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«Oriente Eterno»: due parole che frequentemente ricorrono nella fraseologia tipica della nostra Famiglia, due parole che sprofondano l'animo nella concettualità più misteriosa. Forse non vi è tema che lasci il pensiero umano tanto sgomento, incerto, titubante. L'argomento implica necessariamente un intreccio di considerazioni che promanano da conoscenze religiose, filosofiche, naturalistiche. Gli aspetti possono ricondursi a tema di fede, in campo religioso; a razionalismo metafisico, in campo filosofico; ad osservazioni fisiche, in campo di natura-materia.
È stato detto, a ragione, che il nostro secolo è troppo affaccendato per potersi occupare del mistero della morte, di ciò che ad Essa possa o non possa seguire.
È ormai cospicuo il numero di coloro i quali, volgendo le loro cure e sollecitudini alle risorse materiali ed agli onori che la vita esteriore offre, trascurano le problematiche di ordine spirituale che la esistenza propone anche in proiezione futura. Persino le Chiese e le Religioni, il cui scopo prevalente dovrebbe essere la meditazione sull'eterno destino, sembrano dedicare le loro migliori energie all'aumento dei consensi o, nella migliore delle ipotesi, a rendersi utili alla convivenza sociale. Il che sarebbe positivo ed auspicabile se non servisse a relegare in secondo piano l'atto più religioso dell'esistenza: la riflessione sul destino dell'uomo.
«Virtù grande è il non temere la morte, di guisa che la sua immagine non sia di impedimento a ciò che è nostro dovere: operare nella vita».
Tuttavia l'esistenza non andrebbe considerata solo come una successione di atti volti al raggiungimento di esiti materiali, ma piuttosto come una tendenza al raggiungimento di esiti spirituali nel presente ed ancor più nel futuro, quando il corpo, dissolvendosi, lascia la propria eredità spirituale su questa terra.


Il problema dell'immortalità non può essere abbandonato, né alle dogmatiche predicazioni religiose né alle facili negazioni di un naturalismo scientifico strettamente empirico; a questi due estremi stanno due categorie di persone per le quali, l'una per l'altra, tale questione non sussiste e sono, in egual misura, al coperto da ogni dubbio: da un lato coloro che sono portatori di una certezza assoluta ed immutabile, derivata dalla rivelazione fideistica di Verità definitive; dall'altro gli alfieri del positivismo, per i quali la sopravvivenza post-mortem è una ipotesi nata morta, una questione indiscutibilmente risolta in senso negativo. Il quesito quindi dell'immortalità può sussistere per coloro che, pur vivendo le più alte aspirazioni dell'animo, hanno bisogno di un rigore scientifico. Ma in che senso va intesa questa ultima espressione «rigore scientifico»? va forse considerata come un ricorso al metodo razionale per comprovare l'esistenza di una vita ulteriore, o non piuttosto, per noi massoni, quale richiamo alle folgoranti intuizioni, se pur prive di un sostegno razionalizzante, di cui è costellata la nostra esistenza? Siamo per questa seconda spiegazione in quanto ci sembra non utilizzabile il metro razionalistico per focalizzare entità non misurabili scientificamente.
In realtà quando si parla di immortalità ci si riferisce alla immortalità dei Valori, nel senso che dell'Essere Umano e della Sua Opera sopravvivono e si evolvono soltanto questi.

