© Francesco Indraccolo

  Il tuo browser non supporta il tag embed per questo motivo non senti alcuna musica

 

La Fontana dei Fiumi di Piazza Navona a Roma è universalmente nota come uno dei più bei gioielli dell'arte barocca in cui si sono esaltate le qualità scultoree, architettoniche e scenografiche di Gian Lorenzo Bernini anche per effetto dello spirito di emulazione tra lui e Francesco Castelli, detto il Borromini, il quale negli stessi anni (1648-1651) e sotto lo stesso pontefice (Innocenzo X) stava lavorando se non altro ai progetti della Chiesa di Sant'Agnese in Agone, sulla stessa piazza, intimamente collegata alla Fontana, forse molto di più di quanto la storia non tramandi.
I romanzi e i turisti di tutto il mondo amano questa piazza così accogliente e spettacolare, delimitata da un armonioso complesso di edifici che sorgono sui resti dello stadio di Domiziano, e non dubitano nemmeno lontanamente che si tratti di un messaggio cifrato e pietrificato, di un locus memoriae capace di tramandare un insegnamento complesso e unitario, di un insieme simbolico fatto di silenzio suscettibile di vivificarsi e rendersi “sonoro” a chi abbia la pazienza di ricercare.
La piazza è, infine, una specie di labirinto, anche se non ci sono muri o siepi di giardini, ed è purtroppo priva della pavimentazione originale che, se non fosse stata distrutta nel secolo scorso, avrebbe forse potuto tramandarci altri insegnamenti preziosi. Eppure l'epigrafe della facciata sud dell'obelisco che sormonta la Fontana dice chiaramente che essa è stata fatta per elargire “bevanda agli assetati” (dalla condotta dell'Acqua Vergine che alimenta anche la Fontana di Trevi e la fontana antistante il Pantheon), nonché “esca a coloro che meditano”. Ma qui conviene procedere con ordine, descrivendo dapprima la Fontana e la sua storia, esaminandone i rapporti con la piazza in generale e con S.Agnese in particolare.
La Fontana fu voluta da Papa Innocenzo X (al secolo Giovan Battista Pamphili, nato nel 1574, salito al Soglio di Pietro nel 1644 e morto nel 1655) sia per sistemare l'arredo della Piazza, alle cui estremità esistevano già le due fontane “del Moro” (lato Sud) e “dei Calderai” (lato Nord), sia per far risaltare la facciata della Chiesa di S.Agnese, la cui costruzione (ma forse sarebbe meglio parlare di ricostruzione e ampliamento della primitiva cappella dedicata alla Martire) era stata affidata al Borromini, allora in auge, mentre il Bernini, dopo i grandiosi successi conseguiti durante il pontificato di Urbano VIII, era in disgrazia per via di un campanile non tanto stabile aggiunto a San Pietro. La vera preoccupazione di Innocenzo X, tuttavia, pare fosse quella di sistemare con il massimo di lustro e di risalto l'obelisco, detto poi “agonale”, che sormonta la Fontana del Bernini. L'Artista riuscì ad aggiudicarsi la costruzione del monumento con un progetto “spontaneo” presentato alla cognata del Papa, Donna Olimpia Maidalchini, ed ebbe così ragione dell'amico e rivale Borromini che dovette accontentarsi della sola S.Agnese.
L'obelisco fu detto agonale - ha scritto Paolo Pisani sui numero di Hiram del settembre scorso - “perché posto in Piazza Navona, il cui nome deriva dalla parola greca agone cioè combattimento, riferito al circo di Domiziano che la occupava...
In origine, tale obelisco, di granito rosso, con geroglifici, si trovava nel circo di Romolo, figlio di Massenzio, sulla via Appia”. Per la verità, va precisato che agon (scritto con l'omega e non con l'omicron, altrimenti significa “non nato”), in greco è essenzialmente il “luogo d'assemblea”, di “riunione”, di solito davanti a un tempio, e soltanto come significato traslato vuol dire “luogo dei giochi” siano essi da stadio (come quello di Domiziano destinato alle corse degli uomini), o da circo. E se è pur vero che gli obelischi in generale hanno una valenza simbolica “solare”, quello di Piazza Navona ha caratteristiche lunari e femminili perché era stato collocato davanti all'Iseo Campese, cioè il Tempio di Iside a Campo Marzio.
