"Nas mentes"

Cantigas de Santa Maria secolo XIII

 

Sul soggetto consultare anche:

Il Grande Oriente Murattiano

 

Accostarsi ad un personaggio storico, ad un avvenimento, ad eventi, a periodi, a fatti, ad autori, risponde sovente - in sede profana - ad una "scelta di campo", ad una opzione politica o ideologica, ad una milizia, ad un "partito".
Di qui, la conseguenza di relazioni "a tesi", di agiografie pateticamente prive di ombre, ovvero di demonizzazioni ignare di generosità od indulgenza.
Di più: che, a parte la "scelta di campo", o ad essa abbinata, chi si accosta all'oggetto della sua indagine storica, questo tosto costringe ed imbriglia nella propria convinzione metodologica, nella propria struttura interpretativa. Così che, a seconda della tendenza o preferenza marxiana o alla Carlyle, il personaggio, il periodo, l'evento, la concatenazione degli eventi saranno visti, "letti", interpretati, ora come espressione, prodotto, sintesi di classi, movimenti, epopee corali; ora come "picco" su abissi, protagonisti su masse amorfe e pigre, come scelte e battaglie, vittorie o sconfitte di "capi", di protagonisti, di "eroi".


Il Massone, che si accosta ad un argomento, sa in anticipo che dovrà cercare di spogliarsi da preferenze preconcette e da antipatie aprioristiche.
Lo Scozzese, che, in umiltà, cercherà di "rivisitare" qualcuno, qualcosa, per leggervi quanto di verità può dargli, può dirgli, esaspererà la propria probità intellettuale, il proprio scrupolo, la propria onestà di testimone e di lettore, rendendo conto a chi ascolta della materia che ha studiato, del materiale che ha rinvenuto, delle "conclusioni" cui non perviene (La Camera di Mezzo della Massoneria Azzurra non chiude mai i suoi lavori, sibbene li sospende; e lo stesso concetto di work in progress si rinviene nella Camera di 32 ° del R:.S:.A:. e A:.).
Ancora: che il libero muratore scozzese, che tenterà il riesame di un pezzo di storia e di vita, non invaderà il campo dello storico, del letterato, del politico, del sociologo, cui lascerà le ricerche proprie dei singoli àmbiti. Egli cercherà, nel, dell'argomento trattato, la "suità" muratoria, lo specifico massonico, la lezione, l'insegnamento che ne verranno per gl'iniziati.
Lo Scozzese, in più, coniugherà il massimo d'indipendenza, di libertà, di anarchismo nella ricerca, col massimo di prudenza, di disponibilità, col desiderio di capire, col tentativo di collocare persone e fatti nel contesto loro proprio, istituzionale; senza l'ipocrisia d'un perdonismo generalizzato e facile, o l'arroganza severa di altrettanto facili condanne.
Ponendosi, così, tra Squadra e Compasso, e, in più, tra "Deus meunque jus" ed "Ordo ab chao". Il che equivale a dire tra un partenza, ai limiti della dissacrazione, ed un arrivo, un approdo, che abbiano la serenità sublimante d'una finale, corale "reductio ad unum".
E quando incontri "così" avvengono fuori dalle sedi istituzionali infra-Templari, alla presenza di "profani", cioè di cittadini non iniziati (e pur onestamente vogliosi di conoscere Massoneria e Massoni, senza le lenti deformanti e le cronache a tassametro di gazzettieri prezzolati), ci è particolarmente gradito confrontarci con essi, verificare le rispettive radici culturali, ideali, morali, sentimentali, fornendo loro (e chiarendo a noi stessi) moduli di vita e di attività, modo d'essere e di agire, ragioni e motivazioni d'una scelta.
Che è, anzi tutto, e complessivamente, una scelta laica.
Anche qui, ed ora, cogliamo con prontezza e soddisfazione l'occasione (da non lasciar cadere mai!) di spiegare, approfondire, saggiare il nostro Laicismo, il senso che diamo al termine ed al concetto.
Non ignorando le distorsioni, le "scorciatoie", i capovolgimenti e gli equivoci, cui la parola può dar luogo, a volte ha dato luogo.
Per noi, il Laicismo non può essere, non è, una pigra, arbitraria, facile stazione di partenza, aprioristica, e, quindi, necessariamente discriminatoria; quasi una sorta di preventivo esame di matrici e provenienze, analisi di globuli laici negli altri, nelle cose!
Per noi, il Laicismo non è, non può essere, una sorta di approdo obbligatorio, di "porto franco", fatale e consolatorio!
Il nostro è un Laicismo di percorso, un metodo di ricerca, appassionato e spassionato insieme, tormentato e sereno insieme, un atteggiamento mentale e spirituale sgombro da preconcetti, da pregiudizi, da opzioni fideistiche, dogmatiche, catechistiche, anche laiciste!
Così, da laici, ci siamo accostati al figlio dell'albergatore di Labastide; al prete mancato, a colui che gettò alle ortiche la tonaca per una fanciulla; a chi si arruolò volontario nei cacciatori delle Ardennes; a chi, espulso dal corpo per insubordinazione, seppe essere condottiero, guerriero epico e mitico; a chi fu guardia costituzionale di Luigi XVI, e tosto passò ai rivoluzionari; al conquistatore dalle idee repubblicane che divenne Re; allo strumento di Napoleone, che osò contestarlo; all'uomo "nuovo", che innovò e modernizzò, che sbarcò, per riconquistare e allargare un Regno; che, processato da ingrati e immemori beneficati, condannato a morte, fu passato per le armi.
Egli nasce venti anni prima della Rivoluzione Francese: questa non ne ha ancora dieci, quando Egli viene incoronato Re!
Si era legato a Napoleone; sposatane la sorella Carolina, ne divenne strumento, fino alla tragica fine.
Sono, e restano, fra le sue benemerenze più note (le sole, forse, a non subire contestazioni e misconoscimenti, di contemporanei e di storici), le cento battaglie, in cui rifulse il coraggio ai limiti dell'irresponsabilità, il valore entusiasmante per le truppe elettrizzate, del leggendario "Magister Equitum" della Grande Armata: in Egitto, a Marengo, contro Ferdinando di Napoli, all'Elba, ad Austerlitz; nella campagna di Russia; l'' impresa militare contro l'Inghilterra, cui tolse Capri.
Quando dalle qualità del soldato, unanimemente riconosciute ed apprezzate, si passa alla valutazione delle qualità del politico, le accuse di ingenuità, contraddizioni, ambizioni, doppiezza, non si contano.


