Tempo e Spazio


È vero che le nozioni generali si costruiscono poco a poco al contatto delle cose e di conseguenza per mezzo dei materiali dell'esperienza. Ma ciò non prova che la loro costituzione sia fortuita. L'esperienza non è insignificante, e se queste nozioni si formano in tale modo piuttosto che in tale altro, è perché, tra i dati sperimentali, ci sono dei raggruppamenti molto più stabili, molto più frequenti di altri. Senza questa predominanza di certe forme, nessuna nozione stabile potrebbe formarsi.

Il fatto stesso di questa predominanza ci fa presentire che esiste in seno alle cose una ragione, un potere che orienta in certe direzioni il flusso indeterminato delle cose abbandonate al caso. E così le nozioni generali si costruirebbero in noi da loro stesse senza nessuno apporto attivo che emani dal nostro proprio essere, che esse ci attesterebbero l'esistenza di certe leggi obiettive.

La credenza in una selezione in seno ad un'infinità di possibilità indeterminate è insormontabile; senza di lei non ci sarebbe scienza, né pratica della vita possibile, perché non si potrebbe prevedere mai, qualunque cosa questa sia, la frequenza di un fatto che non dà mai il diritto di inferire la minima probabilità.
Al contrario, la legge matematica delle probabilità renderebbe meno probabile il ritorno di un fatto che si è presentato frequentemente. È necessario dunque che un potere effettivo intervenga per portare il cosmo ad un stato che è in flagrante contraddizione con la necessità matematica e che giustifica con l'esperienza la credenza sulla quale è basata la scienza e la vita pratica. Senza previsione e senza generalizzazione l'attività e la conoscenza svaniscono.

Ogni previsione che un fatto abituale si ripeterà, è fondata, al contrario, su questo principio, ossia che esistono obiettivamente delle vie di inferiore resistenza delle determinazioni privilegiate, e questa selezione può essere attribuita solamente ad un potere effettivo che sceglie nel campo indeterminato offerto dal caso. Questa scelta definisce certe forme e rende il cosmo intelligibile estraendolo dalla confusione caotica. La selezione delle forme rivela dunque, al tempo stesso, nel cosmo l'intervento di un principio attivo extra fenomenale che vi porta l'intelligibilità: e così intelligenza ed attività si trovano unite.

Si dovrebbe quindi supporre che tra le combinazioni realizzate non ve ne sono che risultino dal caso? O diversamente detto, si dovrebbe ipotizzare un incontro fortuito di impulsi diversi che non hanno tra essi nessun legame, né nella loro origine né nella loro finalità?
Non bisogna considerare il caso come dovuto alla nostra povera ignoranza. Il caso esiste ed interviene di un certo modo, rimane in seno all'universo nella misura in cui persiste un residuo di disordine e di caos, e l'attività razionale ed ordinatrice, che rende il mondo intelligibile determinando delle forme e delle leggi, tende senza tregua ad eliminare il caso.

L'errore consiste nel generalizzare il ruolo del caso ed a considerare il razionale come un risultato del caso. Abbiamo visto che se si considera la ripetizione di un fatto come dovuta al caso, la necessità matematica doveva tendere a togliergli la sua preponderanza, e che un'altra forza era necessaria per confermarla. Se adesso si considera la varietà dei diversi fatti come dovuti al caso, non potrà risultare da questa diversità un ordine, un'armonia, uno stato intelligibile in virtù di una influenza unificatrice che è il contrario del caso.

Comunque, di fronte al caso si innalza una legge, un principio di unificazione e di ordine: il caso soltanto può dare solamente disordine inintelligibile. Ma non è tuttavia non esistente; la sua esistenza è relativa soltanto ad un sistema determinato.

Prendiamo un esempio: un cacciatore tira su un uccello che vola e lo colpisce. Per l'uccello, c'è caso, perché è passato proprio nel momento e nel luogo ove si trovava il proiettile.

L'arresto dovuto alla sua caduta non dipende per niente dalla direzione della sua traiettoria, né dal movimento delle sue ali. Lo stesso per il cacciatore, non c'è caso, perché ha scelto nello spazio la direzione del suo proiettile per raggiungere l'uccello.

Supponiamo adesso che il cacciatore abbia tirato con gli occhi bendati, così tanto per tirare un colpo: in questo frangente c'è caso per il cacciatore come per l'uccello. L'incontro del proiettile e dell'uccello dipende matematicamente da certi rapporti di velocità e di direzione, ma il movimento del proiettile e quello dell'uccello, considerati isolatamente, non hanno nulla in se stessi che possano motivare l'incontro; sono due sistemi di azioni e di cose che non hanno nessun legame genetico né teleologico: un elemento estraneo l'uno all'altro di questi due sistemi, li ha riuniti e li ha legati insieme; rispetto a questi due sistemi, c'è caso. Non c'è, però, più caso rispetto ad un sistema più vasto.

Ora, ciò che stabilisce il legame tra tutti i sistemi estranei tra essi, ciò che è rispetto a questi sistemi il "campo" del caso, sono il tempo e lo spazio; due forme della conoscenza. Questo ci conduce a penetrare più intimamente la natura di queste due entità che sono non solo le forme primordiali del pensiero, ma anche del cosmo; forme primordiali, ossia i primi picchetti dell'attività razionale in seno al caos, picchetti che permetteranno l'eliminazione e poi la configurazione delle forme individuali.
Questa dottrina è quella di Böhme, di San-Martin e di tutti gli ermetisti.

Grazie al tempo ed allo spazio, i sistemi parziali che non sono collegati tra essi da nessuna legge generale arrivano ad incontrarsi, ed i loro shock, fortuiti rispetto a loro stessi ma non rispetto al sistema generale del tempo e dello spazio nel seno del quale si evolvono, generano delle combinazioni che sono dei derivati razionali della struttura di ciascuno dei sistemi e delle condizioni di tempo e di spazio in cui si avvera la congiunzione. Non possiamo mostrare qui il legame di natura che esiste tra la costituzione di un sistema di oggetti e quella del tempo e dello spazio. É sufficiente mostrare come l'esperienza stessa attesta il valore obiettivo delle leggi e delle nozioni generali.

Tuttavia queste nozioni non possono pretendere di esprimere in un modo esatto la natura dei principi effettivi dell'universo, ciò a causa della nostra esperienza sempre incompleta e in evoluzione senza tregua con il mondo che sé si evolve. Di là il carattere relativo e transitorio, in una certa misura, di queste nozioni che devono evolversi con la scienza. Ma la loro verità relativa non impedisce che possano essere dei punti di riferimenti necessari: la loro definizione precisa, pure scostandoli della rigorosa verità, ha il vantaggio di rivelare più chiaramente il quantum della loro inesattezza: ed il loro abbandono trascina la scienza a delle ambiguità costanti, fonte di più gravi errori.