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Per quanto perfettamente comprensibili a chi abbia dedicato anni di studi pazienti a penetrare lo stile iperbolico degli scritti di Fulcanelli, di Canseliet e della letteratura da costoro ispirata - e magari a carpire qualche informazione bocca a orecchio da adepti in vena di confessioni - queste parole necessitano, a beneficio del lettore medio, di alcune opportune delucidazioni.

Alleau, in primo luogo, ci sta dicendo che, sebbene in alchimia si utilizzino sostanze metalliche, minerali e saline, sottoposte a precise operazioni di laboratorio per mezzo di vari fornelli e utensili, esiste una differenza essenziale tra i metalli e le sostanze volgari e i metalli, i minerali e i sali filosofici usati dagli alchimisti. Oltre al problema della denominazione - per cui i materiali alchemici, pur avendo lo stesso nome, raramente corrispondono ai loro apparenti omonimi profani - ciò che rende canonici tali protagonisti dell’opus, è l’azione del cosiddetto fuoco segreto, la cui conoscenza e manipolazione è indispensabile al vero discepolo dell’arte. Perciò l’alchimia non è confondibile con la chimica, neanche con quella strana ibridazione di cui si rese campione Jollivet-Castelot: l’iperchimica. D’altronde, l’alchimia non è neanche una mistica- come invece hanno creduto alcuni occultisti moderni- sebbene il suo stesso orizzonte speculativo appartenga di diritto alla Tradizione esoterica.

L’uso che Meister (Johannes) Eckhart (1260-1327), filosofo, predicatore e mistico tedesco, o Jan Ruysbroeck (1293-1381), teologo e mistico fiammingo, o altri ancora, hanno potuto fare del simbolismo alchemico consiste, d’altronde, in una decontestualizzazione priva di grande significato. Lo scopo ultimo dell’opus, ossia la rigenerazione parallela e contemporanea, tanto della materia purificata mediante la crocifissione sul crogiolo che del corpo e della coscienza dell’alchimista, avviene, secondo i principi rigorosi e specifici di una disciplina autonoma e assai originale. Fin qui la traduzione, ad uso del lettore magari alquanto disorientato e perplesso, dei passi del celebre libro di René Alleau, citato. Ma il verbo fulcanelliano merita, senza dubbio, ulteriori esplicitazioni. Esso ci insegna che: 

 

1) L’alchimia è un’arte segreta che, sin da epoche remotissime, dapprima ristrette caste regali e sacerdotali, poi altrettanto elitari gruppi iniziatici, hanno gelosamente custodito e gestito. 

 

2) Quest’arte insegna la duplice via della trasmutazione metallica e della rigenerazione delluomo. 

 

3) Per rigenerazione s’intende la reintegrazione nello stato ontologico che Adamo aveva prima della caduta dal paradiso terrestre. Essa consiste nell’immortalità fisica e spirituale, nella piena conoscenza del passato e del futuro, nella facoltà di trasformarsi in altri esseri e di vincere qualsiasi barriera spaziotemporale. Si tratta, insomma, di un vero e proprio indiamento: lo stesso cui si allude nei testi gnostici ed ermetici del periodo ellenistico, ma conseguito attraverso una disciplina che non è gnostica o ermetica in senso stretto, sebbene utilizzi simboli e immagini tratte da un comune cosmo speculativo di riferimento. 

 

