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Per gli studiosi delle origini della scienza chimica, le pratiche alchemiche hanno dignità di confusi ma utili precorrimenti, di pionieristiche indagini positive sulla struttura materiale delle sostanze; barlumi di razionalità tra le inutili, astruse e bizzarre fantasticherie dell’immaginazione ermetica. Ma, dopo il Rinascimento, quella che era stata un’unica tradizione - apparentata solo per la parte misticomagica alle gnosi alessandrine - si scinde in due diversi tronconi: da un lato la moderna chimica, dall’altro un’arte sempre più libresca o imbevuta di imposture e illusioni occultistiche: l’ermetismo moderno.

Per Jung e seguaci, la degenerazione dell’alchimia in ermetismo deriva dall’aver abbandonato il contatto simpatetico con la materia, oggetto di esperimenti da laboratorio, dove l'artifex poteva realizzare assai proficue proiezioni inconsce e visionarie del libero dinamismo della propria psiche, credendo si trattasse di una reale e drammatica trasmutazione delle sostanze. Così, tra l’antico ermetismo ellenistico e il moderno ermetismo rosacrociano, fruitore di nuovi apporti culturali, si staglia l’identità di un’arte-scienza irriducibile ad altri modelli esoterici, l’alchimia, fiorita e culminata nei secoli del medioevo arabo e latino.

Per la storiografia più aggiornata e smaliziata - che ha saputo evitare le ingenuità della lezione positivistica e neopositivistica, capace di integrare, senza assumerla acriticamente, la teoria junghiana e disposta ormai ad audaci aperture antropologiche - altro è l’ermetismo alessandrino filosofico, altra la giustapposizione o l’integrazione tra dottrine gnostico-ermetiche e aurorali pratiche trasmutatorie nei laboratori ellenistici, altro il connubio tra Islam, ermetismo, proto-chimica e metallurgia nella cultura araba medioevale, altro ancora l’innesto dell’alchimia araba nell’Occidente latino e la sua mancata integrazione con la cultura scolastica, altro, infine, il sopravvivere dell’alchimia - spiritualizzata, occultizzata e rielaborata - entro il nuovo ermetismo moderno e contemporaneo, originale gnosi eclettica e sincretista, da non confondere con l’originario ermetismo greco-egiziano, circoscritto e circoscrivibile ai secoli della koiné ellenistica.

Quale è stata, invece, la visione dei rapporti relativi tra ermetismo ed alchimia da parte dei più importanti rappresentanti dell’erudizione esoterica del XIX e XX secolo?

Nel 1857, Ethan Allen Hitchcock (1798-1870) pubblicava a Boston il suo libro Remarks upon Alchemy and the Alchemists. Costui era un generale dell’esercito americano, cultore sia della tradizione ermetica che delle dottrine del teosofo Emanuel Swedenborg (1688-1772), cui, tra l’altro, dedicò uno studio monografico.

Hitchcock afferma che l’opus degli alchimisti era contemplativo e non manuale. Egli, rivolgendosi al lettore come se stesse fornendogli la giusta chiave esplicativa in mezzo alle oscurità intrinseche della letteratura alchemica e a quelle aggiunte dagli eruditi accademici, gli rivela che in realtà il forno, la storta, I alambicco e l’uovo filosofico erano metafore per indicare - nelle sue diverse componenti – l’uomo, unico vero protagonista della Grande Opera.

L’immagine della trasmutazione dei metalli simbolizzerebbe la trasformazione spirituale della coscienza umana, la quale sarebbe, per l’appunto, la materia prima dell’opus, il mercurio filosofico.

L’arte alchemica ha come unico reale scopo, per lo scrittore statunitense, la perfezione e la salvezza dell’uomo, non certo intesa, tiene a precisare, nel senso religioso della Grazia come mercede di una pura condotta morale o come imperscrutabile e arbitrario dono della divinità.

Questa salvezza-perfezione è il frutto di una conquista realizzata dall’adepto, grazie ad una operatività nascosta tra le pieghe di un linguaggio chimico metallurgico, volto a sviare i non-iniziati.

Inoltre, Hitchcock ci dice che, scopo ultimo della elevazione ideale e spirituale cui l’alchimia conduce è niente di meno della trasformazione del soggetto operante ed amante - l’uomo – nell’oggetto ricercato ed amato: cioè la divinità stessa.

Il generale statunitense non rivela il tipo di operazioni che l’adepto dovrebbe compiere per conquistare l’oro dei filosofi; tuttavia mostra chiaramente la perfetta identità tra questa conquista e la rigenerazione spirituale di cui trattano i più importanti fra i testi del Corpus Hermeticum, affermando, per di più, la esclusiva simbolicità del linguaggio chimico-metallurgico, bisognoso di opportune decodificazioni.

