L’impresa più rimarchevole, e unica del suo genere per la manifestazione di un’alchimia impiantata nel giudaismo tradizionale e connessa alla scienza delle lettere e dei numeri della qabalah medievale, si trova consegnata in latino nella Kabbala denudata di Christian Knorr von Rosenroth che fu stampata per la prima volta a Sulzbach nel 1677. Il primo tomo di questa vasta opera si compone di due parti. La prima parte contiene un glossario commentato per lo studio della qabalah che si intitola Loci commenes Cabbalistici, “Luoghi comuni cabalistici presentati secondo l’ordine alfabetico avente lo stesso valore dei lessici cabalistici". La seconda parte di questo primo volume contiene quindi la traduzione di diversi trattati dottrinali e polemici. La pagine del titolo di questo primo tomo, in cui la parola Zohar figura al centro in grandi lettere, vuole anche vantare l’autenticità delle fonti letterarie del Loci Communes Cabbalistici. Egli li espone in cinque punti nella seguente maniera:

 

1) La chiave della “Qabalah antica”, vale a dire la spiegazione e la ripartizione fatta in funzione della loro appartenenza agli ordini sephirotici, di tutti i Nomi, soprannomi ed attributi divini, a partire dal “Libro Pardes” (“Rimonim” di Mosè Cordevero).

2) Il libro di “Shà arey Orah”, o Portici della Luce (di Giuseppe Gikatilla), opera della massima utilità presso gli Ebrei, presentata (per temi) seguendo l’ordine alfabetico.

3) “La qabalah nuova”, o il sistema dell’assai celebre cabalista Isacco Luria Il Tedesco, tradotta in latino (Dall’ebraico secondo un documento manoscritto).

4) L’indice dei numerosi materiali cabalistici che sono citati nello “Zohar”.

5) Un riassunto del libro chimico-cabalistico intitolato “Esh mesareph” concernente la Pietra filosofale.

 

 

Il testo Esch Mesareph è stato tradotto e pubblicato dalla Loggia Montesion

Esch Mesareph

 

 

In basso a questa pagina del titolo, una raccomandazione motivata per mezzo di un invito pubblicitario affisso in maniera piuttosto provocante: “Scritto particolarmente utile a tutti i filologi, i filosofi, i teologi di tutte le religioni ed anche ai filo-chimisti." Tali parole di raccomandazione meritano una certa attenzione, giacché siamo in presenza del primo documento che orienta espressamente i “filo-chimisti” verso la scienza dello “Zohar”. Mediante questo inusuale appellativo si possono intendere gli alchimisti, i chimici, i soffiatori o anche i metafisici.

Questi “Loci Communes Cabbalistici” offrono al lettore, in latino, la traduzione fedele e metodicamente elaborata del ventitreesimo capitolo del “Pardes Rimonim” di Mosè Cordovero, cabalista di origine spagnola che scrisse in Palestina, a Safed, nella metà del sedicesimo secolo. In questa preziosa summa, il capitolo ha per titolo “Il portico della classificazione degli attributi divini" e, a parlar propriamente, non si estende ai Nomi divini. Come nota Mosè Cordovero nella breve introduzione a questo capitolo, il fine è quello di riunire tutte le espressioni caratteristiche la cui spiegazione sephirotica è data nello “Zohar”. Si tratta dunque di un lessico zoharico quasi completo, spiegato per mezzo dei testi dello “Zohar”, rinviando anche, se necessario, ai riferimenti talmudici. Lessici di questo genere sono assai numerosi nel sedicesimo secolo, ma contrariamente alle abitudini di altri autori che raggruppavano sempre questi attributi in funzione delle loro appartenenze sephirotiche spesso multiple, Cordevero procede in ordine alfabetico per motivi di praticità

Oltre agli attributi, il lessico in latino si estende anche ai Nomi divini, per i quali i materiali si trovano nei capitoli dal diciannovesimo al ventiduesimo del “Pardes Rimonim”. Tuttavia, in quest’ambito, la fonte principale del traduttore latino è il “Shà arey Orah” di Giuseppe Gikatilla, autore spagnolo contemporaneo del redattore dello “Zohar”, egualmente citato spesso nel “Pardes Rimonim” ma il testo latino ne contiene dei frammenti più estesi che costituiscono dei veri e propri trattati autonomi. Naturalmente, invece di classificare i Nomi divini secondo la loro apparteneza sephirotica come fa' Giuseppe Gikatilla, l’autore del lessico dispone il materiale selezionato secondo l’ordine alfabetico. Ciò è segnalato dalla seconda tavola degli argomenti.

