Ci sembra evidente che il protagonista libero di queste pagine, cantate in versi di non comune bellezza sia quell'enigmatico Yud, o se vogliamo principio-vita universale, il principio qualitativo dell'unità, la natura e l'essenza stessa dell'Amore.

In questo lavoro sono riportate le riflessioni  finali presentate, nell'anno di vera luce 5995, dal carissimo Fratello Federico P. a termine di un anno di studio sul Cantico dei Cantici. 

Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non riflette di necessità la posizione della Loggia o del G.O.I.

La libera circolazione del lavoro è subordinata all'indicazione di fonte (completa di Link) ed autore.

 

© Federico P.

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Sullo stesso soggetto è possibile consultare in questa stessa sezione:

Shir ha-Shirim tra Qabalah e Alchimia

 

In quest’anno massonico 5997 di vera luce, il lavoro della Loggia Montesion, è stato adempiuto sulla lettura e commento del "Cantico dei Cantici".

La difficoltà oggettiva di interpretazione del testo, se si esclude la visione canonica, tutta poggiata sul significato letterario traslato, che individua lo Sposo del Poema come Dio e la Sposa come Israele e, per estensione nella visione cattolica, il Cristo e la sua Chiesa, ha dato origine nei diversi periodi storici, a letture dalle interpretazioni dissonanti.

Mi permetto di sottolineare, per linee molto generali, e solo come introduzione al presente lavoro, che a volte si ha l'impressione che i "commenti interpretativi" ai Testi Sacri, sicuramente questi sempre di molto posteriori, affondano le loro radici dialettiche e speculative nell'Ignoranza Metafisica del messaggio catartico contenuto nei testi stessi. Prova è la loro stessa esistenza e la prolificazione delle elaborazioni in "tempi sospetti", in altre parole quando la necessità canonica e di codificazione di un insegnamento religioso, "commenta interpretando" (aiutato dai "sapienti") una verità, che adattata alle necessità, vuoi di un popolo, vuoi di una religione o di un insegnamento particolare o di un gruppo.

Ma la Verità non può essere che una e non ha bisogno di banditori, tanto meno di interpreti o interpretazioni, Essa è là, sempre immutabile e si offre a chi sa coglierla nei limiti delle proprie capacità psico-fisiche.

Pernicioso quindi per un ricercatore degno di tale titolo, accettare un testo, che la Tradizione tramanda come Sacro, apprezzandolo come una sorta di palestra in cui esercitare le proprie mentali elucubrazioni; come altrettanto pernicioso è, accettarlo nella rigida lettura canonica. La sacralità dei testi risiede nella finalizzazione dei contenuti, per la ragione che questi scritti non sono stati elaborati per soggetti con mente analitico-saggistica, ma per volgere la coscienza dell'essere su se stesso, non con finalità mistiche-fideiste, ma per la conquista della Verità ultima.

Del resto, nella Conoscenza Tradizionale, non vi è posto per la semplice erudizione, la conoscenza deve realizzarsi coscienza, e, a certi livelli, la conoscenza è coscienza; Aristotele afferma, appunto, che: "Conoscere è essere". [Per approfondire questo aspetto vedere in questa stessa sezione: "La pratica dell'estasi filosofica" ]

Innegabile quindi che tutti gli autori dei testi sacri, a qualsivoglia corrente tradizionale essi siano appartenuti, hanno "visto" "udito" e "realizzato" l'insegnamento che propongono in un linguaggio umano; velandone gli Arcani usando allegorie descrittive, così costretti agli artifizi dialettici dai tempi e dalle usanze, limitati dalla parola, ma certamente lontani dall'intento di trasmettere Testi di contenuto teorico-dialettico fine a se stesso, ma scritti pragmatici, norma di "contatto" e strumenti di "realizzazione" verificabili, giacché il compilatore ha certamente fissato nella parola il culmine della propria realizzazione; indicandone anche la via realizzatrice nei limiti delle possibilità espressive della parola.

La proposta per una lettura stratificata dell'Albero Sephirotico, avanzata nel seminario di Licenza, non era formulata come provocatoria novità, ma offerta nel tentativo di rendere il più possibile funzionale uno strumento d’analogie verticali, consentendo di razionalizzare l'utilizzo di uno strumento, quale il compasso, tramite il quale con archi di cerchio è possibile tracciare Cineroth (sentieri) di scorrimento e di transito tra una stessa Sephirâ collocata in Olim (mondi) differenti.

