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© Grazia Bravetti Magnoni

In Archivio è presente il testo del 1789

Antilira Focense

Il più attivo propagandista di ideali massonici fu, nella Calabria del secondo '700, Antonio Jerocades, abate, nato nel 1738 a Parghelia (1) nella Calabria inferiore. Il suo approdo alla massoneria, sulla scia del rifiuto di un presente oppressivo e retrogrado e sulla spinta di un'ansia sincera di rinnovamento, fu scelta operativa di condotta e di vita, innestata in una cultura già di per sé moderna ed avanzata ancorché legata ai valori più profondi della tradizione. Tale cultura articolata e composita spicca per eccezionalità in una Calabria ancora ferma agli insegnamenti dei Gesuiti, rinserrata nei limiti dello scolasticismo, smarrita tra le dispute dei casisti, estenuata dai residuati accademici di un gretto e pedantesco classicismo: un panorama culturale che rimarrà pressoché immobile fino a quando non diverranno operanti le logge massoniche da cui in seguito e nell'incalzare dell'eccezionalità degli eventi maturerà la propaganda giacobina. Fino a quel momento poche e rare saranno le smagliature nello sclerotico tessuto intellettuale calabrese, una delle quali sarà appunto costituita dal "caso" Jerocades, che congiunture geografiche-temporali portarono al Seminario di Tropea proprio nel momento in cui vi insegnava padre Leone Luca Rolli e Giovanni Andrea Serrao (2), tra le poche menti aperte e progressiste di quel tempo in Calabria. Il loro magistero fu determinante per la formazione di Jerocades che, sotto la loro guida, ebbe la possibilità di accostare agli antichi autori d'obbligo quelli moderni d'oltralpe, diffusi tra pochi con caduta prudenza e bollati come proibiti, soprattutto D'Alembert, Montesquieu, Voltaire, Rousseau.
Sono letture straordinarie per quei tempi, in quell'ambiente, fondamentali per Jerocades perché costituirono i presupposti determinanti ogni futuro sviluppo così del suo pensiero come del suo attivismo, dal magistero pedagogico al proselitismo massonico all'impegno politico. E fu questa formazione culturale che lo indirizzò e accostò agli intelletti più operosamente vivi del Regno, ai fratelli Grimaldi di Seminara in Calabria prima, poi a Napoli al più vasto ambiente genovesiano ove gravitavano Cirillo, Pagano, Filangeri, e ove si stava formando gran parte dell'intelligenza progressista del Sud. Denso di suggestioni genovesiane, infatti, oltre che nutrito di letture dell'Illuminismo d'oltralpe, è il "Saggio dell'umano sapere ad uso de' giovanetti di Paralia", la prima ma anche una delle più avanzate opere di Jerocades, certo tra le più originali ed incisive della Calabria del tempo, cui pure la critica ha sempre riservato rade e frettolose letture.
Scritto dopo il 1760, ritrascitto nel '67 e pubblicato a Napoli nel '68, il "Saggio" raccoglie le prime esperienze autonome dell'Autore che, ordinato sacerdote nel '59, apre una sua piccola scuola privata da dove, a contatto con le autentiche esigenze culturali della realtà calabrese, intende prospettare metodi e contenuti di sapere alternativi e fortemente oppositivi rispetto a quelli tradizionali. Impianto e finalità dell'opera si informano con evidenza ai principi del pragmatismo e dell'utilitarismo illuministico e segnano di moderna novità il programma pedagogico jerocadiano, fondato sulla convinzione che ogni possibilità di successo pedagogico s'innesti sulla necessità di rilievi, peraltro attualissimi, quali potrebbero essere quelli di un'analisi sociologica del territorio da cui emerga la qualità del pubblico su cui si deve operare onde potere poi riportare l'insegnamento alla realtà degli utenti e del loro ambiente. Se si deve produrre cultura tra i figli di contadini, di pescatori, di artigiani o commercianti non importa ch'essi s'imbevano "dell'antichità di Virgilio e Cicerone", ma nemmeno della "fisica di Newton" o della "matematica di Wolfio" (3). Quel che serve sono le nozioni pratiche per il commercio, per la coltura dei campi, per la navigazione, per il vivere associato, attività cui non si può provvedere "senza l'arte nautica, senza studio delle lingue, senza l'arte del negozio, senza la scienza delle leggi" (4), secondo un principio per allora nuovissimo per cui nell'educazione occorre tener conto delle attività e delle esigenze degli utenti non meno che della varietà dei cervelli, della diversità sia delle situazioni che delle posizioni geografiche. E mentre dunque occorre distinguere tra le letture valide per le capitali e quelle necessarie nelle province, di contro è opportuno dare dignità educativa, accanto alla lingua che si parla in scuola, anche a quella che si parla in piazza, altrettanto utile e di più immediata pratica. Se qui ci si sofferma su quest'opera non è tanto per il suo specifico valore e la forza innovativa, che pure è notevolissima, quanto perché individua principi che trascorreranno ogni altro scritto, e ancor più perché dà lo spessore ed il taglio di una vocazione pedagogica che segnerà di sé tutta l'attività dell'autore, e in particolare misura nel suo momento massonico. Inoltre, risalendo la prima stesura del "Saggio" ai primi anni del 1760, i propositi innovativi di Jerocades e la sua pungente critica alla pedagogia corrente ed al casismo appaiono in Calabria assolutamente all'avanguardia e, rompendo un immobilismo culturale plurisecolare, danno il via a quel moto di revisione della tradizione e di rinnovamento che tra il '60 e il '70 e negli anni immediatamente seguenti si potenzierà nell'opera di decine di giovani calabresi, studiosi, matematici, medici, avvocati, reduci in patria dalle scuole napoletane del Genovesi, del Conforti, del Cirillo, tra tutti i quali emergerà, come la voce più risoluta della battaglia illuministica contro superstizione e fanatismo, Francesco Saverio Salfi, anch'egli, come già Jerocades, in violenta accesa polemica contro "la dispotica tirannia del costume" e le scuole "oziose e paradossiche" (5).


