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É interessante osservare come, più o meno nello stesso periodo in cui si diffondono le idee dei cabalisti di Provenza e di Girona, il filosofo e teologo inglese Roberto Grossatesta presenti una metafisica della luce che, nel solco del platonismo agostiniano, s’inserisce nella prospettiva del più volte citato versetto del Genesi (1:3). Del resto, come ricorda Pietro Rossi, nel presentare le opere di Grossatesta, la speculazione legata alla luce era, nella tradizione occidentale e cristiana “un filone ininterrotto, anche se è nel XII secolo che si ha un impatto decisivo con le opere dello Pseudo Dionigi e di alcuni Padri greci, in particolare Gregorio Nazianzeno e Massimo il Confessore, attraverso i quali i Latini vengono in contatto con la riflessione teologica e mistica greca che si era sviluppata senza soluzioni di continuità dalla tradizione neoplatonica. Prima, erano il pensiero di Agostino e la sua ermeneutica dei testi sacri, in particolare della Genesi, le fonti e la guida per la riflessione dei Latini”.   A proposito di Agostino, va ricordata la sua antica adesione al manicheismo quando sulla scia di Mani [xiii] riteneva Dio una sostanza luminosa e corporea: “Io pensavo, Dio, mio Signore e Verità, (scriverà nelle Confessioni) che Voi foste un corpo brillante e immenso ed io un pezzetto di questo corpo”. C’è da chiedersi se Agostino si sia mai liberato di una concezione siffatta semplicemente sostenendo la creazione ex nihilo e affermando che Dio creò senza una preesistente materia, ma semplicemente volendo che tutte le cose fossero. Quel che ora interessa sottolineare è che Grossatesta, in parte riprendendo Agostino, in parte seguendo Aristotele, dica che all’origine dell’universo stiano una materia prima informe e una luce come prima forma corporale e causa della tridimensionalità: “ Ritengo (scrive Grossatesta) che la forma prima corporea, che alcuni chiamano corporeità, sia la luce. La luce infatti per sua natura si propaga in ogni direzione, così che da un punto luminoso si genera istantaneamente una sfera di luce grande senza limiti, a meno che non si frapponga un corpo opaco. La corporeità è ciò che necessariamente è prodotto dall’estendersi della materia secondo le tre dimensioni, sebbene l’una e l’altra, cioè la corporeità e la materia, siano sostanze in se stesse semplici, prive di qualsiasi dimensione”. La luce è detta corporeità o forma prima dei corpi perché appartiene alla sua natura il diffondersi, il propagarsi in ogni direzione trascinando con sé la materia: “La luce che è la prima forma della materia prima creata, moltiplicandosi da se stessa per ogni dove in un processo senza fine ed estendendosi in ugual misura in ogni direzione, al principio del tempo si diffondeva traendo con sé la materia in una quantità grande quanto la struttura dell’universo”. La costituzione dell’universo in una sfera ha origine, secondo Grossatesta, dall’istantanea propagazione o moltiplicazione della luce, ma la distribuzione disuguale della materia è causata dalla disgregazione e dall’aggregazione, cioè dalla rarefazione e dalla condensazione. La disgregazione primordiale della luce dà origine alla prima sfera, da questa sfera la luce dà origine ad altre sfere sempre meno rarefatte e meno spirituali sino all’ultima delle nove sfere celesti, cui si aggiungono le quattro del mondo inferiore degli elementi: “In questo modo dunque si sono originate le tredici sfere di questo mondo sensibile, vale a dire le nove sfere celesti inalterabili, nelle quali non c’è aumento, generazione o distruzione, perché sono totalmente compiute, e quattro che al contrario sono alterabili, nelle quali c’è accrescimento, generazione e distruzione, come è naturale per ciò che non è totalmente compiuto. Ed è chiaro anche perché ogni corpo superiore, secondo il lume generato da sé, sia la specie e la perfezione del corpo successivo (…) La terra, poi, in forza della concentrazione in se stessa delle luci superiori, è tutti i corpi superiori; per questo dai poeti è chiamata Pan, cioè tutto…”

Non c’è dubbio che quella di Grossatesta, più che una metafisica, sia una cosmologia fondata sulla luce e sulla ricerca del primo istante della creazione e che ad una prima analisi presenti molti punti in comune con la Qabalah speculativa, a cominciare dalle tredici sfere che troppo ricordano le tredici conformazioni della barba del Macroprosopo per continuare con le nove sfere celesti, ora presentate come successiva degradazione della luce secondo un’influenza neoplatonica certamente visibile tanto nella Gnosi come nella Qabalah lurianica, ora considerate come inalterabili. Per finire alla terra dove si concentrerebbero tutte le luci superiori, esattamente come avviene per Malchuth-Terra posta al fondo dell’Albero sephirotico. Le convergenze sembrano fermarsi qui, considerando che manca nella Qabalah una metafisica che riconduca tutto, anche il primo istante della creazione, alla solita medievale dialettica di materia e forma anche se la forma si identifica con la concretezza della luce che si diffonde [xiv].

