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Ruggiero di Castiglione

Secondo il celebre mito egizio di Osiride (1), l'infido fratello gemello di costui, Set (2), architettò, con la collaborazione di 72 complici (3), una spietata congiura.
Nel più completo segreto, quest'ultimo fece costruire, decorandolo sontuosamente, un «cofano» (4) di dimensioni esattamente pari a quelle del corpo del più noto congiunto (5).
Il 17 (6) del mese di Athyr (7), quando il sole era nel segno dello Scorpione (8), nel ventottesimo anno (9) del regno o della vita di Osiride, Set organizzò con i suoi fedeli una serata di allegra «baldoria (10) nella sua bella abitazione, invitando anche l'ignaro fratello.
Mentre la birra (11) sortiva i primi effetti sugli ospiti, ad un cenno del padrone di casa, alcuni schiavi introdussero nella sala la pregiata cassa.
Set invitò tutti i presenti a coricarsi nell'interno, promettendola in regalo a colui che fosse andato a misura.
I 72 congiurati provarono, uno dopo l'altro, ad entrare nell'elegante cofano, ma le misure di ciascuno si dimostrarono inadeguate. Solo Osiride, adagiatosi per ultimo, vi aderì perfettamente.
Mentre egli indugiava nella sua posizione supina, ecco che alcuni congiurati, approfittando del momento favorevole, si precipitarono sulla cassa chiudendola con un robusto coperchio. Essa fu, quindi, inchiodata solidamente, saldata con piombo fuso e, infine, scaraventata nel Nilo (12).
Quando Iside sorella e sposa del divino Osiride apprese l'accaduto si tagliò una ciocca di capelli (13), si vestì a lutto (14) ed errò sconsolatamente in cerca del corpo esanime del suo amato consorte (15).
Nel frattempo il cofano, trascinato dalla corrente, aveva vagato per l'intero corso del fiume fino al mare, e alla fine si era arenato sulla riva di Gubla, lungo la costa della Siria (16). Ivi un bell'albero di erica (17) spuntò improvvisamente, racchiudendo la cassa all'interno del suo tronco (18).
Il re del luogo, stupefatto per la prodigiosa crescita dell'albero, lo fece abbattere e lo trasformò in una colonna (19) per la sua dimora, ignorando che dentro ad essa vi fosse il cofano col corpo di Osiride.
L'eco di questi avvenimenti giunse a Iside. La giovane vedova si recò immediatamente nella città fenicia e si abbandonò, umilmente vestita e col viso rigato di lacrime, vicino al pozzo del cortile reale.
«Non volle parlare con nessuno sin che non vennero le ancelle del re; allora le salutò cortesemente, intrecciò loro le chiome (20), e respirò su loro un meraviglioso profumo dal suo corpo divino».
Quando la regina vide le trecce delle sue ancelle, e sentì il dolce profumo che ne emanava, volle fosse chiamata la straniera; la prese in casa e la fece nutrice del suo bambino.
«Ma Iside diede da succhiare al bambino il suo dito (21) invece del suo seno, e verso sera cominciò a bruciare tutto ciò che vi era in lui di mortale, mentre essa stessa, sotto l'apparenza di una rondine (22) e mandando lamentosi pigoli, svolazzava intorno alla colonna che racchiudeva il suo fratello morto.
La regina spiava ciò che Iside faceva e quando vide suo figlio in fiamme gettò acutissime grida, impedendo così che divenisse immortale. Allora la dea si rivelò e domandò la colonna e gli ospiti gliela diedero: Iside ne estrasse il cofano, si gettò sul cadavere, lo abbracciò e pianse così forte che il più giovane dei figli del re morì di paura all'istante» (23).
Il tronco dell'albero, ormai vuoto, fu avvolto con una finissima tela, cosparso di sacro unguento e riconsegnato al re, il quale collocò il tronco presso un tempio innalzato in onore della dea, dove - affermava Plutarco - «... ancora oggi il popolo di Gubla si reca in pellegrinaggio» (24).
Da allora in poi, in tutti i templi dedicati ad Iside, i fedeli ognuno secondo
i propri mezzi contribuivano alla beneficienza deponendo le loro offerte in un tronco posto all'interno del sacro recinto (25) .
Fin dai tempi minoici e fino al crepuscolo dell'ellenismo, si incontra sempre l'albero cultuale accanto a una roccia. Spesso il santuario semitico arcaico era formato da un albero e un betilo. L'albero o l'ashera (tronco scortecciato che sostituiva l'albero verde) più tardi rimase solo accanto all'altare. I luoghi ove Cananei ed Ebrei deponevano le offerte erano situati «su ogni collina e su ogni albero verdeggianti» (26).
Ancora oggi, presso le logge massoniche, il «sacco della beneficenza» è denominato «Tronco della Vedova) . Esso consiste una borsa che il Fratello Elemosiniere fa circolare prima della chiusura dei lavori per raccogliere le offerte dei Fratelli (27). Così come il «tronco d'Iside» (la «vedova») preservò i resti mortali di Osiride dalla definitiva distruzione in attesa della risurrezione, così «il sacco della beneficenza», lenendo le sofferenze del bisognoso, lo sottrarrà dall'indigenza per aiutarlo ad elevarsi dal contingente. In ambedue i casi abbiamo il superamento di un ciclo negativo (materiale) con l'avvento di uno positivo (spirituale) (28).
 


