Noi tutti siamo pressati e spinti all'azione da contenuti subconsci che ci spingono a pensare in un certo modo, a provare determinati impulsi e ad agire in maniera non libera, senza alcuna consapevolezza di ciò che stiamo facendo e del perché lo stiamo facendo. La subcoscienza ci porta a sperimentare situazioni conflittuali, attaccamenti, paure, desideri che hanno origine in zone oscure della nostra psiche, nonostante noi pensiamo di conoscerne il meccanismo e le cause. A questo livello siamo come burattini manovrati da fili invisibili e la nostra libertà di scelta risulta estremamente ridotta. Ma come nasce la subcoscienza? Citiamo a tal proposito un passo tratto da "Tat tuam asi" [Tu sei Quello] in cui il Maestro spiega al discepolo proprio questo meccanismo, riferito in questo caso all'esperienza di costui con la droga.

 

 

Dall'Io al Se: Sintesi di un percorso

 

Noi tutti siamo pressati e spinti all'azione da contenuti subconsci che ci spingono a pensare in un certo modo, a provare determinati impulsi e ad agire in maniera non libera, senza alcuna consapevolezza di ciò che stiamo facendo e del perché lo stiamo facendo. La subcoscienza ci porta a sperimentare situazioni conflittuali, attaccamenti, paure, desideri che hanno origine in zone oscure della nostra psiche, nonostante noi pensiamo di conoscerne il meccanismo e le cause. A questo livello siamo come burattini manovrati da fili invisibili e la nostra libertà di scelta risulta estremamente ridotta. Ma come nasce la subcoscienza? Citiamo a tal proposito un passo tratto da Tat tuam asi (1) in cui il Maestro spiega al discepolo proprio questo meccanismo, riferito in questo caso all'esperienza di costui con la droga: «C'è stato un tempo in cui la tua mente era libera da tale contenuto, ma non dall'istanza d'insoddisfazione. Un bel giorno, o meglio un brutto giorno, una stimolazione l'ha colpita ed essa, essendo già predisposta, ha recepito il messaggio; in altri termini, ha risposto. Che cosa è avvenuto poi? Il piacere provato è stato di una forza tale da solcare la sostanza mentale e impiantare la radice. Dopo qualche tempo è affiorato il ricordo, riportato dalla radice, che ha sospinto l'immaginazione mentale a proiettare l'evento; quando l'intera consapevolezza viene oberata dall'immagine mentale non c'è più scampo, la precipitazione a livello oggettivo è inevitabile. Avendo ripetuto l'evento, la radice, a sua volta, ha prodotto un seme, un piccolo atomo-forza condizionante. A questo punto l'esperienza si è concretamente cristallizzata nelle profondità della mente. Così, nella tua spazialità psichica esisteva ormai un nucleo-forza tale da costringerti ritmicamente al movimento emotivo e all'immagine-pensiero. La mente era necessitata a pensare l'oggetto del suo condizionamento, non esperiva altra idea-immagine se non quella che aveva radicato e impresso nella sua struttura.

Che cosa possiamo dedurre da tutto ciò? Che la mente, un tempo libera dal pensiero della droga, gradualmente è caduta nella necessità e nella schiavitù. Questo processo si verifica anche con il sesso, con la vanità, con l'autoaffermazione, con l'odio ecc..., tutte droghe che offuscano e sviliscono la coscienza dell'essere».

 

Vediamo dunque di porre attenzione alle fasi di questo processo: la cristallizzazione di un contenuto, che in questo caso è la dipendenza dalla droga, ma può essere di qualunque altro tipo; è lo stesso processo attraverso il quale si formano tutte le nostre cristallizzazioni subconsce, piacevoli o spiacevoli che siano. Abbiamo dunque una mente che era un tempo libera dal contenuto, tuttavia non dall'istanza d'insoddisfazione. Che cosa significa? La mente, strumento dell'io, è di per sé in uno stato di incompiutezza e quindi di insoddisfazione, per cui è alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi, un pensiero che le dia l'illusione di una possibile pienezza, di un futuro appagamento. Così proietta fuori di sé un evento, un oggetto che possa riempire il vuoto. Una volta fatta l'esperienza, «il piacere provato è stato di una forzatale da solcare la sostanza mentale e impiantare la radice». L'esperienza genera piacere, perciò si tende a ripeterla; tale piacere però è passeggero, fugace, effimero, perciò l'esperienza viene ripetuta più e più volte, fino a quando la radice produce «un seme, un piccolo atomo-forza condizionante» e l'esperienza si cristallizza «nelle profondità della mente». A questo punto la mente è necessitata «a pensare l'oggetto del suo condizionamento»; il pensiero affiora nostro malgrado, senza che lo abbiamo scelto, e ci spinge ad agire per procurarci l'oggetto desiderato per scaricare la tensione del desiderio che chiede gratificazione, nell'illusione di placare l'insoddisfazione e il bisogno di compiutezza. Tutta la nostra vita psichica è fatta di meccanismi di questo tipo, cerchiamo fuori di noi qualcosa che ci riempia e ci faccia sentire importanti, amati, qualcosa che riempia il vuoto e il senso di solitudine, di inconsistenza, di bisogno, di separazione. Vi sono poi individui più o meno conflittuali, più o meno adattati, con vari livelli di problematiche psicologiche che possono incidere sul sano evolversi della vita individuale e sociale, ma comunque la condizione di ognuno è alla fine una condizione di dipendenza e di non libertà.

