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Raimondo di Sangro -  Federico II°

L'arte militare e la Riforma del Cristianesimo verso la Massoneria

Il documento che segue è opera d'ingegno del Professor Giancarlo Elia Valori Honorable de l’Academie des Sciences de l’Institut de Frances ed è qui esposto con la sua sua autorizzazione.
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© Professor Giancarlo Elia Valori

 

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L'Arte della Guerra è, nella storia del Pensiero Tradizionale e della Sapienza, la tecnica visibile di uno scontro, continuo e invisibile, tra le forze infere e quelle che potremmo definire, con una semplificazione profana anch'essa, “della luce”. L'Arte Militare è un tratto specificamente sapienziale nella cultura dei Templari, con le loro cariche a cavallo terribili e distruttive, veri strumenti dello “spavento supremo” noto all'esoterismo cinese del Tao, essa manifesta poi i suoi significati sottili nelle tradizioni degli arcieri indiani e persiani, con il rito del “colpire da lontano” a cui si riferisce anche il Socrate platonico nella sua disamina dell'etimologia dell'ironia ma la guerra non è un crimine, essa è l'esatto contrario, è l'attività umana che corrisponde alla naturale fase di distruzione ciclica della Natura.

Nella tradizione illuministica e illuminata di  Federico II° di Prussia, poi, l'arte militare è il vero segno del diritto al comando in tempo di pace, e il segnacolo della benevolenza del Principe illuminato e Sapiente verso il suo Popolo. É il Rex che “regge”, appunto, tramite la Sua percezione esatta di amici e nemici, il ciclo della vita del suo Popolo e lo protegge sia dai nemici visibili che, soprattutto, da quelli invisibili che si incarnano nell'hostis, anche se lo stesso nemico non se ne accorge.

Vi è, nella teologia bellica di  Federico II° di Prussia un elemento che si trova in Paracelso: per il “mago” e medico svizzero di Einsiedeln Cristo, Re del Mondo, ma non di questo mondo, e quest'ultimo è il maligno, ha salvato tutti gli uomini, passati, presenti e futuri, ma non ha riscattato, né poteva, l'anima degli spiriti invisibili presenti sotto la scala dell'umanità. Gli homunculi, di cui parlerà Goethe nel suo Faust, ma anche quelle che Paracelso chiama le “salamandre”, da non confondersi con la Salamandra mitico-simbolica dell'Alchimia operativa, perfino i folletti e gli gnomi ai quali credono,a tutt'oggi, illuminati scienziati svizzeri, forse influenzati ancora dalle teorie di Rudolf Steiner.

 

Ecco il punto: la guerra è un atto di magia che allontana le forze negative visibili e invisibili dal Popolo e dal Regno. Ovvero: la guerra, come atto dovuto contro una invasione, o come pratica per allargare il Regno, è una prassi alchemica che permette alla politica “visibile” di realizzare i suoi fini salvifici. Ed è anche questo il sottofondo teorico e mistico del Principe di Sansevero. Nel Regno di Napoli la questione della guerra e della sua preparazione era centrale per la burocrazia e la dottrina politica dei Borbone. Ogni ministero di rilievo, a Napoli, aveva a che fare, in un modo o nell'altro, con la gestione o la preparazione delle azioni belliche, e soprattutto la gestione della Giustizia che, come accadeva anche negli altri Regni del “dispotismo illuminato”, in Austria, nella Toscana o nella stessa Francia, aveva bisogno dell'uso della forza specificamente militare. Giustizia terrena, giustizia Divina, uso della Forza militare all'interno del Regno: altra triade simbolica e politica di grande rilievo.

 

Nel diritto, dell'epoca, e questo accadeva ovunque, non si processava per stabilire l'innocenza, ma la colpevolezza dell'imputato, e questo indiceva l'incolpato a accusare gli eventuali correi o i “veri responsabili” del delitto. La colpa era nell'individuo e nella società, e il diritto, come arte militare, doveva estrarla come si estrae un nuovo componente da una operazione alchemica.

Se l'azione esoterica riesce, il “sopra” e il “sotto”, cielo e terra si uniscono correttamente, e il diritto, grazie alla Forza, può trasferirsi dalla Legge Divina, dal Dio “che atterra e suscita”, per dirla con il Manzoni, al cuore dell'uomo, alle sue abitudini inveterate e naturali. I capitani di Giustizia, detti anche, nella Napoli borbonica, capitani di strada, comandavano veri e propri soldati, muniti di archibugio e comandati da un undicesimo uomo, detto “caporale”, ovvero il nemico interno e quello esterno, come anche nell'esoterismo bellico della Tradizione, coincidevano. L'alieno è il bandito, colui che non riconosce nessuna legge umana e, quindi, nessuna regola civile.

