Secoli, anni, giorni. Un giorno 24 ore; un'ora 60 minuti; poi, 60 secondi. Così di continuo. "Quantità". Sempre quantità, monotone; scandite da un meccanismo nefasto: l'orologio. Giorni, ore, minuti, come se fossero uguali ed uguali per tutti. Catena di montaggio e produzione in serie per la moderna società delle masse e dei consumi. Consumo anche del tempo...

Il documento che segue è  tratto da Rivista Massonica, n.5, luglio 1973, Vol. LXIV – Soc. Erasmo,  ed è a firma del carissimo Fratello V.T.M. Ogni diritto è loro riconosciuto.

© V.T.M.

 

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Secoli, anni, giorni. Un giorno 24 ore; un'ora 60 minuti; poi, 60 secondi. Così di continuo. "QUANTITA’". Sempre QUANTITA’, monotone; scandite da un meccanismo nefasto: l'orologio. Giorni, ore, minuti, come se fossero uguali ed uguali per tutti. Catena di montaggio e produzione in serie per la moderna società delle masse e dei consumi. Consumo anche del tempo. Sperpero.

Quantità divisibili, sommabili; numeri complessi per le quattro operazioni assurde della vita profana.

Ma un attimo solo di dolore o di ansia non sembra forse più lungo, più vasto, più profondo di un'ora intera di gioia? o viceversa, il che, in fondo, è lo stesso. Il tempo: una linea orizzontale continua, che si snoda inesorabile dalla culla alla bara, esprimibile quasi in metri e centimetri di ricordi grigi, di rimpianti, di soddisfazioni e piaceri. Poi, una cifra in mezzo a due date: la nascita e la morte, tra le quali un numero riassuntivo di tutta una vita racchiusa in una misura di anni, nella solita quantità: tanto di gioia, tanto di noia e di affanni. Ed il giuoco è fatto! ma è fatto davvero? Resoconto lugubre di banale ragioneria statistica, senza importanza per la comunità.

É il tempo anedottico di ciascuno; l’ndividualismo spicciolo smarrito nella vasta economia del TUTTO.

É il tempo che attraversiamo senza servircene; il tempo che non ci ricollega con qualcosa di altro da noi.

Campane: l'ora terza, l'ora quinta, l'ora nona... per i credenti è lo stesso; che cosa cambia, se nessuno sa più mettere, inserire alcunché di universale tra il mattutino ed i vespri?

Il prima e il dopo? quale è il significato del prima e del dopo?

Ma la "Qualità" del tempo con quale criterio, con quale unità di misura possiamo definirla, riconoscerla?

Genericamente diciamo: "il tempo" ed è tutto. Un prodotto "standard"; troppo semplice, superficiale!

Non sappiamo più fare distinzioni: ci accontentiamo della quantità, che crediamo di capire, di afferrare; parliamo vagamente di ieri, di oggi, di domani, illudendoci, paghi, con le nostre convenzioni approssimative.

La qualità del tempo, invece, ci sfugge: anzi, l'ignoriamo del tutto, ci è diventata indifferente. Dimenticata! Se la volessimo esprimere, non sapremmo e non potremmo neppure farlo. Non ne abbiamo i termini, le parole adatte. Siamo limitati. Dovremmo ricorrere a circonlocuzioni complicate. Povertà delle lingue moderne. Incomunicabilità desolante.

In "greco", lingua considerata morta, vi sono CHRONOS e KAIROS; la distinzione profonda, metafisica è qui, nel salto tra questi due aspetti del tempo.

"CHRONOS" lo abbiamo sistemato nel cronometro d'oro, come in una reggia, come un re assiso sul trono; ne abbiamo fatto il tiranno, il despota, che ci tiene prigionieri, siamo, infatti, da lui ammanettati al polso con il suo cinturino, testimonianza assidua della schiavitù del nostro io, del nostro corpo: lui, l'orologio, ci ordina di alzarci al mattino, ci obbliga di andare al lavoro, ci dice quando dobbiamo mangiare, ci ricorda i doveri e gli appuntamenti. Ciò è molto razionale, logico, positivo. Facciamo ogni cosa al suo comando arbitrario, non quando ne abbiamo noi voglia o quando sarebbe necessario per norme ancestrali dettate da superiori esigenze. Chronos ci tiene servi, nostro malgrado, della cronologia, tra le sbarre della storia, nella cronaca di tutti i giorni, simili l'uno all'altro, del nostro vivere quotidiano sganciato da ogni armonia trascendente.

