La classe particolare, a cui é affidata l’educazione religiosa della maggiore società


 

La classe particolare, a cui é affidata l’educazione religiosa della maggiore società, e che non vede, né può vedere, altra efficacia del suo ufficio da questa infuori, perché essa di fatto, quand’anche procede al vero scopo, deve rimanere invisibile, può facilmente essere indotta a cercar di considerare l’utilità, e procurare al suo ufficio un’efficacia visibile e comprensibile, alla sua attività un influsso sociale e civile. Chi, fra questi membri della classe, la pensa in tal modo, ricorre poi al consueto espediente, di voler trarre gli uomini alla moralità con il timore delle pene oltremondane e con la speranza di un’eterna ricompensa, e chiamar ciò religione. infelice! egli non sa, che quanto egli ottiene per mezzo del timore e della brama di compenso, non è assolutamente moralità, ma solo esteriore onoratezza e ossequio alle leggi, e che egli, per quel che sta nelle sue forze, contribuisce a uccidere per sempre coloro, sui quali esercita l’opera sua, tanto nei riguardi della moralità che della religione.

Non così [procede] il Massone: il quale sa che nella maggiore società, là dove non v’é eticità alcuna, bisogna che si ottenga per lo meno l’esteriore osservanza alle leggi, - e sa come sia un pretesto falso, anzi sommamente pericoloso, il ritenere questa osservanza delle leggi una preparazione alla moralità, mentre essa dovrebbe sussistere, e venir conservata nella sua integrità con ogni sforzo, affinché la società umana possa durare intatta. Ma egli non si dedicò mai a questo scopo, perché sa altresì, che lo stato ha già istituito a tal fine prigioni e case di disciplina e altre note istituzioni; ed é ben lontano dal desiderare, che la cosa più santa che abbia l’uomo, la religione, sia avvilita fino a sostituire volontariamente gli sbirri mancanti.

Per quel che concerne il Massone stesso e la società massonica, si capisce da sé che chi ancora abbisogna di essere disciplinato con il premio e la pena per conservarsi uomo onorato, non può appartenere a questa società, in quanto, lontanissimo com’é dall’aspirare a un miglioramento dell’educazione da lui ricevuta per la società, manca di questa stessa cultura: sicché non e’é da far conto sopra un tale individuo nelle intraprese massoniche.

Il Massone deve fare il bene ed evitare la colpa per sentimento del dovere, o almeno almeno per sentimento dell’onore, quand’anche (sebbene ciò non sia possibile) egli non avesse la benché minima nozione, o credenza, di Dio e della religione: e questo non come Massone, ma come uomo, che sia anche soltanto capace della Massoneria come noi l’intendiamo. - Pertanto il Massone non può voler considerare né usare la religione come stimolo alla virtù; non fosse che per l’unico motivo già enunciato, perché essa [cioè] non può essere tale, in quanto è contrario alla virtù tutto quel che si fonda sopra uno stimolo esterno.

Senza nocumento potrebbe tuttavia la religione essere usata per tranquillare lo spirito e il cuore, per calmarli con lo spettacolo dell’evidente contrasto fra la legge del dovere e il corso del mondo. Ma anche a tal uopo essa non verrà usata dal Massone perfetto, in quanto egli non ha bisogno di tale conforto.

Certamente ciascuno é tratto a bella prima verso la religione dalla contemplazione di quel contrasto. Dal mio intimo mi é posto un fine, quell’ultimo fine terreno dell’umanità, e mi son date azioni, fatiche, sacrifici da compiere per questo fine. Non posso rifiutarmi di ascoltare questa voce [che parla] nel mio cuore. Ma quando osservo lo svolgersi delle circostanze e dei destini del mondo, ogni mio lavoro per questo fine mi pare perduto, anzi sembra talora essergli d’impedimento. Pare che tutto venga guidato, bene o male che sia, da una cieca forza invisibile, senza riguardo di sorta per il mio lavoro, come appunto accade. - Questa considerazione, costante! che tosto si impone all’uomo coscienzioso, ma freddo osservatore, é quella che conduce l’uomo alla religione, e gli presenta, in luogo del fine terreno, del quale egli dispera nonostante che non cessi di lavorare per esso, un fine invisibile, eterno.

É forse pertanto il bisogno che lo conduce alla religione; ma l’uomo perfettamente evoluto, quale io voglio pensare, una buona volta, il Massone, non si ferma a questo punto: ora che egli ha la religione, che essa é divenuta parte costitutiva di lui medesimo, egli non ne sente più il bisogno, appunto perché la possiede. La legge del dovere e il corso del mondo non si contraddicono più, perché egli conosce un mondo più alto, di cui questo porge soltanto quella parvenza che lo travaglia. Il dubbio, che lo spinse alla fede, é ora per lui risolto per sempre. Il che fa sì che ora la sua religione acquisti appunto il carattere, che per essa ho più sopra indicato, di essere cioè per lui non più oggetto del suo operare, ma, per cosi esprimermi, organo e strumento di ogni sua attività. Essa non é per lui alcunché, ch’egli ancora si foggi per trarne a sé ricordo e ammonimento, ma ciò per cui mezzo egli fa, inconsapevolmente, ogni altra cosa. Essa è l’occhio della sua vita, che egli, quando é lasciato a sé stesso, e quello non gli viene riflesso da uno specchio di artificiosa riflessione, non vede, ma col quale vede tutto il resto di ciò che gli viene alla vista.

E ora credo di aver esaurito tutto ciò che riguarda, dal punto di vista massonico, la prima parte del fine complessivo di tutta l’umanità. Mi son fermato a parlarne molto ampiamente, perché ciò serve di chiarimento a quanto segue, e perché volevo darvi, a proposito di questa parte importante, un compiuto esempio della dottrina e concezione massonica.