Questo processo di formazione dei contenuti, poi, non avviene solo con gli oggetti in qualche modo desiderabili ma anche con quelli sgradevoli, perché la mente si nutre di
qualunque cosa e il piacere-dolore sono sempre in polarità.


«La droga del sesso, della vanità, ecc..., o quella che fino a oggi hai preso, ti procura piacere (o dolore, il che è lo stesso). Il piacere-dolore ha una potenza tale da solcare la sostanza mentale, da inciderla; la conseguente ripetizione forzata ti produce ulteriore piacere-dolore che va ad alimentare il seme, e così via. Quindi, il seme può perpetuarsi fino all'indefinito, nutrendosi con il gioco del suo stesso ritmo vitale. Un'idea-contenuto è un ente, con una sua propria vitalità; esso può innalzarti o distruggerti. Dipende dalla qualità potenziale dell'ente-seme-idea, dipende dalla direzione che prende».

 

Così ci ritroviamo a nutrire idee e contenuti subconsci che ci provocano dolore, ci fanno sentire in colpa o inadeguati o incapaci e, tuttavia, anche di questo l'io si nutre, per mantenersi in vita, perché magari si è costituito proprio attorno a un nucleo di dolore che è diventato il centro della sua struttura. Come uscire allora da questa prigione? Il primo passo è proprio quello di rendersi conto di essere dentro una prigione, cioè non assolutizzare quella che è una condizione illusoria e contingente e non la Realtà assoluta. Il nostro percorso in questa vita consiste nel tentativo di passare dalla condizione di schiavitù a una sempre maggiore libertà, fino alla libertà ultima che consiste nel ritrovamento e nello svelamento della propria reale natura di Essere, incondizionato, inqualificato, identico a se stesso, eterno e immortale. Ma questo passaggio può richiedere parecchie incarnazioni e non dipende dalla buona volontà ma dal grado di maturità coscienziale. Vi sono, tuttavia, vari passaggi che portano dall'adattamento dell'io, alla sua maturità, fino alla sua trascendenza. Cerchiamo di ripercorrerli in breve.

 

L'io adattato

 

La prima fase di strutturazione dell'io è quella dell'adattamento. L'individuo ha bisogno di adattarsi alle richieste che gli provengono dal mondo esterno, di saper rispondere in modo efficace alle istanze di integrazione con i propri simili, soddisfacendo così i bisogni primari di affetto, stima, appartenenza. Adottando dei comportamenti funzionali al mantenimento di un ordine costituito e adeguandosi alle richieste di obbedienza provenienti dalle persone significative, fin dalla prima infanzia, l'individuo si sente rassicurato, si adegua al suo ambiente di riferimento, pervenendo così alla fase dell'io adattato, capace di interagire con gli altri in maniera efficace e di muoversi nel mondo senza eccessive difficoltà, con dei precisi punti di riferimento che, per quanto appartenenti alla subcoscienza, comunque lo sostengono. È una fase necessaria che permette all'individuo di muoversi nel mondo e di avere buone relazioni sociali nonché di sperimentare la propria funzione di individuo con un'identità, una capacità decisionale, un'autonomia lavorativa, ecc... Ma questo è solo il primo stadio di sviluppo dell'essere umano; purtroppo la maggior parte degli individui si ferma a questo, mutilando il resto delle proprie capacità e possibilità creative. È per questo che, raggiunto lo scopo dell'adattamento, si entra in una mediocrità e in una routine fatta di noia e di insoddisfazione, non avendo altri scopi se non perpetuare il più a lungo possibile questo status quo, con il terrore della morte che è vista come la fine di tutto. Da qui la ricerca esasperata di mantenersi giovani, attivi, allegri (tentativo tra l'altro mal riuscito), in una superficialità che nasconde una profonda angoscia e un mancato contatto con se stessi.