Il redattore del lessico latino non prepara un opera di erudizione per lo studio disinteressato dello “Zohar”, ma considera la qabalah come un cammino esistenziale, in cui per ciò che concerne le regole del comportamento e di azione, il modo di fare segue le più recenti autorità legittime. Per questa ragione, egli riporta in certi casi le innovazioni che attinge dagli insegnamenti di Isacco Luria, come segnala la nota tre nella Tavola dei contenuti in questione.

Il redattore del lessico latino era obbligato ad ampliare il testo del ventitreesimo capitolo del Pardes Rimonim  anche per un’altra ragione. In effetti, questo capitolo sugli attributi divini contiene molteplici rinvii ad altri capitolo del Pardes Rimonim. Per una buona comprensione dei soggetti trattati, bisognava tradurli e incorporarli nello schedario alfabetico dei Loci Communes Cabbalistici. Questi supplementi sono coscienziosamente segnalati nella quarta Tavola dei contenuti. Resta infine il problema delicato del “riassunto" del trattato alchemico che annuncia in questa lista la quinta tavola. Scholem nota a questo proposito che “Hermann Kopp, che è stato fino a questo momento l’unico storico serio dell'alchimia e al quale questo libro ha dato qualche mal di testa, scrisse di aver passato un certo tempo a cercare questo libro nella prima parte della Qabalah Denudata senza trovare alcunchè. Il grande studioso non aveva cercato molto bene e credette di trovare una consolazione ingannandosi sul senso di una osservazione assolutamente giusta contenuta nell’opera alchemica Compass der Weisen secondo la quale il libro sarebbe stato fuso con lo Zohar al punto da diventare del tutto indistinguibile. Senza commentare l’idea di questa fusione dell’alchimia e dello Zohar, Scholem aggiunge un’opinione, probabilmente molto diffusa nell’entourage di Kopp, secondo la quale di tutti i libri d’alchimia l’Esh masareph è il più chiaro, secondo l’anonimo autore del Compass der Weisen, “benché non sia opportuno immaginarsi che vi ci si possa trovare tutto in assoluta chiarezza e con tutte le indicazioni necessarie".

Alla fine dei conti, la reputazione di questo trattato sulla pietra filosofale - che restava introvabile nel primo tomo della Cabbala Denudata, anche per il più esperto tra gli storici dell’alchimia e la cui originale versione ebraica, introvabile oggi non ha potuto essere vista che da Knorr von Rosenroth e da nessun’altro - deve molto a questa pubblicità fatta dalla quinta tavola del riassunto che figura sulla pagina del titolo.

Alla fine del secolo scorso, questi malintesi furono fugati e la ventina di citazioni che Knorr von Rosenroth aveva attinte dal primo all’ottavo capitolo dell’Esh mesareph sono state identificate. Esse si trovano disperse nell’insieme del lessico, a causa dei vincoli alfabetici dei titoli ebraici. Il redattore della pagina del titolo aveva semplicemente dimenticato di precisare questa peculiarità a proposito del trattato alchemico, come egli ha fatto per le altre opere citate. Fortunatamente per noi, i traduttori ebbero la cura di indicare: “Aesch -Mezareph c. X o Y". Grazie a queste indicazioni, la ricostruzione del trattato, altrimenti parziale, può essere fatta in tutta sicurezza. Tuttavia, dobbiamo chiederci se una tale ricostruzione, che andrebbe sino a sradicare gli elementi chimico-cabalistici dell’insieme organico di un thesaurus zoarico, non potrebbe essere considerata come un’intrusione indebita dai compilatori dei Loci Communes Cabbalistici, i quali, così ci sembra, volevano piuttosto che l’alchimia annunciata sulla pagina del titolo dell’opera restasse organicamente innestata sulla scienza dello Zohar, come la qabalah luriana che, a quell’epoca, vi risultava già integrata.