Fu veramente così?
 

Intanto, sul versante delle qualità di politico, delle ambizioni appagate, io sarei un poco meno severo, e un poco più pragmatico: la fine dolorosa, gli errori, le illusioni (che certo ci furono e su cui, brevemente, torneremo) non possono farci dimenticare, (o sottovalutare) le tappe rapide e brillanti, che portarono il cognato di Napoleone da Governatore di Parigi a Maresciallo, a Grande Ammiraglio, a Granduca di Berg, a Luogotenente dell'Imperatore in Spagna, a Re di Napoli.


Fu incoerente e contraddittorio, nella scelta di alleati e nella lealtà alle alleanze?
Intanto, Egli ha, sempre!, vicino a lui (sopra di lui, incombente e fatale!) Napoleone!
Col quale deve, fino alla fine, fare i conti!
E dal quale, pure, Gioacchino osa tentare di affrancarsi, nella conduzione del Regno, nelle scelte di politica interna, nei rapporti con Austria ed Inghilterra.
Ingenua, la sua illusione e fiducia nell'Inghilterra, pur dopo l'evasione di Napoleone dall'Elba?
Scrive il Colletta: "Egli voleva prendere quel destro a farsi grandissimo, per poi patteggiare, dopo gli eventi con l'Austria e con la Francia, qualunque restasse vincitrice. E, a meglio raggiunger lo scopo, cercava con ogni premura l'alleanza dell'Inghilterra".