Jerocades, a Napoli nel 1768 proprio per pubblicare il "Saggio", conobbe per quell'occasione di persona il Genovesi che ne apprezzò l'opera e lo accolse nella sua casa, allora punto d'incontro di tutta l'intelligenza progressista napoletana; fu infine lo stesso Genovesi che lo indirizzò per un incarico d'insegnamento al Regal Collegio di Sora, e sarà questo un altro dei momenti chiave nella vita di Jerocades, determinante per il futuro corso della sua attività.
A Sora le idee e i metodi pedagogici di don Antonio Jerocades, maestro di filosofia e belle arti nel Regal Collegio Tuziano, urtarono contro il tradizionalismo dei benpensanti ed in particolare dell'ambiente ecclesiastico locale che in un suo intermedio, recitato nel teatro del Collegio, in occasione del carnevale del '70, trovò gli estremi per una denuncia, cui seguì un procedimento intentatogli per eresia dallo stesso vescovo di Sora, monsignor Sisto. Non è dato provare per inadeguatezza di fonti se l'intermedio "Pulcinella fatto quacquero" fruttasse al suo autore anche due anni di carcere, come accenna il Falcone (6), ma è certo che gli costò l'insegnamento e fu la causa del volontario esilio a Marsiglia, ove Jerocades si trova due anni dopo lo scandalo di Sora (7).


Marsiglia era all'epoca città d'elezione di molti emigrati pargheliesi perché legata per ragioni di traffici e commerci marittimi a Parghelia (8), nelle cui strade, a quanto vien detto, si parlava il francese più che il calabrese. Gli emigrati costituivano un facile richiamo ed un fermo punto di riferimento per gli esuli, e infatti, anche prima della rivoluzione del '99, molti furono i Calabresi esuli volontari o forzati a Marsiglia. Jerocades, dopo quel primo soggiorno, fu anche in seguito ripetutamente a Marsiglia; l'ultima volta, esule coatto nel 1799, vi rimase fino al 1801 (9). Intorno al 1800 sbarcherà a Marsiglia, esule anch'egli dopo i tragici avvenimenti napoletani del 1799, un'interessante ed enigmatica figura di meridionale, G. L. Cardone, che in quella città scrisse la II° parte di quel famoso "Te Deum de' Calabresi" che ancor oggi tanto incuriosisce e sollecita la critica, violento e blasfemo atto d'accusa e protesta contro la sanguinaria recessione reazionaria della Corte napoletana e del suo entourage. É lecito supporre che Cardone e Jerocades si siano incontrati e conosciuto durante il comune soggiorno in terra di Francia, ma non è dato finora dimostrabile, né se tra i due vi fu, come pure è possibile, reciproca influenza e di che portata.


Ma Marsiglia era all'epoca anche città di forte presenza massonica e vi gravitavano molti massoni italiani, mentre altri fratelli in Italia operavano sotto la direzione di logge marsigliesi. D'altra parte tutta la massoneria italiana negli ultimi decenni del '700 subisce fortissimo il fascino della massoneria francese e, sottraendosi per buona parte all'influenza del razionalismo massonico inglese, entra in stretti rapporti di dipendenza con quello più ricco e composito di Francia. Tra le molte logge che prosperano a Marsiglia quelle in più stretto e diretto contatto con l'Italia sono la "Mère loge écossaise de Marseille" e la "S. Jean d'Ecosse" che riuscirono a stabilire una rete di logge affiliate in tutto il bacino del Mediterraneo occidentale, a cominciare da Genova per scendere fino a Palermo, ed ebbero importanti diramazioni anche a Napoli, come sostiene il Findel (10). Queste due logge portano impressa fin nella denominazione la formulazione del loro impianto, che deriva dall'adesione agli "alti gradi" e allo "scozzesismo" introdotto e diffuso in Francia dallo scozzese Michel Ramsay, che ne fu oltre che il propagatore l'inventore. Staccandosi dalla matrice anglicana, rifiutando il mito razionale e ugualitario e l'interpretazione corporativa della libera muratoria inglese, il Ramsay volle attribuire alla nuova massoneria una discendenza aristocratica medievale e cavalleresca, riportandola in tal modo ai primitivi principi della morale cristiana e creando così suggestioni che ebbero facile presa sulla nobiltà francese, cattolica, con ascendenze feudali e crociate. Le leggi dell'antica confraternita massonica, la cui esistenza veniva fatta risalire alla notte dei tempi, perdute per l'Occidente nel fluire dei secoli insieme al ricordo della dottrina segreta che in esse si perpetuava, furono riscoperte nei sotterranei del Tempio di Gerusalemme dai Crociati, giunti in Terrasanta al seguito di Goffredo di Buglione, i quali le riportarono in Europa.

