"L'uomo è per sua costituzione un essere finito: egli è in effetti limitato nel tempo e nello spazio. Nel mondo materiale che lo circonda per la sua costituzione fisica, non può produrre che degli oggetti finiti e perituri. Perfettamente cosciente della relatività dei suoi mezzi e della precarietà dei suoi sforzi egli soffre della sua impotenza, appunto perché vive in un mondo di relazione e il risultato del suo lavoro è macchiato da una ipoteca fondamentale: la relatività e la momentaneità dei suoi lavori".

 

Lo scritto che si presenta ai nostri visitatori esoterici è opera dell'ingegno del Carissimo F... JEAN SOHIE, ed è stato pubblicato sul numero 8 di "Rivista Massonica" Volume LXV - IX della nuova serie nell'Ottobre del 1974. Ogni diritto gli è riconosciuto.

 

© Jean Sohie

 

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L'uomo è per sua costituzione un essere finito: egli è in effetti limitato nel tempo e nello spazio. Nel mondo materiale che lo circonda per la sua costituzione fisica, non può produrre che degli oggetti finiti e perituri. Perfettamente cosciente della relatività dei suoi mezzi e della precarietà dei suoi sforzi egli soffre della sua impotenza, appunto perché vive in un mondo di relazione e il risultato del suo lavoro è macchiato da una ipoteca fondamentale: la relatività e la momentaneità dei suoi lavori.

Per l'uomo, essere pensante, questo costituisce un dramma, il suo dramma.

Perché l'uomo sogna l'infinito, desidera l'eternità e aspira ad attaccarsi a un assoluto. Nella maggior parte dei pensieri si esprime il bisogno di una conoscenza trascendente, che trova la sua ispirazione nel mito del Fedro di Platone, il quale mostra l'anima facendo sforzo per emergere nelle regioni della luce e spezzandosi talvolta le ali; è nel Timeo che noi riceviamo questa meravigliosa descrizione dell'universo: dal Dio supremo, dalle divinità subalterne dell'anima del Cosmo. I neoplatonici hanno descritto con più precisione come l'anima, questa scintilla divina sperduta nel mondo delle tenebre, si sforza di risalire alle regioni superiori da dove è venuta. Questa redenzione sognata, desiderata dai filosofi e gnostici ispirerà parallelamente i sistemi iniziatici e le religioni di salvezza.

Gli uomini più perfetti, i pensatori, i filosofi, i mistici ci hanno dato la prova di queste ricerche come l'ha fatta Omero nell'Odissea, Virgilio nell'Eneide, Goethe nel Faust, Dante nella Divina Commedia, Victor Hugo nella Leggenda dei Secoli, Bunyan nel Pilgrim's Progress, Jan Amos Komensky (Comenius) nella sua opera didattica e critica «Il Labirinto del mondo e il Paradiso dei cuori».

Queste grandiose avventure sono quasi sempre descritte sotto forma di un viaggio, da cui l'espressione: «Homo Viator». Questi pellegrini dell'assoluto per meglio descrivere le difficoltà a cui sono andati incontro e soprattutto per farsi comprendere dal volgo hanno data questa o quella forma alla loro ricerca e si sono visti costretti a rappresentare, a descrivere, a concretizzare questi sforzi sotto forma di un lungo viaggio, percorrendo il lungo cammino da un luogo a un altro. Come rappresentare questo viaggio, questa ascesa? Con un simbolo. I massoni hanno familiarità con l'uso dei simboli. Simboli accettati e usati da tutti gli iniziati dei due emisferi, simboli che per la maggior parte sono come li illustrano i dizionari di immagini o figure di oggetti fisici rappresentanti un concetto astratto. Noi massoni non ce ne rendiamo abbastanza conto, tanto siamo abituati al linguaggio simbolico usato fin dalla nostra prima iniziazione: come e frequente veder usare nel mondo profano certi simboli come la spirale, il labirinto per indicare l'assoluto e la difficoltà di arrivarvi. Alcuni pittori, certi disegnatori sono a volte riusciti nelle loro opere, a suggerire l'idea dell'orizzonte, della grande distanza servendosi della disciplina della prospettiva e usando la linea retta. Ma la linea retta è geometricamente infinita, il suo disegno, la sua rappresentazione concreta la limita a una porzione di linea retta e l'intenzione di rappresentare il concetto dell'infinito spaziale lascia lo spettatore nella sua aspirazione, paralizza la sua immaginazione, raffredda l'entusiasmo del pellegrino dell'infinito e lo blocca letteralmente sul posto.

