I Misteri rappresentavano, nell'antichità, la parte più interessante ed essenziale della religione e costituivano l'espressione simbolico-mistica di una specie di dottrina cosmogonica con la quale rendevasi ragione della origine del mondo, delle vicissitudini della natura e delle cause del bene e del male.
Suida trae l'etimologia della parola "misteri"
apo to miein to otoma, cioè dal chiudere la bocca, perché era vietato sotto pene orrende il manifestare le cose che in essi si nascondevano.

Così Professor Angelo Guidi dell'Università di Roma in questa indagine, di grande interesse, sull'origine dei misteri Eleusini.

Il documento è opera d'ingegno dell'Autore obbliga soltanto lo stesso. Ogni diritto è riconosciuto. La diffusione in rete è subordinata all'indicazione della fonte e degli autori.

© Angelo Guidi

 

Download "I Misteri di Eleusi"

 

 

I Misteri rappresentavano, nell'antichità, la parte più interessante ed essenziale della religione e costituivano l'espressione simbolico-mistica di una specie di dottrina cosmogonica con la quale rendevasi ragione dell'origine del mondo, delle vicissitudini della natura e delle cause del bene e del male.
Suida trae l'etimologia della parola "misteri"
apo to miein to otoma, cioè dal chiudere la bocca, perché
era vietato sotto pene orrende il manifestare le cose che in essi si nascondevano.
L'oscurità e il segreto gelosamente e costantemente mantenuti, hanno resa ai posteri molto difficile la via di conoscere intimamente le varie cerimonie e di comprendere le loro arcane significazioni.
Nondimeno, alcuni luoghi di antichi scrittori, e specialmente degli Apologisti della Chiesa, ci hanno somministrato una luce bastevole per rintracciare le allusioni simboliche e darci un'idea limitata ma reale di tutte le pratiche che costituivano quegli importantissimi riti religiosi.
Non pochi scrittori posteriori si sono occupati dei Misteri dell'antica Grecia: tra essi accenneremo al Clasenio, al Bulengero, all'Egelingio, al Meursio, al Menetreio, le opere dei quali sono raccolte nel Tomo VII del Tesoro Gronoviano. A questi autori si possono aggiungere il Paw, il Boulanger (Antiq. dévoil.), il Frereto, il Warburthon, il Gebehn. Ma l'opera che merita di essere più consultata per queste ricerche è quella del Barone di Sainte-Croix: Mémoires pour servir à l'histoire de la religion secréte des anciens peuples. A questa dottissima opera appunto noi abbiamo voluto attenerci a preferenza, nel compilare la nostra breve ma compendiosa dissertazione.

Origine dei Misteri
I più antichi Misteri della Grecia sono quelli dei Cabiri, che erano stati istituiti nella Samotracia all'epoca in cui quest'isola venne abitata dai Pelasgi. Secondo Strabone furono detti Cabiri i sacerdoti pelasgi che introdussero il culto tra i Samotraci.
Questo culto non ebbe da principio che due Deità: il Cielo, detto nel linguaggio misterioso
azierastoj, cioè degno di amore, e la Terra, azioceroa, cioè degna sposa. A queste due Deità fu data in seguito una figlia e finalmente fu loro aggiunto un Dio d'ordine inferiore, conosciuto sotto il nome di Cadmillo.

Questa prima alterazione del Culto dei Samotraci derivo dall'aver essi adottate le Deità degli Egizi e dei Fenici (Diodoro Sic. lib. III). Continuando i Samotraci ad accogliere le tradizioni e le cerimonie straniere, si servirono del nome dei loro primitivi sacerdoti; cioè dei Cabiri, per indicare le loro antiche Deità, che poi furono da essi interamente confuse con quelle della Grecia.
 