Queste le suggestioni con cui Ramsay legava lo scozzesismo alle caste nobiliari e alla causa cattolica; non solo, ma con il riferimento all'esistenza di una dottrina segreta egli dava libero accesso nella massoneria all'esoterismo, alle tendenze misticheggianti, oltre che alle pratiche delle scienze occulte ed alchemiche. Così, dividendo il campo massonico, fin dall'inizio del '700 dominato dalle logge inglesi di carattere egalitario e filantropico, esclusivamente nutrite di razionalismo illuministico fiducioso nella ragione e nella scienza, lo scozzesismo, aprendo alle aspirazioni miracolistiche ed esoteriche, dà patria massonica a tanta parte di quell'irrazionalismo e spiritualismo preromantico che sarà anch'esso un aspetto tipico e caratterizzante della vita culturale nella seconda metà del secolo XVIII, e convivrà col movimento illuminista spesso intersecandolo e confluendovi.

I riti cui si ispirano gli alti gradi dello scozzesismo recuperano residui mitologici della cavalleria medievale, innestati su tradizioni orientaleggianti convergenti nel culto di Hiram, il favoloso architetto del Tempio di re Salomone, consacrato nel martirio pur di mantenere intatto il segreto della "parola"; per cui ai fratelli si perpetua il compito di rintracciare la parola perduta del maestro, ma anche di vendicarne la morte, compito simboleggiato dai cosiddetti "gradi di vendetta".
In questo clima, sospeso tra deismo e cattolicesimo, comunque ricco di tensioni spiritualiste, teosofiche e misticheggianti, Jerocades fu iniziato, ed entrò nella fratellanza di cui divenne entusiasta adepto e attivissimo propagandista, tanto che, tornato nel 1775 in Calabria, fondò e attivò logge a Tropea, Maida, Filadelfia, Catanzaro, e forse a Reggio, e, sempre mantenendosi in stretto contatto con Marsiglia, ove fu nuovamente a più riprese, si fece per tutta la Calabria instancabile sostenitore e diffusore di quei principi cui informò la sua attività politica e culturale. Quella di Jerocades fu un'adesione al dettato massonico, e allo scozzesismo in particolare, totale e appassionata, che trova persuasiva giustificazione nella possibilità di esaurire in quei principi la somma delle sue aspirazioni che lo portavano a conciliare l'irrinunciabile razionalismo della cultura illuministica, libertaria e riformistica, con l'ansia sincera di un cristianesimo salvifico e miracolistico; ma infine anche a comporvi quel naturalismo di matrice classica che gli veniva filtrato attraverso l'orfismo e il pitagorismo della sua etnia magnogreca, e che era esso pure elemento caratterizzante la sua ibrida e composita personalità.
Di tale e tanto entusiasmo l'espressione ancor viva e la testimonianza più concreta è la "Lira Focense", che porta impresso sin nella stessa attribuzione appellativa il segno di dipendenza e omaggio all'ambiente marsigliese onde la rinnovata coscienza trasse alimento spirituale e nucleo poetico. Per espressa dichiarazione dell'autore l'opera deriva la sua matrice da un" Codice di Liturgia" degli antichi abitanti della colonia marsigliese di Focea, che egli ha misteriosamente trovato "ne' loro monumenti d'antichità" e che trascrive trascegliendo le composizioni migliori" ...perché alcune erano spezzate e rose dal tempo; qualcosa ancora mi parve molto lunga; e ve n'era alcuna guasta e confusa" (11).