4) L’antenata pasticciona della chimica moderna cui hanno fatto riferimento molti storici della scienza è la cosiddetta spagiria. Questa è stata una disciplina praticata da onesti ma ignari seguaci, i quali, credendo di perseguire gli scopi - irraggiungibili ai non-iniziati - della ricerca alchemica, giunsero comunque alla scoperta di sostanze, composti, principi metodologici, che avrebbero infine dato origine alle moderne e contemporanee pratiche di laboratorio. Di questa spagiria o archimica è possibile descrivere un percorso diacronico, un tragitto storico-culturale che ne riveli i precorrimenti, le fruttuose anticipazioni rispetto allo stadio ultimo di maturazione cui è giunta la scienza della materia profana, nell’epoca attuale. Della vera alchimia non si dà né storia né evoluzione: essa è nata perfetta in se stessa, poiché descrive, sin dalla notte dei tempi in cui qualche ardimentoso sperimentatore ne scoprì l’efficacia e ne iniziò a tramandare il segreto, uno dei metodi che Dio - inteso come la vita-legge-energia intelligente che anima l’universo - ha lasciato all’uomo per evolvere spiritualmente e materialmente. Semmai si può trattare, in termini di descrizione storico-culturale, di una seconda specie di spagiria: quella sorta di pseudo-alchimia ispirata ad alcune teorie di Paracelso (1493-1541) che, pur basandosi sugli stessi principi tradizionali dell’ars regia e magari avendo una qualche nozione del fuoco segreto, opera delle sperimentazioni manipolatorie su elementi cosiddetti comuni, cioè non preparati con le specifiche e occulte tecniche alchemiche. 

 

5) Se l’ermeneutica di matrice junghiana non corrisponde ad alcuna realtà teoreticamente o storicamente riconducibile alla vera ars regia, le interpretazioni spiritualiste od occultiste dell’alchimia ad opera dei vari E.A.Hitchcock, M.Atwood, E.Levi; A.Crowley, O.Wirth, G.Kremmerz, J.Evola o T.Burckhardt, tese ad identificare alchimia ed ermetismo e già precedute dai fraintendimenti di gran parte della letteratura tardorinascimentale e rosacrociana, non colgono correttamente la vera natura delle operazioni alchemiche quali ce le ha tramandate la tradizione occidentale. Tali interpretazioni, basandosi per lo più sulle chiavi dottrinarie e operative fornite dalle alchimie orientali, capovolgono e invertono i termini propri al reale processo della Grande Opera. Così, secondo la prospettiva di questi brillanti ma inadeguati esegeti- cui però spetta il merito di aver individuato il fine ultimo dell’opus: una realizzazione spiritual-materiale palingenetica e divinizzante - eventuali interventi trasmutatori su sostanze minerali o metalliche sarebbero soltanto una conseguenza accessoria di una conquista compiutasi sub specie interioritatis. 

 

6) L’autentica, immutata e tradizionale alchimia occidentale opera, invece, attraverso la manipolazione fisico-chimica di particolari sostanze minerali. Tali sostanze, la cui stessa identificazione e raccolta comporta non pochi misteri e tantissime possibilità di errore, devono essere sottoposte alla duplice azione del fuoco comune - quello dei forni - e del fuoco segreto o spirito cosmico radiante. Di qui, a partire dalle delicatissime operazioni di cottura, fusione, calcinazione, sublimazione etc ..., si sprigiona, dall’athanor, un irraggiamento ondulatorio che investe direttamente il corpo e lo spirito dell’artifex, purificandolo costantemente ed illuminandolo su tutte le altre delicatissime sequenze dell’arte. Solo grazie all’assidua, corretta e precisa ascesi di laboratorio, si potrà infine pervenire alla realizzazione del rebis e quindi, deo concedente, al tanto sospirato lapis philosophorum. Da ultimo, sapendo utilizzarla, la pietra filosofale conduce l’adepto alla piena reintegrazione dei poteri che l’uomo aveva nel paradiso terrestre.

 

Quale che sia l’opinione di chi scrive o di chi legge, in merito all’ermeneutica dell’alchimia in rapporto all’ermetismo, elaborata dai principali studiosi o cultori della materia di estrazione esoterica, negli ultimi centocinquanta anni, risulta pressoché incontrovertibile l’irriducibile opposizione tra luna e l’altra prospettiva; tra quella che congiunge E.A. Hitchcock e M.Atwood a J.Evola e T.Burckardt e quella che deriva la sua ispirazione dai testi di Fulcanelli e Canseliet.

 

 

 

 

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