Povero vaso di coccio, fra vasi di ferro, prestò fede ad inganni, si abbandonò ad illusioni, mentre istanze nuove ribollivano, assetti statuali mutavano, alleanze si frantumavano e ricomponevano con rapidità e secondo logiche astruse, che avevano nel doppio gioco di diplomazie allenate e di governi instabili variabili impazzite.
Ma prima di guardare allo spegnersi della meteora, agli ultimi istanti della vita e delle speranze di Murat; occorre prestare qualche attenzione ai programmi, alle leggi, alle riforme, agli atti concreti di governo di lui.
 

Gioacchino sostituì gli ordinamenti medioevali, con altri che si adattavano alle mutate condizioni dell'Europa (un primo dato muratorio: la modernizzazione! Il corrispondere con leggi e amministrazione moderne a domande popolari nuove!).
Promulgò il Codice Napoleone; soppresse i Tribunali Straordinari.
Irrisione della storia!
Un Tribunale speciale e straordinario lo condannerà!
Riordinò, e modernizzò, il sistema tributario.
Perseguì una illuminata politica di lavori pubblici: strade ed assetto urbanistico di città sono benemerenza indiscutibile del Murat, più apprezzabile, se valutata e considerata alla stregua delle infime risorse economiche del Regno, e la costante ipoteca grifagna del maggior cognato.
Anche nelle opere di beneficenza, e nelle cure particolari dedicate all'istruzione, specie quella media ed elementare, rifulge una matrice libero-muratoria evidente, culminata nella formazione, attraverso l'eversione della feudalità e la quotizzazione delle terre, di un ceto medio, che partorì politici e militari qualificati.
 

Quante, quali riflessioni non richiede il duro colpo alla Chiesa-potere, alla Chiesa-padrone di terre, nella Chiesa-privilegio?
E come non leggere, in queste linee di governo, un filo rosso unificante ed esaltante libero-muratorio e scozzese?
Questo dotare di leggi moderne, amministrazione più razionale, migliori servizi, finanziare la beneficenza, è sigla inconfondibilmente muratoria, cui l'Ordo conferisce smalto scozzese.
Che dire, poi, degli ideali di indipendenza ed unità italiane, sempre più enunciati, propagandati, suggeriti; donde attraverso le sette carbonare e non solo carbonare, ed i relativi moti rivoluzionari nelle Calabrie e negli Abruzzi, la diana d'una democrazia, largamente avvertita, metabolizzata, e proposta dagli ambienti massonici?


Tanto, non poteva non allargare ed aggravare i dissidi con Napoleone; certo non contento che Gioacchino si presentasse come sovrano indipendente, elargitore di riforme liberali, propugnatore, in particolare, d'una riforma, che sostituisse i funzionari ed i militari francesi con personale napoletano.
Gioacchino, ancora e soprattutto, rese nazionale il governo e propose con forza l'"Unione d'Italia".
Certo, con i pochi mezzi a disposizione, con le resistenze, ancora così presenti nella società, in mancanza di alleanze forti e affidabili, fu (a dirla con Oreste Dito) una "ruinosa illusione". Forse i tempi non erano maturi, la gente ancora non pronta al grosso balzo; certo la storia non si fa con i "se".
Ma qui, in Calabria, nel Mezzogiorno parlando del sogno, dell'utopia di Gioacchino, è troppo audace, gratuito, pensare, per un attimo, a quale destino il Mezzogiorno, la Calabria avrebbero potuto aspirare, se l'"Unità" d'Italia avesse avuto il segno aggregante di Murat, al posto della "piemontesizzazione" dei Savoia?!
Ma che si poneva, di fronte alla polverizzata condizione dei tanti staterelli esistenti, come spinta verso più ampia aggregazione nazionale, cui potesse arridere indipendenza, autodeterminazione; tappa, a sua volta, verso quall'universalità (cui non basta nemmeno il nome ed il concetto profani di internazionalità), ideale proprio e preminente della Massoneria.