Un esempio mi aiuterà a chiarire meglio un pensiero difficile a tradursi lettera: lo "Shir ha-Shirim", di cui gli ebrei ortodossi hanno grande venerazione tanto da sconsigliarne la lettura ad ogni persona di età inferiore ai trenta anni, tratta della sfera amore-vita, e le Sephiroth che analogicamente sono più confacenti sono quelle di Yesod e di Tiphereth, ora di tale Sephiroth, n’è possibile la lettura in quattro gradualità interpretative che rispecchiano il metodo tradizionalmente utilizzato Pashut, Remmez, Derash, Sod, gradualità che corrispondono alle qualificazioni delle quattro lettere del Tetragramma ineffabile, alle quattro sfere piani o mondi, ai quattro punti cardinali come suggerisce Ezechiele nella sua "Visione". Da ciò consegue che anche l'interpretazione del Cantico" può essere soddisfatta in tutti e quattro i piani, per questo gli elementi a disposizione avranno una posizione di lettura quadruplice, deduzione consequenziale è che ognuna di tali letture sarà vera in rapporto al piano di collocazione, ma falsa in rapporto al piano che immediatamente lo precede; avremo in altre parole una lettura in chiave Fisica (Assiah, Pashut), una in chiave Energetica (Yesirah, Remmez), una in chiave di Leggi (Briah, Derash), una in chiave di Principi (Atziluth, Sod).

Personalmente, sono però convinto che il più contenga necessariamente il meno e non viceversa, per questo mi permetto di offrire alle successive verifiche dei Fratelli la presente proposta, postulando l'Alchimia come Via Regale e Solare di ritorno all'Unità certamente Tradizionale, in stretta associazione analogica con il piano di Atziluth, con lo Yud del Tetragamma, con il Sod del Pardes; il presente lavoro non va comunque accettato nella pretesa di voler piegare lo "Shir ha-Shirim" ad una visione alchemica, tanto meno indagato con il presupposto di trovarvi elementi chiarificatori della nebulosità propria dell'operatività Alchemica. L'intenzione è più modesta e mira soltanto ad evidenziare alcuni elementi che per analogica estensione sembrano "collegare" il Cantico all'Arte Regia.

Quello che si evidenzia immediatamente è la quantità dei capitoli. Ora, per un profano, il numero è in volgare una quantità concreta, per un ricercatore, invece, il numero è la virtù della quantità rappresentata dalla cifra, è la indicazione della qualità della quantità, e quale qualità rappresentano gli otto capitoli del Cantico se non quello della VITA, se si evidenzia che nelle 22 lettere dell'alfabeto ebraico la lettera Chet (l'ottava) significa appunto la vita? E, per "vita", non vogliamo intendere certo esclusivamente quella che può scaturire da un semplice atto coitale limitato al solo piano di Assiah, il quale, se pur determinante per la continuazione della specie, non può essere componente tale da far considerare lo Shir ha-Shirim testo sacro. Tutto ciò, in contrapposizione con la visione canonica propria del Talmud, sostanzialmente censoria rispetto ad una simile interpretazione; si legge, infatti, nel trattato Sanhedrin a pag. 101: "Colui che legge un versetto del Cantico dei Cantici e lo considera come un canto erotico porta la sventura sul mondo".[Commentaire sur le Cantique des Cantiques" di Rabbi Issa'char Baer pag.10 Edizioni Sebastiani 1979]


Ci sembra evidente, infatti, che il protagonista assoluto di queste pagine, cantato in versi di non comune bellezza sia quell'enigmatico Yud, principio-vita universale, il principio qualitativo dell'unità, la natura e l'essenza stessa dell'Amore. A tale proposito lo Shir ha-Shirim sembra essere, con il Simposio di Platone, la letteratura cortigiana dei Fedeli d'amore, i testi di Marsilio Ficino, i Dialoghi d'Amore di Iehudah Abrabanel e il fondamentale De gli Heroici furori di Giordano Bruno, quanto di più penetrante e "sottile" la Tradizione Occidentale ci offre su tale soggetto

Che il principio qualitativo dell'Unità-Vita scaturisca poi come elemento interpretativo dalla quantità dei capitoli è suffragato anche dal messaggio contenuto in un iscrizione su di un sarcofago egizio della XXII° dinastia:

"Io sono UNO diventato DUE, Io sono DUE diventato QUATTRO, IO sono QUATTRO diventato OTTO, ma IO sono UNO-VITA". ["Trilogia della Rota" di Enel edizioni Athanor 1982].

