Questo lavoro di Umberto Virgili è stato pubblicato sul numero 3-4 de "La Ragione", rivista del Libero Pensiero dell'Associazione "Giordano Bruno" nel 1989.

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© Umberto Virgili

 

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"De la causa, principio e uno" contiene gran parte della metafisica di Bruno, cioè la dimostrazione che forma e materia, quindi anima e corpo, spiritualità e materialità, sono inscindibili.

Dialogo metafisico per eccellenza, “De la causa, principio e uno". Da ciò si comprende come, (da circa trent'anni, sia divenuta l'opera più letta di Giordano Bruno ed abbia finito per emergere dal complesso delle opere bruniane in quanto approfondisce e mette in luce la metafisica che il Bruno pone alla base della sua cosmologia. É la famosa dimostrazione che forma e materia, quindi anima e corpo, spiritualità e materialità, sono inscindibili. Potente perorazione verso la luminosità del sapere, profondo richiamo ad una visione totale dell'esistenza, che coinvolge l'uomo tutto intero, carne e sangue, pensiero e azione, per condurlo sulla strada maestra della umile conoscenza che ogni giorno rinnega sé stessa per ricominciare a cercare, in una gara contro la nebbia del fanatismo. É l'opera che ha inferto il colpo mortale alla superstizione, dimostrando che non c'é alcun satana pronto a tentarci se non quello che ciascuno di noi porta nel cuore; gridando ai quattro venti che non l'oscurantismo dell'Inquisizione può rendere migliore l'uomo, ma il costante, assiduo invito a capire, a sondare le profondità dell'animo umano, nel quale il Bene e il Male sono inestricabilmente congiunti.

A noi spetta la scelta, aiutati dal buon volere e dalle circostanze; se è indubitabile che alta é l'influenza dell'ambiente circostante sulla nostra personalità, tuttavia la vera discriminante che ci spinge verso il bene o verso il male non risiede nell'ambiente, ma in noi stessi, in quel turbolento e misterioso aggrovigliarsi di cellule cerebrali le quali con la loro forma e per mezzo del loro modo di concatenarsi, determinano la nostra personalità. L'uomo è questo, dice il Bruno; spirito e materia, anima e corpo, pensiero e azione, né può darsi l'una cosa senza l'altra. Visione solenne e veramente "umanistica" dell'uomo, che si libra ben al di sopra delle concezioni strettamente materialistiche, secondo le quali "l'uomo è ciò che mangia"; per cui, a volerle accettare fino in fondo, bisognerebbe concludere che il grande criminale, il grande truffatore, il grassatore da strada, potendo permettersi di mangiare caviale coi frutti delle loro rapine, sono infinitamente superiori all'operaio alacre, al contadino paziente, all'artigiano operoso che vivono del poco (o molto) che il loro lavoro procura.

Questa è, insomma, la dottrina bruniana conosciuta anche dai non specialisti, da coloro che del Bruno non sanno quasi nient'altro. E si capisce; poiché se la cosmologia Copernico-Bruniana della "Cena de le ceneri" ha molto d'una visione entusiastica, attraentissima, ma freddamente filosofico-scientifica, la metafisica morale del "De la causa" lavora sui grandi concetti, centrali in ogni filosofia, dei quali propone un assetto così importante che nessuno può confutarlo o respingerlo se prima non ha riconosciuto ed accettato il germe vitale che pur contiene.
Anche il "De la causa, principio e uno" è dedicato al mecenate del filosofo nolano, Michele di Castelnuovo, del quale il Bruno, non senza una punta di ironia, enumera nella dedica i titoli. Anche quest'opera presenta una struttura suddivisa in cinque dialoghi, dei quali però il primo é in realtà una vera e propria apologia della "Cena de le ceneri"; infatti esso venne aggiunto dal Bruno agli altri quattro con l’intento di difendere l'opera precedente e perciò ha carattere polemico e apologetico, mentre gli altri quattro versano particolarmente nella speculazione filosofica.