1. La versione del mito di Osiride che illustrano le peripezie della «sacra cassa» sono state tramandate da PLUTARCO (II° secolo d.C.) nel trattato «De Iside et Osiride». Un ottimo riepilogo è quello di JAMES GEORGE FRAZER, Il ramo d'oro, Torino, Boringhieri, 1973, vol. II, p. 570 ss.

2. Secondo la tradizione egizia, nell'epoca predinastica, Set regnava sulla seconda metà dell'anno, uccidendo annualmente il fratello Osiride, lo spirito della prima metà (fine di un ciclo stagionale con il trionfo del nuovo re sacro sul suo rivale). Essi erano, in verità, i soliti gemelli antagonisti che si contendevano perennemente i favori della sorella, la dea luna Iside (Cfr. ROBERT GRAVES, I miti greci, Milano, Longanesi, 1955, p. 257).

3. Fino al 4241 a.C. gli egizi avevano presumibilmente adoperato un calendario basato sulle fasi lunari (sacro, pertanto, ad Iside), la cui unità di misura era il mese di 30 giorni, ottenuta arrotondando il periodo di 29 giorni e mezzo corrispondente alla durata approssimativa di una lunazione (durata media: 29 gg., 12 h., 44 m., 2,8 s.). Il totale dei giorni era, dunque, 360, suddiviso in cinque parti in onore di Osiride, Iside, Nephti, Set e Oro, più 5 giorni supplementari detti "epagomeni" (Cfr. ROBERT GRAVES, op. cit., p. 431). Set regnava nei 72 giorni più caldi dell'anno, pari al numero dei suindicati complici. Da questi valori numerici e simbolici hanno anche origine le misure sacre alla massoneria operativa e a quella speculativa, come nei casi della lunghezza del cabletow, «grosso canapo per sollevamento pesi» (cfr. RENÉ GUÉNON, La grande triade, Roma, Atanòr, 1951, p. 19, e HENRY WILSON COIL, Masonic Encyclopedia, New York, Macoy Publishing & Masonic Supply Company, 1961, p. 111) e delle aste dei diaconi (cfr. RUGGIERO DI CASTIGLIONE, Corpus Massonicum, Roma, Atanòr, 1984, p. 247, e IVAN MOSCA, Quaderni di simbologia muratoria, a cura del Grande Oriente d'Italia, quaderno 1, p. 75).

4. «II simbolismo del cofano si basa su due elementi: il fatto che vi si deponga un tesoro materiale o spirituale; il fatto che l'apertura del cofano sia l'equivalente di una rivelazione (l'annuncio di una nuova era)» (JEAN CHEVALIER e ALAIN GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, Milano, Rizzoli, 1986, vol. 1, p. 152). Esso è paragonato di fatto al grembo materno, ricettacolo di un prossimo avvento, di una rinascita.

5. Fondamento di tutta la creazione, Osiride è la fonte della fertilità vegetale e di tutte le forze della riproduzione. Introdusse, come re dell'Egitto arcaico, la coltivazione del grano e dell'orzo, la vendemmia e la pigiatura delle uve, ecc. Fu, dunque, un sovrano illuminato che fece emergere il popolo egizio dalla primitiva barbarie (cfr. MIRCEA ELIADE, Trattato di storia delle religioni. Torino, Boringhieri, 1976, p. 167, e dello stesso Autore, Storia delle credenze e delle idee religiose. Firenze, Sansoni, 1979, vol. 1, p. 112 ss.).

