Molteplicità e Unità


Di fronte alla rappresentazione, della molteplicità e della passività, la nozione, l'unità, l'attività, si presentano dunque come reali, quantunque di una natura completamente eterogenea. Da una parte, rappresentazione, molteplicità e passività; dall'altra parte, nozione unità, attività, sembrano appartenere a due principi opposti e tali che l'uno non può concepirsi senza l'altro.

Nell'universo, la forma e l'ordine indicano l'influenza di un potere attivo, razionale ed unificatore; in noi, ogni conoscenza implica in seno alla coscienza un'attività manifestata dall'attenzione o dall'appetizione.

In funzione della passività materiale, la nozione di energia in funzione dell'ordine, la nozione di ragione; in funzione dell'unificazione, la nozione dello spirito, esprimono tutti un polo dell'esistenza necessaria ad ogni realtà.

I positivisti hanno voluto riportare l'idea di attività ad una rappresentazione, attribuendogli per origine le sensazioni soggettive di sforzo, seguite da cambiamenti veloci dello stato di coscienza. È probabilmente, là l'immagine più prossima dell'idea di attività, ed è del tutto naturale che questa immagine ci sia fornita tramite il nostro foro interiore piuttosto che tramite gli oggetti esterni, perché viviamo continuamente in rapporto col nostro principio di attività che è noi stessi, mentre non conosciamo quelli del mondo esterno che per i cambiamenti che si compiono in modo da manifestare un ordine, un'origine ed un termine. Ma l'idea di attività non deve essere confusa con le vaghe immagini che sono le rappresentazioni, dove si discerne meglio.
Il mondo non può essere considerato come un semplice divenire senza attività. Fare astrazione dell'attività può essere un metodo utile in certi rami dello scibile, ma ciò può essere solamente un procedimento che non si può erigere a dottrina. La marcia inversa sarebbe altrettanto legittima, e si potrebbe considerare ogni fenomeno come un atto.

Si negherebbe così ogni passività riducendola al risultante di parecchie attività. Del resto, è ad un risultato di questo genere che è condotta la scienza quando studia l'equilibrio. L'equilibrio che, a priori e nella sua manifestazione spontanea, è giudicato come inerzia, diviene con l'analisi una neutralizzazione di forze opposte. Non serve a nulla eliminare la parola forza, la nozione di un potere effettivo si ritrova sempre sotto una forma qualsiasi.

Non servirebbe a nulla dire che la causa determinante di una modalità qualsiasi è una necessità matematica. Ciò proverebbe ancora meglio il carattere effettivo dell'ordine razionale, poiché questo ordine diventa così la causa efficiente della struttura fisica.

L'attività è legata strettamente all'unità che è la sua stessa essenza. Difatti, ciò che caratterizza l'attività, è il movimento, il cambiamento, non qualsiasi, ma definito, ben determinato ed indicante un'origine ed un termine. Con ciò, si vede ancora che l'attività è legata all'intelligenza e che la determinazione, stabilita con l'attività, è ciò che rende intelligibile il flusso mobile delle cose. Nel mentale, l'agente unificatore che, collocato al di fuori della rappresentazione stessa, l'unifica, la rende intelligibile, e che, d'altra parte, ordina e rende efficace il movimento, è proprio la ragione.

L'appetizione tende, anche lei, verso l'unità; essa è una combinazione mista dell'attività dell'universo e dell'attività propria dell'uomo, ancora confusa e non liberata del caos: è l'attività nel dominio sensibile, regione frontiera in cui si opera la trasmutazione dell'io e del non io. Appetizione e ragione tendono tutti due ad assimilare, ad unire. Ma l'appetizione tende verso una sintesi relativa, limitata, che prende per centro il focolare individuale; la ragione è l'appetizione inversa che tende ad unificare la sfera individuale per trasformarla in un elemento integrabile nella sintesi universale. L'ordine è il mezzo di unificazione che adopera la ragione. L'appetizione trascura l'ordine perché crede poter realizzare immediatamente la sintesi che insegue. Ma questa sintesi è irrealizzabile perché è combattuta, senza tregua, da appetizioni estranee che tendono a distruggerla; questo conflitto fa sgorgare la scintilla della coscienza discorsiva, e dal centro di questa perturbazione, l'attività razionale interviene per orientare le tendenze verso una sintesi meno immediata, ma più stabile di quanto da lei insegua per mezzo dell'ordine, e così si intravedono, poco a poco il vero, il bello ed il bene.

