La commemorazione dei defunti induce alla meditazione sul passaggio all’Oriente eterno. Ciò che si richiede dalla Massoneria è un vincolo di fraternità tra persone che credono in un fondamento spirituale dell’universo e della vita umana e che s’impongono il perfezionamento dell’esistenza attraverso lo studio e l’interpretazione dei simboli a noi pervenuti dall’antichità. Questa sepsi l’abbiamo in comune con tutti gli antichi e moderni esoteristi partendo dalle antiche fratrie misteriche fino ai contemporanei sufi dell’Islam dell’Upanisad indiana, del Buddismo Mahaaiana...
Il carissimo Fratello Cesare Micheli in questa sua opera d'ingegno datata 1971, e in seguito pubblicata su Rivista Massonica n.8 Vol. LXII - VI della nuova serie, Settembre 1971, esamina la data in cui commemoriamo i nostri Fratelli passati all'Oriente Eterno, e si interroga sul significato di "immortalità".
Il documento è opera d'ingegno del Fratello ed il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto è riconosciuto.
 

© Cesare Micheli


La libera circolazione del lavoro è subordinata all'indicazione della fonte (completa di link attivo) ed dell'autore.
 

Sullo stesso tema è possibile consultare anche:

  2 Novembre... noi 10 Marzo

  Il rito funerario massonico


 

