Per trovare alcune tracce nella

cultura scientifica contemporanea

 
 

Il nome di Giordano Bruno ha suscitato per secoli e continua tuttora a suscitare forti emozioni di segno opposto. Tutti lo considerano un martire del libero pensiero, mentre altri lo giudicano un eretico. Tuttavia sia l'una che l'altra posizione sembrano scaturire più dalla funzione simbolica, che nei secoli è stata attribuita alla sua persona, che non dall'effettivo contenuto della sua opera. Sicuramente la strumentalizzazione politica, senza nulla togliere all'importanza ed alla profondità di un pensiero ormai consegnato alla storia dello sviluppo umano, ha prevalso sullo spessore culturale del Filosofo...

Questo lavoro del carissimo Fratello Morris L. Ghezzi è stato pubblicato su numero 2 di Massoneria Oggi Aprile Maggio 1998 dalla Società editrice Erasmo.

Lo scritto costituisce un opera della maestria del Fratello. Il suo contenuto non manifesta di necessità il punto di vista della Loggia o del G.O.I. Ogni diritto gli è riconosciuto.

 

© Morris L. Ghezzi

 

La libera circolazione del documento è subordinata all'indicazione di fonte ed autore.

 

 

Il nome di Giordano Bruno ha suscitato per secoli e continua tuttora a suscitare forti emozioni di segno opposto. Tutti lo considerano un martire del libero pensiero, mentre altri lo giudicano un eretico. Tuttavia sia l'una che l'altra posizione sembrano scaturire più dalla funzione simbolica, che nei secoli è stata attribuita alla sua persona, che non dall'effettivo contenuto della sua opera. Sicuramente la strumentalizzazione politica, senza nulla togliere all'importanza ed alla profondità di un pensiero ormai consegnato alla storia dello sviluppo umano, ha prevalso sullo spessore culturale del Filosofo. Già nella seconda metà del cinquecento, quando era ancora vivente, Giordano Bruno accentrò su di sé il delicato e non ancora del tutto chiaro compito di condurre a sintesi il pensiero cattolico-papalino italiano, la sua interpretazione gallicana, attraverso lo scontro tra cattolici e protestanti francesi, e le suggestioni religiose dell'Inghilterra elisabettiana (1). Ovviamente, dietro tali controversie religiose si ergevano ben più solidi conflitti di natura politica. Ed il Filosofo nolano quasi certamente credette di poterne essere interprete e, forse, anche protagonista, attraverso un proprio pensiero autonomo, che lentamente abbandonava, grazie alla riflessione filosofica, l'ambito religioso cristiano tradizionale per orientarsi verso nuove od antiche forme di religiosità naturalistiche. Tuttavia, fu certamente in Italia nel secolo passato, durante lo scontro epocale, sotteso al nostro Risorgimento, tra visione moderna e contrattualistica e visione medioevale e teocratica dello Stato, che Giordano Bruno raggiunse l'apice della sua funzione simbolica. Il monumento che gli venne eretto a Roma a Campo de' Fiori, nel luogo del suo martirio, il 9 giugno 1889 era stato caricato di simbologie e di aspettative che andavano ben oltre il significato e la lettera degli scritti e della vita stessa del Filosofo. In quell'occasione Giovanni Bovio ebbe a sottolineare tale dimensione simbolica: "Questa inaugurazione dovrebbe essere fatta da un popolo muto, come da chi compie atto solenne di religione... " (2). Ma oltre al simbolo esiste la personalità storica del Nolano e, soprattutto, esistono i suoi scritti, che, per quanto complessi e, talvolta, anche oscuri nel linguaggio e nei concetti, in ogni caso debbono rappresentare l'elemento principale di riflessione per chi voglia proiettare verso il futuro il suo insegnamento. Roberto Ardigò coglie puntualmente questa singolare situazione di estrema volgarizzazione simbolica e, contemporaneamente, di scarso approfondimento culturale della figura del Bruno; in breve, coglie la confusione tra simbolo di libertà sventolato in ogni direzione e vicenda umana del Nolano e ne attribuisce la causa alla dimensione totalmente innovativa, quasi profetica, della sua filosofia. "Sublime figura quella dell'apostolo dell'avvenire, quale fu veramente Giordano Bruno! Le età, che gli succedettero e lo seguirono tardi nella nobile apostasia, compensarono poi colla apoteosi il supplizio selvaggio, onde fu immolato dalla sua: dimostrando così, ancora una volta, che la civiltà è la soluzione giusta e benefica di un dramma, per quanto complesso e tragico" (3).