In realtà la "Lira Focense", pubblicata per la prima volta tra il 1783 e il 1785, raccoglie un centinaio di poesie, composte da Jerocades nel corso di vari anni; tali componimenti costituiscono un vero e proprio massimario massonico ove sono espressi in rima gli statuti, la liturgia, i riti della massoneria, i suoi miti e, primo tra tutti, quel leggendario mito di Hiram che è la piattaforma simbolica di tutto lo scozzesismo, e che Jerocades riecheggia nei due componimenti "La Legge", "La Verità", ove si ripercorrono puntualmente tutte le tappe esoteriche insite nell'allegoria.
Alcune poche poesie sono intrise di un più generico senso di amore, di bontà, di pietà, o di un sentimentalismo esaltante che si espande in toni di misticismo cristiano, cui pure l'autore fa riferimento a mo' di giustificazione nella nota conclusiva dell'opera quando dice "E in prima, nella serie delle Poesie, che formano la Lira Focense, ve n'ha, che son sacre, e ricavate dai libri cristiani. Di ciò richiesti i Narsigliesi da me (...) si avvisano che il compilatore confuse in un fascio le carte antiche del rito focense e le nuove del rito Evangelico" (12). Ma nella massima parte i versi della raccolta testimoniano ed esaltano, ribadendoli nell'iterazione, i cardini dell'ideologia massonica; la possibilità di vivere giorni felici "Ove ha Regno la Virtù"; l'aspirazione alla pace, alla semplicità, alla "onesta ilarità"; l'auspicato ritorno all'età dell'oro, età di giustizia e pietà; l'esaltazione dell'amore e dell'amicizia che ribadiscono il senso cosmopolitico della fratellanza, per cui nessuno, a meno che non sia malvagio ed empio, è considerato straniero: "il malvagio, il furbo, e l'empio / Ne va sol da noi lontano / Ma non è per noi profano / Chi rinasce alla virtù" (13). E, sopra ogni cosa, vale il Tempio ove" il Nume svela l'arcano", la adorata verità, da cui la necessità di mantenersi fedeli alla legge del silenzio e della fede, "Chi non tace, chi non crede / No, di Orfeo non è mai figlio" (14).

La "Lira", però, non è solo enunciazione teorica dei principi e dei dettami massonici, ma anche esaltazione del loro momento attivo, quello in cui l'astrazione dell'ideale diviene pratica politica, e sono i canti della fede illuministica nella libertà, nel progresso che s'identifica, qui, nell'opera riformatrice di Maria Teresa, nella propensione massonica di Maria Carolina che libera i fratelli massoni dalle accuse calunniose e dall'oppressione, "Venne al Tempio l'augusta Regina / E ci disse: Miei figli, cantate, / ...Io vi salvo dall'alta ruina / Io distruggo la frode, l'ingano: / Io vi tolgo dal petto l'affanno / Io vi rendo la pace del cor" (15).

Motivi teorici, occultistici, naturalistici, umanitari, ed infine politici costituiscono la sostanza essenziale della "Lira Focense", cui si aggiunge il nucleo ben più esile dei componimenti ove si manifesta lo spiritualismo cristiano dell'autore che identifica la libera muratoria in forme di cristianesimo superiore e vi vede possibilità di ascesi mistica.
 

I nuclei ispiratori e i motivi poetici della "Lira" non costituiscono tuttavia di per sé assoluta novità: la composizione di poesie e cori legati ai rituali massonici ed intrisi di simbologia erano propri dell'ambiente latomistico ove era abituale che i "fratelli" li cantassero nel corso dei loro banchetti, ora improvvisandoli, ora rifacedosi a testi memorizzati o a traduzioni da canti rituali originali soprattutto inglesi (16).
Ma anche fuori dall'area delle logge, negli ambienti intellettuali soprattutto a Napoli, in un clima poetico ancora formalmente intriso di residui arcadico-metastasiani ma ormai già ricco di sollecitazioni illuministiche, circolavano componimenti che pur senza essere direttamente ispirati dall'ambiente massonico né ad esso specificatamente legati, però ne riecheggiavano, tramite identità simbologiche, elementi figurativi e moduli formali, alcuni contenuti.

