É scritto: "E Élohïm disse: che la luce sia fatta". A partire da questo versetto, la Scrittura espone in dettaglio il mistero della creazione, mentre nel precedente, questa, era stata presentata in maniera generica.

Questa Tavola Architettonica del carissimo Fratello Federico P. fu stesa per un lavoro in Camera di Mezzo nell'anno di vera luce 5999. Ogni diritto gli è riconosciuto

© Federico P.

Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non riflette di necessità la visione della Loggia o del G.O.I.

Sullo stesso soggetto l'Ospite interessato può consultare il documento:

 

Iehï Or... che la Luce sia!

 

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É scritto: "E Élohïm disse: che la luce sia fatta". A partire da questo versetto, la Scrittura espone in dettaglio il mistero della creazione, mentre nel precedente, questa, era stata presentata in maniera generica. La Scrittura, infatti, inizia con il descrivere la creazione in termini generali; in seguito, espone le opere della creazione in dettaglio; e alla fine, menziona nuovamente la creazione in maniera generale.

Questa precisazione delle opere della creazione, preceduta e seguita da una generalizzazione, ha per proposito quello di applicare al racconto, la regola cabalistica ermeneutica, la quale stabilisce che, ogni volta in cui si trova nella Scrittura una specie preceduta e seguita da un genere (vale a dire quando la Scrittura indica qualcosa in termini generali, che definisce in seguito e che generalizza di nuovo alla fine), sia la specie a determinare il genere.

Il dettaglio di tale regola, che esula dai contenuti del presente intervento può essere reperita dal visitatore interessato nel: Tiqouné Zohar XLI; Minhath Yohouda foglio 12a e 27b e nello stesso Zohar al libro IV,264a.

La creazione, secondo la Qabalah, si opera per il tramite della volontà del misterioso Infinito. Ma soltanto per quanto concerne la creazione delle opere in dettaglio è, per la prima volta, presentato, nella Scrittura, il concetto di "parola", così com’è riferito nel versetto: "E Élohïm disse: Che la luce sia".

Se ne deduce, quindi, anzi siamo autorizzati a dedurre, che il Verbo (seconda ipostasi divina) si manifesta soltanto nel momento della creazione dei dettagli, laddove la creazione della materia generale, o meglio del piano della creazione, fu operato antecedentemente alla manifestazione del Verbo stesso.

É questo il motivo per cui non si trova, nei due primi versetti del Genesi in cui è esposta, appunto, la realizzazione della materia in generale, la parola "Vayomer" "disse".

Per quanto l’espressione "Berechith bara Élohïm" a volte è letta: "Con il Verbo Élohïm creò i cieli e la terra", non se ne deve evincere che, poiché la materia è stata creata tramite il Verbo, questi si fosse manifestato antecedentemente alla creazione.

Ovviamente, esso esiste dall’Eternità, ma, per la prima volta, si manifesta nel momento in cui la materia viene creata.

Per quanto riguarda gli eventi che precedono tale manifestazione, lo Zohar ci riferisce, al foglio 16b del primo volume, che "il misterioso Infinito manifestava la propria onnipotenza con l'intervento del misterioso Pensiero".

Ora, questo misterioso Pensiero, per la formulazione dell’unità della divinità, non può che essere della stessa identica essenza del misterioso Verbo, l’unica differenziazione che siamo in grado di scorgere, è che tale essenza, al contrario del Verbo, è silenziosa.

Quindi, il Verbo manifestatosi all’epoca della creazione della materia, esisteva prima sotto forma di Pensiero; del resto non possiamo essere d’accordo sul fatto che, se la parola è capace di esprimere tutto ciò che è materiale, è strumento inidoneo a rappresentare l’immateriale. Del resto la "parola" quale strumento di creazione, non è presente nei versetti che precedono.

Per tale motivo la Scrittura riporta: "E Élohïm disse (va-Yomer Élohïm)", cioè, Élohïm si manifestò con la conformazione del Verbo; e questo seme divino, tramite il quale la creazione è stata operata, viene a svilupparsi, e, nella trasposizione da Pensiero in Verbo, proferisce parola, fa intendere una voce, voce che porta all’esterno di se... "disse".

La Scrittura aggiunge: "Che la luce sia (iehi or)".

Ora la tradizione ebraica in generale, e quella cabalistica in particolare ( ma per onestà intellettuale da dire che non sono però le uniche), ci informano che "ogni luce scaturisce dal mistero del Verbo".

Vediamo come tale concetto è espresso in questo passaggio.

La parola "iehi" è costituita da tre lettere: una Yud (y) al principio e alla fine, del vocabolo, e da una Hé (h) al centro (yhy).

Ora, come ci conferma lo Zohar al foglio 232 b e al 234b del primo volume, questa parola, "iehi" è la rappresentazione del Padre e della Madre Celeste, indicati rispettivamente, con le lettere Yud ed Hè (yh) e della terza essenza divina che procede dalle due precedenti, e che è mostrata dall’ultima Yud della parola "iehi".

Questa ultima lettera è, per forza di concetti, identica alla prima, perché, come sopra si affermava, non può esserci differenziazione alcuna nella divinità, quindi tutte e tre le ipostasi descritte non sono in realtà che una unità.

C’è in questo versetto, per tentare di essere più chiaro e semplice, la rappresentazione della triade sephirotica superiore: Kether, H’ocmâ, e Binâ, la rappresentazione dei tre sentieri, o Cineroth, che collegano queste Sephiroth, e la rappresentazione di ciò che scorre, di ciò che si muove in questi sentieri.

Kether, il Padre, rappresentato con la prima Yud, di questa parola, è anche come sappiamo, o come dovremmo sapere, il dispensatore di tutte le Luci celesti.

Per cui quando fu concretizzata la materializzazione del vuoto, tramite il suono del Verbo, o seconda ipostasi, o come già suggerivo la scorsa volta, secondo inizio, e rappresentato dalla lettere Hé, la Luce celeste, essendo incompatibile con la materia, si occultò perché il Verbo non era ancora articolato, infatti come lo abbiamo stabilito in precedenza, questi si manifestò soltanto per la creazione delle opere circostanziate e esposte nella Scrittura.

Quando si manifestò, Esso si unì al Padre, Kether, per il tramite del primo sentiero che si chiama Aiah, e la Luce che fino a quel momento risultava inconciliabile con la materia, tanto che il termine "or", che significa luce, non è presente nei primi due versetti, neanche in forma sincopata, diviene, da quel momento, disponibile alla stessa. In altre parole diviene disponibile soltanto nel momento in cui emanò contemporaneamente dal Padre e dal Verbo.

Ed ecco che la Scrittura conferma: "Sia la luce".

Riassumendo: il primo Yud della parola "iehi" indica il Padre, Kether; l’ultimo Yud la luce celeste, Binâ; tale Yud è collocata dopo la Hé in quanto, la luce celeste, che la lettera simboleggia, per divenire disponibile alla materia necessitava che scaturisse dal Padre e dal Verbo, contemporaneamente; dalla prima Yud e dalla Hé.

Questo non è tutto, perché successivamente, a tale Luce vengono posti dei limiti tanto è vero che la Scrittura riferisce: "E Élohïm disse: Che il firmamento sia fatto e che separi le acque dalle acque", in altre parole: sia stabilito un limite tra la luce regnante in alto e quella in basso.

Questo, in ogni modo, fa parte del commento al sesto versetto che esamineremo a tempo debito.

 

 

 

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