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É noto che la maggior parte dei papiri che gli antichi egiziani avevano l'abitudine di inumare con le mummie, contenevano delle copie più o meno complete di certi testi sacri, considerati dei veri e propri talismani che avevano la proprietà di operare o di facilitare il ritorno del defunto ad una nuova vita come pure di proteggerlo nelle sue peregrinazioni d’oltretomba. L'argomento di questi testi ruota quasi invariabilmente sul destino dell'uomo dopo la morte. Tra le composizioni di questo genere giunte fino a noi, il Libro dei Morti è il più famoso. Studiosi ne hanno segnalati anche degli altri, il Libro delle imbalsamazioni, il Libro del grande sacerdote Amen-hotep ed il Libro reale[1].  

Lo Shaï-en-sinsin o Libro dei soffi di cui pubblichiamo per la prima volta in lingua italiana i contenuti[2], appartiene alla stessa famiglia ed è databile nel periodo del Regno Medio (2065 – 1785 a.C. circa), ma si accetta generalmente l’ipotesi che sia stato redatto con l'aiuto di materiali molto più antichi dal momento che gli esemplari rinvenuti sono tutti in scrittura ieratica[3]. Se analizziamo i titoli dei defunti ai quali furono dedicati i rotoli dello Shaï-en-sinsin, dobbiamo concludere che il testo era riservato esclusivamente al clero di Amon-Râ[4]. 

M. Brougsch, per primo, ha richiamato l'attenzione degli egittologi su questo libro interessante e ne ha pubblicato, sulla base di un manoscritto del Museo di Berlino, una trascrizione in geroglifici corredati di un traduzione latina[5]. Un facsimile in scrittura corsiva che si trova nel lavoro di Vivant Denon[6], è riprodotto alla fine della pubblicazione di M. Brougsch. Questo è il solo testo dello Shaï-en-sinsin che sia stato pubblicato; anche se incompleto, perché manca una parte del paragrafo 9, i paragrafi 10, 11a, 11b e il 12 per intero, una parte del paragrafo 14, ed infine la prescrizione  finale. Un ottima analisi del Libro è dovuta a M. Birch, l’attento conservatore del British Museo di storia naturale[7]. 

In attesa che un facsimile, completo, sia messo a disposizione degli egittologi[8], riproduco sulle tavole allegate delle copie (la cui scrittura si avvicina per quanto possibile a quella degli originali) di due manoscritti che possiede il Museo del Louvre:

  1. Il 3284, vale a dire, la parte del testo ieratico che contiene lo Shaï-en-sinsin [Libro dei soffi][9]. 

  2. Il 3291, portante al recto quarantotto righe di scrittura ieratica ed al verso tre di scrittura   demotica. 

Il primo di questi due esemplari, sul quale è stata fatta la traduzione che segue, comprende sei pagine di una bella scrittura ieratica e contiene completamente i quattordici paragrafi di cui si compone il libro sacro, come anche la prescrizione finale. Le varianti aggiunte in fondo alle tavole I e V sono tratte dai passaggi corrispondenti  dei seguenti manoscritti  del Louvre:

 

3291 noto con il nome di Hor-si-esi, figlio di Hor e di Kaï-kaï. 

3166 noto con il nome di Osir-aau, figlio di Taxi-ba-t. 

3126 noto con il nome di P-Šer-asu-xet-u, figlio di Osir-aau. 

3158 noto con il nome di Ta-ser-paut-ta, assistente di Amon-Râ 

        3121 noto con il nome di Ta-sa-xem, assistente di Amon-Râ.  

Queste varianti sono sufficienti per rettificare alcuni errori del nostro testo. Parecchi manoscritti tagliano alcune sezioni della versione ordinaria e li sostituiscono con altri, ma la grande maggioranza segue il testo del 3284 che sembra rappresentare la versione ufficiale. Esiste anche un testo che imita il Libro dei soffi, chiamato lo Shaï-en-sinsin secondo, di cui, però, non ci occuperemo qui. 

Lo Shaï-en-sinsin non presenta serie difficoltà ai traduttori salvo che per alcuni passaggi a proposito dei quali le osservazioni che il mio competente amico M. Chabas mi ha fornito con la sua abituale cortesia, mi sono state molto utili. Altrettanto è per i riferimenti teologici e mitologici che contiene il testo, che per altro ho affrontato soltanto marginalmente lasciando agli studiosi, ai quali questi aspetti sono familiari, il compito di sottoporli ad un studio speciale. Questo aspetto importante dell'egittologia è stata in Francia l'oggetto di analisi serie da parte di Chabas, Emanuele e Giacomo di Rougé, Paul Pierret, E. Lefébure e E. Grébaut.

Mi limito ad una traduzione la più letterale possibile, corredata di una breve analisi nella quale non mi occuperò delle parole il cui senso è generalmente accettato dagli egittologi. 

Prima di terminare, mi corre il piacevole obbligo di ringraziare il conservatore del Museo egiziano del Louvre, M. Pierret, per avere messo a mia disposizione, tutti i testi che si riferiscono al Shaï-en-sinsin [Libro dei soffi]. 

P.J. De Horrack

 

 

 

[1] G. Maspero Memorie su alcuni papiri del Louvre p. 14 e 58.   

[2] Traduzione sul testo francese di P.J. De Horrack del 1877, edizoni C. Klincksieck (Parigi).

[3] L’ipotesi più accreditata lo colloca nel Periodo Arcaico (3300 – 2900 a.C. circa).

[4] É forse utile fornire alcune notizie sulle gerarchie di un tempio egizio, per comprendere quale rango occupavano i destinatari dello Shaï-en-sinsin.

Generalmente il clero era suddiviso in due classi principali. La prima, che era poi la più elevata, era chiamata hem-neter (letteralmente servi del dio, assistenti di Râ), la seconda ûab (letteralmente i puri), a capo delle due classi era hem-neter-tepy (letteralmente il servo del dio profeta capo). Lo Shaï-en-sinsin è stato ritrovato in alcune tombe di hem-neter-tepy e hem-neter, il che fa supporre che si trattasse di una liturgia riservata. I quattro rotoli dello Shaï-en-sinsin che ci sono giunti, due sono al Museo del Louvre, e due al British Museum di Londra. N.d.T.

[5] Shaï-en-sinsin, sive liber metempsychosis veterum Aegyptiorum ecc. Berolinii 1851. 

[6] Viaggio nell'Alto e il Basso Egitto p. 136. 

[7] Introduction to the Rhind papyri.

[8] Bisogna rendere omaggio ai “Trustees” del British Museum per la magnifica pubblicazione “Facsimile of an Egyptian hieratic Papirus of the reign of Ramses III now in the British Museum” eseguito sotto l'abile direzione di M. Birch. Questo bel facsimile che è stato offerto generosamente ad un gran numero di egittologi, è di modico prezzo e conseguentemente accessibile a tutti i ricercatori; il testo è destinato a rendere un vero servizio allo studio della scrittura e della lingua dell’antico Egitto.  

[9] Vedere T. Devéria, Catalogo dei Manoscritti egiziani del Louvre p. 132.