[...] Per l'uomo normale, anche non malato, il corpo è un'entità largamente estranea. Notevoli quantità di processi somatici si svolgono, infatti, del tutto al di fuori delle sue possibilità non mediate di controllo, e di direzione. L'uomo può controllare - ad esempio - ciò che mangia, sia nella quantità, sia nella qualità. Una volta però che il cibo sia inghiottito, i relativi processi di assimilazione e di digestione si svolgono totalmente al di fuori del controllo e della volontà dell'Io cosciente, il quale - per così dire - li subisce, salvo, in casi particolari, ricorrere a mediazioni e rimedi «per linee esterne», qualora i processi medesimi sollecitino l'Io in modo particolare, a vari livelli di diminuita sopportabilità. [...]

Il carissimo Fratello Emilio Servadio, passato all'Oriente Eterno nell'Anno di Vera Luce 5995, in questo suo intervento in Loggia datato 1971, e in seguito pubblicato su Rivista Massonica n. 7 giugno 1971, esamina con quella dovizia di particolari che gli derivava dalla sua professione di psicologo, un trinomio fondamentale nell'indagine massonica.

Emilio Servadio, fu Fratello iscritto a piè di lista della Montesion fino al 1980, né fu uno dei promotori, ma entrò nella Loggia soltanto a Colonne Innalzate nel 1970.

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© Emilio Servadio

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Per l'uomo normale, anche non malato, il corpo è un'entità largamente estranea. Notevoli quantità di processi somatici si svolgono, infatti, del tutto al di fuori delle sue possibilità non mediate di controllo, e di direzione. L'uomo può controllare - ad esempio - ciò che mangia, sia nella quantità, sia nella qualità. Una volta però che il cibo sia inghiottito, i relativi processi di assimilazione e di digestione si svolgono totalmente al di fuori del controllo e della volontà dell'Io cosciente, il quale - per così dire - li subisce, salvo, in casi particolari, ricorrere a mediazioni e rimedi «per linee esterne», qualora i processi medesimi sollecitino l'Io in modo particolare, a vari livelli di diminuita sopportabilità.
La suddetta «estraneità» del corpo rispetto all'Io è, beninteso, totale per certi rispetti, parziale per certi altri e, in certi settori, assente. Se l'uomo comune non può, in alcun modo, limitare o controllare i battiti cardiaci o la peristalsi, può invece presiedere a certe attività psico-motorie e a talune innervazioni: può alzare un braccio e una gamba, può chiudere o aprire gli occhi, ecc.ecc. Certi sistemi o settori dell'attività somatica sono, per cosi dire, «ai margini» delle anzidette possibilità di controllo: e ciò anche senza riferirci ai casi «fuori della norma» - patologici e non - nei quali sono bloccate certe possibilità d'intervento dell'Io cosciente che sono invece aperte alla generalità degli uomini; o in cui sono, per converso, possibili talune azioni rare o inabituali, come muovere a volontà le orecchie, piegare la sola terza falange di un dito, o simili.
A seguito delle scoperte della psicoanalisi, tutti sanno ormai che quando si parla di «psiche» non si intende necessariamente «coscienza». Anche prima delle sistemazioni e degli approfondimenti psicoanalitici, a qualche filosofo o saggista era apparso abbastanza evidente che dovessero esistere, a livelli non coscienti, contenuti ai quali non si poteva dare, ad essere precisi, se non la qualifica di «psichici». Come è noto, la psicoanalisi ha non soltanto allargato e precisato il concetto di inconscio, ma ha dimostrato fino a quali estensioni, e con quali implicazioni, i processi psichici inconsci sottendessero la vita cosciente e il comportamento, con esiti sia normali, sia patologici.