In tale - e tanta - congerie di scaglie incandescenti, niente errori, contraddizioni, miopie, ritardi?
Questo può accadere a chi pone taluni sugli altari, ed inventa categorie di superuomini, di angelicati, di tramiti assurdi, tra l'uomo e il Dio.
Lessing usava ripetere: "Se incontrassi Dio, e mi offrisse in un pugno la verità, e nell'altro la ricerca della verità, non esiterei a scegliere il secondo".
Tacere, negare che, proprio in Calabria, la repressione murattiana fu pesante e sanguinosa?
Ma, nel contempo, dimenticheremo che causa e destinazione di quella repressione era il brigantaggio politico-sociale, avverso agli ordinamenti francesi, ed al progresso, da quelli portato?
Tacere, negare le persecuzioni cui inizialmente fu fatta segno la Società dei Carbonari?
Certamente no!
Aggiungendo, sempre con Oreste Dito, che, successivamente, "se ne fece capo regolatore, e fece iscrivere i principali impiegati civili e militari".
Si è già detto della fuga di Napoleone dall'Elba; delle trattative di Gioacchino con Austria ed Inghilterra.
Queste perseguivano politiche inconciliabili, col disegno murattiano; né l'Italia rispondeva al suo appello contro l'Austria.
 

Il 22 marzo 1815 Gioacchino Murat parte per Abruzzi e Marche (o viceversa): lo stesso giorno il Ministro di Polizia invia circolare a stampa ai Sindaci del Regno che ricorda "le grandi circostanze in cui è per trovarsi l'Europa". Che chiede (Dito) di "secondare gli sforzi generosi e sublimi d'un principe, cui dobbiamo già la nostra indipendenza, ed i benefici d'un Governo paterno".
E si conclude: "Ricordiamoci di ciò che fummo, di ciò che siamo, de' destini anche più brillanti, che si possono attendere", 'come non cogliervi il "Donde vieni? Chi sei? Dove vai" muratorio?
Nello stesso "Proclama di Rimini" Gioacchino Murat si dimostra sicuro del favore inglese: "Potrebbe ella non applaudirci, l'Inghilterra, quel modello di raggiungimento, costituzionale, quel popolo libero che si reca a gloria di combattere e di profondere tesori per l'indipendenza delle Nazioni?".
Quanta parte di quel proclama, nel quale certo urgeva l'ora, e cui Murat commetteva una serie di messaggi (agli italiani, perché si levassero e seguissero la "ruinosa illusione"; all'Inghilterra, perché onorasse di coerenza la propria tradizione liberale e per l'indipendenza dei popoli), non ha sottesi umori muratori e scozzesi?
La stessa esaltazione dell'Inghilterra, "modello", sottende il richiamo ai principi del 1717, posti a base della fondazione storica della Gran Loggia!
 

Gioacchino in Corsica prepara la spedizione armata nelle Calabrie, che avrebbe dovuto ridargli il possesso del Regno; e che si chiuse, invece, tristemente a Pizzo, con la sua fucilazione.
Partenza dalla Corsica la notte tra il 28 ed il 29 settembre.
La tempesta. Disperse le 7 barche (7! ! !: i numeri). Ne volle sette per qualche ragione? Gl'iniziati, i numerologi sanno "quel" numero!
Doveva approdare presso Salerno, dove riunire ufficiali e soldati della vecchia armata; proseguire per Avellino; riunire truppe e partigiani, e, solo se e quando forte, marciare sulla capitale.
All'aurora dell' 8 ottobre nel Golfo di Sant'Eufemia, fece vela sopra il Pizzo.
Era Domenica. Gioacchino e i suoi gridavano "W il Re Gioacchino" (pateticamente anche lui lo ripeteva!), 30 persone!'
Pensò di marciare sopra Monteleone capitale della provincia.
Un Agente del Duca dell'Infantado ed un Capitano di Gendarmeria Trentacapilli riuniscono i loro aderenti, infiammano il popolo ad armarsi contro il nemico del legittimo Re: promettono, minacciano, seducono.
Fanno fuoco contro Gioacchino e i suoi. Gioacchino fa gesti e saluti verso il popolo.
Il popolo spara!
Muore il Capitano Moltedo; il Tenente Pernice è ferito.
Ma i suoi non rispondono ai colpi: Gioacchino lo vieta!: sigla muratoria! di fratellanza!
Scende alla marina.
Le barche: a distanza (già traditrici!).
Un solo legno: Gioacchino e i suoi non fanno a tempo a metterlo a mare: troppo tardi!
Gioacchino e i suoi sono fatti prigionieri e portati nel Castello di Pizzo (che non aveva truppa). Da Monteleone, dove c'è la guarnigione, parte il capitano Stratti con 40 uomini di fanteria. Sopraggiunge il Generale Nunziante (che fu fatto poi Marchese dal Re Ferdinando IV).