 

L' "io centauro"

 

Il secondo stadio di sviluppo dell'io è invece l'io maturo, detto, in psicologia transpersonale, l' "io centauro". In questo stadio l'individuo si riappropria della sua "ombra", ossia di tutti quei contenuti nascosti, negati a se stessi perché non graditi e ritenuti inaccettabili. Ci si riappropria dei propri istinti, delle proprie emozioni, della parte oscura che alberga in ciascuno di noi, accettandola e integrandola. Da qui nasce una profonda comprensione per se stessi, per le proprie miserie e debolezze, cessando di volerle nascondere, e nello stesso tempo nasce una profonda accoglienza per l'altro, così com'è, perché si riconosce che siamo tutti piccoli e bisognosi, da un certo punto di vista, anche se grandi e immortali da un altro. La nostra umanità non è più in contrapposizione con la nostra parte divina, perché in noi albergano l'una e l'altra. Da questa maturità e consapevolezza nasce poi il "non conformismo", cioè la capacità di pensare in modo originale e creativo, senza cercare l'approvazione degli altri ma dando spazio alle proprie qualità individuali, perché ognuno di noi è un essere unico e irripetibile, se solo dà ascolto alla propria intuizione senza volersi uniformare a quanto gli altri si aspettano da lui. Le idee migliori che hanno cambiato il mondo sono state espresse, in tutti i tempi, da individui coraggiosi che non si sono fermati a pensare come pensavano tutti ma hanno aperto strade nuove che poi altri hanno percorso. Da Galileo a Gandhi a Martin Luther King, in tutti i campi dell'agire umano vi sono stati uomini capaci di dare vita ad azioni creative fuori dal comune. Ma, pur non essendo degli eroi o dei grandi scienziati, tutti noi possiamo pervenire a questo stadio di maturità, con un lavoro di auto consapevolezza e coltivando le nostre qualità migliori, al servizio di un bene, di un'idea, di qualcosa che è ancora strettamente umano ma pur tuttavia esce un po' fuori dai piccoli schemi e dai meschini interessi dell'io approfittatore, dando alla vita un significato più profondo e una sua dignità.

 

L'io allineato al Sé

 

Infine vi è lo stadio dell'io allineato al Sé. È lo stadio in cui l'individuo comincia a sentire il richiamo della trascendenza e si rende conto che la vita umana ha ben poco significato se si è separati dalla propria controparte divina. L'io allenta un po' le sue difese e si arrende a una volontà che riconosce superiore e alla quale perciò si piega.

 

«Il passaggio dall'io centauro all'io allineato al Sé richiede la disidentificazione dal senso dell'io chiuso nel corpo-mente, separato dalla dimensione spirituale e arroccato nell'egocentrica importanza personale, per giungere a un modo di essere aperto alla visione universale della vita e a una più altruistica interazione con gli altri. Questo passaggio richiede l'abbandono di comportamenti possessivi e antagonistici. Come scrive Engler, dobbiamo avere un io per andare oltre l'io; abbiamo bisogno, in altre parole, di avere già maturato prima l'adattamento e poi l'autonomia per avere la forza di integrare le potenti energie transpersonali. Il passaggio dall'io centauro all'io allineato al Sé richiede la dis-identificazione dalle mete e dalle abitudini egocentrate: è necessaria la disidentificazione dalla volontà al servizio di mete personalistiche per abbracciare una volontà universalistica che cerca il vero, il bello e il buono» (2)

 

E tuttavia, anche a questo livello, pur essendoci un allargamento di coscienza, siamo ancora dentro l'aspetto egoico, meno personalistico, più aperto all'Universale, ma pur sempre un io. Altri passi ancora ci attendono, se vogliamo, verso mete sempre più avanzate, fino a uscire dai confini ristretti dell'individualità per ritrovarci nell'essenza di ciò che si è e si è stati da sempre. Da qui inizia il cammino spirituale che è volto alla trascendenza; la coscienza si risveglia e vede che i travagli del mondo e dell'individualità non sono che un gioco: la maya, l'illusione cosmica che ci tiene prigionieri.