Questo principio di vita, come in tutta la materia che vive, l'uomo non ha bisogno di studiarlo fuori di se, perché egli stesso è un principio di vita individuato. Tale principio non è evidenziato però nella dualità di coppia, ma soltanto nella individualità soggettivata, e quindi solo per una necessità dialettica e descrittiva l'autore del "Cantico" lo descrive come lo SPOSO e la SPOSA, come RE e REGINA, AMICO e AMICA, FRATELLO e SORELLA ; ma in effetti sembra trattarsi della medesima sostanza in momenti operativi successivi, lo Sposo l'Oro Filosofico, lo Zolfo dei Savi mentre la Sposa o Regina altro non indicherebbe che il Mercurio o Acqua Mercuriale e volatile dei filosofi, che a volte chiamano anche Sorella, Amica, Compagna, tutti termini che si incontrano nel "Cantico" come nel "Dizionario Mito Ermetico" di Dom Antonio Giuseppe Pernety sotto la voce "Materia".

Espressioni come "le nozze del Re e della Regina"; "il Re si unisce alla Regina"; "il Re e la Regina si bagnano nella stessa acqua"; "l'entrata nelle stanze chiuse del Re"; sono tutte fraseologie che sembrano consequenzialità emergenti dall'azione dinamica descritta nello "Shir ha-Shirim" e giustificate alchemicamente.

Tale principio che gli Alchimisti tentavano di estrarre dalla loro materia e di moltiplicare, sembrerebbe quindi il medesimo che il "Cantico" esalta, spingendosi a volte persino a fornire elementi di delucidazione alle varie fasi operative della Grande Opera, ad iniziare dal soggetto di cui indicherebbe la natura nel cap.5 vers.2.3: "Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia: perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne"; e ancora al cap.5 vers.5: "Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra...": se poi non si capisse ancora bene cosa se ne debba fare di questa mirra di questa rugiada di questa materia prima il Cantico è molto esplicito, cap.5 vers.1: "Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte." La preparazione e la purificazione sembrerebbero invece citate nel 2 cap. ai versi 3.4, dove il sapore del frutto del melo sembra volerci rimandare ad una rilettura alchemica del 3° capitolo della Genesi, e ai versi 20-23 sempre del Genesi cap.9: "Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto tra i giovani. Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il frutto al mio palato. Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore", e ancora al cap.8 seconda parte dei versetti 2: "... mi insegneresti l'arte dell'amore. Ti farei bere vino aromatico, del succo del mio melograno".

I tempi operativi emergerebbero con una certa approssimazione nel cap.2 ver.11, 12 e 13: "Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi... Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza" Nel testo "Lettere segrete ai veri discepoli di Ermete" di Limojon de Saint Didier, è presente una incisione "Il Geroglifico Mercuriale" dove sono rappresentati alcuni segni zodiacali strettamente collegati con i tempi dell'Opera: "Ariete, Toro, Gemelli", i quali sono appunto i segni zodiacali in cui il sole nel suo passaggio annuncia il termine dell'inverno e dello spuntare dei fiori.

Quanto poi è considerato di basilare importanza nella pratica alchemica e che molti autori tacciono imperiosamente è la conoscenza del "Fuoco Filosofico", il famoso "Fuoco Acquoso", "Acqua Ignea" o "Acqua Ardente" che in realtà è il grande mistero dell'Arte, tanto che Eudoxe nel "Trionfo Ermetico" riferisce... "tutti gli altri misteri di questa sublime Filosofia, dipendono dall'intelligenza di questo..." Nello Shir ha-Shirim la descrizione di tale "Fuoco" oltre ad essere il leit motif dell'intero testo, trova riferimenti particolari in una lettura critica del ver.7 del 2 cap. ripreso nel 3 cap. verso 5 e cap.8 vers.4 nonché nel ver.16 4 cap. che recitano: "Vi scongiuro figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l'amata, finché essa non lo voglia... Levati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia nel mio giardino, si effondano i suoi aromi. Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti." Ancora troviamo richiamo nei versi 6 e 7 dell'ultimo capitolo: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi è la gelosia; le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l'amore...".

Le fasi della sublimazione e la distillazione sembrano dal "Cantico" trattate nel cap.3 vers. 6: "Che cosa è che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando profumo di mirra e d'incenso e d'ogni polvere aromatica?" e al ver.5 del cap.8: "Chi è colei che sale dal deserto? sotto il melo ti ho svegliata; là, dove ti concepì tua madre, là dove la tua genitrice ti partorì...", e ancora al vers.12 del 4 cap.: "Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata."

Nel cap.2 ver.15 leggiamo... "Prendeteci le volpi, le volpi piccoline che guastano le vigne..." ad una interpretazione traslata viene spontaneo chiedersi a che scopo catturare le sole "volpi piccoline", che forse quelle grandi non provocherebbero gli stessi danni? o forse il "Cantico" suggerisce tra il serio e il faceto di eliminarle tutte da piccole? in chiave alchemica la lettura assumerebbe ben altro significato; con tale fraseologia si indicherebbe la sede della produzione della Materia prima e il luogo fisico da dove i Filosofi estraggono la loro Materia, appunto quella famosa vigna che in maniera concreta e non metaforica le "volpi piccoline" se non "catturate", "fermate", "finalizzate", danneggiano grandemente. E tale "Vigna" tanto cercata ed agognata da ogni ricercatore è qui... cap.8 ver.12: "La vigna mia, proprio mia, mi sta davanti..." nell’accezione letterale dei vocaboli.