Questa dimensione innovativa, rivoluzionaria, indagata da vari autori, emerge con particolare vigore in un ormai non più recente studio di Fulvio Papi (4). Il Filosofo nolano viene presentato nelle pagine di quest'opera in tutto lo spessore di una nuova prospettiva antropologica e culturale. Evidentemente le svolte nella civiltà umana non possono essere attribuite, in via esclusiva, all'opera di singoli individui, ma sono frutto di sinergie, di un lento e profondo evolversi dei tempi e delle coscienze, di un lavoro composito e collettivo; tuttavia, nel caso di Giordano Bruno, l'apporto di questo Autore alla costruzione del pensiero e delle società contemporanee appare particolarmente significativo, non solo per la vastità della sua opera, ma, forse e purtroppo, anche per la tragicità simbolica della sua fine.

Si tratta di raccogliere il messaggio di un nuovo umanesimo non legato all'individuo, inteso come centro dell'universo, ma al suo essere parte attiva di un tutto a lui simile ed al suo fare come fonte di civiltà; civiltà, che storicamente ha trovato nella regione europea il suo vertice si sviluppo. "L'uomo, sostiene Bruno, è un organismo naturale come tutti gli altri viventi, e come tutti gli organismi deve compiere determinate operazioni per garantirsi quella sopravvivenza che è l'obiettivo fondamentale di ogni essere: dal filo di paglia che si ritrae dal fuoco, all'uomo che, nella situazione primitiva, cerca riparo e protezione dalle forze naturali e seleziona gli animali secondo le proprie finalità. Questo uomo. per soddisfare la propria natura, non può non costruire la civiltà: è nel suo destino di organismo naturale di divenire un essere civile. Questa considerazione, non solo toglie qualsiasi depressione spirituale nel considerare la vita degli uomini primitivi come un'esperienza bestiale, ma porta con sé l'immagine di un processo temporale che costituisce accumulo di beni e perfezionamento di tecniche e affinamento di leggi e costumi... I selvaggi che a Montaigne paiono virtuosi e a loro modo civilizzati, a Bruno paiono soltanto uomini ad un livello inferiore di sviluppo civile, destinato col tempo a modificarsi e a perfezionarsi... Bruno è certamente persuaso che se i selvaggi potranno raggiungere livelli più elevati di civiltà, ciò non di meno, il livello più elevato fra tutti è quello europeo... L'uomo lucreziano, che non può continuare ad essere natura se non divenendo civiltà, ha la sua storica realizzazione nell'Occidente europeo. A questo modo una antropologia filosofica, che poneva il lavoro come necessità dell'uomo naturale, diviene la garanzia filosoficamente universale della civiltà europea, la quale, contemporaneamente, è una necessità ed un valore." (5).

Bruno concentra la propria attenzione sull'essere corporeo dell'uomo, unica vera distinzione
dal resto della natura, e sulle caratteristiche fisiche di questo essere costruisce la possibilità di sviluppo della civiltà umana. In particolare, la mano, come strumento di lavoro, di trasformazione della realtà circostante, si erge quasi a simbolo di tale civiltà. Non vi è diversità ontologica tra il serpente e l'uomo; l'unica vera diversità è quella morfologica. Se il serpente avesse fattezze umane sarebbe un uomo e viceversa, ma soprattutto se il serpente avesse od il delfino o qualsiasi altro animale possedessero lo strumento manuale potrebbero edificare una propria autonoma ed originale via di civiltà. Le convinzioni di Bruno, forse, potrebbero essere riassunte nella seguente affermazione di Papi: "... nella struttura corporea dell'uomo è già definito il suo destino di uomo culturale. Il che significa che nel ciclo vicissitudinale dell'essere naturale il cui processo ha il carattere della necessità e dell'uguaglianza con se stesso, viene introdotta una natura artificiale. Esiste certamente una continuità e una contiguità tra natura e vita civile, e né il livello della civiltà è riconducibile alle semplici strutture naturali, né la radice metafisica degli uomini si annulla nella natura artificiale. Natura e coscienza sono due elementi che si complicano in ogni esperienza umana e i loro equilibri sono profondamente diversi" (6).