 

É da notare che, nelle teoriche applicative delle Riforme settecentesche, il meccanismo concettuale è quello dell'inserimento della Legge Umana astratta nel singolo, il che permette, diversamente da quanto pensavano Rousseau e i teorici del “contratto sociale” l'attuazione della Legge Divina insieme a quella “autenticamente” umana. Non vi è, nella prassi dell'assolutismo illuminato, un “prima” hobbesiano, la comunità degli eguali che si autodistrugge per poi nominare un Rex, e il successivo esercizio del potere per difendere “la vita e gli averi” dei subjecti.

Il Rex è prima, concettualmente e operativamente, dei subjecti, e addirittura ne giustifica la loro esistenza come homines e filii Dei.

Il Monarca è il “luogo-tenente”, anche in senso letterale, di Dio, e la sua azione è creativa, su questa terra, come quella di Dio lo è per le “cose di lassù”. Ecco quindi il nesso tra politica e esoterismo alchemico nella tradizione settecentesca, che è molto meno influenzata dall'”illuminismo” politico egualitario di quanto comunemente si pensi. Il Re è il Mago Bianco della Politica, e non viene prima dei sudditi, ma ne giustifica l'esistenza proteggendola dai nemici visibili e invisibili. É l'universo politico-profano nel quale si muove anche il Principe di Sansevero.

La Perfetta Eguaglianza è quella tra Fratelli che abbiano ricevuto, secondo il dettato iniziatico, la “piena luce dell'Oriente”, non si riferisce mai agli homines che non abbiano passato la sottile linea dell'Iniziazione, che certifica l'assunzione di una nuova e seconda Natura e la possibilità di raggiungere, anche in questa Vita, e comunque in quella successiva all'arrivo in Altri Stati dell'Essere, la Piena Luce e la trasformazione alchemica del sé. Solo quando alcuni teorici della Massoneria riterranno, anche sulla base di valutazioni squisitamente esoteriche, che è giunto il momento in cui l'homo naturalis sia diventato, grazie allo sviluppo sociale e civile, quasi Frater “illuminato”, si avrà la trasposizione delle “Perfetta Eguaglianza” tra i Fratelli in quella tra gli Uomini e i Cittadini in quanto tali.

 

Ma per questo rovesciamento “dialettico”, molto simile a quello hegeliano e poi marxista, si dovrà attendere la trasformazione, nella seconda metà del Settecento, e si tratta di un processo che si realizza in tutta Europa, delle fonti alchemiche e tradizionali della Massoneria in quelle “operative” nello stretto senso politico e propagandistico del termine, con la diffusione di pratiche iniziatiche e simboliche alla luce del sole (il sole “naturale”, ovviamente) che sussumevano, riassumevano, assorbivano l'attività e il lavoro di “lavoro sulla materia grezza” che era invece proprio della Loggia e della attività precipuamente iniziatica. Iniziazione come politica pratica in un ambiente del tutto ricoperto di potenti simboli della Fratellanza, ecco il passaggio da una Massoneria dell'Assolutismo Illuminato ad una generica Obbedienza ai “Diritti dell'Uomo e del Cittadino”.

Tutte fasi che Raimondo di Sangro non potrà vedere ma alle quali, proprio per la sua dottrina massonica e tradizionale, possiamo ben immaginare che si sarebbe dichiarato del tutto estraneo. Non è certo un caso che la linea “rivoluzionaria” e antiautoritaria della Massoneria abbia origine dalla setta degli Illuminati di Baviera fondata da un ex-Gesuita, Adam Weishaupt, una setta para-massonica peraltro estranea, nelle sue filiazioni esoteriche, alla specifica Sapienza dei Liberi Muratori.

Ma qui siamo a un punto che ci riporta al “caso Napoli” e al progetto che abbiamo definito prussiano del teorico militare e quindi del politico essoterico Raimondo di Sansevero.

Napoli è ricca, la produttività dei fattori agricoli, per dirla con Max Weber è, per ovvi motivi climatici, da sempre molto elevata e il rapporto tra città e campagna meno asimmetrico di quanto si realizza, invece, nelle città del Centro-Nord della Penisola e del Nord Europa, dove l'accumulazione del capitale cittadino deve avvenire con una parte rilevantissima di scambi con l'esterno. Basti pensare alle città commerciali svizzere, legate alle linee commerciali di Genova o alle Repubbliche Marinare italiane che, a parte il caso di Venezia e, in parte, di Amalfi, creano il loro capitale di rischio e il potenziale per il monopolio delle loro reti commerciali con risorse non provenienti dall'entroterra agricolo, che rimane ad un livello appena superiore a quello di sussistenza.

Il progetto di Raimondo, come lo abbiamo definito, potrebbe essere l'idea di trasformare il sistema politico borbonico così come  Federico II° di Prussia aveva ricostruito, a partire dalla Riforma protestante (e dal susseguente incameramento dei beni ecclesiastici nell'Erario) ma soprattutto trasformando la mentalità e le abitudini delle masse, tramite la loro costante militarizzazione.