Anche l'idea che il corpo, nei suoi meccanismi, potesse essere influenzato da processi psichici non necessariamente coscienti era balenata a qualche studioso prima dell'avvento di quella che oggi si chiama «medicina psicosomatica». Oggi, persino i medici generici sanno che certe malattie, un tempo considerate puramente organiche, sono originate e alimentate da fantasie e conflitti del tutto inconsci, e che la cura di tali affezioni consiste perciò non soltanto o non tanto nel curarne «per linee esterne» i sintomi, quanto nel risalire alle loro cause psichiche profonde. Lo scandaglio psicoanalitico, applicato alla terapia delle affezioni psicosomatiche, ottiene in un primo tempo la «presa di coscienza» di quanto si svolgeva prima nel buio assoluto dell'inconscio; e in un secondo tempo l'instaurarsi di nuovi e più convenienti automatismi (per esempio digestivi, o respiratori), a tutto beneficio dell'individuo. L'anzidetta «presa di coscienza» è qualcosa, tuttavia, di assai diverso dal controllo volontario esercitato normalmente sugli apparati e sulle innervazioni: tanto è vero che abbiamo parlato di «nuovi automatismi». Sarebbe ingenuo credere che un soggetto, sottopostosi a trattamento psicoanalitico per la cura di un disturbo psicosomatico, giungesse, putacaso, a controllare volontariamente i suoi processi digestivi, o il proprio ritmo cardiaco!
È già un bel risultato, tuttavia, che la scienza moderna abbia riconosciuto l'importanza e la vastità degli influenzamenti psicosomatici, e che qualche studioso sia arrivato addirittura alla conclusione che non esistono, a guardar bene, malattie organiche «pure» (e si potrebbe dire lo stesso, a loro avviso, di tutti quanti i processi dell'organismo materiale); e che in ogni caso mens agitat molem. Il vero antesignano della medicina psicosomatica è, per riconoscimento ormai unanime, un originale medico tedesco, contemporaneo di Freud: il dottor Georg Groddeck. L'idea centrale che ispirò i lavori di Groddeck è appunto quella menzionata: che cioè, praticamente, qualsiasi malattia - anche quelle comunemente chiamate «organiche» - fosse in sostanza psicogena. Anche se una simile generalizzazione è stata ed è aperta alla discussione, nessuno può ignorare il fatto che di certe malattie, un tempo ritenute esclusivamente organiche, appaia oggi più chiara la componente psicogena, anche nel caso in cui la causa immediata della malattia sia un agentepatogeno o microbico ben definito. Un esempio per tutti potrebb'essere costituito dalla tubercolosi.
È chiaro che l'avere riconosciuto uno psichismo che influenzi in tutto o in parte i processi dell'organismo, ossia il corpo, non elude il problema dell'Io: e ciò, non soltanto perché come si è detto altro è l'Io cosciente, altro è ciò che si svolge nell'ombra o nella penombra dell'inconscio, ma anche perché è pur sempre l'Io a essere chiamato in causa ogni qual volta si voglia o si tenti di gettare un po' di luce sul famoso, enigmatico «ponte» che collega i livelli psichici a quelli somatici.