La commemorazione dei defunti induce alla meditazione sul passaggio all’Oriente eterno.
Ciò che si richiede dalla Massoneria è un vincolo di fraternità tra persone che credono in un fondamento spirituale dell’universo e della vita umana e che s’impongono il perfezionamento dell’esistenza attraverso lo studio e l’interpretazione dei simboli a noi pervenuti dall’antichità. Questa sepsi l’abbiamo in comune con tutti gli antichi e moderni esoteristi partendo dalle antiche fratrie misteriche fino ai contemporanei sufi dell’Islam dell’Upanisad indiana, del Buddismo Mahaaiana. E ripetiamo costantemente con essi quella frase che ha determinato in India il successo del Pontefice Romano: «Conducimi dalle tenebre alla luce, dall’irreale al reale, dalla morte all’immortalità». Tre gradi della conoscenza umana: apprendista, compagno, maestro. Resta o si sperde lo spirito dopo la morte? E se resta che cosa resta? Problema che ha sempre assillato e assilla la migliore umanità. Per gli antichi ed anche soltanto per la gente del secolo passato era arduo dare una risposta, infinitamente più arduo oggi che quasar, saichet, galassie, sono entrate nel linguaggio comune insieme con la fissione dell’atomo e la fusione di spazio tempo in una quarta dimensione. Aggiungi il ridimensionamento del sapere determinato dalla psicologia dell’inconscio, dalla parapsicologia e dalle matematiche non Euclidee. Al di sopra però della incertezza determinata da questa infornata incalzante di sapere, e dalla prostrazione angosciosa lasciata nei cuori dal beffardo esistenzialismo, noi Fratellii esoteristi, che fissi nella figura di Ercole non troviamo mai abbastanza ardua qualsiasi lotta per la conquista della luce, cercheremo di dare una risposta soddisfacente per ciascun Fratello indifferentemente dalla di lui religione, credo politico, filosofia. Secondo la scienza l’universo tutto è costituito da materia energia la cui intima struttura almeno dal lato prettamente fisico comincia oggi ad essere se non chiara almeno comprensibile. Codesto apeiron, logos che dir si voglia, non è soggetto alla legge del caos come credevano gli antichi materialisti, ma a ben determinate leggi che inquadrano l’universo in un tutto armonico. Queste leggi, queste armonie, questi numeri, come direbbe Pitagora, sono direttamente percepiti, esaminati, studiati, catalogati dalla mente umana, la quale trova meravigliosa concordanza tra le forme e le categorie del proprio pensiero da un lato, le leggi che governano l’universo, dall’altro. Ma vi è di più: le trasformazioni evolutive della cosiddetta energia dal magma al cristallo, trovano ancora la stessa obbedienza alla legge dei numeri in un divenire continuo di superba armonia e di bellezza. E che dire della evoluzione della vita sulla terra, dove già la microscopica gromia e il paramecio che popolavano i mari precambriani e le successive felci equiseti e cicadee sottostanno alla legge della simmetria? E pure nella specie e negli individui sempre anche successivamente la legge della crescita é sottoposta alla legge dell’armonia: basta pensare al graduale sviluppo di una semplice conchiglia, nel quale tutte vengono rispettate le intricate e difficili leggi geometriche che governano la sinusoide. E che dire ancora della spina dorsale dei vertebrati che divide in due parti speculari il corpo facendo sì che consentaneo e uguale sia lo sviluppo delle membra in ciascuna parte? Che se qualvolta nell’evoluzione la legge della simmetria, che possiamo chiamare senz’altro «forma» non è stato rispettato, avviene che il mostro che ne scaturisce ha vita breve sulla terra. Cosa é accaduto degli ultimi grotteschi sauri, del «morofus» e dei sirenidi che popolavano i mari alla fine del terziario. E aggiungiamo ancora: recenti studi confermando quella che era la felice intuizione del grande e sfortunato Giordano Bruno, ci presentano l’atomo quasi una copia di sistema solare. Macrocosmo e microcosmo quindi determinati dalle stesse leggi dalla stessa armonia.
Tutto ciò ha scoperto e va scoprendo la mente umana, affiancando alle cose di natura i prodotti meravigliosi e terribili del proprio ingegno, meravigliosi perché le permettono di avere docili servi dotati di potenze materiali ed anche oggi mnemonico-razionali quasi infinite.
Terribili perché non sempre l’uomo costruisce i propri automi a fine di progresso generale ma più spesso per sconfinata volontà di potenza, sete di distruzione e di asservimento. Errore essenziale questo che deriva dal fatto di considerare la persona umana alla stregua degli altri oggetti che formano la conoscenza fenomenica e di servirsi del prossimo come mancipio per soddisfare qualunque brutale, disonesto, folle egoismo. Altra é la legge che regola l’attività dell’uomo nei confronti di sé stesso e dei propri simili, altro il determinismo che governa il mondo delle cose. E qui sovviene la dottrina che Kant espone nella «Critica della ragion pratica», asserendo l’autonomia nella legge morale e il suo crisma di universalità e di necessità contro tutti i sofemi felicitari.