Mary Ann South (1817-1910), in seguito signora Atwood, cognome con cui è generalmente ricordata, scrisse un libro assai singolare: Suggestive Enquiry into The Hermetic Mystery with a dissertation on the more celebrated of the alchemical philosophers, pubblicato anonimo nel 1900 e ristampato postumo e firmato nel 1918, con il titolo di Hermetic Philosophy and Alchemy.

Mary Atwood sostiene che un unico filo rosso congiunge le pratiche magico teurgiche dei Misteri Eleusini, degli altri Misteri antichi e della tradizione neoplatonica ed ermetica alla secolare ricerca alchemica e all’ultima novità sperimentale della scienza (a lei) contemporanea: il Mesmerismo. Franz Anton Mesmer (1734-1815), medico tedesco, aveva infatti sostenuto, nel De planetarum influxu in corpus humanum (1766) e nella Memoire sur la découverte du magnetisme animal (1779), che la forza che permea i cieli, causa prima della gravitazione, agisce anche su tutti i corpi terrestri, considerevolmente su ogni specie animale e in modo particolarmente intenso nel sistema nervoso umano.

Alto e basso, materie celesti e materie terrestri si condizionano reciprocamente attraverso questo magnetismo universale, il cui veicolo è un fluido sottile, ovunque diffuso, capace di ricevere e irraggiare tutte le impressioni del movimento. In qualità di medico, Mesmer riteneva di poter manipolare a beneficio dei pazienti questo fluido, dal cui equilibrio all’interno dell’organismo dipenderebbe la salute e la malattia.

Grazie alla riflessione condotta sui libri della tradizione e mercé le puntuali verifiche sperimentali condotte in anni di intensa pratica, la Atwood si convince che la scienza ermetica o alchimia affermi una identica visione della realtà. Il segreto ermetico-alchemico consiste nel comprendere che vi è un soggetto universale nella natura e che questo soggetto può essere portato al suo più pieno sviluppo dentro l’essere umano, così che egli non solo scopra in se stesso la propria essenza divina, ma la renda anche operante, in grado di agire oltre le funzioni ordinarie dell’animalità umana. L’autrice inglese, basandosi sulla tripartizione tradizionale dei regni della natura: minerale, vegetale e animale, afferma che solo all’uomo, unico essere vivente pervenuto all’autocoscienza, sia possibile far penetrare la propria percezione negli altri due regni naturali.

Scopo dell’opus alchemico è il conseguire, dopo aver attraversato la vita vegetale, la perfezione della vita minerale nell’essere umano, costruendo così il lapis phitosophorum.

Si tratta, anzitutto, di scoprire ed isolare, onde potervi operare le trasformazioni necessarie, uno spirito proveniente dall’origine del mondo, definito madre di tutti gli esseri, mercurio invisibile, vita e mistero dell’esistenza. Per giungere a questo principio divino occorre compiere dei riti che coinvolgano la materialità umana, aprendo, per tale via, una comunicazione tra l’anima individuale e l’anima del mondo, tra l’energia vitale della parte e la vita-energia universale del tutto.

In questa ritualità materiale trovano inveramento il sogno alchemico della rigenerazione e il mistero della resurrezione, di ascendenza tipicamente cristiana. Se la vita è il nucleo della Grande Opera, la chiave della vita è la luce. Luce e materia grossolana sono i due poli estremi dell’energia vitale, materia prima dei philosophi per ignem.

Le operazioni alchemiche, spiega la Atwood, mirano a introvertite il corso naturale e ordinario di questa energia, normalmente destinata ad estinguersi e depotenziarsi, col passare degli anni, affinché possa manifestarsi nel suo grado massimo di perfezione, all’interno dell’essere umano. Occorre, insomma, produrre un’alterazione vitale mediante la stessa forza vitale, così da rigenerare e rafforzare il veicolo dell’anima.

Questa strana studiosa e adepta dell’ars aurifera si sente in dovere, inoltre, di affermare chiaramente come tale tipo di operatività non abbia nulla a che spartire con i procedimenti della chimica moderna o con qualsiasi lavoro meccanico svolto all’interno di laboratori-oratori intesi in senso letterale. Mary Ann South Atwood, comunque, non percorre fino in fondo il sentiero del suo presunto disvelamento dei segreti ermetico-alchemici: non descrive, cioè, in modo esplicito, i riti materiali cui allude e le sostanze del corpo umano adoperate per compierli.

Benché la Suggestive Enquiry into "The Hermetic Mystery"... fosse stata ritirata dal mercato immediatamente dopo la sua pubblicazione nel 1900 e fosse stata ristampata postuma soltanto nel 1918, col titolo di Hermetic Philosophy and Alchemy, già nel 1855, il famoso occultista Eliphas Levi e gli esoteristi che negli ultimi anni del XIX secolo avrebbero dato vita a molteplici società rosacrociane, nonché al celebre Hermetic order of the Golden Dawn, conoscevano, approvavano e ritenevano simili alle proprie le idee della Atwood.

 

 

 

 

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