 Federico II°, dopo aver chiesto lumi a Maupertuis, che è il presidente della sua Accademia delle Scienze, obbliga manu militari i contadini prussiani alla coltivazione della patata, che invece i rustici non volevano produrre, essendo il tubero proveniente dalle Americhe un probabile “frutto del diavolo”. Ed è attraverso la patata, che è pure adatta alla distillazione, forzosamente fatta coltivare dai suoi dragoni con il fucile in pugno contro le masse ignoranti, che  Federico II° avrà la possibilità di vincere la Guerra di Successione Bavarese.

Ai tempi di Raimondo di Sangro la popolazione del Regno delle Due Sicilie è di oltre due milioni e mezzo di abitanti, un record per l'epoca, con la sola Napoli che raggiunge il livello di ben 200 mila abitanti, quasi il doppio di quelli della Roma di quei tempi. Ma il Regno forniva di soldati la Spagna, e molti soggetti rimanevano randagi e poco conosciuti anche ai servizi demografici del Re Borbone.

La grande prolificità dei napoletani derivava dalla notevole abbondanza di cibo, sia terrestre che dal mare, sono questi gli anni della straordinaria poesia-canzone del Guarracino dalla scarsa necessità di legna da ardere, per ovvi motivi climatici, dalla politica fiscale che favoriva i matrimoni con abitanti di Napoli, dal prezzo calmierato del pane e dei principali beni di sostentamento.

Poca fatica per sopravvivere, e quindi scarso interesse per il lavoro, come verificato da tanti viaggiatori stranieri, fin dal '500, molto artigianato, anche per usi bellici, soprattutto nella Capitale del Regno, la vasta fabbricazione di carrozze e calessi, una infinità di personale di servizio a basso prezzo. In più, la scarsa attitudine alla legalità della popolazione. La questione si faceva sentire nella distribuzione delle forze tra polizia, pur se militarizzata, e Forze Armate vere e proprie. Come poi accadrà nella Tunisia di Zine El Abidine Ben Alì, le forze di sicurezza interna, nel settecentesco regno di Napoli, erano ben maggiori di quelle per la sicurezza esterna, in una proporzione, simile a quella della Tunisia contemporanea, di uno a quattro, ovvero per ogni soldato “esterno” vi erano quattro poliziotti “interni”.

 

La situazione dell'ordine pubblico era comunque critica, come notato dall'Operti e, ben prima, da Tito Livio, nella sua analisi delle guerre sannitiche, al libro IX del Ab Urbe Condita. La popolazione del regno borbonico era, come ben sapevano gli spagnoli, che avevano represso le due rivolte del 1547 e del 1647, ingestibile e sensibile ai predicatori di discordia, come fu il caso del famosissimo Masaniello per la cronaca e, soprattutto, per la tradizione popolare.

Allora, per Raimondo di Sansevero la linea è facilmente verificabile, sul piano politico e militare: rendere il Regno progressivamente autonomo dal sistema geopolitico spagnolo, che “leggeva” la monarchia borbonica come periferica rispetto alle sue linee difensive primarie, quelle con la Francia e l'Europa del Nord, e creare in questa area, anche senza resecare tutti i legami con Madrid, un Regno periferico, ma importante, che potesse gestire tutto l'asse del Mediterraneo e con questo determinare una sorta di “Unità d'Italia” da Sud che, magari, arrivasse fino a quella che, molti decenni dopo, si sarebbe chiamata la “Linea Gotica”.

Quello che aveva fatto  Federico II° di Prussia, con la sua pericolosa scommessa dell'invasione prussiana della Slesia, è molto probabile che volesse ripeterlo anche Il Principe di Sangro, se deduciamo correttamente dalle sue dottrine militari un coerente disegno politico, che pure non poteva non esserci. Un azzardo strategico per evitare la chiusura neocoloniale del Regno Borbonico, trattato dalla Spagna come la Prussia veniva trattata dall'Impero Asburgico, e un progetto geopolitico di unificazione mediterranea (e italiana) da Sud molto simile alla linea di unificazione della Germania, in funzione sia antifrancese che antirussa, che  Federico II° di Prussia porta avanti, pezzo dopo pezzo, a partire dal suo piccolo Regno protestante La fanteria, l'arma principale di una potenza sia pure marittima come la Spagna, era nei possedimenti italiani, pur se pagata dalle casse del Regno Borbonico e non da Madrid, impiegata come guarnigione a Napoli, Gaeta, Baia, Brindisi, Manfredonia, Pescara, l'Aquila, storica città fondata dai Templari,e poi la Toscana, con Orbetello, Talamone, Porto Ercole, dove muore, già perdonato dall'Ordine di Malta, il Caravaggio, Porto Longone, tutti luoghi appartenenti alla Corona di Spagna dal 1557, e prima legati a Siena, tutta una linea che ci conferma come, se deduciamo bene la linea strategica e geopolitica di Raimondo di Sangro dai suoi scritti di tecnica militare, proiettavano la potenza di un Regno di Napoli “riformato” fino, appunto, a un passo dalla “Linea Gotica”, controllabile comunque dal Mar Tirreno Meridionale. L'artiglieria di cui era dotato il Regno di Napoli, tra il Seicento e il Settecento, era comunque, in via pèrmanente, solo quella a difesa di castelli, torri e fortezze.