É il caso, per citare un esempio, di alcune poesie di Eleonora de Fonseca Pimentel in onore dei sovrani di cui esaltano l'illuminata operosità, composte tra il 1768 e il 1789, in un arco di tempo cioè in cui s'iscrive anche la stesura della "Lira Focense". Non ci sono documentate tracce che permettano di ascrivere con sicurezza la de Fonseca ad una loggia massonica (17). E però i suoi componimenti," Il tempio della gloria", "La nascita di Orfeo"," Il trionfo della virtù", pur non distaccandosi dagli adusati schemi di cortigiano omaggio, se letti controluce si arricchiscono di valenze nuove, che nell'alta frequenza di parole chiave e di miti cari alla terminologia massonica, li riportano nell'ambito simbologico ma anche ideologico della fratellanza: identità casuali o volutamente calibrate?
Nell'assommarsi di questa varia produzione poetica, che per vie dirette ed indirette confluisce nella massoneria o gravita nel suo ambito, solo la "Lira Focense" tuttavia emerge per la sua esemplarità di raccolta, unica in Italia, di liriche costantemente informate, secondo un preciso disegno dell'autore, ai principi massonici che, pur nella cifra del simbolo, si adeguano per ragioni di diffusione alle cadenze frivole della facile metrica arcadica, che dai leggeri ritmi del Rolli a quelli più cantanti del Monti. D'altra parte il metastiasanismo, che visse a Napoli stagioni più lunghe e tenaci che altrove, era d'uso corrente non solo per l'accademismo tradizionalista ma anche per l'impegno politico più acceso, e servì a rivestire così i concetti massonici come gli entusiasmi giacobini, e più tardi quelli carbonari e costituzionalisti che ebbero il loro poeta in Gabriele Rossetti. Ciò vale non solo per Napoli ma per gran parte del Sud: ritmi metastasiani ha anche un "Inno da cantarsi sotto l'albero della libertà" altrimenti detto "Inno dei giacobini calabresi", ove, richiamandosi al greco ardore per troppo tempo sopito, si giurava odio eterno al "serto e al soglio" nella prospettiva di libertà o di morte: -"Pria che torni al gico indegno / Cada ognun di noi svenato / Della nostra libertà" (18). L'inno, che porta la data dell'Anno I della Repubblica di Napoli ed è siglato da tale "Cittadino Eugenio", ebbe facile diffusione per la sua cantata orecchiabilità in tutte le province del Regno. É così che l'onda cantabile e le orecchiabili forme dell'arcadismo, il formalismo e i ritmi delle elaborazioni metastiasane, dando garanzia di facile possibilità diffusiva e rapida popolarità, diventano gli strumenti propagandistici del pragmatismo illuministico che ha in Jerocades un antesignano sostenitore cui soprattutto preme l'intento utilitaristico della versificazione. L'aveva già affermato fin dal lontano 1768 nel suo "Saggio dell'umano sapere" ove a più riprese aveva sottolineato l'importanza del dialetto e delle forme poetiche popolari come utili elementi di comunicazione a facile presa e ad ampio spettro (19); lo ribadisce in altri termini più tardi, quando nella dedicatoria" Alla Signora...", che chiude la "Lira Focense", adduce a giustificazione della esiguità del libretto la necessità e la precisa volontà di "...non ingrossare il volume d'un libricino il quale deve portasrsi sempre e per tutto" (20). Al di là dell'adesione alla segretezza massonica, per cui il poeta disprezza la sovrabbondanza di parole e loda il silenzio, dal momento che" ...la mia fortezza è nel silenzio e nella speranza", vale per Jerocades l'impulso pedagogico dell'Illuminismo settecentesco che crede nell'operatività della poesia-letteratura ed esalta la funzione dell'intellettuale. Gl'intenti pedagocico-propagandistici del razionalismo e naturalismo illuministico, quali apparivano nelle "Rime puerili" annesse al "Saggio dell'umano sapere", si caricano ora nella "Lira" del più composito e ricco messaggio massonico che, potendo agire su più versanti (politico, spirituale, morale, oltre a quello propriamente culturale), offre più ampi spazi alla possibilità di un rinnovamento umano. La necessità è la volontà di diffondere il messaggio in aree anche lontane da quelle della cultura tradizionale, presso ceti nuovi appena emergenti dall'iniziale trasformazione sociale, porta Jerocades a scegliere eleborazioni letterarie adatte alla immediata comunicazione e alla vasta diffusione, ma anche a ricercare con evidente insistenza soluzioni di tipo popolare per cui, pur nell'ambito dei richiami massonici, vengono trascelti gli elementi di più facile innesto nella consuetudine dei miti e delle tradizioni popolari, che per la Calabria si perdono nella notte dei tempi magnogreci e sono stati preservati fino alle soglie dei giorni nostri dal denso spessore del suo immobilismo.
É del 1914 la testimonianza dell'etnografo calabro De Giacomo che ebbe l'occasione di assistere, non visto, alla celebrazione di una festa rituale, la Farchinoria, ancora in uso a quel tempo presso i pastori più diseredati rinserrati nelle zone impervie del monte Cocuzzo (21). La Farchinoria rinnovata, a fisse scadenze annuali, nell'interazione d'innaturali sfrenati connubi in uso presso le primitive comunità pastorali, pratiche e simbologie rituali intessute di reminiscenze ancestrali di miti orfici e bacchici. Pur se questo può considerarsi un caso limite, riaffiorano spesso nelle tradizioni di vita e cultura popolare nella Calabria, in forme e modi meno esasperati, i legami sotterranei con lontanissimi mondi rutuali pregreci e poi magnogreci, per cui la facezia pesante e sboccata e con i temi orgiastici e bacchici ci si libera violentemente del peso dell'autorità, dei drammatici condizionamenti mentali e culturali di un mondo limitante di arretratezza e di miseria.

Anche in Jerocades vive come substrato antropologico, al di sotto del suo profondo e sentito classicismo e della modernità del razionalismo illuminato, l'eredità di un paganesimo primitivo che si rinnova nella tensione verso pratiche misteriche ed iniziatiche. Ed è proprio nell'affermazione di una possibilità alternativa di vivere ed esistere, contro le ipocrisie ed i soffocamenti, in antitesi all'ingiustizia e al sopruso, nella pratica di un diverso codice culturale e morale, una delle ragioni della scelta massonica e della volontà di propagandarla.