Le vere differenze, tuttavia, tra le analisi di Grossatesta e quelle della Qabalah speculativa emergono ove si confrontino entrambe con le ipotesi cosmologiche della scienza e con le verifiche attuali della fisica. In Genesis and the Big Bang del 1990, il fisico e teologo Gerald L.Schroeder ritiene che scienza e Bibbia siano d’accordo su un punto fondamentale e cioè che nulla si possa dire su prima del principio. Il concetto è frutto di una tradizionale speculazione cabalista: la prima lettera del Berechithh o Principio è una b beth, una lettera aperta solo sul davanti secondo la modalità di scrittura dell’ebraico che va da destra a sinistra:  t y c a r b  Berechith. Ciò significa che solo gli eventi accaduti dopo il principio sono accessibili all’indagine umana, esattamente come avviene per la scienza accettando l’ipotesi del Big Bang,[xv] teoria secondo cui l’universo attuale è il risultato di una grande esplosione originatasi da un minuscolo punto ad altissima densità privo di tempo e di spazio e in cui la materia era totalmente assorbita in energia: “L’universo prenatale conteneva tutta la materia dell’universo presente, vale a dire circa 100 miliardi di galassie, ciascuna con i suoi 100 miliardi di Soli (…) Tutto quello che possiamo vedere adesso era compresso in un volume più piccolo di una capocchia di spillo [xvi].” Dopo il Big Bang, l’energia cominciò a condensarsi in particelle che si muovevano a una velocità inferiore a quella della luce, dando vita al fenomeno della prototemporalità, più tardi, consolidandosi l’energia in materia dotata di massa, ebbe inizio il tempo vero e proprio. Ciò spiega perché via via che la forza del campo gravitazionale aumenta, determinando una maggiore densità di materia, il tempo trascorra più lentamente, sin quasi a fermarsi sulla soglia dei buchi neri, dove la densità di materia è al massimo. Il processo, come osserva G.L. Schroeder, può essere visto anche in modo reversibile: “A temperatura e pressione normali, la materia è organizzata in molecole. Con l’aumento della temperatura, la struttura molecolare si distrugge e restano i singoli atomi. Un aumento della pressione distrugge anche la struttura atomica finché restano solo nuclei atomici ed elettroni liberi. Infine, anche i nuclei sono compressi così fortemente l’uno contro l’altro da frantumarsi. 

Quando la compressione raggiunge temperature che superano l’energia di riposo delle particelle, cioè quando la E supera la corrispondente mc2, [xvii] le particelle si trasformano liberamente da massa in energia”.

Dal canto suo, Grossatesta postula una materia prima informe su cui agisce la luce come prima forma corporale, il che significa accettare l’esistenza di spazio, tempo e materia prima ancora del principio. Del resto la scienza contemporanea si è sempre più allontanata dall’ipotesi di un’azione combinata di forza (l’aristotelica forma) e materia per spiegare la realtà, quando addirittura non ha annullato questi concetti nella ricerca di una particella semplice che, naturalmente, non è più l’atomo e che potrebbe ben presto non essere più nemmeno il quark, configurandosi piuttosto come un invisibile e tuttavia esistente minuscolo punto di energia pura. Ciò, da quando Einstein ha mostrato la verità  della formula E = mc2  che permette di convertire la massa in energia [xviii].