Vi è un profondo senso di eguaglianza spirituale nella visione bruniana, ma, al contempo, anche la constatazione di una profonda diversità materiale tra gli esseri, in genere, e tra gli uomini, in particolare. In tutti ed in tutto soffia il medesimo vento animatore, ma un primo livello di diversificazione viene prodotto dalla dimensione corporea e dai suoi strumenti di rapporto con le forme corporee circostanti. Un secondo livello di diversificazione deriva, poi, dal desiderio umano di impossessarsi degli oggetti circostanti via via sempre più eccezionali, sino a giungere al desiderio di impossessarsi del Tutto attraverso la conoscenza. E una sorta di amore verso se stessi che spinge l'individuo ad espandersi, incorporando l'altro, sino al desiderio di incorporare il Tutto attraverso la contemplazione dell'Essere assoluto. Vi è qualcosa di sensuale nella visione conoscitiva di Bruno, che ricorda una sorta di amplesso fisico tra il filosofo e la verità. Più questo amplesso si estende e maggiormente si eleva il livello soggettivo dell'individuo.

L'eguaglianza metafisica si muta nella diseguaglianza storica: "La perdita dell'uguaglianza in Dio si trasforma nella differenza naturale e quindi nella disuguaglianza di funzione sociale, di cultura e di conoscenza. La comune radice metafisica non impedisce affatto che nella natura si crei una scala di esseri al cui vertice sta l'uomo eroico più simile agli dei che agli altri uomini per la missione che gli è propria o, meglio per il tipo di funzione eroica che è il divino commercio con la verità. Anzi è la identica metafisica che fonda naturalmente la diseguaglianza sociale e storica..." (7).

Ad un individuo fortemente caratterizzato dal suo essere specifico e personale si giustappone un universo popolato da infiniti individui contemporaneamente a lui simili e da lui diversi. Simili in quanto espressione di un medesimo soffio vitale, che pervade ogni cosa ed ogni animale: dai pianeti, alle rocce, alle piante, agli insetti sino all'uomo; diversi in quanto modalità, forme articolate di questo essere vitale unitario ed al contempo molteplice. Nella visione filosofica di Bruno l'uomo è collocato all'interno di una costellazione di altri ed infiniti esseri viventi ora umani ed ora alieni, in ogni possibile senso, salvo che per la comune appartenenza ad un unico infinito essere vivente in continua proliferazione e mutazione: l'Universo, il Tutto, Dio. E questo un Dio molto diverso dal Dio creatore del Cristianesimo, ma altrettanto spirituale, anzi metafisico. Più esattamente in Lui l'elemento metafisico si sintetizza con quello fisico entro un monismo indissolubile, che tuttavia non consente di confondere i due aspetti, le due diverse dimensioni di ciò che guarda all'universale e che è universale e di ciò che, attraverso infinite metamorfosi, continua ad esistere nel particolare. Siamo in presenza di una filosofia che tende a sovvertire completamente i tradizionali canoni religiosi del Cristianesimo: non Dio creatore della natura. ma Dio-Natura in permanente espansione; non rivelazione religiosa, ma ricerca di contemplazione della Verità attraverso l'identificazione, l'unione dell'individuo con il Tutto-Natura-Divinità; non religione di sacerdoti. ma spiritualità di soggetti liberi di elevarsi verso l'infinito attraverso il proprio impegno di ricerca; non Chiese istituzionalizzate intorno a dogmi indiscutibili, ma organizzazioni civili in continua crescita, in cammino verso un perfezionamento fondato sull'affinamento, sulla civilizzazione dei propri componenti. Ciò comporta una completa assenza di teleologia, di finalismo nel pensiero bruniano, ma anche e soprattutto l'identificazione etica del bene con l'Essere-Natura esistente e, quindi, la positività del mondo nel quale viviamo e del quale siamo parte. Bruno si pone all'esterno della dottrina cristiana del peccato e non sente né il peso incombente dell'esilio in questo mondo degradato, a causa di una ignota colpa originaria, né l'incubo di un perenne giudizio divino sulle nostre azioni. Egli attribuisce all'uomo un solo dovere, la realizzazione del quale determina la sua collocazione nella scala dell'essere universale: la ricerca di una sempre maggiore conoscenza, consapevolezza, compenetrazione con l'universo, cui tutti noi, volenti o nolenti, partecipiamo.