Gian Lorenzo Bernini lo sapeva, forse perché informato dall'amico Athanasius Kircher (l'eruditissimo gesuita tedesco nato nel 1601 a Geisa, in Turingia, che dominò la vita culturale romana dal 1634 fino alla morte avvenuta nel 1680), e si regolò di conseguenza. Come? Contornando la Fontana con un numero “lunare” di “marmottini”, 28, analogicamente correlato ai giorni del ciclo del satellite terrestre, e sormontando l'obelisco con la colomba (volatile sacro a Diana) che reca nel becco il ramoscello d'ulivo. Certo, questa colomba fa parte dello stemma di Papa Pamphili, ma per rendere omaggio al suo Mecenate a Bernini sarebbe bastato scolpire la colomba, come fece, sulla facciata Sud della Fontana (anche il Borromini ha ripetuto, quasi ossessivamente, il tema della colomba in S.Agnese).
L'obelisco era piuttosto piccolo e, perciò, “fu necessario - ha scritto Beata di Gaddo in Le fontane di Roma - creare un basamento molto importante che lo valorizzasse; già le due fontane laterali, nonostante le aggiunte e le modifiche rimanevano basse nella piazza e prospetticamente non erano di grande effetto. Il Bernini, sensibilissimo a questo, capì che la sua fontana doveva esser vista da lontano e che la sua mole avrebbe giocato un ruolo importantissimo in tutto l'insieme... La grande vasca bassa e lineare si nota appena, ma, dallo specchio d'acqua in essa racchiuso, si eleva un fantastico insieme di rocce, piante, animali, esseri umani, acqua; in alto, in asse su tutto, si eleva l'obelisco”. Più lo spettatore “si avvicina - prosegue la di Gaddo - più tutti gli elementi si ingigantiscono e anche l'obelisco sembra grande e lontano contro il cielo, mentre in basso l'occhio comincia a scoprire fra le acque che ricadono rumorose, i piacevoli particolari. Ma sotto un apparente disordine e casualità, vi è invece un estremo rigore architettonico e costruttivo... il suo ricco basamento... in basso è suddiviso in quattro parti leggermente ruotate e avvicinate due a due che più in alto si riuniscono a formare quattro grossi archi (o ingressi di caverne - N.d.R.) su di essi appoggia un monolite di granito, semplicemente squadrato (sulle cui facce sono quattro epigrafi - N.d.R.) che chiude e scarica sugli archi stessi il peso dell'obelisco che lo sormonta”.
La Fontana è ellittica, anche se considerata a pianta centrale, e ha un ingombro totale di metri 23 (asse solstiziale, cioè Sud-Nord) per 20 (asse equinoziale, Est-Ovest). Il gruppo centrale della vasca è racchiuso in un rettangolo orientato col suo lato maggiore nel senso dell'asse maggiore dell'ellisse e della piazza.
I suoi assi (di metri 19 e di 15.40) sono perfettamente allineati ai quattro punti cardinali, mentre gli assi dei quattro blocchi di roccia sono ruotati rispetto ad essi di un angolo di circa 35-36 gradi.
Le quattro grandi figure dei fiumi si volgono le spalle sui lati più stretti, i corpi, “leggermente adagiati e la posizione delle braccia e delle gambe - scrive la di Gaddo - sono tali da poter essere idealmente allineati su due inclinate che si incontrano all'incirca alla base della fontana. II piano di appoggio delle quattro statue è alla stessa quota, circa due metri, se pure confusa dalla diversità della posizione delle singole rocce”. A ciò va aggiunto che, per vedere bene in faccia tutte le figure, occorre girare attorno alla fontana in senso orario, preferibilmente cominciando dai lato di Nord-Est, cioè dal Nilo, riconoscibile dalla testa coperta.
Al Nilo, scolpito da Jacopo Antonio Fancelli, segue il Gange, scolpito da Claudio Pousin (forse parente del più famoso pittore Nicola, autore del quadro “Et in Arcadia Ego”, importante per la leggenda del fiume Alfeo, dal corso sotterraneo), poi il Danubio, scolpito da Antonio Raggi, e il Rio della Plata, scolpito da Francesco Baratta. Quest'ultima statua, che ha il braccio sinistro alzato, come se temesse la caduta del campanile di S.Agnese, testimonia lo stretto legame amichevole e scherzoso tra Bernini e Borromini. Difatti - secondo una leggenda tratta dalle storie di architettura - il Borromini avrebbe messo la statua di S.Agnese, visibile accanto al campanile di destra (per chi guarda), della chiesa, con la mano destra sul petto quasi a garantire la stabilità dell'opera. In realtà la statua del Borromini poggia la sinistra sul grembo e serviva a ricordare il supplizio di S.Agnese (vergine dodicenne perseguitata sotto Diocleziano per la sua fede cristiana) che fu esposta nuda alla gogna in quel luogo dove tra i resti dello stadio sorgeva un lupanare, e fece il suo primo miracolo: di colpo le crebbero i capelli tanto da coprirne la nudità.