Una di queste antiche Deità divenne Cerere, l'altra Proserpina, la terza Plutone, la quarta Mercurio, secondo il linguaggio dei profani, giacché gli iniziati ai Misteri sapevano che quest'ultima era l'Horo d'Egitto o lo Jacco di Eleusi.
La dottrina orfica penetrò quindi anche nel santuario di Samotracia e da quest'epoca le Deità Cabiriche vennero confuse con Venere, con Potone e con Fetonte.
Axieoastj divenne Fetonte, il Cielo o la Luce; Axiocersa, Venere o la Terra fecondata, e il giovane Cadmillo, Potone o Cupido. I Dioscuri pure furono posti fra le Deità Cabiriche; la loro presenza fu riconosciuta dai nocchieri come un segno di buon augurio: la fiamma sacra, che ora dicesi Fuoco di Sant'Elmo, altro non era che l'apparizione dei Dioscuri, come Deità Cabiriche.
Atene e molte altre città adottarono il culto di Samotracia; ma quest'isola si mantenne per lungo tempo nel diritto delle iniziazioni, dal che essa ritraeva anche grandi ricchezze.
Coi Cabiri hanno gran relazione, si per la conformità delle cerimonie religiose e sì ancora per l'antica loro istituzione, i Cureti, i Coribanti e i Telchini. Sembra che questi pure non fossero, in origine, che i sacerdoti del Cielo e della Terra, e che molta parte abbiano avuta nell'introdurre la cultura nei vari paesi della Grecia. Ma, alteratasi la loro religione primitiva con l'aumentarsi delle Deità, col cangiamento dei costumi e con la mescolanza dei culti stranieri, i loro successori formarono oggetto di arcano l'antica dottrina e istituirono quindi le iniziazioni ai misteri in Creta, nella Frigia, in Rodi e altrove.
 

Per tal modo, sì come era avvenuto dei Cabiri, essi vennero dai profani confusi coi Dioscuri e coi Lari, e da semplici ministri dell'antico culto divennero essi medesimi Deità tutelari.
Ma tutti questi Misteri furono sorpassati per importanza, e in certa guisa oscurati, dalle sacre cerimonie di Eleusi che ben presto vennero esse sole chiamate per eccellenza Misteri (1).
Secondo i marmi di Paros, sembra che i Misteri di Eleusi siano stati istituiti sotto il regno di Eretteo, verso l'anno 1397 prima dell'Era volgare.
Tucidide, Plutarco, Apollodoro, Pausania ed altri scrittori parlano di una guerra che Eretteo, re dell'Attica, ebbe a sostenere contro di Eumolpo che comandava gli Eleusini. Finalmente questi si sottomisero ad Eretteo con la condizione, secondo Pausania, che il sacerdozio di Cerere e di Proserpina avrebbe dovuto essere conservato e riconosciuta ad Eumolpo e alla discendenza di lui.
Ma la storia di Cerere vuol essere considerata sotto due aspetti : il primo quello della semplice e più antica tradizione, il secondo quello della tradizione frammischiata alla favola.
 