Il cerchio, un simbolo che ritroviamo in varie discipline esoteriche non è insomma che la linea curva chiusa su se stessa senza inizio né fine. Questa linea pertanto trattiene un po' lo sguardo. Gli occhi seguono con facilità una circonferenza, l'uomo si lascia distrarre compiacentemente a seguire una pallina in una roulette, ammira il movimento regolare del mulino ad acqua e si diverte a guardare una giostra, forse perché la regolarità e la continuità del movimento così osservato illustrano per un istante quello dell'osservazione fatta, l'eterno ritorno, come lo fa il serpente che si morde la coda, sotto forma dell'Oroboro conosciuto degli gnostici.

Il cerchio chiuso è difatti nondimeno passivo e statico e non permette una evasione. Pertanto il cerchio è diventato per certuni l'immagine, il simbolo dell'assoluto. Esso rappresenta un centro, il sole.

Ma l'uomo si rende conto che fissato alla terra, egli partecipa a una vita cosmica che è lontana dall'essere statica. Si rende conto, e non soltanto dalle sue scoperte scientifiche recenti, che il mondo e lui stesso sono in costante mutazione. Gli Indù hanno illustrato questo fondamentale fenomeno in una delle tre persone della Trimurti o Trinità Indù, tutti e tre essendo degli attributi del Principe originario «Brahma». Si tratta di Shiva il quale è descritto come distruttore ma soprattutto costruttore.

Come gli Indù, i popoli dell'occidente si sono forgiati un'altra immagine della forza infinita, dinamica realizzantesi fuori di se stessa. Questo movimento gli uomini provano a comprenderlo, si sforzano di seguirlo. Essi hanno anche tentato di illustrarlo in diversi modi.

É normale constatare che alcuni iniziati abbiano trovato un modo di esprimere una immagine molto appropriata per indicare così bene la uscita dall'assoluto (dal principio originale) come il ritorno a questo medesimo principio. Tra queste immagini troviamo la spirale e il labirinto entrambe rappresentanti un compromesso tra la dinamica della linea retta e la passività del cerchio o della curva.

Se la linea retta corrisponde alla distanza più breve da un punto ad un altro ed è comunemente descritta come la via larga o facile, la spirale potrebbe ben essere la rappresentazione simbolica di quello che gli iniziati descrivono come la via difficile o la via stretta, via che i massoni preferiscono seguire per attendere al loro ideale. Alcuni la chiamano con ragione la via reale. L'origine di questa rappresentazione, di questo concetto ci è sconosciuta, ma sembra che risalga ai più antichi tempi della coscienza umana e che costituisca una permanenza, quella del ritorno verso il principio, del cammino verso l'ideale, del pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste.

Se i massoni hanno i loro viaggi nelle diverse iniziazioni, essi hanno pure dei cammini particolari o passi rituali. Quello del primo grado corrisponde a un cammino rettilineo. Ai gradi seguenti queste marce testimoniano di una intenzione più estesa nel secondo grado e più universale nel grado di maestro.

Nel corso delle iniziazioni, passi e viaggi variano conservando soprattutto per questi ultimi una identica caratteristica: la circumdeambulazione. Deambulazione nella quale è permesso di ritrovare la spirale. La spirale è una curva non chiusa che si arrotola attorno a un punto di partenza o polo da dove si allontana regolarmente sempre di più.