 

Una guerra arcaica di uomini e di “movimento”, che Raimondo di Sangro, lo vedremo, rende moderna sulla base di un progetto geopolitico che è quello di una Riforma senza Rivoluzione nel Regno Napoletano, per chiudere il Mediterraneo dalla Capitale Borbonica, rendere autonome militarmente le Due Sicilie, trasformare in centrale, rispetto alla sua perifericità di allora (e di oggi, malgrado le “Primavere Arabe”) il sistema geopolitico del Sud d'Italia, scollegandolo dalla “linea del Nord” connessa al sistema imperiale spagnolo di Milano e impostare la centralità di una Europa Mediterranea incentrata su un Regno delle Due Sicilie radicalmente trasformato per mezzo di un “Autoritarismo Illuminato” ben diverso da quello dei rivoluzionari aristocratici del 1799 napoletano. I giacubbini del 1799 erano gli antenati, come noterà bene Benedetto Croce, degli Illuministi milanesi, e il loro progetto geopolitico era quello di una unità “rivoluzionaria” tra Nord e Sud della Penisola, mentre la Massoneria pre-rivoluzionaria di Raimondo di Sangro pensava ad una Trasformazione radicale del Regno Borbonico come asse dell'Italia verso il suo destino naturale, quello delle ultime linee della egemonia italiana medievale, le Repubbliche Marinare, ovvero il Mediterraneo.

Il 1799 è, paradossalmente in linea con la geopolitica della dipendenza del Sud dal Nord, come avveniva peraltro nel Regno “arretrato” dei Borboni, mentre il progetto insito nella dottrina militare di Raimondo di Sangro porta naturalmente ad una forte autonomia del Sud, come aveva fatto al Nord, dopo l'attacco e la “scommessa” sulla Slesia di  Federico II° Hohenzollern, una dinastia nata vicino alla Confederazione Elvetica, il Regno di Prussia.

Il rinnovo “mistico”, tra Oriente e Occidente, della Sapienza Tradizionale, che possiamo vedere nei testi e nelle opere progettate da Raimondo di Sansevero, come quelle che abbiamo già visto, vanno in questa linea di pensiero geopolitico. A Napoli, peraltro, la cultura moderna non aveva bisogno dei Rivoluzionari del 1799 per scoprire sé stessa: l'Accademia degli Investiganti, di certe origini massoniche,concentra su di sé gran parte delle tensioni innovative del Regno, la matematica algebrica del Cornelio, che Raimondo di Sangro ben conosceva, il giurista Giuseppe Valletta, Nicola Caravita, tutte figure delle scienze fisiche e umane che determineranno l'humus culturale del Principe di Sansevero. Ma il Regno delle Due Sicilie ospitava anche i religiosi che, in tutto il sistema borbonico erano oltre 16mila, uno ogni venti abitanti. É proprio l'Inquisizione che sferra a Napoli uno dei suoi attacchi più duri, tra il 1688 e il 1697, contro la “filosofia naturale” da Cartesio a Gassendi e a Galileo, figure eterogenee tra di loro quant'altre mai, ma colpevoli tutti, per il Santo Uffizio, di diffondere “l'ateismo” e la libertas philosophandi.

 

É da questo momento che Roma, contro Napoli, diviene la grande città europea della cultura nella Penisola, mentre dopo i processi dell'Ufficio Santo prevalse una linea mediana, gestita dalla stessa Inquisizione e dalla Compagnia di Gesù, di utilizzazione limitata della Scienza moderna dentro una nuova “Ragion di Chiesa”. E se Raimondo non si fosse adattato, proprio per il suo progetto sapienzial-strategico, a questa nuova linea dei suoi ex- maestri, i Gesuiti, nella tensione tra il Re Carlo e la Massoneria già percorsa da tensioni repubblicane-rivoluzionarie? E qui torniamo alla dottrina militare, soprattutto tattica, di Raimondo di Sangro: una teorica delle armate capace di fendere in profondità le linee nemiche e, quindi, di trasformare, dall'interno, il Regno Borbonico allargandolo e, soprattutto, legandolo ad una “riforma” religiosa tradizionalistica, lontana da Roma ma anche dal radicalismo degli athées della Massoneria profanizzata e politicizzata, che avrebbero legato il Regno del Meridione ad un progetto politico estraneo ai suoi interessi geopolitici, il collegamento tra Sud e Nord, tra il Meridione e il suo naturale concorrente economico e strategico, il Settentrione della Pianura Padana e delle agricolture ad alta produttività lombarde e venete. Una delle dottrine tipiche del pensiero militare del settecento è la Tattica Lineare. La tattica Lineare prevede il “tiro a massa” in combattimento, puntando probabilisticamente sull'area di terreno tenuta dal nemico, mentre il tiro mirato costituisce l'eccezione e non la regola della Tattica Lineare.