Giusta la tradizione; Cerere non è che l'Iside degli Egizi, il principio passivo, ossia la Terra, alimentatrice del genere umano. Erodoto, Diodoro e tutti gli altri autori attestano l'identità di queste due Dee; identità che diviene ancor più certa per l'etimologia dei loro nomi. La prima aveva nell'Egitto il soprannome di Mauth, madre, parola che non è differente da MauThe, in uso presso i Copti per indicare la madre del mondo. La seconda era chiamata dai Greci Demeter, cioè la Terra madre, interpretazione letterale della parola Iside, secondo la dottrina dei Misteri. Plutarco e Lattanzio ci assicurano ancora che la storia dei viaggi di Cerere in traccia di Proserpina, rapita da Plutone, è in rapporto con quella di Iside, Osiride e Tifone.
I Greci ebbero la cognizione della Dea Cerere dalle figlie di Danao che ne introdussero il culto nel Peloponneso, donde non passò nell'Attica che verso l'anno 1511, sempre stando alla testimonianza dei marmi di Paros.
Secondo la favola, invece, Cerere, sotto le sembianze di una vecchia, andò raminga per vari paesi, alto splendore di fiaccole, per rintracciare la sua Proserpina. Giunta nel territorio d'Eleusi, si assise tre volte, secondo Callimaco, al fonte di Calliroe, tutta coperta di polvere e senza avere né mangiato né bevuto. La pietra che le era servita da sedile fu detta Agelasta, cioè triste. Cerere entrò poi nel palazzo di Celeo, re di Eleusi, dove s'imbattè nella vecchia Jambe, che coi suoi scherzi lubrici la fece ridere. Scelta per nutrice di Demofonte, figliuolo del re Celeo, teneva una notte il pargoletto sul fuoco, onde consumarne le parti mortali, quando la madre di Demofonte, spaventata a tale spettacolo, gettò un grido si alto che la Dea lasciò cadere il bambino sul fuoco, nel quale questi rimase incenerito. Cerere, per consolarsi di questa sventura, prese a educare il maggiore dei figli di Celeo, gli diede un carro, sotto cui erano aggiogati i draghi, e lo mandò ad insegnare agli uomini l'arte di seminare il frumento.
Tale è il racconto di Apollodoro, che, con alcune differenze, e con più minuti particolari ci viene pure esposto dall'autore dell'inno a Cerere, attribuito ad Omero. Questi racconta che Cerere, ripresa la sua vera forma, comandò a Celeo di innalzare un tempio, volendo in esso istituire le cerimonie dei suoi misteri; e aggiunge che la Dea non abbandonò il tempio se non quando Giove, vedendo la Terra afflitta dalla sterilità, e temendo di perdere l'omaggio dei mortali, le fece annunziare, a mezzo di Iside, che essa avrebbe finalmente ritrovata la figlia: con la qual lusinga Cerere depose la collera che aveva concepita contro Giove, fautore del rapimento di Proserpina.
In quest'ultima parte della favola è evidente l'allegoria. Il poeta dà chiaramente a divedere che dopo una lunga siccità, la terra fu fertilizzata di nuovo da una abbondante pioggia.
 

Ma, ancora a proposito del culto di Cerere, Clemente Alessandrino ed Arnobio riferiscono alcune circostanze interessantissime che essi avevano ricavate dalle antiche poesie orfiche, e che naturalmente venivano ripetute, per commemorazione, nei Misteri, come vedremo più innanzi. Secondo tali racconti, una donna di Eleusi, a nome Baubone, offrì a Cerere una bevanda composta di orzo. Avendo la Dea rifiutata la bevanda a causa della sua estrema tristezza, Baubone le sollevò le vesti in maniera da scoprirne il sesso. Cerere anziché offendersi per tanto ardire, accettò lo scherzo, rise e tracannò la bevanda.
 

Anche la storia di Proserpina ebbe grande parte nell'origine e nello sviluppo dei Misteri Eleusini.
Basta tener conto, a preferenza di altre circostanze, della identità tra la favola di Proserpina con quella di Osiride, che dai sacerdoti egizi veniva considerato come la sostanza spermatica o fecondatrice, tanto che il seppellimento di questo Dio, in traccia di cui andava Iside, non altro denotava che la semenza nascosta nella terra. E, difatti, giusta il linguaggio dei nuovi Platonici, Proserpina era il simbolo di tutti i germi.
La Terra pertanto riceve nel suo seno tutti i germi rappresentati da Proserpina. Questa Dea perciò fu chiamata Chtonia che significa terrestre, ma che poi, per metonimia, fu detta infernale.
 