Quel che convince meno delle analisi di G.L. Schroeder è l’idea, desunta da Maimonide [xix], che la creazione dei cieli e della terra dal nulla sia alla base della Bibbia. La confutazione, che Maimonide fa della tesi aristotelica dell’esistenza ab aeterno del mondo, non conduce necessariamente ad abbracciare l’idea di una creazione dal nulla perché rimarrebbe comunque irrisolto il problema del rapporto di Dio col nulla. La Qabalah dello Zohar adombra già qualcosa di diverso e più tardi Ytzchaq Luria sviluppando un’idea talmudica formula la dottrina dello Tzimtzùm secondo la quale l’esistenza dell’universo è possibile per un processo di contrazione di Dio che si ritira lasciando libero un punto: “Quando si pensa (commenta Tikkunè Zohar, XIX) che il Santo, baruk ha-shem, è infinito e che riempie tutto, si capisce che l’idea di creazione sarebbe stata impossibile senza lo Tzimtzùm (…) Il Santo (…) ha dunque contratto la santa luce che costituisce la sua essenza [xx] .” Il ritiro di Dio che lascia scoperto un punto concorda abbastanza con l’idea zoharica di una luce infinita troppo oscura per essere vista finché non si sveli in un punto di luce bianca. Anche qui si tratta, naturalmente, di un’approssimazione concettuale, in grado, tuttavia, sia di risolvere il falso dilemma di una esistenza del mondo ab aeterno o della sua creazione ex nihilo, sia di evitare ipotesi sul prima del principio e sulla natura di Dio che non sia la totalità stessa, tenuto conto che l’essenza di luce in cui Dio certamente consiste è solo la totalità presupposta dal primo dei dieci Dio disse del Genesi. Dio non volle semplicemente che le cose fossero (come sostengono Agostino e Maimonide) Egli, per così dire, si ritira da un punto e lascia risplendere la luce perché l’uomo realizzi il suo progetto di mondo. C’è una gimatreya dello Tzimtzum piuttosto illuminante: è la parola ebraica Matzpun  con lo stesso valore numerico (266) e che in ebraico significa coscienza. É con il ritiro di Dio che l’uomo prende coscienza di sé rispetto al tutto.  

 

[xiii] Mani, principe persiano vissuto tra il 216 e il 277 d.C. riteneva la realtà il prodotto della lotta incessante della Luce contro le Tenebre. Alla provvisoria vittoria delle Tenebre, avrebbe presto seguito la definitiva vittoria della Luce. [Torna al testo]

[xiv] Circa l’originalità tutta ebraica della Qabalah non dovrebbero più esserci dubbi anche se un grande studioso come G.G.Scholem ha cercato di dimostrare i molti contatti, almeno ideali e teorici, tra Qabalah e Gnosi (cfr. opere citate) e C.Mopsik (cfr. op. cit.) si limita a riproporre la questione auspicando una ulteriore approfondita indagine. Associandomi nell’auspicio con uno studioso così serio come il Mopsik, mi limito ad osservare che forse si dovrebbe mutare di prospettiva. Se si continua a guardare alla Qabalah come ad un sistema filosofico non c’è dubbio che punti di contatto con altri sistemi possano essere trovati soprattutto in relazione al tempo e/o alle affinità storiche, geografiche, culturali o magari ideali. Il fatto è che la Qabalah sembra proprio irriducibile a lasciarsi trasformare in sistema consistendo più che altro nella tradizione orale, nel commento del testo biblico, nella profonda conoscenza dell’alfabeto cosiddetto sacro in funzione delle ghematrie e delle permutazioni delle lettere e per l’apprendimento di particolari tecniche di meditazione. [Torna al testo]

[xv] Cfr.Gerald L.Schroeder, Genesi e Big Bang, trad. it. Milano, 1996, p.78. Circa il Big Bang come teoria più probabile sull'origine dell'universo: ibid. pp. 93-106. [Torna al testo]

[xvi] Cfr. L. Lederman – D. Teresi, La particella di Dio, trad. it. Mondadori, Milano, 1996, p.417. [Torna al testo]

[xvii] La nota formula di Einstein dice che l’energia (E) è uguale alla massa (m) moltiplicata per la velocità della luce (c) al quadrato. L’energia si misura in chilojoule (KJ), la massa in chilogrammi (Kg) e la velocità della luce in metri il secondo (m/s). [Torna al testo]

[xviii] Cfr.L. Lederman – D.Teresi, op. cit. Leon Lederman, premio Nobel per la Fisica nel 1988, nel libro, dopo uno stimolante immaginario dialogo con Democrito, sviluppa un’analisi che lo porta sulle tracce della particella di Dio vero e proprio primo mattone per la costruzione dell’universo. [Torna al testo]

[xix] Mosè Maimonide, medico, filosofo e teologo cordovese vissuto tra il 1135 e il 1204, interpretò la legge ebraica e si occupò dei fondamentali concetti biblici sulla scia dell’aristotelismo imperante, pur non condividendo l’idea aristotelica dell’esistenza ab aeterno del mondo. La citazione di Schroeder a sostegno della creazione dal nulla si trova in M. Maimonide, La Guida dei Perplessi, II parte, cap.13. [Torna al testo]

[xx] Scrive in proposito G.G. Scholem, ibid. p.271: originariamente Luria parte da un pensiero assolutamente razionalistico, ed anzi, se si vuole, abbastanza naturalistico. Come può esistere un mondo, quando l’essere di Dio è dappertutto? Come può esistere in questo luogo concreto qualcosa di diverso da Dio, giacché Dio è tutto in tutto? Come può Dio creare dal nulla, se non può esservi un nulla, giacché il suo Essere penetra ogni cosa? [Torna al testo]  

 

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