È per avere eliminato tutta la serie attiva che certi sistemi filosofici sono giunti a negare la sostanza la forza, la causalità, la libertà. Hanno confuso questi agenti con le rappresentazioni che sono attribuite loro come separanti con le altre tramite un carattere di fissità e di astrazione più grande.

Si è chiamato sostanza i gruppi più stabili dei fenomeni e si è avuto buon gioco, poi, nel mostrare che questi gruppi non differivano degli altri che per una più grande resistenza.
Ora, la sostanza non è questo, ma il principio attivo, l'energia che mantiene insieme certi elementi materiali o certi attributi e che conferisco alla loro riunione, piuttosto che ai raggruppamenti qualsiasi, una resistenza tutta particolare di fronte alle azioni esterne che tendono a disperderli. La sostanza non è altro che la forza conservatrice, l'energia allo stato statico: essa implica una finalità ed una razionalità.

Ugualmente, si è chiamato forza l'elemento materiale propulsore, che trasmette un movimento, ed è chiaro che così compresa, la forza svanisce e si confonde con il mobile che comunica un movimento. Ma ciò che costituisce la forza, è proprio l'atto che consiste nel trasmettere il movimento, e se vi fossero nel movimento soltanto i mobili inerti, questi subirebbero gli shock senza nulla comunicarsi.
Tenteremo forse, altrove, di dimostrare più ampiamente questo con un'analisi della nozione di shock. In quanto all'influenza a distanza, implica a fortiori un'attività distinta dei corpi messi in presenza.

Si è chiamato causalità la semplice relazione di antecedente a conseguente tra fenomeni, e così questa nozione è stata eliminata.
Ma la causalità non è questo; è la ragione che determina che tale conseguenza segua tale antecedenza.

Si è chiamato legge la frequenza di certi collegamenti fenomenali successivi, come si era chiamato sostanza il raggruppamento simultaneo, abituale di certi attributi; ma la legge è
la ragione che porta tali fenomeni a legarsi piuttosto che ad altri, in tale ordine piuttosto che in un altro.

Si è cercato la libertà nei componenti di un movimento, e questa non poteva trovarsi lì, perché risiede proprio nell'agente che interviene per determinare un sistema di componenti che per sé stesso dimora indeterminato.

Si è cercato la finalità nel risultante di un sistema, mentre risiede nell'orientamento iniziale impresso in un gruppo di moventi di cui l'insieme non possiede per sé nessuna direzione definita.

Così, tutte le nozioni metafisiche che hanno per oggetto l'elemento irrappresentabile ma energetico della realtà sono stati completamente falsati da un metodo didattico che ha la sua
sorgente nel “Nominalismo”, errore che riconosce la realtà delle cose negando quella degli atti.
Agire è un dato tanto fondamentale e tanto primitivo quanto essere e divenire. E non si saprebbe criticare troppo, a mio avviso, il metodo scolastico di analisi logica che riduce ogni verbo attivo ad un insieme del verbo essere e di un participio presente considerato come attributo . Il vizio di questa pratica consegue dalla concezione erronea del monismo astratto, concentrato qui sul termine passivo del ternario indissolubile. Avendo isolato i termini astratti, il bisogno invincibile dell'unità, da una parte e, dell'altra, il sentimento molto giusto che l'astratto non può esistere in se, si restituisce l'esistenza concreta a questo sbiadito astratto facendogli assorbire i due altri.