Sul generale Nunziate consultare il documento in archivio, nella sezione Massoneria e Carboneria:
Il Generale Nunziate
 

Il Ministero (Re Ferdinando ostile!) ordinò che Murat fosse giudicato da una Commissione Militare come pubblico nemico.
Viene così formata la Commissione (Presidente, 2 dei 7 giudici, "Murattini" creati e beneficati da Murat; "Murattino" il Regio Procurator Generale! Camera di 9 ° grado: "Non fare del bene, se non hai la forza di sopportare l'ingratitudine"). Nunziante incarica il capitano Stratti di avvisare Gioacchino: capisce, piange, scrive ai suoi:
"Io muoio innocente. La mia vita non è stata macchiata di alcuna ingiustizia (ai figli): siate uniti costantemente, mostratevi superiori alla disgrazia".


Tutti principi muratori e scozzesi!
L'unità. La dignità. La giustizia. La superiorità alla disgrazia (Kipling: "se potrai imbatterti nel Trionfo e nel Disastro, trattando nello stesso modo questi due impostori... tua è la terra e sarai Uomo, figlio mio!").
Al Capitano Starace, difensore d'ufficio dirà: "Non sono quelli miei giudici! I Sovrani non hanno altri Giudici che Dio ed i popoli" .
Deus meungue jus!


- "Non può salvarsi la vita; salverò la dignità reale: non si tratta di giudizio, ma di condanna: non sono questi i miei giudici, ma i miei carnefici".
"Ho speso per i Napoletani quanto avevo... è mia opera quanto vi ha nei loro codici di più utile e di più liberale".
"Ho preferito i Napoletani ai Francesi che mi elevarono al trono".


La Sentenza: "13 ottobre 1815 nel Castello del Pizzo... condanna a morte".
Il Relatore lesse la lettera al condannato; "egli la intese con freddezza".
Senza bende: ai 12 fanti disposti in 2 righe, : "Salvate il viso; mirate al cuore".
Virile dignitosa condotta, da Libero Muratore!
 

