Mito antico e significativo è quello della dea ittita Kubaba che dalle sponde dell’Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele.
In nessun caso Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di rivestire un principio più arcaico e primordiale.
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Mito antico e significativo è quello della dea ittita Kubaba che dalle sponde dell’Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele.

In nessun caso Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di rivestire un principio più arcaico e primordiale.

Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, allorché il principio creativo che è in lei non l’ha ancora trasformata in natura naturata.

In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta chiamata Agdos, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera. In questa forma, pare fosse caduta dal cielo e il suo culto segreto si celebrava nelle viscere delle montagne, in grotte o nicchie scavate nella roccia.

Il culto della pietra nera ha origini remote, risalendo addirittura alle civiltà megalitiche e all’adorazione del menhir, la roccia conficcata nel ventre della terra. Collocata in una nicchia di uno degli angoli della Ka’ba, l’edificio cubico della Mecca, sacro all’Islam, la pietra nera è tutt’ora oggetto di venerazione da parte dei musulmani. Il suo culto esisteva già in epoca pre-islamica, ma fu Maometto a sottrarla all’idolatria e a farne, sulla scia della tradizione abramitica, la pietra di fondamento della casa di Dio.

Nell’ Antico e nel Nuovo Testamento si fa spesso riferimento a una pietra la cui funzione è di stabilire un collegamento tra terra e cielo, tra uomo e Dio. L’esempio più noto è il sogno di Giacobbe nel quale, su una scala poggiata a terra e la cui cima raggiunge il cielo, scendono e salgono gli angeli di Dio (1). Il guanciale su cui Giacobbe riposa è una pietra che al risveglio sarà da lui eretta in stele e chiamata Bet – El (Casa di Dio) (2). E Dio stesso domanda a Giobbe: sai tu su che si fonda la terra, chi ha posto la sua prima pietra? (3).

Il tema della pietra ricorre in tutti i Vangeli: su una pietra immortale e, in apparenza di poco valore, Cristo fonda la sua chiesa (4) e nella Lettera agli Efesini, rivolgendosi a ebrei e pagani, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale (5).

Né di minore importanza è, nell’antichità romana, il lapis niger, collocato accanto al Mundus, la fossa scavata da Romolo all’atto della fondazione di Roma. E, in età medievale, la ricerca del Graal, la coppa che non è una coppa, si fonde spesso con quella del lapis exilis o lapis ex coelis, la pietra caduta dal cielo, e lo stesso nome di re Artù (art nella lingua dei celti significa ‘roccia’) sembra collegarsi alla pietra.

C’è poi una pietra di cui si parla sin dall’antichità in tutte le tradizioni e la cui virtù consiste nel trasformare in argento e oro i metalli vili. E’ la pietra filosofale degli alchimisti e la sua nerezza mostra che il processo di trasformazione è possibile anche se è appena iniziato.

Questa pietra, che non è una pietra, esiste in natura nel caos degli elementi che la compongono e il primo compito dell’alchimista consiste nell’individuare, separandoli, sale, mercurio e zolfo, come altrettanti simboli del corpo, dell’anima e dello spirito. Come Artù è capace di estrarre la spada (simbolo del fuoco) dalla roccia, così l’alchimista, che abbia portato a compimento l’Opera, è in grado di estrarre l’oro dalla pietra.

La triplice distinzione in sale, mercurio e zolfo si deve, com’è noto, a Paracelso (1493 – 1541). Non mi convince tuttavia la corrispondenza dello zolfo con l’anima e del mercurio con lo spirito. Il corpo (sale - terra) assicura la transitoria unità di elementi antagonistici e perennemente in lotta (acqua e fuoco), ma è l’anima, nella sua natura informale, propria dell’acqua, a costringere lo spirito a vivificare il corpo e ciò è possibile per l’azione contemporanea dello zolfo e del soffio (vento o vapore degli alchimisti) o pneuma dei Greci o ruach Elohim degli Ebrei (fuoco e aria).

In altri termini, l’acqua mercuriale (anima) vela in essenza, col suo mantello lunare, l’unità triplice e caotica del composto androgino e svolge un’azione temporanea, esattamente come il corpo che è il mezzo che la contiene. Cessando il corpo, cessa anche l’anima e la qualità del fuoco che si libera nell’aria testimonia del grado di trasformazione.

Che se poi si vuol dire che l’Opera necessità di forza d’animo e di volontà e a tali qualità si attribuisce la natura ignea, occorrerà duplicare il mercurio o addirittura triplicarlo, facendone tutt’insieme: la materia prima, l’acqua che cuoce e l’acqua di vita.

Cibele è dunque la natura naturans, il grande organismo vivente pervaso di energia creatrice e, al tempo stesso, è il lapis niger, la pietra nera o prima materia degli alchimisti.

Perché è rappresentata in forma di donna? Per la verità, benché il mito ne sveli l’androginia originaria, natura e cultura continuano a presentarcela nella sua figura possente e femminile di Mater creatrice. E non a torto, direi, considerando che tutto ciò che nasce, nasce di donna o dal suo equivalente, principio femminile.

Del pino mi disse che si legava al mito di Attis e di Cibele.

Grande Madre degli dei, Cibele aveva il suo culto più noto a Pessinunte nell’Asia Minore ed era simboleggiata da una pietra nera, rappresentando la totalità primordiale della Natura, l’unità indistinta e caotica di maschio e femmina.

Attis o Atti discendente da seme divino caduto sulla pietra, benché generato di donna, tentò invano di vivere la propria polarità sessuale maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze sopraggiunse Cibele, nella sua veste maschile e violenta di Agdìstis. Al suono della siringa di Pan provocò la follia degli invitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un pino, assumendone la forma e tornando così all’androginia originaria e primordiale.

Sempre amante dei classici, il mio benefattore aveva concluso il racconto con i versi di Ovidio:

“…et succincta comas hirsutaque vertice pinus, grata deum matri, siquidem Cybeleius Attis exuit hac hominem truncoque induruit illo.”(6)

 

 

1 - Genesi, 28, 12

2 - Ib., 28, 18 – 19 e 22

3 - Giobbe, 38, 6

4 - "Tu sei Simone il figlio di Giovanni. Ora il tuo nome sarà Cefa (in ebraico Cefa è lo stesso che Pietro e vuol dire pietra’(Giovanni, 1, 42), ‘Per questo ti dico che tu sei Pietro e su di te, come su una pietra, io costruirò la mia chiesa e nemmeno la potenza della morte potrà distruggerla" (Matteo, 16, 18), "La pietra che i costruttori hanno rifiutato è diventata la pietra più importante. Questo è opera del Signore ed è una meraviglia per i nostri occhi" (Matteo, 21, 42; Marco, 12, 10; Luca, 20, 17)

5 - "Anche voi, insieme con gli altri, appartenete al popolo e alla famiglia di Dio. Siete parte di quell’edificio che ha come fondamento gli apostoli e i profeti e come pietra principale lo stesso Gesù Cristo" (Paolo di Tarso, Lettera agli Efesini, 2)

6 - “…e il pino dall’ispido tronco solo in cima frondoso, grato alla madre degli dei se il figlio di Cibele, Attis lasciò la forma d’uomo e in quel tronco fu pietra”.

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