L'efficacia è il risultato delle perdite/tempo, cento perdite in un minuto sono più efficaci di una perdita ogni minuto per cento minuti, è l'inizio dell'”ordine sottile”, teorizzato da Gustavo Adolfo di Svezia e, prima, da Maurizio di Nassau, tutti, nella Tattica Lineare, partecipano al combattimento, le retrovie sono pienamente utilizzate e portate, la “linea sottile”, sul filo del fuoco nemico. Una “guerra di massa” ante litteram.

 

A metà del Settecento, poi, nascono sul campo di battaglia la baionetta, per il combattimento ravvicinato tra le due linee sottili, e l'uso del “passo cadenzato” e della musica in battaglia, una tradizione che era stata, prima, solo delle milizie, spesso mercenarie, degli Svizzeri. Occorre tenere le linee, per evitare che qualcuno tra i soldati vada troppo veloce e si esponga a un tiro del nemico capace di “rompere le righe” prima del combattimento vero e proprio.

Per Raimondo di Sangro, gli Esercizi per l'infanteria sono tali per rendere più rapidi, veloci uniti e “leggeri” i soldati, in modo da portarli all'attacco di una “tattica lineare” con le minori perdite e, soprattutto, con la maggiore potenza di fuoco unitaria per il tempo necessario. Una applicazione in teoria militare del Lume Eterno, di cui abbiamo già parlato altrove.  Federico II° di Prussia apprezza il trattato del Principe di Sangro perché il Re Hohenzollern ha bisogno di una tattica sempre e comunque legata all'offensiva, dato che Federico, per ovvi motivi di disponibilità della sua popolazione, che è scarsa rispetto ai grandi imperi europei, ha necessità di utilizzare al meglio i suoi pochi soldati per portare, con l'Ordine Lineare Obliquo, il massimo di forza di attacco nel solo punto voluto, senza disperdere la sua massa in una difesa, spesso senza risorse umane sufficienti, rispetto a forze ben più ingenti.

Federico II° mira alla battaglia per concludere la guerra, e questo sostiene, peraltro, Raimondo di Sangro nel suo trattato militare. Anche il Principe di Sansevero, come il Re prussiano, vuole una tattica che, con i pochi uomini disponibili, rompa rapidamente le linee nemiche, crei l'occasione della battaglia, concentri le forze nemiche per poi superarle verso il fine della guerra che è, come noterà Clausewitz, “la sottoposizione del nemico alla propria volontà”.

Federico, come Raimondo, si interessa soprattutto, come scrittore di cose militari, alla Tactique, non alla Stratégìe, poiché è la Tattica che gli serve, e di Tattica parlano tutti i manuali per ufficiali nel Settecento. L'arte militare settecentesca si chiama, salvo rarissime eccezioni, “tattica” poiché, dal Rinascimento in poi, dato che con la riscoperta umanistica dei classici greci e latini, passati dal mondo arabo e ottomano in Italia, e soprattutto a Firenze, si rileggono “come nuovi” libri come quello di Onasandro, o Polibio, dove la scienza del movimento delle truppe fa tutt'uno con la “Tattica”, appunto, mentre lo Strategikòs è un termine che si riferisce, proprio grazie a Onasandro, al mondo bizantino e ellenistico.

 

Antonio Soliani Raschini, il primo scrittore italiano di cose militari, ben noto sia a  Federico II° di Prussia che a Raimondo di Sangro, che lo cita implicitamente nel suo testo di Esercizi per la Truppa di Infanteria, che pubblica il suo Dizionari Militare Istorico-Critico poco dopo le Lettere Militari dell'Algarotti, caro amico proprio di  Federico II°, ritiene la “tattica” sulla linea di Polibio, “l'arte di riunire gli uomini per combattere, distinguerli per rango e ruolo, e istruirli nelle manovre”.

Carlo d'Aquino, un gesuita anch'egli ben noto a Raimondo di Sangro, autore di un Lexicon Militare uscito nel 1724, parla di Tattica come di una “disciplina che insegna le regole certissime della geometria intorno all'accampare e al condurre eserciti, sia nelle marce che in battaglia”. Nell'Accademia Militare di Napoli, aperta dal 1770, si insegnava appunto “tattica”, divisa successivamente in tattica vera e propria e “tattica sublime”, quella che noi oggi chiameremmo appunto strategia.