La dimensione religiosa diviene umana, universale ed ontologica, ossia abbandona quel carattere di rapporto, di tentativo di rapporto, con una realtà aliena a quella umana, che gli è stato attribuito dalle religioni istituzionalizzate ed, in particolare, dalla Chiesa cattolica, ma anche dalle Chiese protestanti, per divenire ricerca della spiritualità che è in noi, che ci preesiste, ci accompagna e continuerà ad esistere dopo la nostra scomparsa. "Per concludere diremo che non esiste una sostanzialità di Dio come ente separato, ma vi è una realtà di Dio che è il suo necessario e totale manifestarsi nell'infinità della natura" (8). Ed ancora: "L'idea razionale di Dio come Dio che si realizza nella totalità della natura non solo fonda l'infinità ma l'omogeneità dell'infinito con se stesso." (9).

L'assenza di creazione, di rivelazione e di fini trascendenti la totalità dei nostri universi infiniti, ed ancor più la sostanziale omogeneità di questi universi e delle loro parti, propria della filosofia del Bruno, ha precise conseguenze nell'ambito dello studio delle realtà umane, sociali e anche politiche. In primo luogo, sul piano metodologico della ricerca sociale, "la visione filosofica di una natura animata, nel cui seno sono i semi di ogni forma vivente è la grande certezza di Bruno. La presenza della vita come manifestazione vicissitudinale dell'Essere non solo sulla terra ma in ogni luogo dell'infinita estensione cosmica, l'uguaglianza di radice metafisica tra i vegetali, gli animali e l'uomo, sono questi i motivi filosofici su cui Bruno poggia il proprio pensiero" (10). L'Universo per Bruno è "...concepito come un animale infinito che, immobile nell'istante dell'eternità, nell'istante del tempo è movimento mutazione, generazione, corruzione e transeunte unità di forma e materia. Ogni vivente è manifestazione dell'Unità naturale, tramite i suoi principi, ed è concrezione temporale destinata a scomparire e a trasformarsi in un altre organismo" (11). Questa visione unitaria dei reale postula anche una metodologia unitaria di studio dell'organico e dell'inorganico, del vegetale, dell'animale e dell'umano, anche perché tali distinzioni, in questa ottica, sono meramente apparenti. La sostanza è un corpo organico, vivente del quale le articolazioni ricordate, si potrebbe dire, sono semplici aspetti funzionali.

Nel pensiero positivista ottocentesco riemergerà prepotentemente questa esigenza di unitarietà metodologica nello studio di una realtà empirica sostanzialmente omogenea cd anche nel neopositivismo novecentesco non verrà meno il tentativo di costruire una conoscenza unitaria nell'oggetto e nel metodo. Sarebbe poi di estremo interesse indagare la prospettiva magica del Nolano e paragonarla agli intenti di controllo e di prevedibilità degli eventi, insiti nel pensiero positivista (12); in particolare, potrebbe dare frutti inaspettati una attenta ed approfondita riflessione intorno a quelle leggi invariabili, costanti, che governano, per Auguste Comte, gli eventi umani e naturali (13).

Il grande salto compiuto dal pensiero scientifico moderno può essere sintetizzato, almeno in parte, nel superamento della frattura, che separava lo studio dei fenomeni naturali (fisici, chimici, astronomici, atmosferici, vegetali, animali, etc.), da quelli umani e sociali. Ed è proprio in quest'ultimo campo, quello dei fenomeni sociali appunto, che le attuali prospettive di studio potrebbero richiamare alla mente il panorganicismo del Bruno. Dal concetto di epoca organica di Claude-Henri de Saint-Simon, a quello di solidarietà organica di Emile Durkheim, alla metafora organicistica del sociale, ripresa da Talcott Parsons e successivamente sviluppata nel pensiero struttural-funzionalista sino al più recente funzionalismo strutturale di Niklas Luhmann, sembra agitarsi nello scenario della sociologia contemporanea il fantasma di un corpo vivente infinito (14). Sebbene l'organicismo sociologico si presenti più concettuale che biologico e si presti maggiormente, sul piano metodologico, a privare di vita anche i corpi viventi, piuttosto che a darla a quelli sino ad ora reputati non viventi, tuttavia potrebbe essere interessante scavare intorno al concetto di vita per valutare, pur con la doverosa prudenza ed i dovuti limiti, eventuali convergenze o divergenze con il pensiero bruniano.