Col culto di Cerere ha strettissima relazione quello del giovane Jacco, che dalla più parte degli antichi vien detto figliuolo di Proserpina e che malamente da alcuni venne confuso col Bacco tebano.
Esso trae origine dall'Egitto e forse non è altro che Osiride stesso, giusta il costume dei Greci di confondere in una sola parecchie Deità straniere e di separarne talvolta le avventure e gli attributi.
Secondo Diodoro e Clemente Alessandrino, Jacco, figlio di Proserpina, fu fatto a pezzi dai Titani e poi richiamato in vita da Cerere.
Sembra, perciò, che questo racconto non sia che una allusione ad Osiride ucciso e fatto in pezzi da Tifone.
La storia di Cerere, di Proserpina e di Jacco, che, come abbiamo accennato, si ricollega e si confonde, nella tradizione e nella favola, al mito di Iside, di Osiride e di Horo, rappresenta quindi la base e il motivo dell'istituzione dei Misteri, dapprima in Arcadia, patria di Proserpina, poi in tutto il Peloponneso e quindi in Eleusi, ove tali cerimonie religiose assunsero l'importanza particolare che le ha rese famose nei secoli e nella storia.
Le ricerche intorno al culto di queste tre Deità, che abbiamo voluto qui sunteggiare, servono quindi ad agevolarci la via alla comprensione e alla spiegazione dei Misteri.
 

Cerimonie delle Iniziazioni
Ed ecco che noi possiamo, senz'altro, dirigere il nostro studio alla ricerca di tutto quel complesso di cerimonie caratteristiche e significative che si praticavano nelle iniziazioni ai misteri.
In Samotracia le cerimonie cominciavano dalla purificazione e dalla confessione dei propri peccati, che facevasi innanzi a un sacerdote detto Koes, che da Fréret viene considerato conte l'Uditore, e a cui i candidati dovevano promettere di essere migliori in avvenire. Da questa cerimonia però andavano esenti i fanciulli, come si rileva da Plutarco nella vita di Alessandro.
Dopo la purificazione, il Mista, o candidato, coronato di ulivo e con una cintura di porpora, andava ad assidersi sopra una specie di trono, intorno a cui facevano cerchio gli assistenti o i già iniziati tenendosi per mano, danzando e cantando inni.
Seguiva subito dopo la pompa itiphallica che, a quanto dice Erodoto, aveva intima relazione con la morta cabirica. Cadmillo infatti, il più giovane dei Cabiri, fu ucciso dai suoi due fratelli, che fuggirono portandone in un canestro le parti genitali.
La sua testa fu involta in un panno di porpora e il suo corpo fu portato nell'Asia sopra uno scudo, e quindi venne seppellito ai piedi del monte Olimpo.

Queste cerimonie si celebravano di notte e spesso in un antro, onde fossero meno esposte alla violazione dei profani.
Da un luogo di Erodoto sembra doversi dedurre che agli iniziati venivano insegnate varie tradizioni storiche intorno ai Pelasgi e alla loro religione e specialmente circa il culto dei Mercuri phallofori.
Nulla diremo dei Dattili, dei Cureti, dei Coribanti e dei Telchini, le iniziazioni dei quali non dovevano essere troppo diverse da quelle dei Cabiri, sebbene con l'andar del tempo fossero divenute addirittura mostruose, a segno da meritarsi il disprezzo degli stessi Greci.
Basti dire che i successori degli antichi Coribanti giunsero a tanto furore nelle loro cerimonie sacre, da mutilarsi nelle parti genitali e portare in trionfo le prove incredibili della loro sacra frenesia!

Essi correvano poi nudi per le contrade per solennizzare la memoria della mutilazione cui era stato costretto Ati per gelosia della Terra, sua madre, ossia di Cibele.
Ora, al disopra di tutte queste cerimonie di iniziazione nella Samotracia e nelle altre parti della Grecia, stanno le cerimonie che si compivano nelle iniziazioni ai Misteri in Eleusi, le quali, sebbene derivassero da quelle che abbiamo brevemente accennate, rimasero esse sole più famose nella storia, tanto che furono chiamate per antonomasia Misteri.
Di questi possiamo ormai trattare più ampiamente, dopo quanto abbiamo creduto di esporre fin qui, per renderne più chiara e organica la narrazione.