Questo, partendo dalla imprescindibile libertà del soggetto pensante e dal fatto che ogni sua azione debba essere compiuta nel rispetto della sua e dell’altrui libertà. Limiti questi che si compendiano nell’imperativo categorico del dovere: «Agisci secondo una norma che possa per opera della tua volontà diventare legislatrice universale». Legge giusta ma così dura e impossibile che non potrebbe venir seguita neppure dagli iniziati, se non fosse che la conseguenza dialettica di un’altra superiore norma e precisamente «Ama perché è l’amore che ha creato la società, perché è esso che la mantiene». Vani infatti sarebbero la nostra permanenza costà, ed il proposito di perfezionamento nostro, se alla base di tutto non ci fosse il concetto di Fratellianza fra di noi, se non si comprendesse che è l’amore quello che fa vivere e fa prosperare la società che crea non il progresso, ma la civiltà. A questo punto possiamo scrivere la prima delle nostre tesi che collegata alle altre ci darà forse la risposta al primo nostro interrogativo sulla vita e sulla morte: «Il soggetto pensante applicando a sé stesso e alla propria azione i principi della ragione scopre che egli é un fine e non un mezzo e che ogni altro soggetto razionale deve essere tenuto da lui in questa nobile considerazione. Ed ancora, che la legge che governa il rapporto tra questi fini non può essere che la Legge dell’amore, perché essa soltanto rende possibile la durissima esplicazione del dovere».
Tratteggiato così il soggetto pensante o spirito individuale che dir si voglia, vediamo se ad esso sia possibile attribuire quella immortalità a carattere mitico che audacemente la religione cristiana gli attribuisce: O se sia invece esso caduco e mortale così e come asserisce Aristotele, per cui solo l’intelletto attivo o spirito universale è eterno. O se meglio, tra questa tesi e questa antitesi non vi sia qualche cosa di diverso che superando entrambi, giunga a porre una possibilità di vita dopo la morte senza cadere nei paralogismi cui facilmente si cade quando si tratta di oggetti della ragione. Gli Orfici e i Pitagorici con un linguaggio indubbiamente esoterico raccontarono di un passaggio continuo delle anime dagli animali inferiori via via fino all’uomo e dall’uomo comune fino al filosofo e all’asceta con un perfezionamento continuo. Aggiungiamo però che contemporaneamente ammettevano uno slittamento dalla gerarchia più alta verso quella più bassa e di qui una nuova faticosa ascesa. Cosa intendevano con questo parabolico ed esoterico linguaggio? Che l’anima dell’uomo e il suo principio vitale possano essere talmente impregnati di animalità da non distinguersi da nessuno dei bruti anzi, ridiscendendo tutta la scala della specie, giungere a un livello talmente infimo da porsi nel corpo delle blatte, degli scorpioni, ed anche peggio.
Di converso, essere l’anima dell’uomo così permeata di principi superiori in così continuo perfezionamento da avviarsi, come asserisce Platone, sempre più alla contemplazione dell’idea suprema del bene e, come aggiunge Plotino, all’estasi e alla visione della divinità. Spirito quindi si diventa, non si è. La religione cristiana che é nata indubbiamente come culto esoterico, e che ha voluto successivamente trasformarsi in una forma di iniziazione universale, ha creato essa stessa però una catena di spiriti che partendo dalla morte dell’individuo discende fino al Cocito dove si trovano le anime più perverse; contemporaneamente sempre partendo dalla morte risale una catena di spiriti, che liberati dal soma della carne alitano verso l’Empireo fino alla rosa mistica dove i Santi e i Beati contemplano in eterno la Divinità.
Esaminata così puramente e semplicemente questa costruzione tradisce una alienazione a carattere mitico di quelli che sono i valori etici umani. Ma se noi la esaminiamo cercando di trovare i concetti al di là dei veli del mito, non possiamo non vedere che i dannati e i beati non sono delle creazioni della fantasia mancanti di qualsiasi fondamento, sono invece gli uomini, con tutti i loro difetti e con tutte le loro virtù.
Uomini che rinnegando la carne e la cupidigia ed esercitando il pensiero e la virtù salgono verso quella progressiva perfezione che é il fine dello spirito stesso, fine riconosciuto dalle più alte filosofie, misteriologie e dal simbolismo esoterista. Uomini di contro che rinnegando l’amore facendo perno sulle passioni imbestiano sempre di più attraversando in discesa tutta la gamma della perversione, dalla iperisualità alla bestialità e peggio da ultimo, all’uso della facoltà della ragione per migliore esplicazione del male. Ma siccome noi abbiamo sostenuto che alla base della spiritualità ci deve essere la sottomissione dell’io alla legge «amore-dovere» la cui trasgressione coimplica antitesi e distruzione, codesta sottomissione ripeto quando non c’é, ne deriva come corollario che non esiste lo spirito, perché lo spirito é soltanto elevazione non abbrutimento.