6. «... nel secondo mese, nel decimosettimo giorno del mese, in quel giorno tutte le fonti del grande abisso scoppiarono, e le cateratte del cielo furono aperte» (Genesi. VII, 11). Questo passo del Vecchio Testamento è la fonte principale del 17 quale numero apportatore di calamità (come nel biblico «diluvio»). Nel nostro caso è probabile che il 17 non sia altro che un riflesso del già citato 72. Infatti, quest'ultima cifra è il prodotto della moltiplicazione di 9 x 8, i cui numeri addizionati (9 + 8) forniscono il risultato di 17.

7. Il mese egizio di Athyr aveva inizio verso la metà dell'attuale mese di luglio e finiva dopo trenta giorni.

8. Il mito ricorda il re sacro che muore quando il sole entra nel segno dello Scorpione. Nell'epoca in cui sono ambientati questi eventi lo Scorpione corrispondeva, nello Zodiaco, al mese di agosto: solo in epoca classica, esso fu portato ad ottobre. Infatti, solo nel periodo più caldo dell'estate lo scorpione esce dal deserto (Cfr. ROBERT GRAVES, op. cit., p. 137). In tempi remotissimi al posto dell'attuale segno dello Scorpione vi era quello del Serpente (l'Uroboros, il rettile che si mordeva la coda), chiaro riferimento alla fine di un ciclo.

9. Il 28 era, nella tradizione pitagorica (che, com'è noto, era notevolmente influenzata da quella egizia), un numero perfetto che corrispondeva simbolicamente alla «saggezza» e, pertanto, tale doveva essere il numero dei componenti ogni singola comunità (cfr. ARTURO REGHINI, I numeri sacri nella tradizione pitagorica e massonica, Roma, Ignis, 1947, p. 106).

10. La festa (come l'orgia) è un rito di rigenerazione e di fecondità. «Come i semi che perdono il loro contorno nella grande fusione sotterranea, si disgregano e diventano un'altra cosa (germinazione), così gli uomini perdono la loro individualità nell'orgia, fondendosi in una sola unità vivente... L'uomo regredisce provvisoriamente allo stato amorfo, notturno, del caos, per poter rinascere con maggior vigore nella sua forma diurna... Nella struttura e nella funzione dell'orgia, identifichiamo lo stesso desiderio di ripetere un gesto primordiale: la Creazione che organizza il caos» (MIRCEA ELIADE, Trattato..., cit., pp. 373 e 374).

11. «Nell'antico Egitto la birra era una bevanda, apprezzata dai vivi e dai morti, e anche dagli dei come pozione d'immortalità» (JEAN CHEVALIER e ALAIN GHEERBRANT, op. cit., vol. I, p. 152). Secondo la tradizione Osiride insegnò agli abitanti delle Due Terre come ottenere la birra dalla fermentazione del malto d'orzo: ecco, quindi, riproporsi il «padre del grano e dell'orzo» ( = dio del Sole).

12. Il Nilo - come dimostrerà il seguito del presente mito - era la fonte di vita dell'intero popolo delle Due Terre e non poteva, quindi, rappresentare il luogo della morte del «grande Osiride». Anzi, il fiume (iteru), nella personificazione divina di Hapi (lo «Spirito del Nilo», emanazione androgine dell'oceano primordiale Nun, origine di tutte le cose), tutelerà la cassa del dio, preservandola dai vari pericoli (coccodrilli, scogli, ecc.) e depositandola integra in una spiaggia amica.

13. Il sacrificio delle ciocche della capigliatura è un segno di lutto. I capelli erano considerati raggi: la Luna-Iside, perdendo i suoi capelli, diveniva nera (cfr. ROBERT GRAVES, op. cit., pp. 297 e 328). Nel pensiero simbolico i capelli sono anche collegati alla vegetazione, chioma della terra. Il suo taglio (come la mietitura o la potatura) rappresenta una temporanea mutilazione destinata a garantire la crescita, fioritura o fruttificazione ed è l'immagine del sacrificio che assicura la futura prosperità.

14. Sul «nero», quale colore dell'ombra e, quindi, del lutto e della morte, cfr. RUGGIERO DI CASTIGLIONE, 'Corpus Massonicum', Roma, Atanòr, 1984, p. 309.