In qualsiasi tipo di trattamento analitico, o psicoterapico, o psicosomatico che sia, la leva a cui occorre far ricorso, e il punto costante a cui far riferimento, è sempre in sostanza l'Io. Si suol dire in psicoanalisi che almeno una parte dell'Io del soggetto che si sottopone ad un trattamento analitico deve, per così dire, essere alleata dell'analista, e che solo attraverso la mediazione dell'Io del paziente si possono attenuare o neutralizzare i conflitti psichici inconsci o, nel caso delle terapie psicosomatiche, interrompere l'oscura «alimentazione» patogena, di origine psichica, per cui seguitano ad essere e mantenersi ammalati organi e funzioni.
Ma a questo punto si pone di nuovo e inevitabilmente, già in sede psicologica, il problema dell'Io. L'Io - si suol dire - è l'istanza che ricupera ed integra, e la cui mediazione consente, come si è detto, l'instaurarsi di nuovi e più convenienti automatismi. Ma chi, o che cosa, compie l'anzidetta opera? Per molto tempo, l'Io è stato considerato come un'entità non deducibile, non contestabile, e in sostanza neppur definibile. Ai tempi eroici della psicoanalisi, si assumeva l'Io del paziente come un dato di fatto, e si pensava di potersi riferire ad esso come ad un punto centrale, immobile e incontrovertibile. Ricerche più recenti hanno mostrato che le cose non stanno affatto in questi termini. C'è chi ha continuato, sulle orme di Freud, a considerare l'Io come il risultato di modificazioni dell'apparato psichico (di per sé essenzialmente inconscio) sotto la spinta e lo stimolo di eventi esterni; e c'è chi, invece, ha considerato di bel nuovo l'Io come un'entità «a priori», press'a poco come lo considerava la psicologia scolastica. Solo in tempi molto recenti si è cercato ma con successo assai limitato di veder più chiaro nella consistenza stessa dell'Io psicologico, così come risulta ai livelli scientifici d'investigazione. Il celebre psicoanalista americano Heinz Hartmann, ad esempio, ha sostenuto l'esistenza, sin dalla nascita, di una sfera dell'Io «esente da conflitti». Un altro notissimo analista inglese, Edward Glover, ha ritenuto probabile che l'Io, nel senso che si dà generalmente al termine, sia costituito dalla progressiva fusione di elementi parziali, da lui chiamati «nuclei dell'Io», tipici della struttura psicologica generale nella primissima infanzia. Ma in qualunque modo lo si consideri, l'Io della psicologia anche la più avanzata, può forse considerarsi «autonomo» nel pieno senso della parola? Domandiamocelo ben chiaramente: che cosa significa, in sostanza, «autonomia»? Quella che è secondo Hartmann «mancanza di conflitti» - posto che la sua tesi sia giusta - fa forse tutt'uno con l'«autonomia»? La risposta, sembra, non può essere che negativa. Sul piano psicologico, si sa sin troppo bene - e lo sapeva anche Freud - che l'Io ha di solito, nella pluralità degli uomini, un'«autonomia» talmente scarsa, che c'è addirittura chi l'ha radicalmente negata. Molti conoscono ormai l'anatomia dell'apparato psichico cosí come Freud l'ha immaginato: l'Io, secondo tale schema, si trova preso in una triplice morsa, essendo sollecitato e premuto sia dall'istintività inconscia, sia da un'istanza interna, anch'essa inconscia, giudicativa (il cosiddetto «Super-Io»), sia, infine, dagli agenti e dall'ambiente esteriori. Se ciò è vero - e l'esattezza psicologica di simili formulazioni non si può onestamente contestare - ci si domanda a che cosa si riduca quella presunta «autonomia» dell'Io, della quale menano apertamente o tacitamente vanto tanti «uomini qualsiasi».
Abbiamo ricordato le vedute originali di Freud sull'lo, e come queste siano state in parte modificate da questo o quel suo continuatore. È bene dire a questo punto che la concezione iniziatica rappresenta un'inversione completa rispetto a quella originaria di Freud - la quale tuttavia, è bene ricordarlo, appare sostanzialmente vera se consideriamo, a livelli puramente descrittivi ed empirici, ciò che avviene nell'uomo comune. Anche ammesso che in questi si possa parlare, come vorrebbe il già citato Hartmann, di una sfera «non conflittuale» dell'Io, si può ben dire che nella stragrande maggioranza degli uomini, l'Io appare effettivamente poco più che una pellicola, formatasi alla superficie di quello che Freud chiama l'Es - ossia del vasto serbatoio di moti e processi istintivi inconsci -: modificazione avvenuta, secondo Freud e come si è detto, per effetto degli stimoli esteriori e ambientali. L'Io dell'uomo, quindi, ci appare veramente come un'appendice, un sottoprodotto, rispetto all'Es, e in genere a tutto l'assieme dei processi psichici inconsci, nonché a una realtà