Per finire con questa pagina del titolo del primo tomo della Cabbala Denudata, bisogna rilevare ancora che gli editori di Sulzbach giustappongono in linea diretta la “Qabalah antica" che era per essi lo Zohar, la “qabalah nuova" che è l’insegnamento di Isacco Luria ed il libro “Cabbalistico-chymicus", vale a dire l’Esh mezareph. Questa idea di filiazione diretta tra questi tre elementi si giustifica se noi accettiamo, come essi hanno fatto assai probabilmente, che la qabalah antica fu rivelata dal profeta Elia a Shim’on bar Yohai, che la qabalah nuova fu comunicata dal medesimo profeta a Isacco Luria e che la qabalah chimica sarà completata per mezzo dello stesso profeta nell’era del Messia. giacché bisogna trovare comunque una spiegazione plausibile al fatto che i rabbini cabalisti che erano stati collaboratori di Knorr von Rosenroth in quest’opera monumentale avessero potuto accettare di introdurre nella scienza del santo Zohar delle nozioni chimiche che ciascuno riconoscerà essere insolite in questo contesto. Ora, dopo la diffusione della Cabbala Denudata, non solo questi rabbini saggi hanno mantenuto il loro sostegno a Knorr von Rosenroth,ma anche, grazie alla loro collaborazione, apparve una nuova edizione dello Zohar a Sulzbach nel 1684. Questa seguiva all’edizione di Cremona, con la numerazione delle pagine indicata per mezzo dei riferimenti nei Loci Communes Cabbalistici ed era destinata, senza dubbio, agli studiosi di tutte le religioni.

Per procedere metodicamente, dobbiamo chiederci se il trattato Esh mezareph fosse esistito indipendentemente dal glossario come un’opera completa e se non si trattasse semplicemente di un abbozzo sintetico dei fogli destinati a segnare il primo in un ambito molto poco esplorato in Occidente. Prima che l’opera fosse stata terminata, i fogli sarebbero stati tradotti in latino e il loro contenuto incorporato in questo lessico. Lo storico non deve disprezzare sotterfugi di tal fatta, giacché  una cosa analoga - in circostanze differenti, ovviamente - aveva segnato gli inizi della qabalah in Provenza nel dodicesimo secolo, all’epoca dell’arrivo dall’Oriente dei fogli sparsi di un trattato incompleto che i primi cabalisti chiamavano il Midrash de Rabbi Nehunya ben Haqana e che fu indicato più tardi come il Libro Bahir. Nell’undicesimo come nel diciassettesimo secolo, la finalità vera e propria non è quella di fornire un’opera di riferimento compiuta, ma piuttosto di offrire i primi rudimenti di una dottrina in vista di diverse possibili elaborazioni dei nuovi metodi.

Per ciò che concerne la lingua originale di questi frammenti di capitoli, l’avvertimento che è stato espresso da Sholem dovrebbe essere accettato senz’altro come autorevole: “I modi così come il contenuto provano in maniera assolutamente chiara che Knorr von Rosenroth aveva certamente sotto gli occhi un manoscritto ebraico e non una versione in latino o in altra lingua dell’opera". Inoltre egli aggiunge: “Attraverso il modo di traduzione assai letterale di Knorr - che non è sempre del tutto esatto - si vede trasparire l’idioma ebraico in tutti i passaggi che non sono di interesse meramente chimico, passaggi sulla cui traduzione non so esprimermi. In compenso, egli aveva precisato che a suo avviso Knorr è il solo di cui noi possiamo affermare con certezza che ha potuto studiare l’originale versione ebraica.

Quanto alla datazione dei suoi frammenti, di certo, si può arguire che per l’unica citazione dello Zohar che vi figura noi vi troviamo un rinvio alla numerazione delle pagine dell’edizione di Cremona la cui data, che è il 1560, servirà da termine “post quem". Ma non è escluso che si tratti solo di un semplice conformarsi agli altri riferimenti dei Loci Communes Cabbalistici, che impegna solo la coscienza professionale degli editori di Sulzbach.  Le due o tre ricette chimiche che incontriamo in questo thesaurus sotto il titolo keseph (argento) sono introdotte dalla formula: “Nell’Arte metallica".