 

Ma  Federico II°, come del resto lo stesso Principe di Sangro, non utilizzavano se non le proprie esperienze sul campo di battaglia e le “lezioni pratiche” dei grandi capitani del Seicento, esattamente come nella tradizione degli exempla classici faceva Polibio. O, per tornare ad una bête noire di Federico, il Machiavelli, che elabora il suo “Principe” proprio con il riferimento analitico ai classici e alla tipologia delle loro situazioni caratteristiche della “politica” che, nel Segretario Fiorentino, diviene, come amava ripetere Eugenio Garin, una “scienza proprio come la fisica in Galilei”.

Federico è contro Machiavelli poiché ritiene come Raimondo di Sangro, che il popolo non possa ancora dirsi libero e capace di autogoverno, ma debba essere educato da un “Capo buono” che mostra, con l'esempio, la via da seguire per l'elevazione civile e spirituale delle masse. Una posizione insieme illuministica e autoritaria che non sarebbe dispiaciuta certo al Principe napoletano. Per il Re di Prussia, lo scrive ripetutamente nelle sue opere militari, la tattica e la politica si devono vicendevolmente scambiare i ruoli, anche questa un'idea che Raimondo di Sangro, nel suo lavoro di teorico militare, non disdegna di sottolineare.

É dalla sua “Preparazione per l'Infanteria”, lo abbiamo già notato, che scocca il suo progetto politico-strategico e, lo vedremo in seguito, di riforma iniziatica del Cattolicesimo. Algarotti parla, nelle sue Lettere Militari delle manovre del suo amico  Federico II° di Prussia come delle azioni “corte e vive”, come peraltro quelle che troviamo consigliate nel testo di Raimondo di Sangro, e ripete, un po' paradossalmente per la ripulsa manifestata dal Re di Prussia per Machiavelli, che le “guerre devono essere”, non se ne può fare a meno, al momento dovuto e, soprattutto, voluto. Il “vecchio Frtz” prussiano, alla fine della sua analisi delle guerre di successione austriaca, arriverà ad essere, pur con le inevitabili contraddizioni dell'uomo pratico e del grande studioso, una sorta di Bandello che prende in giro il Machiavelli dell'Arte della Guerra.

 

Ma perché la “linea” di Raimondo di Sangro non corre parallela, sul piano politico e culturale, a quella delle Massonerie di tradizione britannica, ovvero “liberali” che pure sono state all'inizio, in Toscana, gemmate da Logge di inglesi e di olandesi, a Firenze e a Livorno?

Il fatto è che il Principe di Sangro, prima di quella che lui stesso avrebbe certamente letto come deviazione dal Retto Sentiero degli Illuminati, la Rivoluzione Napoletana del 1799, è un costruttore di relativamente nuovi e Alti Gradi Massonici, come abbiamo già visto. É una direzione esoterica e politica insieme che pone in parallelo Raimondo di Sansevero con un personaggio come Joseph De Maistre, l'autore “reazionario” delle Soirées de Saint Petersbourg. O, magari, del Trattato legittimista Du Pape, scritto in piena Restaurazione.

La tendenza “reazionaria”, per usare un termine che avrà fortuna proprio per reazione alla Rivoluzione Francese, e dopo il Congresso di Vienna è addirittura maggioritaria, nella Massoneria europea, al Convento di Wilhelmsbad del 1782, quando si cominciano a delineare le presenze, nelle Officine di tutta Europa, delle reti organizzate dagli Illuminati di Baviera. Il meccanismo è quello, al quale operano vari Massoni illustri, e certamente sarebbe stato anche il ruolo di Raimondo di Sangro, e implica la costruzione di tante arriére-Loges, di “logge coperte” dentro la stessa organizzazione massonica “di base”, per dirigerla e evitarne le deformazioni “materialistiche” o politicheggianti di tipo radicale.

Dopo, vi sarà l'influsso della Massoneria “riformata” del kantiano Fressler Per De Maistre, come per tanti altri dei Riti Alti dello Scozzesismo “rettificato”, si trattava, con la Rivoluzione Francese, miraculum diaboli, di una punizione divina per la decadenza del sacerdozio e la simonia ecclesiale., ma non sarebbe durata, nei suoi nefasti effetti, più di due-tre generazioni: i miracoli del diavolo sono sempre inganni che durano poco.

Ecco perché, immaginiamo, Raimondo di Sangro “tradì” i suoi Fratelli concedendo l'elenco dei membri della Loggia al Re Borbone, e accettò la prima delle nove scomuniche ai Fratelli emessa da Papa Lambertini.