I misteri di Eleusi erano compiuti dai sacerdoti di Cerere, i quali si dividevano in due ordini distinti, cioè. sacerdoti maggiori e sacerdoti minori.
 

All'ordine del sacerdoti maggiori appartenevano :
L'jerofanto (o Mistagogo) che presiedeva alle cerimonie arcane e svelava i misteri ai neofiti. L'Jerofanto di Eleusi non poteva essere eletto che in età avanzata e dopo di essere passato per altri vari sacerdozi. All'entrare nella sua carica egli doveva dedicarsi ad una perpetua castità, al qual uopo strofinavasi il corpo nudo col sugo di cicuta. Il trono su cui stava assiso, la magnificenza degli abiti la gravità del contegno, la nobiltà della figura, i capelli lunghi, la voce dolce e sonora lo distinguevano dagli altri ministri di Cerere.
 

Il Daduco aveva per distintivi le bendelle che gli cingevano la testa in forma di diadema. (Plutarco nella Vita di Aristide racconta che il Daduco Callia, per la forma delle bendelle che erano acconciate quasi come un diadema, fu scambiato per un Re, nella battaglia di Maratona). Il Daduco insieme coll'Jerofanto intonava gl'inni e pregava Cerere e Proserpina per la salvezza del popolo. Nelle processioni il Daduco precedeva gli iniziati portando una fiaccola, donde deriva appunto il suo nome: a lui apparteneva pure il presiedere alle purificazioni.
 

Lo Jeroceruce, o sacro Araldo, allontanava i profani dal tempio di Cerere e dirigeva nelle processioni i Lampadofori, o portatori di lampade, come rilevasi anche da un bassorilievo riportato da Spon e da Wheler.
 

L'Eplbomo, era una specie di diacono o assistente; e aveva l'incarico di tutto ciò che riguardava
sacrifici. Da un luogo di Apuleio sembra doversi dedurre che egli, al pari dei sacerdoti di Iside, portasse nelle sacre pompe una specie di baldacchino.
Tutti questi sacerdoti, oltre alle sacre bende avevano il capo adorno di corone di tasso e di mirto, e portavano altresì un manto di porpora, nonché una chiave che loro pendeva dietro le spalle, a significare il segreto che essi dovevano conservare ben chiuso e inviolabile nei sacri riti. (Soph. Edip. Col. V, 1046.49).
 

All'ordine dei sacerdoti minori appartenevano :
L'Jaccogogo, che presiedeva ai Misti nelle processioni di Jacco; l'Hidrano che purificava i candidati; lo Spondoforo, incaricato delle libazioni; il Pirforo, che portava il fuoco; il Licnoforo, che portava il vaglio mistico, ed altri ministri che sono rammentati da Polluce e da Esichio, nonché da iscrizioni raccolte dal Chaudler e dallo Spon.
 

Oltre i sacerdoti, v'erano le sacerdotesse.
Cerere e Proserpina avevano sacerdotesse chiamate Metropoli e Melisse. Metropoli perché Cerere era considerata come la madre della città; Melisse da melissa, ape, per simboleggiare la pudicizia.
Le Sacerdotesse erano presiedute da una Jerofantida, che doveva discendere dalla famiglia dei Filleidi, alla quale apparteneva l'onore e il diritto di iniziare ai misteri le donne, le quali, secondo quanto dice S. Epifanio, si presentavano a queste cerimonie interamente nude.

