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Il vuoto e l'etere

 "Dirindrin"

Anonimo Spagnolo secolo XII

 

 

Jean de Pauly. [15a] É scritto (Genesi I,1): Be-re'šit, con il principio. Prima di tutte le cose, il Re rese possibile la trasformazione del vuoto in un etere trasparente (Tiqouné Zohar XV), fluido imponderabile, simile alla luce proveniente dai corpi fluorescenti. In seguito, grazie ad un mistero dei più profondi dell’Illimitato, questo fluido si trasformò in un gas privo di ogni esteriorità aeriforme; non bianco, non nero, non rosso, non verde, né di alcun colore. Fu quando Dio diede alla materia dei contorni [il passo tradotto parola per parola:" Quando tracciò una corda (ahycm dydm).[La parola corda non deve essere intesa nel senso stretto del termine, trattandosi di sartia di piccolissimo diametro che si tende fra due punti per tracciare una linea dritta, quindi il passo è da intendersi: quando allineò degli elementi."], che anche diede inizio alla diversità dei colori, i quali, in realtà, non esistono nella materia, ma sono causati dalle modificazioni che subisce la luce secondo i corpi che essa illumina. Nella luce esiste, infatti, un'onda che è la causa attiva della varietà dei colori in questo basso mondo.

L’Infinito, grazie ad un mistero dei più inaccessibili, colpì lo spazio con il suono del Verbo, sebbene le onde sonore non siano trasmissibili nel vuoto. Il suono del Verbo funse, dunque, da origine alla materializzazione del vuoto (Vedere al foglio 16b). Questa materializzazione, in ogni caso, sarebbe rimasta per sempre allo stato di imponderabilità, se, al momento di colpire il vuoto, il suono del Verbo non avesse fatto scaturire il punto lucente, origine della luce, che costituisce il mistero supremo e la cui essenza è inconcepibile. È per tale ragione che il Verbo è chiamato Principio, dal momento che è l’origine di tutta la creazione.

 

 

Diversi autori, si sono cimentati nella traduzione di queste prime righe dello Zohar che raccontano l’antefatto della creazione, ma non tutte le versioni concordano. Per testimoniare la difficoltà dei contenuti del testo, ma soprattutto per segnalare la complessità della lingua originale si raccolgono, a beneficio del visitatore esoterico, alcune di queste traduzioni di noti studiosi.

 

Scholem: all’inizio, quando la volontà del Re cominciò ad operare, tracciò dei segni nell’aura celeste.

Una fiamma oscura, la più nascosta dal mistero dell’Infinito, scaturì nella sfera, simile a nebbia che si forma nell’informe, accettata entro l’anello (di quell’aura), non bianca, non nera, non rossa, non verde e di nessun colore. Solo quando quella fiamma acquistò una misura ed un’estensione, produsse colori. Nella parte più interna della fiamma, nascosta nella misteriosa segretezza dell’Infinito, scaturì una fonte da cui eruppero colori su tutto ciò che stava sotto di lei. La fonte si sparse e nondimeno non si sparse nell’etere che la circondava e fu completamente irriconoscibile; fin quando, a causa del suo impeto, non brillò un sommo punto nascosto. Di là di questo punto nulla è conoscibile, ecco perché Rechith è la prima parola della creazione, la prima tra quelle dieci con cui tutto è stato creato.

 

Charles Mopsik: improvvisamente, la determinazione del Re lasciò una traccia del suo ritirarsi nella trasparenza suprema. Una fiamma oscura zampillò dal fremito dell’Infinito, nel Chiuso del suo Chiuso. Come forma nell’informe, iscritta sul sigillo. Non bianco, non nero, non rosso, non verde, né di alcun colore. In seguito, quando egli regolò il commensurabile fece apparire dei colori che illuminarono il chiuso. Dalla fiamma zampillò, allora, una sorgente a base della quale apparvero le sfumature di questi colori. Chiuso nel Chiuso, fremito dell’Infinito, la sorgente penetra e non penetra l’aria che la circonda e dimora inconoscibile. Fin quando, a causa dell’insistenza della sua apertura, essa generò un punto tenue, chiusura suprema. Da questo punto è l’Inconoscibile, così è chiamato inizio, vale a dire primo di ogni cosa.

 

Moise Cordovero: nel tempo primordiale, vale a dire quello del Re nel suo zenit supremo, egli incise un punto.

Una fiamma oscura zampillò all’interno del Chiuso che iniziava dai confini dell’Infinito; forma nel Golem (materia primordiale) fissata al centro dell’anello. Non bianco, non nero, non rosso, non verde, di nessun colore. Quando egli misurò esattamente fece apparire dei colori per illuminare l’interno. Al centro della Fiamma sgorgò una sorgente, a iniziare dalla quale, giungendo in basso, i colori presero le loro sfumature. Il Chiuso del Chiuso dell’enigma dell’Infinito, tentò di perforare, ma non perforò la propria aria circondante, dimora sconosciuta. Fino a quando, a causa della potenza della sua apertura, un punto si illuminò, chiusura suprema. Al di sopra di questo punto nulla è generato, per questo è chiamato Rechith, inizio, prima parola di ogni parola.

 

Siméon Labi: in Principio (o nella testa) la parola del Re tracciò dei segni nella più alta trasparenza. Uno scintillio di tenebre (l’autore, forse, intende fare riferimento alla luce nera) emerse dal centro del Chiuso del Chiuso, oltre la testa di Aïn Soph; attaccato al Golem (o materia informe primordiale) collocato nell’anello. Esso è non bianco, non nero, non rosso, non verde, non ha colore. Quando fece una misura determinò dei colori per illuminare il centro dello sfavillio. Scaturì una sorgente, a principiare dalla quale i colori si disposero più in basso. Questa sorgente rimase chiusa al centro del Chiuso, fino a quando, grazie alla forza dirompente della propria apertura, si illuminò un punto, chiusura suprema. Oltre questo punto più nulla è dato conoscere, per questo è chiamato Rechith (principio), prima parola.