concepita come esclusivamente «esteriore», dura e condizionante. Ma tale stato di cose, secondo gli insegnamenti tradizionali, non è se non il risultato di un decadimento rispetto ad una situazione originaria e primordiale, che attraverso l'iniziazione si tratta, in ultima analisi, di restaurare. È perfettamente vero che l'uomo comune, secondo le vedute iniziatiche, ha altrettanto poco diritto di dire «io amo», o «io sono» come di dire «io ho sete» o «io ho mal di capo». Il non iniziato - è stato detto - non tanto «vive», quanto «è vissuto». Ma secondo le vedute iniziatiche, all'origine il corpo, i processi organici, ed anche tutto l'assieme dei processi psichici che nell'uomo comune sfuggono come si è visto al controllo dell'Io cosciente, hanno costituito, per dir così, un «prestito dato ad un Io che nella sua più profonda e vera essenza era, e potenzialmente è, libero e incondizionato. L'uomo, pertanto, che vuol cominciare veramente a «vivere», sottraendo mano a mano il suo Io alla schiavitù dell'«essere vissuto», deve in primo luogo passare simbolicamente attraverso la «morte»: ossia sottrarre, per lo meno virtualmente, al non-Io (ossia al corpo), all'inconscio, e ai modi abituali di esperienza, la loro, in sostanza, usurpata «primarietà».
Dovrebbe cosí venire in essere,secondo i fini dell'iniziazione, un nuovo principio, effettivamente libero. E tale principio è chiamato ora a ripercorrere i processi onde il corpo fu organizzato e, come si è detto metaforicamente, «dato in prestito» all'Io. Avviene così, sulla via iniziatica, un'irradiazione dell'Io rinnovato sui diversi piani della corporeità - dal meno concreto (processi psichici preconsci o inconsci) via via ai più concreti (raccordi psico-somatici, processi o disturbi cosiddetti «funzionali», sino alla oscura e profonda vita delle cellule, dei tessuti, e dei loro aggregati molecolari e atomici). In tal modo il termine «corpo» muta via via contenuto, il che equivale, sul piano empirico, al graduale stabilirsi di certe premesse esistenziali rispetto a fenomeni e manifestazioni, che visti dall'uomo comune (sia questi un individuo qualsiasi, o uno scienziato «obiettivo»), appaiono quali fenomeni più o meno «meravigliosi» - si chiamino essi volta a volta manifestazioni parapsicologiche o parafisiologiche, esercizio o manifestazione di poteri «magici», o in altro modo. Al limite, e infine, il «corpo» Si trova retto da un principio immateriale e radiante di cui è in tutto e per tutto lo strumento. Il capovolgimento iniziatico è ora completo. Al «corpo» volgare è succeduto il «corpo magico» o «corpo di resurrezione» - ossia, in termini alchemici, il piombo è stato totalmente trasmutato in oro. Se nell'uomo comune l'Io si appoggiava sul corpo, nel perfetto iniziato il corpo si appoggia sull'Io, che lo plasma infine con la stessa naturalezza con cui il pensiero plasma la parola. Ancora nel linguaggio alchemico, è la «pietra morta» diventata «pietra filosofale».
Abbiamo accennato poc'anzi a possibili manifestazioni «parapsichiche» o «parafisiologiche», e a poteri e fenomeni cosiddetti «magici». Qui però occorre intendersi bene. La corrosione di certi legami che abitualmente condizionano l'Io dell'uomo comune rispetto al proprio corpo può avvenire certe volte e in certuni - in modi e forme che l'Io stesso non controlla affatto, e che perciò hanno estensione, durata e caratteristiche del tutto imprevedibili, tali che un osservatore «esterno» non può se non prenderne atto, registrarli, documentarli come sa o può, mentre il soggetto stesso, molte volte, appare strumento passivo e inconsapevole delle manifestazioni in questione. Si è già capito che questa è la polarità opposta a quella iniziatica: è la via, se via si può chiamare, degli invasi, dei posseduti, dei medium. Tra l'anzidetta «irradiazione» di un nuovo, veramente autonomo principio dell'Io, con la conseguente possibile trasformazione del corpo volgare in corpo di gloria, tra questa via, ripetiamo, e quella delle manifestazioni di tipo medianico, corre la stessa differenza che potrebbe passare tra un individuo il quale controlla e dispone di un'energia luminosa, e chi, trovandosi in una stanza buia, percepisce ogni tanto, in guisa discontinua e imprevedibile, guizzi di luce, senza poter sapere dove sia o quale sia la sorgente illuminante, se si tratti della luce del sole, o di un incendio che divampi da qualche parte, e che potrebbe anche coinvolgere la sua abitazione.