Curva risultante dall'operazione combinata di due movimenti: rotazione da una parte, estensione o contrazione dall'altra parte. Se la rotazione è nulla, si forma una retta, se invece l'espansione o la contrazione sono nulle, si traccia un cerchio. I due movimenti congiunti generano una spirale o un labirinto, immagine evocatrice, illustrazione simbolica di un paradosso: la dinamica dell'assoluto.

I matematici hanno cercato un segno per rappresentare l'infinito ed hanno scelto l'otto coricato. Pertanto riteniamo che la spirale converrebbe meglio a illustrare questo concetto dell'infinito. In effetti prolungando la spirale verso il centro, verso un punto asintotico (che non si raggiungerebbe mai) o al contrario verso l'esterno si arriverebbe finalmente a raggiungere due valori opposti, uno quello dell'infinitamente piccolo, l'altro quello di un'infinitamente grande. Movimento di involuzione centripeta da una parte, movimento di espansione centrifuga dall'altra. Così un punto della spirale, come Pascal nel suo Sogno, è infatti situato fra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande a seconda che questo punto si sposti verso il centro o verso la periferia.

Nel campo matematico c'è una spirale che presenta delle proprietà rimarchevoli. É la spirale costruita sui tre vertici di un triangolo equilatero detta spirale equiangolare, che taglia tutti i raggi sotto il medesimo angolo: in essa tutti gli archi di curvatura sono simili sempre a loro stessi. In modo che questa spirale cresce senza cambiare forma. Si chiama anche spirale logaritmica; la lunghezza del suo raggio vettore aumenta geometricamente, mentre l'angolo che forma in rapporto alla sua posizione iniziale cresce aritmeticamente. Infine questo raggio vettore si trova moltiplicato a ogni quarto di giro dal famoso numero d'oro e questa spirale è inservibile in un rettangolo aureo.

Il grande matematico Jacob Bernouilli, ugonotto emigrato da Anversa, insegnante a Basilea, che la studiò nel 1698 fu talmente colpito dalla meravigliosa proprietà di questa spirale logaritmica che ingrandendo mantiene la stessa curvatura che egli la definì in latino con la formula «Eadem mutata resurgo», parole che fece incidere sulla sua tomba.

É assai curioso constatare che questa stessa spirale equiangolare si ritrova in natura nelle galassie, nella pigna e nelle conchiglie dei gasteropodi in particolare il Nautilus.

René Huyghe nel suo libro «Formes et Forces» nota che la spirale logaritmica permette alla vita di illustrare un processo di sviluppo pur conservando l'identità e l'unità. Eccellente simbolo dunque, per indicare da una parte l'infinito e dall'altra soprattutto l'assoluto creatore.

Gli indù Visnuiti usano una varietà di ammonite (Shamagrama), la conchiglia marina (Turbinella rupa) come attributo della divinità brahamica Visnù. Anche i buddisti l'hanno adottata. Essa porta il nome sanscrito di Çankha.

Di fronte a questi richiami ci si sorprende a sognare su certi disegni di Leonardo da Vinci. Nella perfetta esecuzione di alcune sue tavole, vi era più che un sogno umanista, vi troviamo pure una riflessione profonda sull'uomo. La conchiglia questa meraviglia della natura, la spirale nello spazio, il labirinto o dedalo nelle costruzioni esoteriche costituiscono altrettanti temi di meditazione che incantarono anche un Paul Valery, come questi ci afferma nel suo capolavoro «Eupalinos o l'Architetto».