 

Trascendere l'io

 

«Proprio come nei palcoscenici dei teatri, così si vuol pur mirare uccisioni e ogni genere di morte e conquiste di città e saccheggi: tutto si è come una trasposizione di scene e un mutar di costume; persino lacrime e lamenti sono fittizi! Poiché, anche quaggiù, nelle singole vicende della vita, non l'intima anima umana ma solo quella di fuori, che è un'ombra, singhiozza e si lamenta e crea tutte le sue parti, mentre gli uomini creano le loro finzioni dappertutto, su quel palcoscenico che è la terra intera. Tali, per certo, le opere di un uomo che sappia vivere unicamente di cose inferiori e di cose esteriori, di un uomo che non abbia capito come, anche nelle lacrime – pur quelle versate seriamente – egli, in definitiva, non fa che giocare. Poiché, unicamente con quanto è, nell'uomo, serio si deve seriamente esser sollecitati in opere serie, il resto, nell'uomo, non è cosa seria. Però proprio quelli che non sanno esser seri trattano seriamente persino le cose scherzose: gli è che essi stessi non sono altro che giocattoli. Ma se taluno, nel comune gioco della vita, s'imbatte in tali malanni, sappia, costui, di essere caduto in un gioco di bimbi, dopo aver deposto il suo proprio gioco» (3)

 

Ma allora che cosa c'è di vero alla fine del gioco? Qual è la mèta ultima della crescita dell'individuo? Abbiamo visto il formarsi della subcoscienza, abbiamo percorso le fasi di passaggio dell'io che pian piano tenta di liberarsi da questa, divenendo sempre più maturo e arrendevole, ma ancora siamo confinati nel piano individuale, soggetti al divenire: nascita e morte sono i nostri padroni.

L'uomo cerca l'immortalità ma questa non è dell'io, l'uomo cerca la verità e la bellezza ma neanche queste gli appartengono, non in quanto uomo, essere finito e limitato. Nella nostra umanità c'è qualcosa di grande e di divino, essa va amata e compresa, vissuta fino in fondo e portata al suo massimo potenziale, mai negata o inibita ma vissuta nel suo pieno sviluppo il cui naturale esito però altro non è se non la sua stessa trascendenza. È qui che il percorso spirituale, con i vari sentieri e tecniche, ci viene in aiuto; cardine e centro di tutte le possibili discipline è la meditazione, che sposta la coscienza dal livello dell'io a quello del Sé.

 

«Con il percorso della meditazione comprendiamo che noi siamo del tutto liberi solo quando amiamo qualcosa che non muore e non dipende dagli altri; siamo liberi quando non desideriamo oggetti materiali, sensoriali o intellettuali, ma ci sentiamo immersi nella contemplazione amorosa delle qualità e delle verità spirituali. La solitudine e il senso di abbandono vengono dalla separazione dalla sorgente radiante di amore-saggezza che è il Sé. Il bisogno di amore e di conoscenza può essere soddisfatto solo a livello spirituale, non dagli altri io o dalle cose, ma solo dal contatto con il Sé. L'amore incondizionato è uno stato naturale del Sé, porta seco la comprensione che la manifestazione è in continuo cambiamento, transitoria, inafferrabile e imperfetta, e l'abbraccia con compassione. In altre parole si può dire che, saldamente posti nella Realtà che è permanente e non muore, possiamo solo amare incondizionatamente tutto ciò che è impermanente, per la sua fragilità. L'insicurezza e la dipendenza nascono quando la coscienza, dimentica della sua sorgente, dirige i suoi raggi verso il mondo dei nomi e delle forme e lì si identifica e si imprigiona. La paura è l'ovvio stato dell'identificazione con il senso dell'identità separato e deriva dal riporre la propria sicurezza, le proprie aspettative e le proprie speranze in oggetti insicuri e fragili che sono transitori» (4)

 

Bisogna però fare attenzione perché non sempre la pratica meditativa è adeguata allo stadio di sviluppo del soggetto; se c'è una problematica di tipo psicologico, un io non del tutto strutturato o disfunzionale, la meditazione potrebbe rivelarsi non adeguata o addirittura dannosa.

