SUL CONCETTO DI UNA STORIA DELL'ORDINE DEI LIBERI MURATORI

(Carteggio tra Fichte e Fessler)

FICHTE a FESSLER

Di casa, 10 giugno 1800.

 

Amato Fratello,

Seguendo il desiderio espresso nella Sua ultima lettera, voglio fare per un anno la supposizione da Lei

bramata, e anzi datare questo anno da Sabato scorso.

Nella medesima lettera Ella ha, per il momento, designato abbastanza fortemente il Suo carattere, determinata la relazione in cui io debbo pormi di fronte a Lei, ed eliminati molti malintesi, a causa dei quali io Le avea fatto torto. Ella spiega che il detto di Seneca «incorruptus vir sit - MANEANT ILLI SEMEL PLACITA, NEC ULLA IN DECRETIS EIUS LITURA SIT, etc.» (1) si è fortemente trasfuso nella Sua coscienza integrale (2). In questo caso io debbo certamente computarLe come una parte della Sua personalità, che non si possa da Lei sottrarre, ciò che a chiunque altro io avrei messo in conto di un errore da cui dovesse correggersi, e che anche a Lei ho fin qui computato per tale. In forza della stessa spiegazione sarebbero anche intieramente attenuati tutti gli altri punti della lettera. Con Lei non si dovrebbe mai entrar in polemica: essa non può condurre, di fronte a un uomo di tali principi, che a irritarlo: la qual cosa io non potrei fare verso alcun uomo, e meno che mai verso di Lei (3).

Il mio principio fondamentale, affatto opposto, ch'Ella mi può pure permettere di esprimere in versi, è il seguente:

 

Nulla può l'uomo chiamar suo: il possesso

Limite è a lui, pace la morte: eterna

Lotta è l'essenza della libertà.

Né mai a cuore egli ha quanto caduto

É dietro a lui; con moto alterno annulla

E produce il pensiero. - Eletta sia

La parte sua più pura, per la fiammea

Tomba, dove lo colga, e gioventude

Ancor gl'infonda, il folgore di Dio (4).

 

E su questo fondamento io non dico : questo son io. Fichte, questa è la mia individualità: il che in genere non significa nulla; ma [dico] : così DEVE ESSERE, ASSOLUTAMENTE, L'UOMO, e se io o un altro non siamo così, se egli non si impone a principio, «ut maneant illi semel placita», egli non è come dovrebbe (5).

Ella ha tanta bontà, da attribuirmi idee multilateri e liberali. Stando alle mie proprie idee, riesco benissimo a concepire come possa essere un uomo, quale Ella dipinge sé stesso, e potrei vivere con un tal uomo in pieno accordo rispetto a una gran quantità di rapporti: ma mi troverei nella spiacevole situazione, di dover ritirare una parte della stima che io pensavo di tributarLe, se Ella non mostrasse (appunto perché capace di riconoscere questo aspetto della Sua personalità e di non presentarlo, seguendo la connessione logica della Sua lettera, come il più raccomandabile), che Ella può bene innalzarsi al di sopra di esso, e quindi anche rifiutarlo, e così farà. E questa franchezza nella valutazione di sé medesimo Le assicura di nuovo tutta la mia stima.

Doveva riuscirLe grato che io con nessuno prima che con Lei discutessi di un argomento massonico così importante, come quello di cui siam venuti a parlare. Ciò che farò, e Se farò qualche cosa, dipenderà in gran parte dalle circostanze, dalle esigenze, e dalla buona disposizione dei Fratelli. Nulla ho ancora deciso su questo punto: né ho mai fatto seriamente il progetto d'una finzione continuata (6), ma solo per mostrarLe, fino a che punto si dovesse contare sulla mia opinione, quando non si volesse presentarsi del tutto con la pura verità (7).

 

Faccio gran conto che la conoscenza di questa disparità di vedute fra noi, e della loro natura, rimanga facilmente TRA NOI DUE, eccettuati Darbes e Fischer (8). Per quel che mi riguarda non lascerò supporre nulla a nessuno nella Loggia: ma certo mi difenderei arditamente, qualora non si osservasse anche dall'altra parte la stessa discrezione.

