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Conveniamo, d’accordo con la scienza filologica, che i segni della scrittura primitiva sono stati dei geroglifici. Caratteri, questi, sufficienti all’umanità fin quando la propria intelligenza non si elevò sopra le idee, o meglio sopra le rappresentazioni mentali in rapporto con dei semplici oggetti concreti. Ma quando questa intelligenza giunse a nozioni astratte, anche delle più semplici, i geroglifici, pura rappresentazione dell’entità sensibile, non furono più idonei alle necessità d'espressione dell’uomo; fu così che il segno, da geroglifico qual era, divenne propriamente ideografico.

É, per fare un esempio, quanto avvenne con il geroglifico del Leone, il quale divenne il simbolo ideografico della Forza e del Coraggio; o come quello del Serpente, che terminò con il corrispondere alle idee di Scaltrezza e di Malizia.

É evidente che, aumentando l’uomo rapidamente il proprio tesoro d'idee astratte, i caratteri primitivi non furono più sufficienti, ed egli fu necessitato, continuamente, ad aumentarne il numero; fino al punto in cui essi giunsero a sorpassare le possibilità della memoria umana. Un simile evento, possiamo costatarlo nelle due lingue in cui il modo di scrittura ideografico era in uso: l'Egizio e il Cinese. Idiomi, questi, nei quali i caratteri scritturali si contano a centinaia per il primo e in migliaia per il secondo.

Se il rapporto di quantità, tra le due, è nettamente a vantaggio della lingua Cinese, lo è perché il popolo chiamato "Figli del Cielo", per natura intellettuale e filosofico, si trovò nella necessità di affrontare ed esprimere i concetti più elevati e più astratti della metafisica, mentre l’Egiziano religioso, più vicino al pratico che al filosofico, si accontentò (almeno per quanto emerge dai testi in nostro possesso), di esporre sia delle teogonie sia delle preghiere, in cui ritornano pedissequamente gli stessi termini, o anche delle narrazioni storiche, comunque, per natura sempre concrete. Questo, però, non impedì, al popolo egizio di utilizzare, parallelamente a questa scrittura sacra, un altro tipo scrittura, detta Demotica, impiegata per i bisogni della vita quotidiana, la quale era costituita da dei veri e propri caratteri alfabetici.

É a quest'ultimo tipo di scrittura che, presto o tardi, occorre necessariamente giungere, sia per la rapidità sia per la semplicità di rappresentazione: in altre parole sostituire i segni ideografici con i simboli fonetici o alfabetici analoghi; non più tendere, quindi, alla raffigurazione dell’oggetto stesso, o all’idea che gli suggerisce, ma ai suoni che, nella lingua parlata, evocano l’immagine dell’oggetto o la nozione corrispondente.

Però gli stessi alfabeti differiscono considerevolmente fra loro; e non intendiamo, dicendo questo, sottintendere la forma dei loro caratteri, necessariamente condizionati da quei geroglifici da cui essi sono derivati, ma dal numero di questi segni.

Se alcune si sono accontentate di una quantità di segni strettamente indispensabili all’espressione della lingua, altre, per così dire raffinandosi, possiedono corrispondenze per tutte le sfumature del linguaggio. É esattamente quanto si può costatare, per esempio, nel sanscrito, il quale possiede dei caratteri corrispondenti alle vocali lunghe e brevi, alle consonanti dolci e forti, ed anche a delle semplici inflessioni del linguaggio, cosa che gli conferisce un alfabeto di ben quarantotto lettere, senza contare la anusvara, il visarga, e le consonanti doppie, il cui numero, per le più utilizzate, sorpassa centocinquanta. É d’altronde evidente che queste consonanti speciali sono delle abbreviazioni destinate a semplificare la scrittura; prova n'è che fino alla fine del XVIII secolo, si trovano nelle edizioni delle opere greche, una quantità considerevole di simili abbreviazioni per combinazioni di lettere, certamente riprese da antichi manoscritti.

La stessa cosa è per l’alfabeto ebraico, ai caratteri semplici, composti di ventidue lettere soltanto, quindi ridotte, per così dire, all’indispensabile.

Infatti se egli possiede due gutturali forti  : Kaph ( k ) e Qoph ( q ), di cui se ne comprende bene l’utilizzo nella pronuncia moderna (ma che, in altri tempi, corrispondevano, forse, a due fonazioni differenti che, in ogni caso, possiedono ognuna un significato esoterico speciale), esso comprende sotto uno stesso grafèma le labiali P e Ph o F (vale a dire la lettera p); e la Shin (c) stessa, benché  esisti la Sameck (s) sibilante pura, corrisponde tuttavia alle due fonazioni S e Ch, in altre parole ad una sibilante e un'aspirante.

Grazie, quindi, al suo alfabeto, come anche per la propria costruzione grammaticale, la lingua ebraica si distingue, una volta di più, come una lingua delle più antiche.