 

«Il superamento delle resistenze è un punto critico della meditazione e il fallimento di tale obiettivo non consente alla pratica di procedere oltre, impedendone gli sviluppi evolutivi e liberanti. Un motivo più grave di impedimento alla meditazione è quello in cui le resistenze rappresentano fattori difensivi che coprono una strutturazione carente dell'io, ovvero quando esistono gravi alterazioni della struttura tripartita (super-io, io, es): in questo caso la caduta delle difese potrebbe precipitare la persona in un'angoscia regressiva, non al servizio dello sviluppo della coscienza ma del suo sconfinamento psicopatologico. Forzare il meditante a superare le resistenze e vincere le difese potrebbe rivelarsi dannoso ed è prudente interrompere la meditazione a favore di un preciso intervento di psicoterapia mirato alla chiarificazione delle problematiche dell'io. Quando esistono difese irriducibili, la disamina differenziale tra il continuare o l'abbandonare la pratica è compito dell'Istruttore che, in quanto tale, deve conoscere la strutturazione mentale e valutarne i problemi. Da quanto andiamo dicendo emerge che, oltre a essere uno strumento evolutivo, la meditazione può essere un pericoloso strumento di regressione se viene praticata e insegnata senza discriminazione: nei casi di patologie borderline, la meditazione può indurre inflazioni paranoiche, nei casi di nevrosi essa può diventare uno strumento iperdifensivo, usato per compensare i sensi di colpa e di inferiorità, tenere lontana l'idea del male o garantire l'illusione di uno stato di salute. In entrambi i casi, la meditazione diventa un fattore di scissione, che allontana il meditante dal Sé» (5).

Occorre dunque agire con intelligenza e farsi guidare dal proprio Istruttore, percorrendo con umiltà le varie tappe della crescita, armonizzando il complesso energetico con gli strumenti più adeguati alla situazione del momento. Vi sono anche altre vie che si possono percorrere, quali la via dell'azione o la via devozionale, sentieri e pratiche che comunque mirano al superamento della dimensione strettamente egoica, attraverso la donazione di sé e l'abbandono al Divino, sempre tenendo presente però che il fine ultimo del percorso dell'uomo è quello di andare oltre; la mèta finale è sempre e comunque la trascendenza. Non importa quanto tempo ci vorrà, nel profondo di noi stessi sappiamo che siamo chiamati a questo, che possiamo giocare nel teatro della vita, anzi dobbiamo farlo, ma è dietro al gioco che si svela la Realtà ultima. Quando la Coscienza, libera dagli irretimenti dell'io, comincia a riposare in se stessa, il mondo, con le sue lusinghe e le sue tribolazioni, appare per quello che è: il gioco divino, il divenire cosmico che appare e scompare sullo Io schermo immutabile dell'Assoluto, fondamento ineffabile di ogni cosa ma che è al di là di ogni cosa, e noi siamo Quello. Così andiamo errando attraverso le varie vicende della vita ma solo in Lui troveremo alla fine riposo e ristoro. Andiamo errando in cerca di Assoluto perché siamo l'Assoluto, cerchiamo per strade a volte tortuose, a volte incomprensibili, al di là della volontà dell'io che continua a tessere i suoi giochi ma con sempre minor convinzione; finché un giorno, quando la Coscienza sarà libera dall'identificazione con il divenire, ci accorgeremo di essere tornati a casa.

 

«Non nasce né muore Colui il quale è consapevolezza. Questo [atman] non venne ad essere da alcunché, ne alcuno [venne ad essere da Lui]. E non-nato, eterno, sempre uguale e antico; non viene distrutto quando il corpo viene distrutto».

«Più piccolo di ciò che è piccolo e più grande di ciò che è grande, l'atman è profondamente nascosto nell'intimo recesso di ogni creatura. Quello lo percepisce Colui che è senza brama e, [allorché realizza] la gloria dell'atman grazie all'acquietamento degli elementi componenti [che sono i sensi ], diviene libero dal dolore» (6)

«Questo supremo Brahman, atman universale, grande dimora dell'esistente, più sottile di ogni cosa sottile, eterno: in verità è te stesso, perché "Tu sei Quello"»

«Tutto ciò che esiste è nato da me, è fondato tutto in me, in me tutto si riassorbe, il Brahman senza dualità sono io stesso» (7)

 

 



 

1. Raphael, Tu sei Quello (tat tvam asi), cap. "Come nasce la subcoscienza". Collezione Vidya. Tutte le citazioni sono tratte da questo volume.

2. Laura Boggio Gilot, Il camminino dello Sviluppo Integrale. Satya Edizioni AIPT.

3. Plotino, Enneadi, III.2.XV. Traduzione di V. Cilento. Laterza, Bari.

4. Laura Boggio Gilot, Il cammino dello Sviluppo Integrale. Cit.

5. Ibidem.

6. Cfr. Katha Upanisad I.II.18 e 20 in Upanisad a cura di Raphael. Bompiani, Milano.

7. Kaivalya Upanisad 16 e 19 in Cinque Upanisad. Traduzione dal sanscrito e commento di Raphael. Collezione Vidya.

 

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