A tale proposito, mi permetto ricordare ai Fratelli, che su un trascorso numero di Hiram apparve in riproduzione fotografica una scultura lignea di contenuti alchemici datata XIII secolo e di proprietà del Fratello S. P., in cui facevano bella mostra, con altri elementi simbolici e decorativi, un traliccio di vite, un grappolo d'uva, una colomba, una rappresentazione fallica, stilizzata sul simbolo astrologico dell'Ariete, un asta infissa nel tronco, una rosa, uno spermatozoo anch'esso stilizzato, una fase lunare umanizzata, una rappresentazione solare, una strana, ma forse non troppo incisione verticale, e un soggetto in masturbazione solitaria; tutti elementi che l'anonimo artista sembra aver letto nel testo in oggetto, non è certo possibile ipotizzare il contrario considerato che la scultura è posteriore al "Cantico".

Il lilium artis, la coagulazione e la variazione dei colori, l’Autore sembra volerli trattare nel cap.1 ver.6: "Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole." É notorio, come conferma anche Dom Antonio Giuseppe Pernety nel suo "Dizionario Mito-Ermetico" che il colore della Materia dopo 40 45 giorni d’operatività diviene scuro, e se riportiamo tale tempo per gli otto capitoli, si evidenzia che l'OPERA avrebbe per il "Cantico" una ciclicità di 360 giorni, un anno circa. Cosa di più lapalissiano poi, sostenere la propria variazione di colore per l'azione del Sole; gli alchimisti, con riferimento ad alcune fasi dell'Opera, affermano nei loro trattati la medesima cosa.

"Che cosa ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella delle donne?... Il mio diletto è bianco e vermiglio... il suo capo è oro puro... i suoi riccioli grappoli di palma... neri come il corvo... bianchi come colombe... " è quanto leggiamo nel cap.5 dai ver.9 al 14, chiara allusione a aree fisiche di utilizzo alchemico.

Non si pensi che la moltiplicazione sia taciuta dallo Shir ha-Shirim, che anzi sembra evidenziarla nel cap.4 ai ver. 3 e 4: "...come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo... mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi." e nel cap.8 ver.8: "Una sorella piccola abbiamo, e ancora non ha seni. Che faremo per la nostra sorella, nel giorno in cui se ne parlerà?" e ancora al verso 11 dell'8 capitolo: "Una vigna aveva Salomone in Baal-Amon; egli affidò la vigna ai custodi; ciascuno gli doveva portare come suo frutto mille silici d'argento."

Altri numerosi elementi collegano il "Cantico" all'Arte Regia: le caprette, chiaro riferimento alla "capra Amaltea" e al Becco adorato dagli Egiziani e da questi consacrato ad Osiride e che serviva per indicare la parte della Materia Filosofale che gli alchimisti chiamano il "loro Zolfo", ancora la cavalla e la gazzella che rappresentano nella simbologia alchemica le parti volatili della Materia, la Sposa sul carro, che rappresenta la materia collocata nel quaternario, i gigli che palesano la tintura filosofica in corso di perfezione, il carro del Faraone.

E ancora sembra esservi dai versi, indicato l'odore, Cap.1 ver.12: "Mentre il Re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo"; "L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi" verso 10 cap.4.

Raimondo Lullo avverte che dopo la putrefazione la Materia emana: "Un odore tanto soave da attirare tutti gli uccelli". E le rose colte nel giardino dell'amata e "mangiate" dallo Sposo, sembrano stranamente ricordare quelle della rigenerazione dell'Asino d'oro di Apuleio.

Credo, a questo punto, sia agevole per il Fratello, ricercare gli altri elementi, che in maniera invitante chiamano a leggere lo "Shir ha-Shirim" con finalità catartiche alchemiche: il vino, i 60 guerrieri, le 80 principesse, i 1000 scudi, il carro, il giardino, il melograno, i sapori sul palato, le noci, le mandorle le rose ecc. tutti elementi che possono leggersi in tal senso.

E se è vero, come è vero, che l'Alchimia è una via Regale, nulla inficia a considerare che il "Cantico" la possa sottintendere nei suoi versi e nelle sue allegorie, e che la soluzione catartica proposta dall'Alchimia, possa essere la medesima dello "Shir ha-Shirim".

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