Noi siamo, si, vivi, e tale realtà percepiamo, ma da dove veniamo, dove andiamo non lo sappiamo. La nostra intelligenza è sconfitta dal Mistero; la nostra intelligenza è finita; essa vaga, con la sua limitatezza conoscitiva, nella infinita creazione dell'universo. La nostra vita, che è vita in quanto scaturita da eventi, è la vita stessa dell'universo poiché il nostro corpo (materia) è la materia stessa dell'universo. La vita è trasformazione perché la materia è trasformazione; la vita è divenire, divenire eterno ed anche la morte non è altro che un aspetto diverso della vita. Nell'Universo non vi è nulla di morto ma tutto è vivo, tutto in continuo mutamento. Vita e morte sono apparenze diverse che sfuggono alla nostra mente, ai nostri sensi, perché la nostra mente, i nostri sensi sono parte nascente e morente della nostra forma corporea, del nostro piano materico.
Noi non siamo in grado di conoscere con la nostra ragione, quel fenomeno continuo che si dipana ogni giorno sotto i nostri occhi: la nascita, cioè, e la morte.
La morte e la nascita rappresentano, nel lungo cammino dell'uomo, l'aspetto più singolare di una sconcertante realtà mista a visioni ultraterrene. Già dalle epoche le più remote, allorché l'uomo ha incominciato a dare sepoltura ai suoi simili, vi era, nell'individuo, la percezione di un sentimento proiettato in una dimensione al di là della realtà in cui si muoveva; anelito all'immortalità oltre il passo della morte.
In tutte le epoche, in tutte le religioni si riscontra una certezza di vita ultraterrena, un desiderio cioè che si manifesta in forme più o meno coerenti con la realtà della vita vissuta. L'Ade (1) presso i Romani, il Paradiso (2) e l'Inferno (3) del Cristianesimo, stato di Nirvana o beatitudine eterna nell'annichilimento del proprio IO in seno all'Essere Universale nel Buddismo, Paradiso edonistico nell'Islamismo (4) sono sinteticamente le espressioni di concezioni mistico-religiose dell'al di là che si possono concretizzare con la codificazione ed il rispetto di norme di vita terrena più o meno dogmatiche.

La sperimentazione non ci dice se esiste l'al di là; l'al di là è una creazione di noi che viviamo. Nell'espressione «oriente eterno» è implicito il concetto dell'infinito e questo è un concetto primitivo che presenta aspetti vari e rientra nel quadro di quei fatti relativistici che sono stati osservati da antico tempo; fatti che fanno dubitare della stessa esistenza fisica, della stessa esistenza materiale vista appunto da una concettualità relativistica.
Nascita e morte, tempo e spazio tolgono alla razionalità umana quella possibilità, implicita in ogni ricerca, di afferrare la verità, la certezza. Quid ante, quid post? sono interrogativi ai quali non può corrispondere che una intima ricerca soggettiva da parte di ogni essere intelligente.
Assume rilevanza l'ottica nella quale ci si pone; si può partire da alcune semplici considerazioni sulla coscienza dell'uomo, intesa come affermazione dell'IO individuale e nello stesso tempo rappresentazione, da parte dell'IO, di altre individualità a lui estranee ed esterne. La coscienza individuale esplica la propria facoltà di ricevere, connettere, rielaborare e ricordare dati; ci si domanda se tale IO capace di attività psichica, di giudizio, di libera scelta, possa annullarsi dopo la morte. Propendiamo per il no: intendendo che la esistenza temporanea sia conferma dell'essere, che la psiche sia facoltà sottile dell'essere.

Pensiamo che i FF:. Massoni abbiano un rapporto dis-alienato con la morte perché se ne sono riappropriati. Nella società profana non c'è possibilità di realizzare cosa significa morire. Per i Fratelli esiste invece un punto di demistificazione della morte: l'iniziazione. Possono in seguito decidere della loro vita totalmente coscienti. È necessario entrare in rapporto con la propria morte e uno dei modi è attraverso la meditazione nel Tempio.
Tempio: rappresentazione dell'universo, punto di incontro fra macrocosmo esterno e microcosmo interno; i suoi Simboli catalizzano «Id quod est superius est inferius» L'Oriente eterno è uno di questi simboli.
Dove è la Luce ivi è la Forza. Dove è il Fuoco ivi è anche la immutabile origine di ogni trasformazione. L'Uomo è trasformazione. Noi diciamo infatti: «il fratello è passato all'Oriente Eterno». Il Fratello non muore; noi avvertiamo solo che un anello della Catena (5) si è spezzato. La Parola, cioè la comune Fede, è smarrita. Il fratello passato all'Oriente eterno ci dà quindi ansia di ricerca che non è mestizia. Ci da fiducia il fatto che la Parola è solamente «smarrita» e quindi esiste. Dipende solo da noi il ritrovarla. Noi sostiamo ancora in ricerca. Poi fissiamo ed usiamo ancora il compasso. Lui fisserà, all'oriente eterno, ciò che la sua Iniziazione gli farà sentire: sarà una nuova percezione della nostra perfezione? Con quale involucro corporeo o meno avvenga questo noi non sappiamo perché non lo possiamo sapere. Degli infiniti involucri noi ora siamo limitati ad uno solo. L'affetto terreno di questo ci dà il dolore della dipartita. Il ricordo di questo sopprime il dolore: è vita. Il ricorso, quindi, supera l'affetto: vale a dire che la vita esclude la morte. Il Fratello lascia il vuoto di un anello spezzato della Catena: è il richiamo affinché un altro Fratello colmi questo vuoto. A noi lascia un compito di perfezione: la dipartita di un Fratello è precisa indicazione di dovere per i Fratelli che rimangono.