Una prima considerazione si impone: la collocazione geografica delle statue, simboleggianti rispettivamente l'Africa, l'Asia, l'Europa e il Nuovo Mondo (le Americhe), è palesemente sbagliata. Sarebbe stato facile collocare il Nilo a Sud, il Gange a Est, il Danubio a Nord, e il Rio della Plata a Ovest. Bernini lo sapeva e, all'occorrenza, sarebbe stato richiamato dal Kircher, quindi bisogna desumerne un avvertimento e un messaggio cifrato.
Forse, l'errore, voluto, sta semplicemente ad indicare una allegoria (cioè un parlare d'altro) rispetto agli oggetti emblematici rappresentanti.
Prima di addentrarci nella descrizione delle altre figure scolpite quasi sicuramente dal Bernini sul posto, o sotto una sua precisa vigilanza, occorre dire che l'artista fu uno dei primi ad utilizzare o riutilizzare in modo magico-religioso - e non scenograficamente - gli spazi a disposizione.
“L'ellissi - ha scritto Giulio Carlo Argan in Immagini del Barocco: Bernini e la cultura del Seicento - è una forma che già il Borromini aveva dimostrato di prediligere, per esempio in S. Carlino, ma impiegandola nel senso della lunghezza, mentre il Bernini la impiega sempre nel senso della larghezza. Con l'ellissi stretta e lunga, il Borromini esprimeva contrazione e tensione; con l'ellissi larga e corta, il Bernini esprimeva espansione e calma. Ma è caratteristica nuova, dell'uno e dell'altro, la scelta di forme architettoniche capaci di esercitare sulla gente una suggestione psicologica” . Qui però va detto che la psiche c'entra come il cavolo a merenda, perché è la religione quella che all'artista interessa, intesa come legame con Dio.
'Il ruolo decisivo dell'Idea - ha scritto Sandro Benedetti nel volume testé citato - ha in Bernini un fondamento metafisico: dato che l'artista è strumento della creatività divina. L'accenno, che Dio sia la vera sorgente della creatività, torna molte volte nel diario dello Chantelou: Il cavaliere (Bernini - N.d.R.) ha detto che Dio era l'autore: che prima di mettersi al lavoro s'era raccomandato a Lui, e poi tutti i giorni aveva chiesto il suo aiuto per riuscire: che quanto aveva fatto poteva ben dire essere stato Dio ad averglielo ispirato. Coscienza, umile ma elevatissima, della propria creatività, che si estrinseca nella particolare poetica del Concetto... Attraverso essa l'artista può creare quel qualcosa di più, rivelativo dell'essere, con cui oltrepassare la Natura''.
Questi concetti possono già gettare una luce tutta particolare sulle figure “naturali” che occorre a questo punto descrivere, salvo poi capire con una chiave di lettura tratta dal Kircher. Cominciando dal Iato Est scorgiamo un leone che si abbevera accanto a una stupenda palma che svetta fino al basamento dell'obelisco. Il leone - ci ricorda Gino Testi nel suo Dizionario di Alchimia e di Chimica antiquaria - è l'emblema del Fuoco Filosofico, dell'Oro e del Mercurio Filosofico; in quanto abbeverantesi, il leone del Bernini può essere anche simbolo del contenitore dell'Opera, cioè del Vaso Filosofico. La palma ha una valenza numerica occulta che è 50, e il suo nome in arabo è kol, (da cui “collirio”) che significa anche “Tutto” (esattamente come Pan, presente nel nome della famiglia del Pontefice, Pamphili). Nelle Demeures Philosophales, Fulcanelli riferisce una leggenda orientale legata alla nascita di Cristo: Maria, in cammino per Gerusalemme, sedette sotto una palma secca che rifiorì immediatamente fornendo datteri in abbondanza; Dio fece sgorgare lì affianco una sorgente d'acqua viva, e mentre i dolori del parto la tormentavano, Maria serrò strettamente la palma con le mani.