Universalità di un simbolismo che ritroviamo presso alcuni Templi soprattutto marini come i polinesiani, i giapponesi, i cretesi e i greci. Le civiltà terriere o agrarie dal canto loro adottano la spirale come tema decorativo. Ne troviamo delle rappresentazioni su degli affreschi paleolitici nelle grotte di Malta e in Africa del Nord, presso i Celti, presso gli Aztechi presso certi popoli dell'Africa Nera quali i Dogons (tribù animista del Mali) e i Bambaras (tribù feticista del Niger). La spirale è presso questi ultimi utilizzata come simbolo di fertilità, significante soprattutto il concepimento. Se per certi popoli primitivi la spirale resta la rappresentazione di bufere visibili nell'aria e nelle acque scatenate dai fiumi e dagli oceani (Tibetani-Cinesi), per altri essa è la rappresentazione della creazione, della fecondazione, della penetrazione dello sperma nella matrice.

Quale è la civiltà che per prima utilizzò la spirale attribuendole un significato più spoglio, più profondo, utilizzandolo per rappresentare il verbo originale e creatore? Senza dubbio non lo sapremo mai.

Dobbiamo ammettere che la rappresentazione della curva spirale è stata adottata da numerosi popoli per evocare il dinamismo creatore dell'essere, la potenza dinamica del cosmo, l'energia fecondante della natura. Spirale, movimento turbinoso risultante dall'azione di una coppia di forze antagoniste, di elementi opposti. Pensate all'immagine molto elaborata che tutti voi conoscete bene e che i cinesi ci hanno lasciato nello Ying e nello Yang.

Se per alcuni la lettura centrifuga della spirale simboleggia il perpetuo movimento creatore dell'assoluto la sua sovrabbondante e dinamica generosità la fa uscire da se stessa per donare la vita, è ammissibile che la lettura inversa rappresenta il movimento di ritorno, quello che partendo dalle manifestazioni raggiunge il principio originale, esprimendo il desiderio dell'uomo di reintegrare il centro creatore, il principio, il paradiso, la Šekinah, il G:.A:.D:.U:.

La spirale o labirinto che d'altra parte sarà qualche volta doppia per simboleggiare il cammino di andata e quello di ritorno, diventerà così il simbolo da una parte del destino umano e dall'altra parte del ritorno dell'uomo verso il principio originale.

Ascensione mistica da una parte dell'uomo vivente grazie a degli esercizi spirituali durante le estasi o da iniziazioni successive e dall'altra parte dopo la morte vi è il viaggio dell'anima in senso inverso verso l'infinito originale, lungo un percorso di eguale lunghezza, lungo una strada difficile che assume l'immagine di una spirale, di un labirinto o di un dedalo.

Pensate alla fine del secondo Faust dove gli angeli si impossessano dell'anima del poeta ricompensato dai suoi sforzi verso il bene, il bello, pensate soprattutto ai cieli e ai circoli degli inferi descritti da Dante nel suo capolavoro sotto forma di due spirali immense e opposte, lungo le quali l'illustre poeta sotto la guida del suo Mentore, Virgilio, arriva, suprema ricompensa, a contemplare finalmente faccia a faccia l'accecante luce della perfezione divina.

Presso certi mistici, in diversi esoterismi, ritroviamo un concetto simile di ritorno al principio, nel corso dei viaggi simbolici attraverso una successione di circoli concentrici (mitraismo, neoplatonismo).

Un ritorno all'origine, una reintegrazione al centro originale non può operarsi che da un movimento identico, ma in senso inverso a quello della creazione o della nascita o dell'incarnazione. La via del ritorno sarà quella dell'andata, percorrendola semplicemente in senso inverso. Come i multipli ritornano all'uno seguendo una via che aveva preso l'uno per creare i multipli e penetrare la manifestazione.