 

Rabbi Mordechai scrive a proposito dell’argento nella seguente maniera. Bernard Suler è stato il primo a riconoscere in costui il figlio di Leone di Modena, che abbiamo già menzionato a proposito degli alchimisti di origine giudaica. Secondo Scholem, se questa ipotesi si dimostrasse fondata, la redazione del trattato dovrebbe essere situata tra il 1620 e il 1660, e “sarebbe pervenuto nelle mani di Knorr poco tempo dopo la sua redazione". Ma dopo avere esaminato i componenti di queste ricette chimiche, Sholem ha aggiunto, mosso da una preoccupazione di rigore: “Certamente nessun elemento contenuto nelle citazioni di cui si dispone corrobora una datazione così tarda". Tuttavia l’argomento il cui valore è legato al nome e all’identità di Rabbi Mordechai concerne in realtà solo dei brani di accompagnamento presi a titolo d’esempio e che non hanno alcuna connessione tematica interna o stilistica con la corrente agadica o speculativa del pensiero che alimenta i frammenti provenienti dal trattato propriamente detto. In compenso, a nostro parere, la redazione di questo dovette essere più tarda di quanto abbia ritenuto Sholem, probabilmente in un’epoca che fu segnata da una fervente attesa messianica, dopo l’anno 1660. Noi sappiamo che Knorr von Rosenroth pubblicò la sua opera alchemica intitolata Conjugium Phoebi et Palladis nel 1677, lo stesso anno del primo volume  della Qabalah Denudata. Sarebbe illogico supporre che i rabbini collaboratori di Knorr preparassero nel medesimo tempo e parallelamente le schede alchemiche dell’Esh mesareph, diciamo tra il 1666 e il 1677?

Cercando di cogliere con precisione le idee del redattore di queste schede, Sholem vi aveva distinto un triplice contenuto: “Uno di natura meramente cabalistica che riguarda i metalli e la loro associazione alle sephiroth senza che lo Zohar sia citato più di una volta; il secondo puramente chimico che riferisce, senza alcun rapporto con le altre parti, alcune operazioni e processi; e infine la terza di natura astrologica e vistosamente menzionata alla fine di ogni capitolo in cui è descritto l’amuleto planetario del metallo corrispondente e che offre degli elementi per scoprire l’origine di tutto il testo nel suo insieme. Quest’ultima parte generalmente è posta in relazione, in maniera più o meno felice, con la prima mediante l’espediente di una sfrenata mistica dei numeri (gimatreya)".

Per ciò che concerne la dottrina puramente cabalistica, i principi del metodo sephirotico che il redattore del trattato si propone di introdurre nella “saggezza naturale" la cui intelligenza illumina l’alchimia sono definiti in tra punti:

a) “Sappi che i misteri di questa saggezza non sono differenti dai misteri superiori della qabalah",

b) “Il conto delle categorie nella Santità - cioè il numero dieci -, rappresenta anche l’impurità; e le sephiroth che sono nell’Asilut (il mondo della prossimità), sono anche nella Beriya (il mondo della creazione), nella Yetzirah (il mondo della formazione) e nella Asiyah (il mondo della fabbricazione);"

c) “queste categorie sono fondamentalmente le medesime nel regno di solito detto minerale, benché in alto la loro eccellenza sia più grande".

 

Per riassumere l’obbiettivo che si persegue in ragione di questo metodo sephirotico, sarebbe comodo citare il sotto tiolo di un’opera di questa corrente della qabalah alchemica: “Come, seguendo le indicazioni delle sephiroth, deve intervenire la mutazione dei metalli, al fine di produrre oro e argento". Tuttavia è possibile che il redattore di questo trattato abbia avuto un’idea più elevata della vocazione della sua scienza e della sua arte e abbia mirato anche ad un lavoro puramente interiore per il quale i mezzi esteriori non possono essere nulla di più che aiuti ed appoggi.