In ogni caso, l'uso della metafora organicistica e dei relativi concetti funzionali avvicina, favorisce il raggiungimento dell'unitarietà nell'interpretazione metodologica del mondo. Forse Bruno tende a vitalizzare ciò che a noi appare inanimato, mentre il funzionalismo al contrario potrebbe riuscire a devitalizzare anche ciò che per noi vive, ma, in ogni caso, il modello metodologico organicistico attenua le distanze tra due realtà, che secondo altre visioni del mondo (religiose, filosofiche e metodologiche) si presentano spesso come inesorabilmente divise, separate. Dunque, per quanto non appaia con evidenza e per quanto le interpretazioni intorno agli ascendenti culturali delle teorie siano sempre discutibili, è difficile non intravedere l'eredità di Bruno od, almeno, una qualche contiguità con il suo pensiero, in taluni sviluppi degli studi filosofici, sociologici e metodologici a noi cronologicamente più vicini. Sicuramente sia la metodologia scientifico-empiristica di ricerca, propria del positivismo, sia la teoria sociologica struttural-funzionalista non sono collocabili nel medesimo ambito filosofico cosmologico del Bruno e neppure sono ascrivibili, in senso stretto, agli oggetti di indagine e all'ambito di riflessione tipici di questo Autore, ma si limitano, il primo, a proporsi come strumento di ricerca, di studio e di conoscenza ed il secondo a cercare di comprendere l'articolazione ed il funzionamento delle società contemporanee. Tuttavia i presupposti concettuali dai quali muovono questi rami del sapere umano, in apparenza tanto lontani dai temi trattati dal Nolano, probabilmente affondano le proprie radici profonde in un comune humus concettuale, in stimoli, esigenze e prospettive culturali simili a quelle che mossero Giordano Bruno.

In breve, una analisi non superficiale e libera da schemi tradizionali e preconcetti potrebbe rivelare omogeneità sino ad ora inaspettate. Del resto, come si è già fatto cenno più sopra, l'approccio magico del Bruno alla natura è profondamente omologo, soprattutto sul piano delle finalità di controllo e di trasformazione della medesima, all'approccio scientifico. Tale approccio inoltre manifesta una dimensione politica del tutto identica a quella attualmente attribuita, con crescente preoccupazione dell'opinione pubblica ed anche degli addetti ai lavori, alle scienze che studiano i comportamenti umani. "L'operazione che compie questo mago [l'uomo politico] non è per nulla diversa dall'altro che esercita la magia naturale, quello, cioè, che parte dalla conoscenza della struttura delle cose - l'aggregato materiale, lo spirito, l'anima - per sapere come si vengono determinando certe conoscenze e quindi quale sia il punto idoneo sul quale influire per provocare una modificazione. La differenza, nel nostro caso, è che il mago si propone di ottenere uno scopo politico. Interviene, cioè, una relazione nuova tra uomini, seppure tramite la natura: chi esercita la magia naturale pone un rapporto di signoreggiamento con la realtà dei composti organici naturali: chi si rivolge agli animati umani, sulla base di una tecnica raffinata che tenga conto del gioco delle passioni, modifica comportamenti umani, stabilendo così un rapporto di supremazia tra uomo e uomo". (15)