L'assoluto nella maggior parte delle religioni rimane l'«Altissimo». Esso è situato su una sommità, montagna cosmica, monte sacro, monte «Meru» centro o asse del mondo, punto di incontro tra la terra e il cielo. La via del ritorno sarà forzatamente difficile, il pellegrinaggio, la sua sostituzione o il suo equivalente saranno difficili e domanderanno grandi sforzi. La scalata di una montagna si fa più facilmente, non passando in linea retta ma girando attorno alla montagna su un piano meno inclinato, più pedonabile, più accessibile aumentando l'altezza ad ogni circonvoluzione. Meglio, se salendo l'uomo si affatica rallenta la sua marcia in modo regolare, la spirale che seguirà sarà la più perfetta di tutte, la spirale logaritmica. È questo che i testi mistici ci insegnano: più ci si avvicina allo scopo, più l'ascesa diventa difficile; più la sommità si avvicina più il cammino si indurisce a mano a mano che il grande viaggio finisce.

Vi sono delle ragioni occulte e sottili per le quali il viaggio non può farsi in linea retta in questa marcia verso l'assoluto, verso l'infinito, verso l'ideale, verso Dio. Per la maggior parte delle tradizioni Dio non può vedersi faccia a faccia. Camminare diritto davanti a sé è dunque impossibile, come in un altro campo è impossibile pronunciare il santo nome. Bisogna dunque guardare questo centro dal suo lato, camminare di fianco alla montagna e avanzare verso questo punto infinito girando intorno ad esso secondo un angolo costante.

A questo riguardo il cammino del pellegrino dell'assoluto (o il volo mistico dell'anima) è uguale al comportamento delle farfalle di notte, delle falene, intorno a una fiamma. L'occhio di questi insetti è fatto in modo che li obbliga a mantenere con il loro obiettivo un angolo costante. È pressoché una spirale logaritmica che descrivono queste farfalle notturne attorno alla fiamma, prima di raggiungerla e di consumarvisi.

È circa il medesimo tragitto che vediamo percorrere da un cane che si avvicina a un oggetto o ad un essere che teme. Succede spesso così quando si bendano gli occhi di un uomo al quale si domanda di avanzare. Egli non lo fa in linea retta, ma quasi sempre percorrendo più o meno una linea curva o una spirale. Questo è perché abbiamo la consuetudine di dire che il cammino dell'uomo verso l'assoluto è sempre un procedere alla cieca, una traversata della «notte oscura».

Ciò non è dunque senza ragione e siamo giunti a constatarlo in numerose circostanze nelle Indie, in varie sette religiose, di vedere i devoti praticare la circumdeambulazione o «Pradakshina». Io l'ho vista praticare nel rinomato Tempio d'oro dalla massa dei pellegrini Sikhs, che visitava questo grande luogo del «Sikhismo» nella città santa d'Amritsar. L'ho visto fare intorno ad un altare dedicato ai pianeti in un tempio Shivaïta a Kanchipuram nell'India meridionale, l'ho visto praticare soprattutto da dei buddisti sulle Stupas del Nepal.

I mussulmani per i quali è uno dei cinque obblighi fondamentali, devono almeno una volta nella loro vita fare il pellegrinaggio della Mecca. È interessante notare che l'essenziale di questo pellegrinaggio consiste nel fare quello che chiamano la «Omra» che comprende le 7 circumdeambulazioni rapide «Tawaf» intorno alla Kaaba, la pietra nera della Mecca. I mussulmani considerano la Kaaba come il «Tempio del Cuore» o il centro dell'Universo.

Ibn'Arabi nelle sue rivelazioni sulla Mecca descrive la sua ascesa graduale attraverso le sette sfere (i cieli, i pianeti, gli attributi divini) fino al momento in cui l'angelo che l'accompagnava gli disse molto a proposito: «Io sono il settimo grado della mia capacità ad abbracciare i misteri del divenire... Io sono la conoscenza, il conosciuto e il conoscente, io sono la saggezza, il saggio e la sua sapienza ».

Gli specialisti delle civiltà egee ci relazionano su curiosi riti praticati ancora recentemente in certi villaggi dell'isola. Si danzava in occasione di ogni decesso la «tsakouikos» danza che riproduceva la marcia esitante di Teseo nel celebre labirinto costruito da Dedalo.