Kairos, invece, è nelle mani dell'irrazionale, procede sui "sentieri del sogno"; è la legge che il nostro SE elegge; è la proiezione geometrica, ortogonale sul piano umano della verticale dello spirito: un punto.

Kairos e spirito s'intendono, collaborano; è la coincidenza da cui ci vengono ammonizioni, intuizioni e presagi. Kairos ci accompagna come il demone di Socrate. É la magia del destino. Ci avvisa delle cause e degli effetti. É il dèmone delle premonizioni.

Se domandiamo: -Che ora è?- le lancette sul quadrante del nostro despota al polso ci indicano un'ora qualunque, di cui il contenuto ci è ignoto, non lo comprendiamo più; è chronos, il tempo exoterico che ci dà una cifra convenzionale, senza comunicazione con le leggi della natura. Ma se domandiamo: -che avviene?- ci sorge un'intuizione di luce nell'intelletto e scopriamo se è " il tempo giusto " dei rapporti continui, seppure inavvertiti dalla maggioranza degli uomini, tra il microcosmo e il macrocosmo. Kairos, il tempo esoterico, è il potere rivelatore, ci svela il senso, l'importanza dell'ora che volge, ci suggerisce il mistero della reazione a catena che collega le cause agli effetti, il prima al dopo, che immette l'uomo nel cosmo ed il cosmo nell'uomo. Si fonde, senza confonderli.

Nei libri sacri il tempo è inteso come Kairos.

Paolo così l'intese. É metafisica: conoscere il significato del tempo.

Kairos è il tempo del tempio; è l'atmosfera dell'officina, del cantiere. L'opera a regola d'arte è di qualità, viene scandita e formata sul ritmo fatale del Kairos: un attimo eterno, denso di possibilità, in alto come in basso, nella direzione dei quattro punti cardinali. Il rito stesso si realizza in senso antiorario, appunto per uscire fuori del tempo profano ed entrare nel cerchio magico del Kairos, immedesimandovisi.

I profeti, le sibille, gli iniziati, i legislatori esemplari parlavano e vaticinavano dall'eternità del Kairos, con parole immarcescibili, di fuoco; su un altro piano, un altro stato dell'essere, che si sente e lo si vive intimamente, non lo si subisce, si concorre a generarlo, perché si è parte di esso, si è immersi in esso.

Il tempo, nei rituali, l'età di ciascuno e di tutti, l'ora dei lavori sono della qualità del kairos, di altro ordine, di un altro sistema di misura: sono nel temenos del sacro, nel luogo ideale del "tempo giusto", del momento particolare, quello che non si ripete e in cui si realizza il concetto sublime dell'origine, quando esplode "una volta per tutte" l'epifania del divino nella materia, con espansione planetaria.

Quello che deve avvenire, avviene, non per caso, nell'attimo esatto, scaturisce dal kairos, come il neonato dall'utero, completo, calibrato secondo la perfezione del "come deve essere", nel momento preciso e speciale che "deve essere", unico, determinato da forze e da leggi non traducibili in cifre, ma rivelatrici di effetti fatali, nella pienezza dell'assoluto, in momenti panici, come gli equinozi e i solstizi. L'attimo dell'occasione prestabilita.

Il kairos è il non manifestato, è la potenza che si immanentizza avanzando dall'oscurità principale del mito.

Il rito precede il mito, o viceversa? Il rito è ripetizione di un fatto archetipo primordiale, "coazione a ripetere", come dice Freud? Una letteratura abbondante solleva problemi, che a noi, in questa sede, conviene lasciare da parte; diciamo solo che il rito non è ripetizione, ma realtà sempre attuale, è "presente" vissuto ognora come la prima volta, è sempre "il principio", è sempre un uscire proprio adesso, in questo momento, dal caos.

Modificando quanto scrive N. Brown in "La vita contro la morte", cioè che "l'uomo aggressivamente costruisce culture immortali e crea la storia per combattere la morte", diremo che l'uomo costruisce miti immortali e crea riti per entrare nell'eternità.

Ogni pietra del tempio è squadrata sotto l'impulso febbrile e nel clima spirituale del tempo esoterico, il kairos mitico, che abbraccia e collega in un'unica catena d'amore tutti gli operai, quelli passati, i presenti e quelli futuri e li impegna in una sola volontà tesa alla perfezione dell'opera; ciascuno è il proprio lavoro e insieme è quello degli altri, in una continuità creativa che è l'istessa, ma resa attuale, contemporanea di quella iniziale degli dèi; ciascuno cementa se stesso come pietra nella costruzione eterna.

Solo così il sorvegliante può asserire, convinto e cosciente, che "tutto è giusto e perfetto".