Dai presupposti filosofici appena tratteggiati in modo sommario emerge una filosofia sociale, profondamente innovativa rispetto al Cristianesimo e, soprattutto, particolarmente vicina al
modo di sentire prevalente nelle società contemporanee. La libertà e la dignità umana hanno per Bruno almeno due dimensioni. La prima, propria di tutti gli uomini, legata alla vicissitudine
del singolo individuo appartenente al grande animale vivente, alla Natura e, come tale, parte
di esso, da esso originato ed in esso destinato a tornare sotto altra forma. In questa dimensione non esiste anima individuale, che sopravviva come soggetto autonomo rispetto alla Natura, quindi vige la più profonda eguaglianza tra le varie parti del tutto e tra gli uomini, in particolare.
La seconda, propria dell'uomo che cerca la conoscenza, del filosofo eroe che combatte per raggiungerla, del mago che la padroneggia.
Su questo sentiero ardito l'uomo compie il proprio lavoro ed attraverso tale lavoro costruisce la civiltà. "Il lavoro è la risposta antropologica alla natura ed è la progettazione della civiltà: la necessità nell'esperienza umana si trasforma in libertà. È lo schema mentale con cui la moderna cultura dell'Occidente ha elaborato la sua immagine di umanità e il suo fine". (16)

L'uomo realizza lentamente la propria crescita, edifica una civiltà nella quale vivere godendo dei beni morali e materiali costruiti ed a tutela di questi beni pone la religione e lo Stato, l'una destinata a controllare le masse inconsapevoli, l'altro capace di organizzare razionalmente la società. Con la progressiva elevazione sociale dei cittadini i due termini tendono inevitabilmente a coincidere in una unica entità civile di governo, all'interno della quale, superata la superstizione di una divinità creatrice separata e fonte di ogni eticità, l'essere umano possa essere finalmente consapevole della propria ambigua qualità, al contempo, di soggetto e di oggetto del reale. L'eguaglianza, in questa prospettiva, cede il passo alla diversità, prima, di conoscenza, di consapevolezza e, poi, anche sociale. Non tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni si collocano, grazie alle loro qualità fisiche, intellettuali, culturali, grazie alle loro capacità di lavoro ed alla loro volontà, su un gradino più elevato della scala universale dello sviluppo umano ed il medesimo fenomeno si manifesta anche per le società, per le nazioni, per gli Stati. L'eroe filosofo, sul piano individuale, si pone al vertice di questa gerarchia dell'Essere esattamente come la civiltà europea nel proprio ambito sociale e statale, rappresenta il punto più elevato raggiunto, all'epoca di Bruno, dagli aggregati umani. Giordano Bruno: dunque, riconosce la profonda eguaglianza di dignità tra gli uomini, ma sottolinea anche l'altrettanto profonda diversità di valore, che tra essi esiste e non può che continuare ad esistere. La gerarchia sociale appare come una manifestazione naturale del pluralismo di esistenze umane e non solo umane. I diversi ruoli sociali non segnano confini invalicabili tra individui, ma sottolineano i livelli di sviluppo, di civiltà raggiunti dai singoli. Lo sviluppo, il progresso, l'elevazione, in una parola, la civiltà è l'obiettivo che Bruno attribuisce all'uomo ed alle sue società.

"La civiltà richiede continui problemi di miglioramento e di perfezionamento: l'uomo, in questo contesto, è in grado, tramite quelle che sono le virtù della sua libertà, di proseguire l'opera e di perfezionarla, può stabilire per il lume naturale criteri di meglio e di peggio, e la filosofia morale sfocia nell'elaborazione di un'etica della collettività come elaborazione di un arco di valori sui quali costruire una civiltà a misura di ciò che il filosofo ritiene sia l'uomo e quindi le sue necessità e i suoi scopi. La via che ne consegue è quella dell'accrescimento continuo dei beni e della loro fruizione. Eppure su questa retta che può far pensare ad un'ascesa progressiva grava il cerchio infinito che tutto comprende e in cui tutto si dissolve". (17)

Il benessere dell'uomo nella sua realtà, che è poi l'unica esistente pur nei suoi molteplici piani di esistenza, è l'obiettivo che il Filosofo nolano intravede nella luce di un Tutto-Natura, ma contemporaneamente rivela la vanità e la transitorietà di questo benessere. Tuttavia, poiché ciascuna modalità di esistenza dell'Essere persegue la propria propensione, anche l'uomo deve perseguire la sua, che lo conduce in questa direzione.