A questo punto, e ancora una volta riportandoci sul piano delle vedute iniziatiche, potremmo estendere le nostre considerazioni, relative ai rapporti fra Io e corpo, ai rapporti globali tra Io e realtà empirica. Il corpo volgare, o «piombo» secondo la denominazione ermetico-alchemica, è a guardar bene, per il non iniziato, non meno «materia» dell'oggetto più concreto e inanimato che ci circonda. E non a caso, infatti, pensatori anche illustri sino ai giorni nostri (si pensi per esempio al Monod, premio Nobel per la medicina, e a certe sue recenti affermazioni), il corpo, il nostro corpo abituale, non soltanto condiziona con i suoi processi, e dall'A alla Z, tutta quanta la vita psichica anche ai suoi livelli più alti e ambiziosi, ma è, esso stesso, la risultante di un complesso gioco di molecole, determinatosi e funzionante secondo le pure e semplici leggi della necessità e del caso. In tal senso, e riferendoci a quanto abbiamo già indicato, quella che noi abitualmente chiamiamo realtà «esterna» non è meno esterna all'Io comune di quanto non lo sia nel suo assieme il corpo opaco e plumbeo del non iniziato. Tanto questo corpo, quanto il mondo «materiale» sono - direbbe un orientale - appartenenti entrambi a quella «obiettività» puramente illusoria - che negli scritti tradizionali Indù è chiamata, come si sa, con l'appellativo di Maya. Ma se è possibile all'Io risorto e liberato trasformare a poco a poco la «Maya» inerente al corpo, sino al punto di farne, da velario che preclude ed abbaglia, una vera e propria «veste di gloria», non si vede perché non si dovrebbe estendere tale concezione ai rapporti in genere tra Io e materia, tra Io e realtà fenomenica, tra Io e cosmo. L'autonomizzazione e l'incentramento iniziatici dell'Io dovrebbero portare alla strumentalizzazione ad libitum non soltanto del corpo, ma anche della cosiddetta materia inerte, e da ultimo, capovolgere radicalmente la relazione tra Io e non-Io, tra Principio e fenomeno.
Di tali ulteriori, estreme possibilità ci fanno testimonianza sia certe manifestazioni tradizionalmente attribuite a mistici, santi, maghi, ecc., sia, più recentemente, talune constatazioni - pur limitate e descrittive nel senso che è stato già accennato - della odierna parapsicologia. La pratica possibilità dell'influenzamento diretto della psiche sulla materia, ossia dei cosiddetti effetti «psico-cinetici», è stata abbondantemente mostrata nei laboratori, sempre beninteso senza che gli effetti stessi siano stati mai riconducibili a precisi schemi o progetti a priori. Vorremmo qui ancora una volta osservare che una volta accettati i predetti punti di vista, che ci sembrano perfettamente in linea con precise tradizioni iniziatiche occidentali e orientali, fenomeni quali per esempio la levitazione, il camminare sulle acque, o modificare un fenomeno naturale (per non dire di certi controlli sui processi o sugli esseri del mondo animale e vegetale), non appaiono assolutamente più quali «meraviglie», o «miracoli», bensì come conseguenze perfettamente logiche del fatto che l'Io di colui che suscita simili «meraviglie» Si trova e opera, rispetto a quella che per gli «altri» è la realtà empirica di tutti i giorni, su un piano del tutto diverso di rapporti e di condizionamenti. Non diversamente potrebbe apparire «meraviglioso» o «miracoloso» l'operare di chi, essere tridimensionale, si comportasse tranquillamente ed agisse in un mondo esclusivamente popolato da esseri a due dimensioni. È chiaro che il semplice trasporto, ad esempio, per via tridimensionale, di un oggetto da fuori a dentro, o da dentro a fuori, un mondo a due dimensioni, costituirebbe per gli esseri bidimensionali un incomprensibile e quasi incredibile «miracolo».
Sarebbero naturalmente possibili ulteriori estrapolazioni di quanto è stato indicato. Inerenti a quanto sopra sono, beninteso, le opzioni rispetto ai modi e alle modalità dell'anzidetto ripristino di una «discesa» del principio dell'Io rinnovato nelle dimensioni del corpo e del mondo. Abbiamo tutti dinanzi agli occhi i due modelli diversi del mistico e dell'auto-realizzato, dell'orante e dell'autentico e perfetto Maestro. Qui ci basta aver indicato imperfettamente, e per sommi capi, un altro aspetto dell'eterno problema che ogni volta pongono, alle nostre interiori riflessioni e meditazioni, i due triangoli del Sigillo.
 

 


NOTA BIBLIOGRAFICA
 

Georg Groddeck: Il libro dell'Es (trad. it., Adelphi, Milano, 1966).

Heinz Hartmann: Ego Psychology and the Problem of Adaptation (Imago Publishing Co. Ltd., London, 1958).

Edward Glover: The Birth of the Ego (George Allen & Unwin Ltd., London, 1968).

Sigmund Freud: Sommario di psicoanalisi (trad. it., Editrice Universitaria, Firenze, 1951).

Jacques Monod: Le hasard et la nécessité (Editions du Seuil, Paris, 1970).

 


 

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