Questa è la radice dei più grandi errori filosofici; essa non è altra cosa nel dominio dell'intelligenza, che il principio del male: perché il male consiste proprio nella disgiunzione del ternario, seguito dell'assorbimento tirannico degli elementi da uno di essi.
Il principio di attività si manifesta con le azioni, il principio di inerzia con le cose. Si può considerare le cose come variabili, indipendenti; le azioni appaiono allora come le relazioni, come le funzioni delle cose: è l'aspetto positivistico, materialista.
Si può, al contrario, considerare le cose come la risultante delle azioni, prendendo le azioni come variabili, indipendenti; allora sono le relazioni stabilite dall'atto che definiscono le cose: è il punto di vista razionalistico ed idealista.
Non esiste condizione per considerare uno di questi punti di vista come illusorio. Hanno tutti e due il loro valore come metodi di analisi, ma sono falsi come sistemi metafisici, perché non si può ridurre l'attività né la passività ad essere soltanto un'illusoria apparenza. Si implicano una con l'altra, si manifestano in un modo più intenso, ora una, ora l'altra: la prima nel movimento, la seconda nella stabilità. Ma il mondo permane grazie soltanto alla loro sintesi. E se si vuole spiegare il mondo con uno solo di questi punti di vista, si è condotti, per la logica delle cose, alla negazione stessa della base da cui si è partiti.
L'atomismo finisce nel concepire gli atomi coi caratteri diametralmente opposti a quelli che la tesi doveva conferirgli per poter sostenersi. Conduce al dinamismo e reciprocamente. Lo studio della qualità riporta la qualità alla quantità e reciprocamente.

Ogni realtà riposa sulla sintesi tra due termini che formano opposizione. Il principio di contraddizione non ha valore che nei confronti delle nozioni astratte che la conoscenza distingue come radici della realtà. Ma la realtà non è mai un'unità astratta, ed ogni sistema di filosofia che cerca un'unità irriducibile come origine dell'universo è falsa. La realtà è composta da tre radici che, isolate, sono inconcepibili, inconoscibili, inintelligibili.
Così, è impossibile ricondurre tutte le definizioni ad una nozione primordiale unica. Gli esseri e gli atti sono soltanto relativamente. La materia non si concepisce senza lo spirito, né lo spirito senza la materia, né l'affermazione senza la negazione possibile. L'universo non potrebbe esistere senza un'intelligenza che lo conoscesse, del resto cosa sarebbe un'esistenza che non esistesse per nessuno, né per se, né per un altro? E, d'altra parte, un pensiero non può esistere senza un oggetto che esista e non sia per il fatto di pensare. L'atto puro è, al contempo, un Essere, ed egli non è Atto se non per il motivo che egli crea o percepisce questo Essere.

Così ci si porta al sistema di Wronski, giacché la nozione più semplice implica con la realtà un elemento essere e un elemento sapere, ai quali bisogna aggiungere un elemento neutro che controbilancia la loro opposizione unendoli. Ed il concorso di questi tre elementi è la realtà. Questi tre elementi non possono esistere isolatamente.
Uno di essi non può essere concepito né esistere senza che i due altri siano concepiti, implicitamente o esistenti per il fatto. Il loro isolamento non consiste dunque che in una manifestazione più intensa di uno di essi in seno alla realtà.
E da questa predominanza risultano tutte le opposizioni, tutte le distinzioni e tutte le sintesi di cui sono costituiti il macrocosmo dell'universo ed il microcosmo del pensiero.

L'unità astratta non consiste dunque che in un'accentuazione di uno di questi elementi in seno alla realtà concreta.
Wronski ha stabilito questa tesi per vie un poco differenti. Alla sua epoca, la tesi fenomenista non era stata sviluppata con la maestria e l'analisi potente di Spencer e di Stuart Mill. La denominazione di sapere, data a quanto si manifesta come principio di attività, è pregevole, perché ogni atto implica intelligibilità e finalità definita; ci sarebbe altrimenti movimento passivo ricevuto e comunicato, ma, non attività. L'attività implica che il sapere sia incluso nell'atto stesso, sia come sorgente prima dell'atto, perché senza un sapere da qualche parte, l'atto non può essere definito. Inoltre, il sapere in tutta la sua pienezza trascina il potere e conseguentemente un'attività che dipende soltanto dalla volontà, un'attività depurata da ogni costrizione e da cui la determinazione consegue direttamente dall'atto stesso del puro sapere, vibrante l'Essere puro; ossia della Saggezza.
Schopenhauer, chiamando “Volontà”, questo principio opposto alla rappresentazione, fa presentire nell'attività questo elemento di indipendenza ma non mette bene in luce la sua natura.