Si trattava di tener fede al principio di legittimità che caratterizzava non solo il rapporto politico tra Massoneria degli Alti Gradi e Potere costituito, ma di qualcosa di più, di un rispetto iniziatico del Potere Legittimo, che è frutto di lunghi passaggi che la Sapienza percorre nel mondo profano. Le linee di pensiero esoterico che informano di sé gli Alti Gradi e le “arriéres-loges” sono molte, ma ci interessa qui notare, prima di tutte, la tradizione del Martinismo.

 

Martinez de Pasqually Livron Joachim La Tour de la Case, don Martinez de Pasqually, nasce da una famiglia cattolica di origine ebraica spagnola o portoghese a Grenoble nel 1727. Da giovane studia con passione i testi cabalistici di Simon ben Jochai.

Fu iniziato in Massoneria dal suo stesso padre, che possedeva una patente massonica ereditaria concessagli nel 1738 da Edoardo Stuart, lo young pretender cattolico alla corona inglese, ovvero il più noto Bonnie Prince Charlie. La Massoneria degli Alti Gradi, quindi, fin dall'inizio sostiene la tradizione della legittimità cattolica contro le rivolte e le relative nuove monarchie di origine protestante o anglicana.

Nel 1754, con qualche relazione anche con l'Oriente dei Fratelli napoletani, Martinez de Pasqually fonda l'Ordine dei Cavalieri Massoni Eletti Cohen dell'Universo, un sistema iniziatico in cui sono presenti forti richiami alla tradizione cabalistica e, come nelle sephiroth dei testi cabalistici, le “emanazioni” dell'Uno, a un elemento visibile corrisponde, qui sul piano organizzativo, un tratto invisibile: ai tre gradi classici di Apprendista, Compagno e Maestro, si affiancano tre Alti Gradi, Classe del Portico, Classe del Tempio e Classe Segreta.

Ricordiamoci qui di come Raimondo di Sangro aveva strutturato il suo Oriente napoletano, e noteremo notevoli affinità sapienziali e organizzative. I dieci gradi della Massoneria Azzurra, quella dei Tre Gradi “tradizionali”, si trasformano in dieci, ognuno con il riferimento a una emanazione cabalistica, con il decimo che si riferisce al Keter, alla “Corona”. E si autodefinisce Rosa-Croce.

Il mito di fondazione, essenziale per connettere esoterismo e ruoli essoterici di ogni tradizione massonica, è quello della creazione dell'uomo da parte di Dio per sorvegliare gli angeli caduti e regnare sull'Universo, ma l'uomo, ingenuamente arrogante, è stato espulso dalla Terra, è straniero nella sua patria. Ecco qui la necessità, proprio sulla base di questa rilettura iniziatica e comunitaria della Cabala Ebraica, della reintegrazione dell'Essere delle sue proprietà, virtù e poteri originari che si può attuare mediante una serie di tecniche teurgiche, magiche, cabalistiche, che reintegrano l'Uomo nel suo Pardés, il “Paradiso Terrestre”, passando a ritroso nel tempo e nella catena sapienziale gli esempi dei Patriarchi e dei Profeti biblici. La reintegrazione di Raimondo di Sangro si materializza nella creazione di quella particolare “macchina iniziatica” che è la cappella Sansevero, un vero e proprio strumento di “perfezionamento” sapienziale che arriva fino al Cristo Velato, velato poiché ancora visibile. La diffusione delle tecniche teurgiche e occultistiche, che De Pasqually insegna in una “arriére-loge” a Bourdeaux fin dal 1767 ma le tensioni che si generano nell'ambiente massonico locale spingono il Maestro a lasciare tutto al suo allievo Saint-Martin e a rifugiarsi, ad Haiti, a Port au Prince, dove aveva intenzione di fondare un Capitolo del suo Nuovo Ordine.

La rete di Pasqually, dopo il passaggio ad haiti del fondatore, subisce gli influssi del misticismo di Swedenborg e di Jacob Boehme.

Boehme, peraltro, nella linea di Paracelso è un mistico a cui poi si ricollega esplicitamente la teosofia della Blavatsky e la linea di Rudolf Steiner, che mantiene, fino agli anni '30, la presidenza della Società Teosofica Tedesca.

É questo l'orizzonte esoterico e massonico entro il quale si muove De Maistre, un sistema così affine, anche nelle tecniche teurgiche e magiche, all'universo napoletano di Raimondo. Una riforma mistica e esoterica del Cattolicesimo, che lo difenda dalla rivolta essoterica dell'Eguaglianza “visibile” delle Logge di tipo inglese e olandese, legate al Protestantesimo? É molto probabile.

Una Reintegrazione à rebours della lunga e mai interrotta catena sapienziale che va dall'Apostolo Pietro fino al mondo moderno, che è probabilmente, in termini sapienziali, il prodotto dell'Antico, non una rottura con esso, peraltro impossibile, anche con il miraculum diaboli della Rivoluzione Francese? Anche questo è un tracciato probabile.