Quanto ai due schemi sephirotici che sono descritti nel trattato, ciascuno di essi registra le entità alchemiche scelte ponendole all’interno del pleroma dei dieci numeri informali. Il primo di questi schemi, che è definito come “la chiave per aprire la maggior parte degli accessi chiusi" e grazie alla quale si è aperta “la porta dei santuari più intimi della natura", è paragonabile ad un albero rovesciato avente le proprie radici in alto e la cima in basso. “La radice metallica" ed il “piombo" occupano i posti della prima e della seconda sephirâ mentre “l’argento vivo" e la “medicina dei metalli", altrimenti detta la pietra filosofale, si trovano agli ultimi dei gradi inferiori della scala sephirotica. I prototipi sephirotici del “mondo della prossimità" si leggono nelle realtà chimiche del "mondo della fabbricazione" come in uno specchio invertito: ciò che è pesante come il piombo vola in alto e ciò che è sublime come la medicina dei metalli è attirato verso il basso. Sottolineando l’importanza di questa disposizione, l’autore dichiara che “se qualcuno ha disposto tutto ciò altrimenti, non avrei certamente nulla da obiettare; tutte le cose infatti tendono verso l’unità".

Sholem insiste sul fatto che questo schema non si concilia con alcun altro simbolo sephirotico e si allontana dagli altri ordinamenti alchemici dei metalli in uso: le sephiroth supreme contengono piombo e stagno, il bronzo è dotato di una natura androgina, l’argento vivo gioca un ruolo virile nella ierogamia con la femmina metallica. Il cabalista che ha concepito quest’insieme sembra essere un autentico ricercatore della “saggezza naturale", giacché nessun compilatore della qabalah avrebbe avuto l’idea di impegnarsi in una sintesi di questo genere.

Il secondo schema sephirotico dei metalli si delinea come un albero ritto piantato in un “campo" - soprannome classico della decima sephirâ, Malcouth - nel quale sono gettati tutti i minerali grezzi segreti. Al di sopra di Malcouth che è la “Femmina metallica", la “luna dei saggi", si trovano sei metalli “maschili". Il ferro vi occupa un posto centrale e si trova legato alla “femmina metallica", alla “figlia di Méy-zahabh" mediante il piombo il cui luogo sephirotico è in basso, nella nona sephirâ corrispondente all’organo dell’alleanza della circoncisione. La cima dell’albero è ornata dalle “fonti delle cose metalliche" che sono in numero di tre: l'acqua densa, il sale e zolfo. Malgrado i punti di vista diametralmente opposti a partire dai quali essi furono elaborati, in questi due schemi è riservata la medesima collocazione ai tre metalli, argento, oro e ferro, nella quarta, quinta e sesta sephiroth. Il ferro è concepito come l’agente metallico principale, esso è posto nella sephirâ Tiphereth, luogo del Nome ineffabile composto dalle quattro lettere YHWH. trovandosi sulla colonna mediana, restando al centro tra ciò che è in alto e ciò che è in basso nel mondo sephirotico, il ferro può essere attivati secondo le influenza del lato destro, “modi H'esed" (Amore, argento) o secondo quelle del lato sinistro, “modi Guebourâ" (Rigore, oro). Scrutare Tiphereth “modi Guebourâ" costituisce un grande mistero, secondo la confessione del redattore di questo trattato, “poiché Tiphereth contiene sotto di se il ferro, sotto il quale noi cerchiamo l’oro". Bisogna notare che "l'oro segreto"che i cabalisti vogliono scoprire nella sephirâ Tiphereth non è "l’oro rosso", il metallo sinistro che si trova nella quinta sephirâ, Guebourâ. Essendo sempre la cerniera dell’albero sephirotico, “il ferro si rapporta a Tiphereth: la sua misura (midah) è l’uomo di guerra, secondo Esodo 15,3. Esso ha come nome Zè ir Anpin (faccia irritata) a causa della sua rapida collera, secondo il Psal. 2, ultimo versetto: Baciate i Figli per timore che egli non si irriti e che voi non vi smarriate per la via. giacché subito si infiamma la sua collera; beati coloro che ripongono fiducia in lui!  "Nella scienza naturale questo metallo, barzel, il ferro, è la linea mediana che si stende da un estremo (Kether) all’altro (Malcouth). Esso è il maschio e lo sposo senza il quale la vergine non è fecondata. Esso è il sole dei saggi senza il quale la Luna sarebbe continuamente nelle Tenebre." Per comprendere il ruolo di Tiphereth e di Malcouth, bisogna rileggere il cantico di Mosè (Ex 15, 3-5 e 10): YHWH è un uomo di guerra, YHWH è il suo nome. Egli ha gettato nel mare i carri del Faraone e il suo esercito; i migliori tra i suoi capitani sono stati inghiottiti nel Mar Rosso. Le onde li coprono; essi sono calati al fondo delle acque come una pietra …. Tu hai emesso il tuo alito, il mare li ha coperti, essi sono affondati, come piombo, nel vasto mare. I carri, le armi e le armature che sono affondate nel Mar Rosso come una pietra sono paragonabili alle "cose metalliche" che sono seminate nel "campodella decima sephirâ:

 

Se tu vuoi sondare il fondo del mare, osserva il passaggio dell Esodo 15,10, là dove si mostra la nozione di Malcouth. È dal Mar Rosso che si estrae il sale della saggezza ed è su di esso che le navi di Salomone trasportano l’oro".

 

La parola “uomo" presente in questo versetto si compone di tre lettere: aleph, yud e shin. L’interpretazione sephirotica di questa tre lettere ci viene insegnata da un celebre passaggio del Libro Bahir:

 

Il testo Sepher ha-Bahir è presente in questa stessa sezione

Sepher ha-Bahir

 

 

“Rabbi Amoray dice. Che significa il versetto (Ex 15,3): YHWH è un uomo (ish) di guerra? Mar Rehumay, figlio di Rabbi gli risponde: non chiedere una cosa così semplice. Ascoltami ora ti darò un consiglio. Egli gli dice: a che potrebbe essere paragonato ciò? Ad un re che aveva delle camere molto gradevoli. Egli diede un nome a ciascuna di esse. Una era più bella dell’altra. Il re dice: " Darò a mio figlio questa camera che si chiama aleph, questa bella camera che si chiama yud, ed anche quest’altra piacevole camera che si chiama shin". Che fece egli? Le riunì tutte e tre e ne fece un solo nome ed una sola casa. Egli gli domandò: fino a quando vorrai riservarmi ancora questo linguaggio oscuro? Egli gli rispose: figlio mio, aleph è la testa, yud viene per secondo dopo quello e shin racchiude il mondo intero. E perché shin racchiude il mondo intero? Perché è con essa che si scrive la parola “pentirsi "(teshubhah)".

 

Il ferro che è localizzato in Tiphereth si presenta dunque attraverso il simbolo dell’uomo di guerra che è come una casa che racchiude tre camere: aleph che non appare nella pronuncia corrisponde alla sephirâ Kether, il principio assoluto ed immutabile; yud che corrisponde alla sephirâ H'ocmâ rappresenta l’idea che sorge e si manifesta; shin che si richiama alla sephirâ Bin segna il ritorno (Teshubhah) dell’idea della manifestazione al suo principio immutabile. A queste tre lettere corrispondono nell’uomo tre fasi del soffio vitale: la quiete, “l’espirare", “l’inspirare".

 

Quanto alla qualità “guerriera" di quest’uomo interno,che noi incontreremo più tardi nelle figure di Naaman, di Phinekhas, e del Leviatano escatologico, essa è in rapporto con loro, come lascia intendere un altro celebre passaggio del Libro Bahir:

 

“Che significa il versetto (Agg 2,8): a Me l’argento, a Me l’oro? - parabola. A cosa si potrebbe paragonare ciò? Ad un re che aveva due tesori, uno d’argento ed uno d’oro. Egli collocò il tesoro d’argento alla sua destra e il tesoro d’oro alla sua sinistra. Egli dice: Il primo sarà disponibile, facile a dispensarsi e di calma efficacia; esso sarà destinato ai poveri per trattarli con dolcezza; come è scritto (Ex 15,6): La Tua destra, o YHWH, si è distinta per la sua forza. Se da parte sua si rallegra è bene; se no (Ex 15,6): La Tua destra, o YHWH, annienta il nemico. -Che significa il versetto: “La Tua destra, o YHWH, annienta il nemico?" - Egli risponde loro: È l’oro; giacché e scritto (Agg 2,8): A Me l’argento, a Me l’oro".