suo spirito; é un essere sacro, immenso, eterno, che racchiude tutto in sé stesso; é nel medesimo tempo l'opera della natura e la natura medesima; é una follia il volere uscire fuori di esso per cercare altra cosa (Plinio, Storia naturale, libro II cap. 1).

Soltanto noi dobbiamo qui osservare, di passata, che Plinio pare confonda nella stessa espressione di cielo o del mondo i due principi: il principio attivo della intelligenza e il principio passivo del grande agente che è il mezzo attraverso il quale il primo agisce su tutta la creazione o sulla materia, separando e poi combinando i quattro elementi e moltiplicando indefinitamente le forme con la distruzione o la morte e con la riproduzione o la creazione permanente, incessante e perpetua. Tutto si trasforma incessantemente nel seno fecondo della natura, la madre celeste, e nulla ricade nel nulla, non essendo la morte stessa che il passaggio ad una vita nuova con una nuova forma, poiché é materialmente, logicamente e moralmente impossibile che i nostri spiriti possano rientrare alla fine dei secoli, nel giudizio ultimo, nei medesimi corpi risuscitati, giacché la materia elementare di questi corpi deve subire una folla di trasformazioni successive, in guisa che la loro risurrezione, come la intendono certi settari, non potrebbe operarsi senza che la restituzione ad un corpo di tutte le sue molecole primitivamente costituite cagionasse al tempo medesimo la disgregazione delle molecole degli altri corpi nei quali essi hanno dovuto passare, nel corso delle trasformazioni successive.

Questa opinione é un residuo di quella presa materialmente alla lettera dai millenari dei primi secoli della Chiesa che interpretarono male l'opera tutta cabalistica della Apocalisse.

Serapide, come sapete, é lo stesso principio attivo o primo principio rappresentato sotto una forma solare, quella del sole all'equinozio di autunno, mentre che Osiride è più simboleggiato sotto la forma del sole all'equinozio di primavera come il Dio salvatore e conservatore che chiama ogni anno i mondi delle forme ad una vita nuova con una specie di resurrezione .

Nell'agente unico, puro e sciolto dai quattro elementi separati, possono vivere soltanto, muoversi e fondersi in uno o in armonia con Dio (atti degli apostoli, cap. XVII, v. 28) gli spiriti di luce, quelli la cui intelligenza ha vinto la materia e la morte, mentre che gli altri più o meno attaccati alla materia in un involucro o in un perispirito più grossolano, continuano ad errare nell'aria, attaccati alla terra per la continuazione e la legge di gravità, senza poter uscire dall'atmosfera del loro pianeta che serve ad essi ancora di catene e li vincolerà finché, con l'epurazione attraverso nuove prove, abbiano meritato di fondersi in Dio, nel grande agente e nella pura luce della verità.

Ciò che il volgare chiama la creazione non é che la formazione di una ombra, di un corpo opaco, tal quale un pianeta, con la conglomerazione delle parti più grossolane che occupano lo spazio infinito e per la separazione dei quattro elementi per mezzo del fuoco centrale che li divide secondo i loro gradi di densità. É per questo che gli antichi saggi li figuravano con quattro fasce o zone, ponendo la terra al di sotto, l'acqua al di sopra della terra, l'aria al di sopra dell'acqua, e il fuoco centrale sottilizzato era rappresentato al di sopra di tutti, come raggiungente lo agente unico e ritornando a fondervisi dopo aver operato il suo lavoro di separazione.

Il fuoco-artista, posto al centro, era rappresentato da Vulcano, ed il fuoco superiore confondendosi con il fuoco-etere, l'Azoth o Giove, era posto al di sopra, come l'alfa e l'Omega, il principio e la fine della operazione di Dio nella creazione.

Tutti gli esseri contingenti che popolano lo spazio infinito formano come una catena senza fine di cui tutti gli anelli si allacciano tra loro per gradi.

Così nella terra vivono i vermi, primi operai della distruzione, che attaccandosi alle parti in putrefazione e in decomposizione, lavorano a ricondurle a nuova vita, con l'assorbimento e la digestione.

Nell'acqua vivono quelle miriadi di pesci diversi che vi operano un lavoro analogo e impediscono a questo elemento dal corrompersi; poi vengono a loro volta a servire di cibo all'uomo. Sulla terra vivono gli innumeri animali, in mezzo ai quali troneggia il re della creazione, l'uomo, chiamato a comandare a tutti, a farsi servire da essi e a nutrirsi coi frutti della terra, come della carne di tutti gli animali che popolano l'acqua, la terra e l'aria.

Sulla terra e nell'aria vivono gli uccelli chiamati a purificare questo elemento con un lavoro analogo, distruggendo quelle miriadi d'insetti infinitamente piccoli di cui la grande moltiplicazione corromperebbe l'aria e produrrebbe quelle pesti, quelle malattie contagiose che renderebbero la terra inabitabile.

Così, a lato dalla creazione eterna, incessante di Visnù, come un aiuto e un complemento necessario, si trova la distruzione uguale di Schiva che prepara gli elementi della riproduzione eterna.

Ciò che é nato dalla carne é carne, e ciò che é nato dallo spirito é spirito (Giovanni III,6). Vale a dire che ciò che é carne é solo soggetto alla corruzione e alla morte, ciò che é spirito é immortale e indefinitivamente perfettibile.

Gl'indiani ci hanno trasmesso nel candido simbolo del loro lingam un'idea ben più grandiosa e più vera della creazione che non la Genesi, allorquando ci hanno detto che, nel gran tutto senza limiti, Dio crea una cteis che é un vuoto circondato da una corona di ombra: il vuoto é l'acqua e l'aria; l'ombra é la terra. Poi egli riempie il vuoto attraversandolo col fallus simbolico che é l'agente unico, il principio eterno della fecondazione, della generazione perpetua, il mezzo di realizzazione, il verbo eterno di Dio per la via del quale tutto é stato creato. Questo fallus simbolico venerato nei misteri greci dell'iniziazione Eleusina, é l'agente unico che non trae la sua nascita né incontra la sua fine nella cteis, ma la sopravanza dai due lati e forma così, con la corona della cteis, la croce degli gnostici.

É per mezzo e nel grande agente che serve di vincolo comune a tutti gli esseri che noi perverremo a riannodare l'anello oggi infranto il quale ci legava agli esseri superiori a cui i nostri spiriti sono chiamati ad unirsi. É in questo agente che noi dobbiamo cercare il salvatore che deve condurci in una vita nuova di rigenerazione e di salvezza; é in esso che dobbiamo cercare il consolatore delle nostre infermità e delle nostre miserie, poiché dato che esso é il principio della vita, esso deve esserne il conservatore e il riparatore, e deve racchiudere in sé il principio della medicina universale che praticavano sapientemente i Sacerdoti di Sarapide o di Esculapio.

 

 

 

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