Il “caso Swedenborg” è, per molti aspetti, ancora più complesso di quello di Martinez de Pasqually e dei suoi martinisti. Uno scienziato di formazione, di famiglia luterana svedese, Swedenborg narra di aver avuto nell'aprile 1745 una visione del Signore, che gli avrebbe permesso di visitare l'Aldilà e quindi di spiegare il senso occulto del testo biblico. Due anni dopo comincia a scrivere gli Arcana Coelestia in cui polemizza con alcuni dogmi centrali del Cattolicesimo, al quale peraltro non apparteneva: la Trinità, il che implica che Dio opera nella Storia in modo invisibile e lontano, e va cercato quindi con tecniche sapienziali precise, e poi nega il Peccato Originale (e quindi, diremmo noi, la necessità della reintegrazione martinista e cabalistica) oltre alla natura vicaria del sacrificio di Gesù Cristo.

In altri termini, Cristo Gesù non si è incaricato dei Nostri Peccati, ma ha concluso un ciclo di manifestazioni di Dio, Egli è appunto “Velato”, non sappiamo ancora bene quale sarà l'effetto storico della Sua Venuta.

Per Swedenborg, la Trinità fa di diverse funzioni di Dio tre Persone distinte. Adamo e Eva non sono mai esistiti, ma sono personificazioni della Chiesa Antica, destinata ad essere sostituita dalla Chiesa di Gesù Cristo, universale, e dalla Nuova Apparizione di Gesù Cristo, quando Egli si potrà togliere il Velo. Gesù Cristo è venuto fra noi, sostiene il mistico Swedenborg, per prevenire che anche l'Aldilà divenga il regno del maligno. Egli si “vela” per proteggersi dagli influssi del Male, il “Re di Questo Mondo”.

Il trapassato mantiene, nelle visioni di Swedenborg, la sua identità personale, e quindi la storia della sua famiglia, come la si vede nella Cappella Sansevero, e qui abbiamo a che fare con la tradizione di Dionigi l'Aeropagita, il discepolo più tardo di san Paolo. Qui il nesso tra il misticismo dello scienziato svedese, preso in giro da Kant in un suo libello e tradizione neotemplare, alla quale appartengono anche i martinisti, diviene evidente.

Filippo d'Orléans dichiara, nel 1705, di essere l'erede della Charta transmissionis, o Charta di Larmenius, un documento dell'Ordine Templare segnato successivamente dai Maestri Segreti dell'Ordine Templare distrutto, come è ben noto, da Filippo il Bello. Il Duca diviene quindi Gran Maestro del nuovo Ordine Templare, con sede a Versailles.

Dopo la Rivoluzione Francese, Pelaprat, un ex-seminarista, nel 1804, e siamo in pieno periodo della Restaurazione, dice di aver ritrovato i documenti della ininterrotta successione dei Gran Maestri Templari, che avevano unito nelle Crociate Oriente e Occidente, è questo il punto sapienziale e politico della questione.

L'ordine di Pelaprat è visto con favore da Napoleone, che ha messo fuori gioco i suoi consiglieri Idéologues, apertamente atei, e vuole riconquistare il favore della Chiesa Cattolica. É proprio l'Imperatore a organizzare una solenne “reintegrazione” di Jacques de Molay, nel 1808 dal clero parigino. Le linee che avevano portato la modernità occidentale a separarsi di dovevano riunire, nel progetto napoleonico, con una Nuova Chiesa iniziatica e mistica dentro il suo progetto di Unità Europea sotto il potere della Francia, non più apportatrice di sovversive “rivoluzioni”. Sembra di parlare di oggi: unione europea, delle sue radici esoteriche, di un misticismo che con il Nuovo Papato dei Gesuiti rientra nella prassi della Chiesa di Roma.

Ma la Massoneria è ormai prigioniera di un progetto anglofono di “liberalizzazione” subalterna dell'Europa, da attuare tramite rivoluzioni “borghesi” successive, inseribili tutte in una collana di sistemi geopolitici collegati inevitabilmente, e sempre in funzione subalterna, al mondo che poi sarà chiamato “atlantico”.

Ed infatti il Grande Oriente di Francia rompe con la “Chiesa Gioannita” di Pellaprat nel 1811 mentre il Gran Maestro si allontana dalla Chiesa Cattolica, fondando una sua Chiesa indipendente nella quale si dichiarava che il vero erede di Gesù Cristo era San Giovanni, non San Pietro. Altro documento falso, come spesso accade in queste tradizioni più o meno posticce, ma il significato esoterico e politico va nella direzione opposta a quella di Raimondo di Sangro, della reintegrazione tra Massoneria Spirituale degli “Alti Gradi” e Chiesa Cattolica di Roma.

 

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