Dagli scritti del Nolano la metafisica continua ad emergere ad ogni passo. L'uomo vive questa profonda contraddizione tra immutabilità del suo destino metafisico e libertà della sua esistenza individuale. La sintesi viene trovata nella dimensione metafisica anche di questa libertà, che consente, attraverso lo sviluppo della conoscenza individuale, di raggiungere la tranquilla consapevolezza che tutto l'Essere esiste da sempre e secondo le medesime modalità di esistenza. I confini del mondo fisico cedono per lasciar entrare il mondo divino; umano e divino trovano espressione unitaria nella possibile esistenza di tanti uomini, dei quanti sono i possessori della conoscenza del Tutto. Ciò che esiste si può conoscere e la conoscenza identifica, rende identici al Tutto-divino. Non vi è mistero metafisico, ma solo capacità o meno di comprenderlo. Ciò che esiste è sempre esistito e noi ne facciamo parte.

Restano tuttavia senza risposta poche, ma fondamentali domande. Perché questo Tutto-divino, questo animale infinito vivente, questo Dio esiste? Perché una scintilla di questo Tutto-divino ha assunto la forma di uomo? Perché, infine, l'uomo deve affaticarsi in un'esistenza più o meno piacevole, apparentemente produttiva e creativa, ma sostanzialmente inutile? Bruno non riesce a fornire risposte esaustive a queste eterne domande esistenziali, ma intorno ad esse si affatica e lancia la propria sfida di filosofo, di scienziato, di libero pensatore, che non intende assopirsi all'ombra di tranquillizzanti fantasie o di fideistiche certezze. Con ironia poetica l'Autore della Cabala del cavallo pegaseo canta:

 

"O sant'asinità, sant'ignoranza.

Santa stolticia et pia devozione,

Qual sola puoi far l'anime sì buone,

Ch'human ingegno et studio non l'avanza.

Non gionge faticosa vigilanza

D'arte qualunque sia o 'nventione,

Né de Sophossi contemplazione,

Al ciel dove t'edifichi la stanza.

Che vi val (curiosi) il studiare,

Voler saper quel che fa la natura,

Se gl'astri son pur terra, fuoco et mare?

La santa asinità di ciò non cura;

Ma con man gionte a 'n ginocchion vuol stare

Aspettando da Dio la sua ventura.

Nessuna cosa dura,

Eccetto il frutto de l'eterna requie.

La quale ne done Dio dopo l'essequie". (18)

 

La morte sul rogo in Campo de' Fiori a Roma del filosofo nolano è la prova più chiara che egli temeva maggiormente, nonostante l'assenza di risposte ai dubbi esistenziali più profondi dell'uomo, questa sant'ignoranza che non la violenza dell'assolutismo della Chiesa Cattolica.

 

NOTE

1- Cfr. F.A. Yates, Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento. Laterza. Bari 1988; F.A. Yates. Giordano Bruno e la tradizione ermetica. Laterza. Bari 1989. J. Bossy Giordano Bruno e il mistero dell'ambasciata. Garzanti, Milano 1992. G. Musca, Il nolano e la regina. Edizioni Dedalo, Bari 1996.

2- C. Gentile (a cura di), Giordano Bruno ieri e oggi, Bastogi, Foggia 1982. p. 7.

3- C. Gentile (a cura di), Giordano Bruno ieri e oggi cit. p. 86.

4- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno. La Nuova Italia. Firenze 1968.

5- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 352.

6- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 261.

7- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 177.

8- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 33.

9- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 31.

10- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. pp. 226-227.

11- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 86.

12- Cfr. G. Bruno, De magia, De vinculis in genere, Biblioteca dell'Immagine. Padova 1987; F.A. Yates, L'arte della memoria, Einaudi, Torino 1972; C. Webster, Magia e scienza da Paracelso a Newton, II Mulino. Bologna 1984.

13- Cfr. F. Restaino (a cura di), Comte, ISEDI. Milano 1979.

14- Cfr. R. Treves, Sociologia del Diritto, Einaudi, Torino 1996, in particolare vedere: Parte prima. Origini della sociologia del diritto. Cfr. anche A. Giasanti - V. Pocar, La teoria funzionale del diritto, UNICOPLI. Milano 1981 e R. Collins, Tre tradizioni sociologiche, Zanichelli. Bologna 1991.

15- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. p. 131.

16- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. pp. 270.

17- F. Papi, Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno cit. pp. 270-271.

18- G. Bruno, "Sonetto in lode de l'Asino", in Cabala del cavallo Pegaseo. Sellerio, 6.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice Giordano Bruno



Musica: "Orientis partibus" (Carmina Burana secolo XIII)