Col secondo dialogo, che e in realtà il primo, entriamo nel pieno del sistema filosofico bruniano. Vi viene affermato che la potenza conoscitiva può arrivare a conoscere gli oggetti soltanto attraverso la via sperimentale, intendendo con esso sia l'aspetto teorico sia l'aspetto pratico; viene chiarito poi che per arrivare alla causa ed al principio di tutte le cose bisogna partire dal causato e dal "principiato"; è, come si vede, l'osservazione del processo logico induttivo che, dall'esame del particolare, permette di risalire a regole generali. Il Bruno si addentra poi nella disamina dei termini di "causa" e "principio", mettendo in luce a volta a volta le differenze e le concordanze, le identità e le diversità. Passa poi ad esporre i diversi attributi del concetto di "causa", la quale può essere efficiente, formale e finale, e in quanti modi e nominata la causa efficiente e da quanti punti di vista è concepita; come questa causa efficiente è in un certo modo intima alle cose naturali, per essere la natura stessa, e come è in certo modo esteriore a quelle; come la causa formale è congiunta all'efficiente, ed è quella per cui l'efficiente opera, e come la medesima (causa formale) viene suscitata dall'efficiente dal grembo della materia; come coincidono in un soggetto di "principio", la causa efficiente e la formale e nello stesso tempo sono distinte in quanto al modo di agire.

Il Nolano, dopo queste suddivisioni che in verità ricalcano il vecchio schema espositivo aristotelico-tomistico, mette in luce la differenza che intercorre tra la causa formale universale, la quale è un'anima per cui l'universo infinito, come tale, non é un animale "positivo", ma "negativo", e la causa formale particolare moltiplicabile e moltiplicata all'infinito, la quale, tanto è più perfetta, quanto più si trova in un soggetto generale e superiore.
Da ciò deriva che la prima e principale forma naturale, principio formale e natura efficiente è l'anima dell'universo ovvero lo spirito di energia vitale cosmica; il quale é principio di vita, vegetazione e significato in tutte le cose che vivono, vegetano ed hanno una qualunque sensibilità. Dopo una confutazione degli aristotelici, platonici e sofisti, il dialogo si conclude con un invito del filosofo a non temere la morte, in quanto questa altro non è che "il disciogliersi" della forma positiva nell'immenso mare della natura, dalla quale la causa efficiente (Dio?), che è eterna, trarrà una nuova vita e una nuova anima per reinserirla nel ciclo dell'universo vivente.

Nel terzo dialogo si procede alla considerazione della materia, la quale è stimata avere costituzione di principio eterno, tanto che essa deve essere considerata cosa "eccellentissima e divina". Ciò porta il filosofo a concludere che la diversità delle disposizioni che si trovano nella materia, il principio formale, si trasporta alla multiforme figurazione delle diverse specie e individui. L'universo, e quindi l'anima universale, si trova per Bruno in tutte le parti singole della materia come principio formale, e questo dà luogo ad una contemplazione della Divinità, intesa come "causa efficiente" di tutte le cose. Pertanto, conclude il Bruno, la materia é eccellente, essendo in essa forma, potenza e atto; da questo si conclude che la potenza e l'atto (antichi principi aristotelici) coincidono nella materia e fra di essi, e che "il tutto è nell'Uno".

Nel quarto dialogo, il Nolano affonda il bisturi della sua complessa speculazione nel considerare la materia quale "soggetto", dopo che nel dialogo precedente l'abbiamo vista considerata come "potenza". Ragionando correttamente, secondo i principi che le sono propri, è evidente che la materia di cose incorporee e corporee e dello stesso genere, e per più ragioni. Innanzitutto per una certa analogia proporzionale del corporeo e incorporeo, assoluto e "contratto" o relativo; poi per l'ordine e la scala della natura che risale verso un "primo" che l'abbraccia e la comprende tutta; è inoltre da ricordare la necessità che la materia, prima di divenire distinta in corporea e incorporea, si trova in una fusione indistinta delle due suddette qualità. Quindi la materia trae tutte le forme, corporee ed incorporee, dal suo interno, dall'intimo del suo seno; essa non è un "prope nihil", quasi nulla, una potenza nuda e pura, ma tutte le forme sono come contenute in essa, e dalla stessa prodotte e partorite.
Argomento del quinto e conclusivo dialogo, è la trattazione dell' "uno", attraverso il quale viene compiuto il fondamento dell'edificio di tutta la conoscenza naturale e divina. Dalla precedentemente dimostrata coincidenza della materia e della forma, della potenza e dell'atto, deriva che tutto l'esistente, se é logicamente diviso in tutto ciò che é e può essere, fisicamente è però indiviso, indistinto ed uno; e questo insieme di esseri va a formare un tutto infinito, indivisibile, senza differenza di totalità o di parzialità, principio di sé stesso. Pertanto nell'universo non esistono differenze né di tempo né di spazio, né mesi, né anni, né attimi; il centimetro è uguale al palmo, il palmo al chilometro.