15. Inutile soffermarsi, più del dovuto, sul simbolismo della «ricerca» (di un «tesoro», in genere spirituale): dal vello d'Oro alla Coppa del Graal la mitologia è ricchissima di esempi. Trattasi, in realtà, di imprese avventurose tese, attraverso graduali metamorfosi interiori, al conseguimento dell'Illuminazione e dell'Identificazione con il Divino.

16. Gubla era l'antichissima denominazione, nei testi cuneiformi, della fenicia Biblo, capitale dei Gibliti, situata a nord di Berito (od. Beirut). Abitata già in epoca preistorica, fin dal IV millennio a.C. divenne un'attiva città commerciale che inviava in Egitto il legno del Libano per le costruzioni navali e il rame del Caucaso. Fu anche centro importantissimo del papiro (in gr. bpblos). Grande era anche la sua importanza religiosa per il locale culto di Iside e Osiride. Sui Gibliti o Ghiblei («tagliapietre»), cfr. ARTURO REGHINI, Le parole sacre e di passo, Roma, Atanòr, 1968, p. 129 ss.

17. Il termine «erica» proviene dal gr. erike, «nutrimento», da cui ereikion, «focaccia», ereikis, «orzo macinato», ereixta, «pane di tritello d'orzo». La divina Erica, nella mitologia ellenica, era la «protettrice degli agricoltori». I mortai egizi, usati per lo schiacciamento dei chicchi, erano di legno di erica (duro e rossiccio come il «tramonto»). Ritorna nuovamente il principio del «padre dell'orzo» di cui alla precedente nota 11.

18. La parola «tronco» deriva da lat. truncus (trux, trucis) con significato passivo e non attivo. Indica la scorza dura, violenta, selvaggia, di aspetto esteriore non piacevole, dell'albero, imago mundi, che come «luogo sacro» è un «centro del mondo», abitazione della divinità (cfr. MIRCEA ELIADE, Trattato.... cit., p. 280 ss.).

19. «Il simbolismo della colonna asse e ombelico del mondo, si sviluppa essenzialmente in una linea retta che indica un rapporto diretto tra il «manifestato» e il «non manifestato» (RUGGIERO DI CASTIGLIONE, Alle sorgenti della massoneria, Roma, Atanòr, 1988, p. 153).

20. Simbolicamente la treccia esprime un legame, un collegamento intimo, uno scorrere di influenze, una interdipendenza degli esseri (Cfr. JEAN CHEVALIER e ALAIN GHEERBRANT, op. cit., vol. II, p. 490).

21. Probabilmente si trattava del medio della mano sinistra che era indicato come il «dito della morte» (Ibidem, vol. I, p. 389).

22. « ...le rondini sono di fatto le messaggere della primavera. In Cina si faceva un tempo corrispondere l'arrivo e la partenza delle rondini con la data esatta degli equinozi. Il giorno del ritorno delle rondini (equinozio di primavera) era il momento dei riti di fertilità ... Parimenti Iside si trasformava in rondine, la notte, volteggiando attorno al sarcofago di Osiride, lamentandosi con grida di pianto, fino al ritorno del sole. Simbolo dell'eterno ritorno, annunzia la risurrezione» (Ibidem, vol. II, p. 294).

23. JAMES GEORGE FRAZER, op. cit., vol. Il, p. 572.

24. Ibidem.

25. Cfr. RENE GUERDAN, Pompei: la vita di una città prima della morte, Milano, Mondadori, 1975.

26. MIRCEA ELIADE, Trattato..., cit., p. 279 (cfr. anche GEREMIA, II, 20 e III. 6).

27. Cfr. LUIGI TROISI, Dizionario Massonico, Foggia, Bastogi, 1987, pp. 407 e 408.

28. Sull’«obolo della vedova», v. anche il Vangelo di Marco, XII, 4244. Peccato che il Boucher menzioni solo quest'ultimo riferimento, ignorando quello fondamentale del mito di Osiride (cfr. JULES BOUCHER, La simbologia massonica, Roma, Atanòr, 1975, pp. 290 e 291). S'ignora, purtroppo, l'origine dell'introduzione, nella terminologia massonica, della locuzione «tronco della vedova»; secondo alcuni autori deriverebbe dalla Carboneria, ma senza apportare alcuna prova alla loro tesi.
 

 

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