La perfezione di questo dovere di tutti è in tutti. Il passaggio all'Oriente eterno è trasposizione di Luce. Dove è la Luce ivi è la Forza. Dove è il Fuoco ivi è anche la immutabile origine di ogni trasformazione. Chi è destinato a trasformarsi incessantemente non potrà mai comprendere cosa sia questa trasformazione. L'avverte non per erudizione, ma per intuizione.
L'anello della catena è spezzato ma un Fratello che si sostituisca a chi è uscito può rinsaldarne la compattezza. La Parola non è svanita, è soltanto perduta.

        

 


 

 

1. Ade: presso i Greci antichi è la denominazione del regno d'oltretomba e prende il nome dal dio omonimo, detto anche Plutone. Lo si immaginava in una immensa caverna sotterranea che, secondo la leggenda, comunicava attraverso il mondo dei vivi per mezzo di una grande porta.
Nel X canto dell'Odissea si dice che è attraversato da vari fiumi tra i quali l'Acheronte, il Piri-Flegetonte, il Cocito (quest'ultimo sarebbe una diramazione dello Stige).

2. Paradiso: termine che deriva dal greco e significa «giardino», «parco». Nella Bibbia dei Settanta è denominato Eden, cioè il luogo nel quale Dio pose Adamo ed Eva. Nei testi del Nuovo Testamento il termine Paradiso appare soltanto tre volte; nello Zoroastrismo è denominato «Casa dei Canti» e, nell'Islamismo, «ganna» (giardino) e indica il luogo dove i beati godranno piaceri sia intellettivi che materiali.

3. Inferno: termine che deriva dal latino e significa «che sta sotto»; in genere indica il luogo destinato ai morti.

4. Islamismo: il termine arabo «Islamismo», che significa «dedizione a Dio», «abbandono alla volontà di Dio», è il nome della religione monoteistica fondata da Maometto (570-632) ed esposta nel Corano, il libro santo dell'Islam. L'islamismo si basa sui tre dogmi: 1) della Unicità di Dio (Allah); 2) della Rivelazione di Dio attraverso i Profeti; 3) del Giudizio Universale. 1 suoi precetti fondamentali sono: 1) la professione di fede (shahada); 2) la preghiera rituale da recitarsi cinque volte al giorno (salat); 3) il digiuno (saun), durante il mese di Ramadan; 4) l'elemosina (zakat); 5) il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita (hajj). L'Islamismo si divise, 25 anni dopo la morte di Maometto, nelle sette dei Sunniti, degli Shiiti e dei Karigiti e, successivamente, in molte altre sette tra cui quelle degli Ismaeliti, dei Carmati, dei Drusi, dei Nosairi, del Babismo, del Bahaismo. Questi alcuni princìpi tratti dal Corano: Sura del Giudizio universale: Quando avverrà ciò che deve avvenire, il cui avvento nessuno può smentire, che umilierà gli uni e esalterà gli altri, quando la terra sussulterà violentemente, ed i monti stritolati completamente diverranno pulviscolo dissipato, in quel giorno i cieli saranno come bronzo fuso, e i monti andranno dispersi come bioccoli di lana colorata.

5. Catena: supporto massonico che i fratelli ottengono formando un cerchio, incrociando le braccia e stringendo le mani dei Fratelli vicini.