Meravigliosa intuizione, che la mente fecondissima del Nolano esprime nel suo linguaggio poetico anticipando di ben quattro secoli la famosa teoria della relatività dello spazio e del tempo di Albert Einstein.
Con una nuova contemplazione di veggente sacro, il Bruno si avvia alla conclusione anche di questa sua opera fondamentale. L'uno, l'infinito, è dappertutto, ed è sempre la medesima sostanza; così l'infinita dimensione, prendendo forma di "piccolezza", coincide con l'individuo, come l'infinita moltitudine degli individui che non sono numeri ma forme diverse della medesima sostanza, coincide con l'unità.
L'opera è conchiusa; canto profondo all'universo, all'unità inscindibile del creato e degli esseri.
Opera difficile, certamente, e qua e là anche intrisa di erudizione talvolta pedantesca; ma forte nelle sue convinzioni, precisa nelle dimostrazioni, anticipatrice profetica di talune verità fisiche e cosmologiche oggi da tutti accettate.

Come ho detto, anche il “De la causa, principio e uno" è scritto nella forma del dialogo. Gli interlocutori sono vari: Filoteo, cambiato in alcuni passi con Teofilo, è lo stesso Giordano Bruno; Elitropio, ovvero "colui che si volge al sole di verità", e un seguace del Nolano; Armesso, è un amico inglese del filosofo; Alessandro Dickson, altro amico inglese, che nel dialogo diventa Dicsono Arelio; e poi Gervasio e Polinnio.
Ai cinque dialoghi, il Bruno ha fatto precedere quattro componimenti poetici, tre in latino e uno in italiano, con i quali ha voluto per così dire presentare nuda la sua anima al lettore, e prenderlo per mano per condurlo passo passo attraverso le asperità della "nolana filosofia".
E l'amico Teofilo, specchio di Giordano Bruno ed assertore della "nolana filosofia", così conclude l'ultima sua dimostrazione: “in conclusione chi vuol conoscere i massimi segreti della natura, riguardi e contempli i contrari e gli opposti”.

“Profonda magia é saper trarre il contrario dopo aver trovato il punto dell'unione. A questo tendeva con il pensiero Aristotele, ponendo la privazione come progenitrice, parente e madre della forma; ma non vi poté arrivare. Non ha potuto arrivarvi perché fermando il piede nel concetto di opposizione rimase inceppato di fronte alla natura dei contrari, non giungendo allo scopo; dal quale errò a tutta passata, dicendo che i contrari non possono coincidere nello stesso soggetto. Come il soldo é l'unità, ma complicante, la moneta da cento soldi è sempre unità ma più complicante; la moneta da mille soldi e ancora unità, ma ancora più complicante. Questo che io vi propongo nell'aritmetica, dovete semplicemente e più altamente intenderlo in tutte le cose. Il sommo bene, la somma perfezione, la somma beatitudine consistono in un'unità che complica il tutto. Noi ci dilettiamo del colore, non in uno qualsiasi, ma in uno che possa contenere tutti gli altri. Ci dilettiamo della voce, non di una singola, ma di una complicante che risulti dall'armonia di molte. Ci dilettiamo di un intelletto che possa comprendere tutto il conoscibile, di un esistente che abbracci tutto, massimamente l'universo stesso… Lodati dunque siano gli dèi, e magnificata da tutti i viventi, la infinita, semplicissima, Una, altissima e assolutissima Causa, Principio e Uno”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Indice Giordano Bruno



Musica: "Orientis Partibus" (Carmina Burana secolo XIII)