Sotto il Gange si scorge un drago serpentiforme dalle fauci spalancate. Il drago, sempre secondo il Testi, può essere l'emblema dello Zolfo estratto dai corpi, del Fuoco “contro natura”. Secondo Dom Pernety (in Dictionnaire Mytho-Hermetique) il dragone aptero (senza ali) è l'emblema della fissità, come guardiano del “Giardino delle Esperidi” (anche per questo il drago sarebbe stato meglio a Occidente, anziché a Sud-Est), rappresenta la “terra”, questa massa informe e indigesta che nasconde la semenza dell'oro da far fruttificare con le operazioni dell'Alchimia.
Nel lato Sud, dove si scorge la parte posteriore del Cavallo, laddove le rocce si riuniscono in alto, c'è lo stemma di Innocenzo X con la Colomba, e sotto di esso una strana testa di uomo barbuto e ghignante con corna, in cui taluno ha voluto riconoscere la misteriosa effigie del Baphomet templare.
Proseguendo in senso orario, sotto la statua del Danubio, si scorge il Delfino, mammifero legato a Orfeo e ad Apollo, le cui leggende sono fin troppo note.
Sul lato occidentale si affaccia rampante un Cavallo, mitico trascinatore del carro del sole, emblema delle parti volatili che si separano dalla materia in cottura, e ulteriore segnale semantico di un discorso “cabalistico”. In alto, sulle rocce, il Serpente di terra, chiaramente fuori luogo e in posizione troppo elevata, che lo abiliterebbe ad aggredire la Colomba del lato Sud. Il Serpente è per il Testi la Materia Prima dopo la Sublimazione. In ogni caso rappresenta l'umido radicale, l'essenza umida dell'universo e una certa forza serpentina.
Sul lato Nord, alle spalle del Rio della Plata, è raffigurato un Armadillo, che alcuni testi hanno confuso con un coccodrillo molto approssimativo. Che si tratti di un animale raro e insolito, trovato dai conquistadores nell'America centrale e nel Sud America, è provato dall'interesse del Kircher e dei dotti del tempo per le collezioni naturalistiche: non si deve dimenticare infatti che padre Athanasius (il suo nome significa Immortale), era stato l'iniziatore della Galleria del Collegio Romano e del Museo Kircheriano successivamente smembrato nel secolo scorso. E anche probabile che si tratti di un particolare tipo di Armadillo, quello “peludo”, la cui femmina può dare alla luce 12 cuccioli da un singolo uovo fecondato, e che, oltre a essere villoso, come tutti gli animali della sua specie, si appallottola e si difende con la sua corazza impenetrabile. Potrebbe esservi un legame tra l'Armadillo e S.Agnese? Sinceramente le fonti non dicono nulla, ma l'ipotesi merita di essere citata per la sua suggestività.
Sempre sul lato Nord, nella vasca, si scorge il Serpente d'acqua, fra le rocce la parte posteriore del leone, e in alto, sullo stemma del Papa (più grande di quello del lato Sud e con la Conchiglia capovolta) ancora la Colomba con l'olivo.
Resterebbe da dire delle erbe, dei frutti e delle Cornucopie scolpite tutt'attorno al basamento, ma il discorso si farebbe troppo lungo. Meritano di essere citati, tuttavia, i Fichi d'India nel lato Ovest, i quali, per essere mangiati, devono essere privati della buccia spinosa con due tagli a a forma di Tau: il primo orizzontale nella parte superiore, e il secondo verticale e longitudinale.
A questo punto, va esplicitata la chiave di lettura “kircheriana” della Fontana e della Piazza. Per la parte generale, si rimanda il lettore al saggio di Valerio Rivosecchi, Esotismo in Roma barocca (Bulzoni 1982), dove è spiegato come Bernini si avvalse dei consigli del gesuita “per l'esoterica Fontana dei Fiumi di Piazza Navona, allegoria della creazione divina del Cosmo, ma anche del processo conoscitivo che sale dagli emblemi animali... fino alla pura contemplazione del divino nell'aurea Colomba”. L'interesse del Kirche per gli obelischi è sufficientemente documentato nella sua opera monumentale Oedipus Aegyptiacus, pubblicato a Roma nel 1652, ed è certo uno scambio di informazioni tra il gesuita e il Bernini, come è stato dimostrato dal convegno su Kircher svoltosi a Roma nel 1985 (sotto l'egida dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana), i cui Atti sono stati pubblicati dalla Marsilio quest'anno con il titolo Enciclopedismo in Roma barocca.