Lotta contro il clero indegno e corrotto, contro il bigottismo, il pregiudizio, l'oppressione e l'ignoranza; ricerca della verità indispensabile così all'ordine civile come all'ordine interiore dell'individuo; ricerca della virtù come solo elemento capace della rigenerazione dell'uomo; sono queste le spinte di fondo che, recuperate e rinnovate dalla cultura illuministica, si travasano nel magistero, nella predicazione e nel proselitismo massonico di cui la" Lira Focense" è uno degli strumenti più efficaci per la forza trascinante del canto che, secondo la concezione sensistica, assolve edonisticamente la sua funzione pedagogica. Così gli elementi rituali e simbolici si caricano di valenze plurime per evadere dal campo strettamente iniziatico e divenire forze trainanti di più vaste possibilità rigenerazionali. E tra tutti i simboli quello più caro a Jerocades, proprio perché assomma in sé i motivi di fondo della sua etnia, quello classico magnogreco e quello vitalistico-popolare insieme, è l'elemento bacchico, per cui la funzione salvifica, rigenerazionale e catartica è assolta dal vino, "Senza Bacco il mondo è misero / Non ha mai felicità"; "Ecco il bicchier di Bromio, / In cui si vincerà / Del fato inesorabile / L'orrenda crudeltà" (22).
La "Lira Focense" è densa di componimenti che, con alta frequenza interattiva, inneggiano a Bacco e a Orfeo, al Brindisi, al Tripudio, all'Invito, alla Mensa, alla Festa, alla Cena, termini tutti di richiamo alla possibilità di rinnovamento e rinascita interiore: "Questa vita è molto misera / Se si vive in servitù: / E per lei la terra un carcere, / Donde mai non si esce più. / Ma se desta in me Bassareo / Una indomita virtù; / L'alma mia pensante e libera / Lascia allor la servitù" (23).


Il richiamo al convito, al ritmo musicale, al brindisi, riattingono, nella poesia di Jerocades, a livelli di razionalità cosciente, quelle funzioni cui adempivano, in termini di consuetudine e a livelli subcoscienziali, nella pratica delle agapi fraterne. Il vino con la sua forza trasumanante, la poesia con la sua trascinante carica pedagogica sono per Jerocades gli strumenti validi ad attuare e propagare gli ideali massonici tendenti a restaurare l'umanità abbattuta e, nella memoria dell'antica età dell'oro, a recuperare all'uomo il senso della pace e della libertà, beni altrimenti perduti ed irraggiungibili.

 

 

1. Valgano, per caratterizzare nell'epoca Parghelia, i dati che ne fornisce lo stesso Jerocades nel suo "Saggio dell'umano sapere ad uso de' giovinetti di Paralia", Napoli, 1788, pp. 29-30 - In una pianura, un miglio distante da Tropea, evvi un Canale, volto a Settentrione, e mezzo miglio distante dal mare. Ivi non sono che intorno a due mila persone (...) Non v'è altro ceto che quello de' lavoratori (oltre i Preti e due o tre peccati ambulanti), ma in tre classi divisi, cioè Artigiani, Marinai, Zappatori. (...) Delle donne chi fila, chi tesse, chi cuce, e fanno le manifatture di bambagia e di lino". Borgo, dunque, attivo e operoso, inoltre ricco di una sua piccola flottiglia adibita alla pesca ma anche a traffici e commerci marittimi, che aveva a quell'epoca una sua autonoma individualità, certo più accentuata di quella odierna. Oggi Parghelia, sovrastata dal vitalismo turistico di Tropea, resta nota particolarmente in ambito agricolo-gastronomico per la fama di dolcezza delle sue cipolle rosse, che hanno finanche ispirato una nota poesia in vernacolo: - Dicinu ca 'nta terra / Adduvi chjantu cipuji, / camparu pe mill'anni / Greci Arabi e Normanni. / Pe chissu sugnu duci! / Ntra stu fumeri i gloria, / A Parghelia, i cipuji / Nescinu a menzu a storia". (ENOTRIO PUGLIESE, Omani, fatti e cosi calabrisi, Roma, Carte Segrete ed., 1978).

2. Don Giovanni Andrea Serrao, che durante gli anni del suo insegnamento fece del Seminario di Tropea un centro intellettuale assai vivace e ricco di spinte in certo modo liberali, divenne in seguito Vescovo di Potenza e, noto per le sue idee giacobine e antireazionarie, fu vittima della controrivoluzione sanfedista che nel 1799 insanguinò la Calabria. Per i caratteri del personaggio, la qualità del suo insegnamento e del suo operato cfr. E. CHIOSI, Andrea Serrao, Apologia e crisi del regalismo nel Settecento napoletano, Napoli, Jovine, 1981, pp. 74 e sgg.