Marie Gabrielle Wiosen nel suo libro «Danza sacra» (Ed. Seuil) scrive: «La spirale, immagine schematica dell'universo in evoluzione, simboleggia il movimento impresso dallo spirito e mette in evidenza la relazione del cerchio con il centro. Tutte le danze con tema di labirinto o dedalo, imitano il viaggio dei morti, i meandri del cammino simboleggianti le peregrinazioni dell'anima. Il labirinto iniziale tracciato sulla soglia delle grotte e dei santuari diventa le mandala, la via mistica delle religioni della salvezza». Occorre ricordare il simbolo buddistico del labirinto significante la via stretta, tortuosa, difficile che conduce al nirvana?

Potrebbero aggiungersi i labirinti disegnati sulla soglia delle navate centrali di certe cattedrali. Ricordiamo Chartres, Beauvais, St. Orner in Francia, S. Vitale a Ravenna e soprattutto quella di Sant'Adriano a Roma (VI-XII secolo circa). Labirinti anche chiamati leghe o via di Gerusalemme, che i devoti percorrevano dalla periferia verso il centro e generalmente in ginocchio: viaggi simbolici che procuravano loro certi favori o indulgenze, sostituti insomma del grande pellegrinaggio in terra santa, che veniva imposto a riscatto dei peccati.

Nell'isola di Beauté (Corsica) come nell'isola di Creta, ancora oggi, si svolge un rito funebre durante il quale le prefiche eseguono la «Caragola» o danza della lumaca spostandosi lungo una spirale, al centro della quale è il corpo inanimato steso su una barella. Curiosa tradizione!

Più vicino a noi, non molto tempo fa non vedevamo le fanciulle che giocavano a marelle (gioco che in italiano si chiama settimana ma anche mondo e in tedesco Tempel o Himmelhupfen [saltellare verso il cielo]). Esse avevano disegnato con la creta un cosmogramma gigante a forma di chiocciola rappresentante Cielo - Inferno - Purgatorio. Chi ci dirà come questo costume folcloristico ci sia venuto dall'antica Roma?

Proprietà magica del gioco dell'oca (di origine greca e orientale) con disegno a forma di spirale dove il segno dell'oca conduce i giocatori di 9 in 9 caselle in modo da permettere di giungere alla 63.a casella (7 x 9).

Nei nostri rituali non troviamo allusioni dirette alla spirale, ma abbiamo i nostri viaggi spesso differenti in certi dettagli, ma paragonabili per un carattere comune. I viaggi nei nostri templi hanno un carattere simbolico commentato dai rispettivi rituali, inoltre praticamente tutti i viaggi massonici ci fanno percorrere una circumdeambulazione secondo le sfere di un orologio (destrogira) che ha come risultato che ci permette di lasciare la periferia o l'entrata del tempio, per riavvicinarci al centro, che simboleggia il centro del mondo. I nostri viaggi si fanno sempre sotto la guida del fratello esperto o del fratello maestro delle cerimonie, veri messaggeri designati dal maestro venerabile per guidare gli iniziati nella loro marcia centripeta. Questi dignitari sono i rappresentanti attuali di quelli che i Greci e i Romani designavano nella loro mitologia con Ermete e con Mercurio. Questi ultimi erano muniti di una bacchetta o verga chiamata Caduceo (emblema di pace) ed erano incaricati di condurre le anime dei dannati verso la loro ultima dimora: gli inferi, o di canalizzare gli eletti verso il Paradiso o Campi Elisi. È diventato tra le mani dei diaconi o esperti delle logge inglesi una canna lunga sormontata da una colomba.

Questa colomba è per alcuni un richiamo al simbolo delle ali che Mercurio portava ai suoi talloni e sul suo casco (il petaso). Questo per significare la velocità che doveva mettere nell'esecuzione delle missioni che gli erano affidate soprattutto da Giove.