Il libro di Kircher che ci interessa, tuttavia, è l'Arca Noé, pubblicato ad Amsterdam nel 1675, ma sicuramente a lungo ponderato.
“Per la progettazione dell'Arca - ha scritto Rainaldo Perugini in La Memoria Creativa - (Officina Edizioni 1984), la forma scelta dal gesuita non si avvicina a quella di una nave, ma piuttosto ricorda quella di una capanna a base rettangolare articolata su tre livelli e dotata di una sentina... Troviamo così i rettili ed i serpenti collocati nella sentina e quindi isolati, mentre al primo livello sono posti gli animali feroci e di grandi dimensioni facilmente accudibili peraltro senza dimenticare i problemi di pulizia; gli animali domestici cd i magazzini per le provviste solide e liquide (differenziate tipologicamente) occupano il secondo livello: al terzo, invece, coperto a tetto per aumentarne l'ampiezza interna, sono situate le gabbie degli uccelli e gli alloggi degli Uomini”
“Tutto il sistema dell'Arca funziona effettivamente e la descrizione estremamente particolareggiata del Kircher, che si sofferma a disquisire perfino sulla posizione ottimale di porte e finestre, contribuisce a dare una visione globale estremamente efficiente. Osserviamo nel contempo che, dal punto di vista più propriamente simbolico, la distribuzione degli animali e degli uomini nei tre livelli ascendenti, sia pure apparentemente dettata da precise esigenze funzionali, rivela contestualmente echi di tipo neoplatonico-evolutivo”.
I canoni dell'Arca, che il Kircher assimilava alla forma del corpo umano, erano: lunghezza pari a sei volte la larghezza e dieci volte l'altezza. Queste misure identificavano 36 “spazi” funzionali con altrettanti loci mnemonici per le razze animali. Bernini si avvale della pista dello stadio di Domiziano, lunga 240 metri per 60 (lo stadio intero era di m. 275 per 106 e aveva una capienza di 80.000 posti), e, probabilmente, aveva fatto disegnare una pavimentazione che restringesse l'ellissi fino a un lato minore di 40 metri. Nessuna fonte parla dell'altezza dell'obelisco né di quella della Fontana, perciò occorrerebbe verificare se l'altezza totale del monumento sia di 24 metri.
Il legame indissolubile con l'Arca, comunque, è dato dalla Colomba con il ramoscello d'olivo di cui parla il Genesi al capitolo otto, versetti 7-12. Su questi argomenti, magistralmente trattati da Jacob Bôhme ne L'Aurore Naissante, sono fin troppi i riferimenti alchemici in quanto il buon Noè, per capire se il Diluvio era finito e il livello delle acque calato, manda fuori da una finestrella dell'arca prima un Corvo, poi una Colomba, che ritorna non avendo trovato dove posarsi, poi ancora una Colomba che torna con una foglia fresca d'ulivo, e infine una Colomba che non torna.
Può essere azzardato attribuire più importanza di quanta non ne abbia al lega me fraterno e conoscitivo tra Bernini e Kircher? La risposta il lettore può darsela da solo, pensando che il gesuita mori il 27 novembre 1680, e l'Artista il giorno dopo.
Molto ancora sarebbe da dire sulle analogie esistenti tra la Fontana dei Fiumi e la Chiesa di S.Agnese, ma per non esulare dai limiti di questa pubblicazione, occorre ricordare che:
1) Bernini collocò il suo monumento non al centro esatto di Piazza Navona, ma spostato di qualche metro verso Sud, e quindi verso S.Agnese, ma non tanto da a far toccate la Chiesa dall'ombra “portata” dall'Obelisco, che serviva indubbiamente da meridiana, al pari di tutti gli altri di cui Roma è ornata:
2) La pianta di S.Agnese richiama quella della Fontana e ha stranamente i suoi due punti principali a Sud e a Nord, lungo l'asse solstiziale dove sorgono rispettivamente gli altari dedicati a S.Sebastiano (il cui martirio per mezzo di frecce ricorda la forza erculea debilitata) e a S.Agnese.
In conclusione, merita di essere citata la lapide posta sulla statua di questa Santa (il cui nome ricorda sia il Fuoco, sia l'Agnello): INGRESSA AGNES HVNC TVRPITVDINIS LOCVM ANGELVM DOMINI PREPARATVM INVENIT.

_______________________________________

 

COMMENTA QUESTO DOCUMENTO