3. A JEROCADES, Saggio dell'umano sapere, cit., p. 9.

4. Ibid., p. 13.

5. P. S. SALFI, Saggio di fenomeni antropologici relativi al tremoto, Napoli, 1787, pp. X-XI. Inoltre cfr. C. NARDI, La vita e le opere di F. Salfi, Genova, 1925.

6. Mancando fin qui documenti specifici cui rifarsi, nella contradditorietà dei dati che ancora caratterizza fortemente, e non solo, in questo punto, la biografia di Jerocades, si preferisce assumere come più plausibilmente fondata la tesi del Falcone che vuole Jerocades a Marsiglia dopo i due anni di pena scontati a Sora per l'infelice rappresentazione dell'intermedio (G. FALCONE, Poeti e rimatori calabresi, Napoli, Tip. Pesole, 1902, p. 198). - Di contro, in termini più dubitabili, il Leoni fa partire Jerocades da Sora non in seguito al processo e alla condanna, ma sotto la spinta più immediata della sfavorevole impressione suscitata dalla recita nel pubblico. Scrive il Leone che Jerocades durante la recita dell'intermedio, "... nella decima scena del quale introduce un Quacquero a narrare le dottrine della setta, (...) leggendo in fronte di tutti un malcontento, di là ritornò in Napoli; e venne poi a Marsiglia, e da Marsiglia, ove si aveva acquistato ammiratori, amici e protezione, ritornò di nuovo in Sora, ove fu tenuto per due anni in correzione". (N. LEONI, Studi istorici su la Magna Grecia e su la Brezia, Napoli, Tornese, 1884, vol. II, pp. 223). - Il manoscritto dell'intermedio incriminato "Pulcinella fatto quacchero" è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli con la segnatura XV c. 42. Elementi utili per la datazione del procedimento penale intentato contro Jerocades possono reperirsi anche nell'opuscolo a stampa "Risposta di un amico dimorante in Napoli al suo corrispondente in Sora sull'intermezzo intitolato Pulcinella da quacquero", che si trova nel codice T1. XIV. B. 5 della Biblioteca Naz. di Napoli.

7. Cfr. G. CAPASSO, Un abate massone del secolo XVIII, Parma 1887, p. 15.

8. Sulla situazione economico-sociale di molti centri calabresi forniscono preziose testimonianze le opere di Giuseppe Maria Galanti che, già autore di una documentata e ponderosa "Nuova descrizione storica e geografica delle Sicilie", Napoli, 1786, compì a più riprese indagini accurate nelle due Calabrie per incarico regio. Nel suo "Giornale di viaggio in Calabria" (1792), a cura di A. Placanica, Napoli, SEN, 1981, pp. 230-31, si trovano precise notizie sul Casale di Parghelia, di cui si sottolinea l'attività marittima: - "Per quanto riguarda la 2^ classe, i marinai sono circa 200, i quali fanno il loro negozio sopra i detti legni, o sopra i legni esteri". I "legni" erano quattro feluche e due paranze, e i traffici si svolgevano di consueto attraverso i porti di Francia (Marsiglia), e anche di Corsica, di Genova, di Napoli e di Sicilia. Si trasportavano in particolare coperte di cotone, cotone filato, manifatture di seta, spirito di bergamotto, limoni, con possibilità di usufruire del "cambio marittimo del 10% per la Francia, del 6% per Roma, del 4% per Napoli e del 2% per la Sicilia in ogni viaggio" (il cambio marittimo era un prestito speciale ad interesse che si concedeva a che si incaricasse di determinati trasporti via mare). Oltre ai traffici marittimi si esercitava la pesca: - "I legni da pesca sono circa 12 e circa 80 i pescatori. Vi è una tonnara". Anche Jerocades, dando notizie sul suo paese nel "Saggio...", cit., pp. 29-30, divide il ceto dei lavoratori in Parghelia nelle tre classi degli "Artigiani, Marinai, Zappatori", e precisa: - "Nella seconda (si contano) il pescatore e il trafficante, ed è la più copiosa".