Spirito perciò diviene colui che entrando a far parte della Massoneria si impegna di perfezionare se stesso con la conoscenza dei simboli, col superiore uso della livella e del compasso. E poiché spirito é attività di perfezionamento, codesto sforzo deve continuare per tutta la vita, perché basta poco per ridiscendere. La stessa sosta può essere molto pericolosa. L’uomo moderno, che con la sua meravigliosa attività ha raggiunto la Luna e conosce tutti gli elementi che compongono l’universo, o crede di conoscerli, che signoreggia la stessa energia che domina lo sviluppo dei soli, si pone al posto di Dio e riconosce soltanto come valore assoluto la propria attività, per la quale la legge morale non é un assoluto, ma soltanto una astrazione del diritto che gli permette di vivere in società. Pragmatismo, materialismo dialettico ecc. hanno alla base questo concetto paurosamente dissolutorio. Non diciamo, perché sarebbe una bestemmia, che la mente umana non debba arricchirsi sempre di più, e produrre oggetti sempre più perfezionati, diciamo soltanto che se il progresso nella sua ascesa non é accompagnato da quella legge morale di perfezionamento di cui noi abbiamo parlato, se per giungere alla realizzazione del proprio fine anche scientifico, tutti i mezzi vanno bene, allora si giustifica anche il medico nazista che inietta - in poveri esseri umani a lui abbandonati da una feroce tirannide - i germi più orribili per vederne il comportamento: e il delinquente pazzo che studiava un raccorciamento psichico di una determinata categoria di persone per far sì di creare «una razza intermedia fra l’uomo e il cavallo». A questo punto possiamo fissare la seconda tesi: «La conoscenza del mondo, l’attività dell’uomo per il dominio dell’universo, sono indubbiamente cose meravigliose e parte dello spirito, ove però la legge morale e il perfezionamento morale non lo accompagnino, la conoscenza anche nella sua più alta possibilità diventa fonte di morte, di orrore. Non basta perciò essa da sola, anche nell’uomo più colto, a formare lo spirito». Lo stesso vale per l’arte che quando abbandona il principio della armonia, e la sua caratteristica riconosciuta fin dai primordi, di miglioramento anche attraverso la gioia che deriva da un rapporto misterioso intuitivo della mente e dei sensi col mondo esterno, essa diventa annichilimento, perversione. Si allontana, anziché entrare come componente dello spirito. D’altra parte, di questa attività meravigliosa della conoscenza - che per noi non deve essere disgiunta dalla moralità - ancora poco sappiamo. Abbiamo però avuto recentemente la prova che il pensiero può tranquillamente attraversare l’etere come una onda e giungere ad un soggetto speciale che lo recepe. Ne ha fatto la prova l’astronauta, F. Mitchell, nella spedizione lunare.
Tratteggiato così lo spirito individuale, vediamo che esso non può trovare collocazione se non attraverso una comunità: l’uomo infatti, come la maggior parte delle speci più evolute della Terra, vive in società, vive per la Società, si é evoluto nella Società. Anche la meravigliosa perfezione cui può giungere un anacoreta, un mistico, non serve a niente se essa non viene comunicata agli altri e può essere di esempio e di luce per il presente e per il futuro. Anche dal lato conoscitivo lo spirito é un continuo divenire. Della storia ideale eterna dell’umanità fa parte tanto il levallosiano che scheggiava egregiamente la sua selce con un’industria di superamento rispetto alle precedenti amigdale, quanto Einstein, Aisemberg, Fermi ecc. Del perfezionamento morale degli uomini, che é l’altra parte dello spirito e forse la più importante, fa parte l’insegnamento di Pitagora come quello di Fichte. Il perfezionamento passato si unisce a quello intermedio ed a quello presente creando come un grande tessuto il cui ordito serve per insegnare agli uomini, sempre in ogni tempo accecati solo dall’egoismo, quelle che sono le leggi eterne dell’azione umana. In questo fiume, come tante gocce d’acqua, entrano senza mai perdersi gli spiriti di tutti coloro che hanno detto una parola di bontà all’umanità, che hanno perfezionato per se e per gli altri il proprio spirito.
Ecco Fratelli come noi Massoni possiamo intendere l’immortalità. Premesso che siamo spiriti in quanto non solo cerchiamo di conoscere, ma anche di operare secondo il bene, che come spiriti entriamo in un contesto ideale eterno che diviene ricalcando e allargando gli stessi principi alla sempre più vasta complessa realtà fenomenica, siccome pietra che cade nell’acqua infinita creando centri concentrici; per questo appunto lo spirito dei nostri cari defunti non può andare disperso, ma vive eternamente nello spirito universale che trascendendo i tempi e i luoghi si affianca alla teoretica e alla scienza per fare sì che esse diventano forza di evoluzione vera e propria e non, imbastardite con la malvagità dei mostri portatori di morte. Vivono i nostri cari defunti come vive la cellula nel tessuto, e poiché questo tessuto ha il crisma di una immortalità evolutiva, essi vivono ancora tra di noi aiutandoci con la loro esperienza coi loro sacrifici a combattere per il nostro perfezionamento. Per questo, oggi, essi non come morti,ma come sempre vivi e presenti li onoriamo e ringraziamo per quanto essi hanno fatto. E possa, a questa umanità imbarbarita dei nostri tempi che impregnata del più piatto materialismo ed esasperante edonismo, oscilla continuamente tra la brama di ineffabili strambi sofisticati piaceri e l’ansia di non mai raggiungere la piena soddisfazione di essi; possa giungere diciamo, il messaggio di questi nostri cari Fratelli che passando all’oriente eterno col sorriso sulle labbra esortavano: «Fate che sulla terra regni per sempre finalmente l’amore e sia bandito il triste odio prodromo di ogni male, di ogni nefandezza, esercitate la virtù perché solo con questo esercizio é possibile la felicità e fate finalmente che la luce della verità e della conoscenza regnino al posto dell’ignoranza madre benigna di tutte le sopraffazioni da parte di malvagi; così che finalmente cadute le tenebre di una notte cupa e primordiale brilli sul volto di tutti gli uomini la luce del nuovo, vero, civile progresso».