Aggiungiamo che i gioielli dei dignitari inglesi, i Diaconi, rappresentano un Mercurio col caduceo. Per certi commentatori, fra cui Bernard Jones, nel suo trattato sulla Massoneria «Compendium and Guide» la colomba sarebbe un ricordo della colomba dell'antico testamento, quella che andò ad annunciare a Noè la fine del diluvio. I Massoni in effetti si dicono Noachidi, figli di Noè. La canna dei Diaconi anglosassoni (essi sono sempre due e assistono il 1° e il 2° Sorvegliante) è diventata il bastone dei Maestri delle Cerimonie. Vediamo così la continuità di una antica tradizione.

Ermete, dio greco, paragonato a Toth, al Mercurio romano, ripreso dai neoplatonici sotto il nome di Ermete Trismegisto (tre volte grande), resta il dio delle rivelazioni difficili da compiere: ecco perché a loro serviva una guida, come hanno i nostri iniziati nel tempio per percorrere un cammino che ignorano, bisogno di una guida, che li conduca dalla periferia del mondo profano verso il centro esoterico.

Il caduceo era l'attributo di Ermete, patrono degli alchimisti. Ermete aveva ricevuto questo caduceo da Apollo in cambio di una lira di sua invenzione. Il caduceo era una bacchetta d'oro circondata da due serpenti di sesso diverso rappresentante il bene e il male, e riconciliati nella pace. Questi due serpenti rappresentavano per l'alchimista i due principi contrari che dovevano unirsi, siano essi lo zolfo e il mercurio, il fisso e il volatile, l'umido e il secco, il caldo e il freddo. Questi contrari si conciliano nell'oro unitario del gambo del caduceo che appariva come l'espressione del dualismo fondamentale che ritma ogni pensiero ermetico e che deve essere riassorbito nell'unità della pietra filosofale: questa armonizza tutti i contrari. Essa è ad un tempo maschio e femmina perché può generare se stessa. Perciò è spesso rappresentata sotto i tratti di un androgino, uno dei simboli maggiori dell'ermetismo.

Il caduceo è così dunque la verga di Ermete Psicopompo, conduttore delle anime, successore del dio egizio Toth, il quale dopo la confessione negativa del morto e la pesatura simbolica del cuore o psicostasia, ammetteva il defunto nel regno di Osiride, tra gli eletti.

L'uso, nei nostri rituali, di viaggi durante i quali i diaconi e i maestri delle cerimonie muniti dei loro bastoni e canne tradizionali conducono gli iniziati dalla periferia al centro simbolico dei nostri templi non è che un ricordo di questa vecchia tradizione che vuole che l'iniziato, virtualmente morto nella vita profana è chiamato, con l'aiuto dei fratelli che guidano i suoi passi, a raggiungere il centro del tempio dell'ideale, dove gli sarà possibile trovare la verità.

Le vie dell'iniziazione sono molte e ciascuno di noi deve scegliere il sistema che meglio gli conviene per abbattere questo Minotauro che abbiamo nel fondo del labirinto della nostra coscienza.

Noi pensiamo di poter affermare che le mitologie tradizionali, che numerosi riti di illuminazione e di iniziazione, quali artisti, scrittori, filosofi iniziati, insomma la maggior parte dei pellegrini dell'assoluto in cerca di superamento, si siano serviti degli stessi simboli e immagini geometriche spiralizzate, vere invenzioni o frutti dello spirito umano, il quale eccezionalmente nella sua ultima tappa raggiunge la convergenza cosmica dell'universo, il punto omega di Teilhard de Chardin. A ciascuno il suo cammino di Damasco o piuttosto, semplicemente come ha osato dirlo e scriverlo il poeta Presidente del Sénégal Leopold Senghor, perché la danza e la marcia rituale sono la prima arte creata dall'uomo.

 

 

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