9. N. LEONI, op. cit., p. 233.

10. J. G. FINDEL, Histoire de la France - Marconnerie, Paris, 1866, vol. I, p. 427.

11. I brani sono desunti dalla lunga nota dedicatoria con cui l'autore chiude la raccolta della "Lira Focense", stampata a Napoli senza indicazione di data in un'epoca che riferimenti storici contenuti in alcuni componimenti permettono di collocare tra il 1783 e il 1785. La nota conclusiva è indirizzata" Alla Signora...", indicata con quattro asterischi e chiamata poi nel testo "Madama", ed è tutta intessuta di elementi formali e narrativi fortemente simbologi. - Della "Lira Focense" esiste una seconda edizione pubblicata postuma a Milano nel 1809 (cfr. R. SORIGA, La ristampa milanese della Lira Focense di A. Jerocades, in Rassegna Storica del Risorgimento, V., 1918, fasc. 4).  Vi è difformità tra le due raccolte e la nota finale della prima, divenuta nella seconda prefazione, vuole apparirvi meno intrisa di elementi esoterici e più storicamente circostanziata; così ad esempio, per suffragare credibilmente le fonti, viene inserito un richiamo, alla testimonianza di Erodoto: -" Narra Erodoto che i Focensi, temendo l'ira di Ciro, re della Persia, lasciarono la patria e, fuggendo per mare, vennero in varie marine, ed ivi fondarono la loro sede e la sorte...Di questa famosa emigrazione de' Focensi, oltre le memorie scritte, e un avanzo degli orientali costumi, si legge da un antico scrittore apportato un Codice Rituale e Liturgico, in cui si trovano registrate molte canzoni, che sono quasi tutti Inni, Peani, Ditirambi, Litanie, contenenti le Orgie e le Feste di Bacco..." (A. JEROCADES, La Lira Focense, ed. seconda, Milano, 1809, p. 7). Inoltre, mentre nell'edizione milanese Jerocades vuole sottolineare la propria originalità e autonomia sostenendo che, letto il codice e coltone lo spirito, " ho scritto molte e varie canzonette sullo stesso argomento", nella precedente edizione napoletana invece si dichiara semplice trascrittore del Codice di Liturgia degli antichi Focensi "...e perciò tradussi, ed esposi finalmente, ciò che in quel libro rituale è descritto" (A. JEROCADES, La Lira Focense, Napoli, p. 141). - Mancando a tuttora appropriata documentazione che, vanificando le supposizioni, renda lecita una puntualizzazione conclusiva su tali dissonanze, si precisa che le segnalazioni precedenti non vanno oltre un intento puramente illustrativo; peraltro ogni riferimento nel testo di questo studio alla "Lira Focense" è da intendersi fatto sull'edizione napoletana.

12. A. JEROCADES, La Lira Focense, Napoli, p. 140.

13. Ibid., p. 12.

14. Ibid., p. 34.

15. Ibid., p. 5.

16. Strofette ed ottave sono riportate in un prezioso manoscritto napoletano, a firma di "un curioso dilettante", che è forse il più antico documento italiano che parli di massoneria, ed ha titolo "La traduzione germana dello Istituto dei Liberi Muratori dall'idioma Francese nell'Italiano, con i catechismi, i Capitoli, le Tavole, i Segni ecc."(1749-1751). Il manoscritto è conservato nell'Archivio della Società Napoletana di Storia Patria. Per altro M. D'AYALA, I liberi muratori di Napoli nel secolo XVIII, "Archivio Storico Napoletano", XXII, 1897, pp. 422 e sgg., riferisce come ricorrente nelle agapi fraterne di logge napoletane il seguente ritornello: - "Via stringiamoci mano a mano / E teniamoci saldi insieme / Per tal modo almo e sovrano / E così si rinnovelli / Quest'amore di fratelli". I versi sembrano derivare da un analogo ritornello inglese che accompagnava il coro cantato dagli apprendisti durante il banchetto: - "Then join Hand in Hand / T'each other firm stand, / Let's be merry, and put a bright Face on: / What Mortal can boast / So Noble a Toast / As a Free and Accepted Mason".

17. Se per carenza documentaria facilmente comprensibile non è possibile provare l'appartenenza della de Fonseca alla massoneria, non è peraltro neppure possibile escluderlo con certezza dal momento che proprio a Napoli esistevano almeno due logge femminili, in una delle quali, la famosa "Saint Jean du Secret et de la parfait Amitié" gravitava anche l'ambiente di Corte con l'adesione certa della marchesa di San Marco, intima della Regina Maria Carolina; vi facevano anche parte la principessa di Ottajano e la prima donna del San Carlo, quell'Antonia Bernasconi che ebbe l'ardire, in pieno teatro, a palcoscenico aperto, di fare il saluto massonico rivolta al pubblico ottenendone grande ovazione (cfr. A. SIMIONI, Le origini del Risorgimento politico dell'Italia meridionale, Messina-Roma, 1925, vol. I, pp. 293; C. FRANCOVICH, Storia della massoneria in Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. 194). Esiste poi precisa testimonianza, a proposito della de Fonseca, che la annovera tra quei napoletani indicati come massoni che nel dicembre del 1792 si recarono sulle navi francesi del Latouche, ove si gettarono le prime basi di un movimento politico, rivoluzionario da propagandarsi anche tramite le società massoniche, già in via di formazione, secondo la formula di Marsiglia, in club giacobini (cfr. G. PEPE, Memorie, Lugano, 1847, I, 9, pp. 15-17).

18. L'inno è stampato sul "Giornale patriottico della Repubblica Napoletana", vol. I, pp. 96-97.

19. A. JEROCADES, Saggio sull'umano sapere,cit., pp. 10-13.

20. A. JEROCADES, La Lira Focense, cit., p. 139.

21. G. DE GIACOMO, La farchinoria, a cura di R. Sirri, Napoli, De Simone,1978.

22. A. JEROCADES, La Lira Focense, cit., p. 34.

23. Ibid., p. 46.