Quanto ai dibattiti su questo argomento io sono pronto a proseguirli, fintantoché Ella lo desideri, o a interromperli tosto che Ella lo voglia; e ciò anche per iscritto, se a Lei ciò è più grato, nonostante ch'io preferisca, per risparmio di tempo, le trattazioni orali.

Poiché è desiderabile, che le discussioni scritte sin qui fatte siano RIUNITE, ed Ella ha già grandi raccolte di carte d'altra natura, io invece spazio sufficiente; - così vorrei, che Ella mi rimandasse quanto ora segue, del pari che le mie prime osservazioni, e che queste carte fossero conservate presso di me, a disposizione di entrambi.

 

Con perfetta stima, e fraterno amore,

il Suo devotissimo

Fichte.

 

 


 

1. Nel testo tedesco, una nota del Fessler ripete a questo punto le frasi corrispondenti della sua parafrasi.

2. Testo: in ihre Totalität. Ma leggi: «in Ihre Totalität»:altrimenti non si ha senso plausibile.

3. O Fichte suppone che io non comprenda il passo di Seneca da me citato, o mi fa introdurre in esso ciò che egli vuole, e ciò ch'egli suole, per rendermi quale io debbo ora assolutamente essere per suo uso e consumo. Uomini come Fichte non dovrebbero certamente entrar mai in polemica con me: perché io non mi lascio trasformare né annientare. (Nota di Fessler).

4. É effettivamente, un principio sublime, pari a una bella composizione teatrale, che serva solo per conservarla ed esibirla, ma non si possa assolutamente rappresentare nel nostro paese. Se questo principio si dovesse universalmente mettere in pratica, gli uomini a mala pena potrebbero conservarsi ancora un posticino per una tomba sulla terra di Dio, di fronte alla folla dei tempestosi geni cosmici. [Nota di Fessler].
Gli ultimi versi ricordano, ma con nuovo accento romantico, il ben noto motto pindarico: «Esseri effimeri che cosa siam noi? che cosa non siamo? Sogno di un'ombra è l'uomo. Ma quando splendor di gloria, dono dei Numi, a noi venga, allora fulgido lume sovrasta ai mortali e dolce vita»; Pyth. VIII, 95-97, trad. Cerrato.

5. Non è un modo d'agire onesto quello di Fichte, che stacca una singola proposizione dalla mia citazione di Seneca, per distribuirmi così scapellotti a destra e a sinistra, a suo piacimento. Il passo nella sua integrità dice quello che ho notato nella mia lettera. Ma se Fichte lo avesse preso così nell'insieme, non avrebbe potuto servirsene per attribuirmi falsamente un'assurdità. [Nota di Fessler].

6. Si riferisce al § 4 delle Prime osservazioni; ma Fessler (v: nota) ha ragione: quelle pagine presentano l'espediente della finzione come un effettivo e attuabile proposito.

7. Qui il fratello Fichte vuole tirarsi indietro. Le parole da lui usate nelle sue osservazioni non sono in forma ipotetica, ma assoluta e decisa: e concordano perfettamente con ciò che egli dice con eguale assolutezza e risoluzione nella sua terza lezione [IIe Lez., parte 2a] intorno alla storia segreta e profana. [Nota di Fessler].
Secondo il Flitner (pp. 76-77 n.) il Fessler si richiamerebbe qui (anziché alla seconda parte della IIa Lez) a un terzo discorso indipendente dagli altri, tenuto da Fichte il 14 ottobre 1799, prima di aprire il suo corso di Vorlesungen, in una Loggia catechetica. Ma se fosse vera l'ipotesi, Fessler dovrebbe dire invece «prima lezione» - e non terza.

8. Il Darbes, pittore di ritratti, professore e membro della «K. Akademie der Schonen Kunsten» di Berlino, fu l'introduttore di Fessler nella «Royal York».