Introduzione

 

La croce e uno dei più antichi simboli mistici usati dall'uomo.

La pretesa di considerare la croce come un segno sacro puramente cristiano, introdotto dopo la nostra era, e veramente strana, e non risponde alla realtà. Basterebbe ricordare che Ezechiello imprimeva «il signum Tau sulla fronte degli uomini che temono il Signore» (Ezech. IX, 4), così come si esprime la traduzione della Volgata.

Ma il fatto e che le vestigia della croce si trovano nei monumenti più antichi, fino alle inesplorate profondità di epoche arcaiche.

I Re Assiri, come Assurnasirpal e Sausiraman, le cui statue si conservano nel Museo Britannico, portavano un monile speciale in forma di croce: e crociformi sono gli orecchini trovati nelle tombe puniche di Cartagine.

Il mistero che avvolge la croce, anziché diradarsi, s'addensa sempre più, allorché, facendo delle ricerche, noi la ritroviamo perfino sulle statue gigantesche preistoriche dell'antichissima isola di Pasqua. Senza dire dell'uso preminente della croce ansata nell'antico Egitto, della croce a forma di Tau o di svastika che si rinviene scolpita o dipinta sulla roccia, nella Scandinavia pre-cristiana, e in isole e in terre inesplorate de nostro globo.

L'archeologia cristiana, seguendo la sua tendenza semplicistica, non potendo negare l'esistenza e l'uso della croce, in epoche molto anteriori all'avvento del Cristianesimo, dichiara che il confronto della Croce di Cristo con i segni simili, ritrovati sui monumenti dell'antichità, non regge ad una critica serena poiché e a ritenersi che quei segni siano dovuti ad un facile ornamento geometrico, mentre le due aste incrociate costituiscono il disegno più semplice e più naturale.

É strano però che gli stessi archeologi cristiani, accennando alla croce, di cui i Romani si servivano come strumento di supplizio, dichiarano che a questo atroce patibolo i Romani non annettevano «alcuna idea mistica o astronomica, come gl'Indiani, gli Egiziani e i Greci».

 

V'erano, dunque, dei popoli i quali non tracciavano la croce come facile e naturale ornamento geometrico, ma la veneravano come simbolo mistico e come espressione religiosa.

In verità, chi per poco si sia soffermato nello studio della filosofia religiosa degli antichi e, soprattutto, abbia posto mente al loro costante e universale sistema di espressione, ha compreso bene che gli antichi davano al simbolo e alla simbologia una importanza sovrana.

La storia religiosa di tutti i popoli e tutta chiusa nelle spire difficili del misticismo allegorico: essa non era mai espressa letteralmente con parole.

I geroglifici egiziani non sono «trovate» di spiriti bizzarri, ma espressioni profonde ideate e accettate dai più dotti dell'antichità. Essi costituiscono la lingua misteriosa con la quale si esprimevano tutte le teologie. I grandi sistemi filosofici arcaici conosciuti sotto il nome di Scienza sacra possedevano una lingua universale e simbolica, nota solo agli Jerofanti e agli iniziati.

Chi è ben persuaso di tutto questo può ben rendersi conto della significazione dei vari simboli espressi talora con le più semplici figure.

 

Quando l'archeologia cristiana dichiara di rigettare queste significazioni simboliche perché «arbitrarie» «strane» o «oscure», non fa che confessare la proprio ignoranza su tale argomento, mentre dimentica di venerare, tuttavia, l'Apocalisse.

D'altra parte, respingere questi studi con la convinzione aprioristica che essi sono contrari alla Fede e pericolosi per le coscienze, significa che non si è persuasi di possedere l'arma imbattibile della Verità.