V. U. Caldora. ("Calabria Napoleonica" Napoli. F. Fiorentino - 1960) questo dice dell'opera di Murat.
"I problemi furono compresi e posti; e - nella visione che a distanza di tempo possiamo avere - anche additati ai futuri responsabili dello Stato meridionale".
Come notò il Palmarocchi - proprio negli anni in cui questa affaticava le menti degli statisti italiani e riempiva di voci difformi le aule parlamentari - la questione meridionale trova nel decennio francese precedenti innumeri e di grande portata. In questo senso, non si può fare torto ad un regime durato appena dieci anni - e dieci anni più nelle apparenze che nella realtà, comunque in particolari situazioni interne ed internazionali - se non riuscì a fare tutto e bene, quando, per oltre un secolo, i successivi governi - ad onta delle esperienze del passato - non conseguirono risultati lusinghieri; e se oggi tanti problemi sono ancora oggetto di studio e di dibattiti.
Più che abbandonarsi a quello troppo superficiale - e più facile -, il giudizio va fondato al di là delle impressioni immediate. Si vedrà allora come il governo napoleonico abbia profondamente trasformata l'antica e dannosa struttura e dello Stato e della Società.
Istituti nuovi ed efficienti regolarono la vita civile ed anche il più umile dei sudditi potè riacquistare la dignità e la libertà della persona umana; la ricchezza fu meglio distribuita; il privilegio stroncato; l'eguaglianza dei diritti e dei doveri chiaramente sancita; i mezzi di sostentamento, di elevazione morale e culturale profusi il più possibile; ecc. Insomma, fu davvero - come disse il Croce - la fine del Medioevo!
Ma è merito assoluto del decennio l'aver alimentata una coscienza liberale e democratica, creando - soprattutto attraverso gli organi periferici - una classe dirigente; coscienza che trova appunto nel moto carbonaro cosentino del 1813 una prima espressione di notevole maturità e consapevolezza; coscienza che si paleserà più chiaramente nei moti del 1820-21 e del 1848.


Si può dire che se i Napoleonici non fossero stati sul trono di Napoli, il Mezzogiorno avrebbe durato più a lungo nella sua terribile arretratezza e tardato molto ad incamminarsi sulle vie del Risorgimento e dell'Unità nazionale.
La Calabria fu, comunque, restituita pacificamente ai Borboni con un volto ed un'anima davvero nuovi, con un'esperienza benefica e decisiva, con immensi vantaggi ricevuti. Basterebbe un raffronto - qui superfluo, perché a tutti facilissimo tra le condizioni in cui uomini e cose di essa versavano agl'inizi del secolo XIX e quelle in cui si trovarono alla fine del decennio francese.
Da allora, i Calabresi cessarono davvero di essere i selvaggi di Europa!
 

Nel 1809 Gioacchino decretava che i tribunali d'appello e i tribunali criminali prendessero il nome di Corti e i Procuratori presso le Corti d'Appello quello di regi Procuratori Generali.
Nel 1810 Gioacchino regolamentò le scuole primarie; nel 1811 l'istruzione secondaria ed universitaria.
Con decreto 5 / 3 / 1812 il Collegio Reale di Catanzaro è dichiarato Liceo destinato alla istruzione nella Giurisprudenza per le due Calabrie.
 

Luci ed ombre, insomma?
 

Luci ed ombre, certamente. Come sempre, nella vita degli uomini, dei popoli, nell'evoluzione delle cose, nel progresso incessante, ma costantemente contrastato dell'umanità.
Certo, alla base delle migliori intenzioni, delle più brillanti intuizioni, della migliore fierezza, delle riforme più coraggiose del figlio dell'albergatore di Labastide non è né difficile né pretestuoso cogliere appieno principi, suggerimenti, elaborazioni libero-muratori. Come, nella conduzione contemporanea del duplice sommo Maglietto di Gran Maestro dell'Ordine e di Sovrano Gran Commendatore del R:.S:.A:.A:., Murat metabolizzò ed espresse quell' "ordo ab chao" che è la sintesi più completa del progetto e programma scozzese.
Non nel caos, ordine! Non nonostante il caos, l'ordine! Ma dal caos, dalle schegge impazzite d'una realtà apparentemente inconciliabile, la "reductio ad unum" dell'armonia cosmogonica.


E i difetti, le contraddizioni, gli errori di Gioacchino?
 

Quelli sono certamente il portato d'un carattere, le sfaccettature d'un temperamento, ovviamente sempre da riguardare con rispetto ed umiltà, nel contesto incandescente del momento.

 


 

Crediti:

Il documento è opera d'ingegno del Carissimo F:. Ernesto Ippolito, ed ha trovato ospitalità su "Hiram n.5 maggio 1987". Ogni diritto è riconosciuto. La libera circolazione in rete del documento è subordinata alla citazione della fonte (completa di Link attivo) e dell'autore.

© Ernesto Ippolito