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Le notizie sulla vita di Flavio Giuseppe sono desunte dalla sua autobiografia. Il suo nome ebraico era Giuseppe figlio di Mattia (Joseph Ben Matityahu); il nome romano Flavio fu da lui assunto in seguito, al momento dell'affrancamento e conseguente conferimento della cittadinanza da parte dell'imperatore Tito Flavio Vespasiano.

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Nella Guerra giudaica Flavio Giuseppe racconta lo svolgersi della rivolta contro i Romani scoppiata nel 66 e repressa nel 70  dalle legioni comandate da Vespasiano e da suo figlio Tito. Flavio Giuseppe sostenne che la rivolta era opera di una piccola banda di zeloti e non, come generalmente si riteneva, una insurrezione popolare. Tuttavia, a causa della presunta volontà di attirarsi i favori dei Romani scrivendo testi ad essi favorevoli, oggi gli Ebrei non riconoscono validità storica ai suoi scritti. Emerge dai suoi scritti anche una evidente ammirazione per l'Impero romano, il nemico che aveva sconfitto il suo popolo, scrive infatti: «Un popolo che valuta le situazioni prima di passare all'azione e che, dopo aver deciso, dispone di un esercito molto efficiente ...  Senza compiere esagerazioni, potremmo dire che le loro conquiste sono inferiori ai conquistatori». Descrisse anche gli ultimi giorni della fortezza ebraica di Masada, dove la maggior parte di coloro che la stavano difendendo si suiciḍ.

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In Antichità giudaiche Flavio Giuseppe racconta la storia del popolo ebraico dalle origini fino all'epoca immediatamente precedente la guerra giudaica del 66-70. Quest'opera contiene preziose notizie relative ai movimenti religiosi del giudaismo del I° secolo come gli Esseni, i Farisei, gli Zeloti, eccetera. Essa contiene anche il cosiddetto Testimonium flavianum, ovvero un breve passo che menziona la predicazione e la morte di Gesù, confermando in sostanza il resoconto dei Vangeli. Benché questo passo sia considerato da alcuni storici, tra cui E. Schürer e H. Chadwick, in tutto o in parte, una falsificazione inserita in epoca cristiana, esso fu conservato nell'originale greco da parte della Chiesa cristiana, mentre uno studio, ripreso dal giornalista Antonio Socci, del 1971 di Shlomo Pinès dell'Università Ebraica di Gerusalemme su un codice arabo del X secolo sembra confermare che si tratti di un riferimento al Gesù Cristo dei Vangeli.

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