In Eleusi, come anche altrove, i Misteri si distinguevano in piccoli e grandi.
I piccoli misteri eleusini si celebravano nel mese di Antesterione, cioè in gennaio, e avevano luogo in Agra, piccola borgata distante tre stadii da Atene. In Agra eravi un piccolo tempio sulle sponde del fiume Ilisso. In questo fiume per l'appunto si compivano le purificazioni preparatorie, le quali erano sempre precedute da un digiuno.
In queste cerimonie il Daduco, dopo le purificazioni iniziali, faceva porre al Candidato i piedi sulle pelli delle vittime poco prima immolate a Giove Meilichio e Ctesio. Dopo di ciò il Mistagogo, per assicurarsi del segreto, esigeva dal candidato il più terribile giuramento. Giusta un luogo di Clemente Alessandrino sembra che a questo punto si spiegassero al candidato alcuni termini enigmatici quasi tutti relativi all'agricoltura, e che gli venisse pure dato il comandamento di non mangiare il proprio cuore, cioè di non farsi vincere dalla tristezza.
A questa introduzione seguiva l'insediamento sul trono e le danze caratteristiche al canto di inni sacri, come nelle iniziazioni di Samotracia.
Gl'iniziati nei piccoli misteri assumevano semplicemente il nome di Misti, e, giusta Plutarco nella vita di Demostene, non potevano essere ammessi ai grandi misteri se non era trascorso almeno un anno dalla prima iniziazione.
 

I grandi Misteri, invece, avevano principio ai quindici del mese di Boedromione, cioè di agosto, e, secondo Meursio, duravano nove giorni.
Nel primo giorno si faceva la riunione preparatoria dei Misti.
Nel secondo i Misti compivano una solenne processione recandosi al mare, nelle cui acque si lavavano, essendo esse reputate lustrali (2).
Il terzo giorno si passava nel digiuno e in lamenti simbolici, allusivi ai gemiti di Cerere e di Proserpina, sopra letti mistici, circondati da bendelle di porpora. Clemente Alessandrino dice che l'iniziato proferiva queste parole: "lo mi sono introdotto nel letto nuziale", parole relative a Plutone; ed aggiunge che tutto ciò era veramente degno della notte, con che ci fa conoscere sia l'indecenza di tali riti, sia il tempo in cui essi erano compiuti. È facile, infatti, immaginare le scene di lussuria e di dissolutezza orgiastica prodotte da queste misteriose e furibonde frenesie sacre.
Nel quarto giorno avevano luogo i sacrifizi e le danze mistiche in un prato smaltato di fiori, intorno al fonte Calliroe. A questo punto lo stesso Clemente Alessandrino dice che non era lecito toccare le parti genitali delle vittime; e gl'iniziati non dovevano ignorare la ragione di questo divieto.
Nel quinto si celebrava una caratteristica e fantasmagorica processione detta delle fiaccole. Gli iniziati procedevano lentamente, scambiandosi le fiaccole fra loro e cantando inni. Essi facevano così il loro ingresso nel tempio di Eleusi preceduti dal Daduco, che portava una fiaccola più grande, simbolo di Fosforo o di Lucifero.
Il sesto giorno era consacrato a Jacco. Questa giornata era fra tutte la più solenne per l'importanza delle cerimonie che comprendevano l'Epoptea o grande iniziazione.
L'immagine del giovane Dio Jacco, coronata di mirto e stringente nella destra una fiaccola, era seguita processionalmente dal vaglio, emblema della separazione fra gli iniziati e i profani, e dal calato, ossia la cesta mistica. In questi due sacri arnesi erano religiosamente riposti gli oggetti necessari ai misteri e cioè il vino, il miele, l'acqua e la farina d'orzo (con cui si componeva una bevanda detta
Ciceiou  cioè bevanda mista) nonché alcuni pani in forma di piramide, melegranate e, finalmente, un falloj di legno o di altra materia, che, riproducendo gli organi sessuali maschili, significava nei misteri il principio attivo e la virtù spermatica dell'Universo.
Gl'iniziati, in processione, ripetevano con altissime grida il nome di Jacco, al quale era dedicata quell'intera giornata di cerimonie.
 

Dopo la processione aveva luogo l'Epoptea o grande iniziazione.
 

L'Jeroceruce dava principio al rito con le proclamazioni. Ad ogni iniziando veniva richiesto se egli avesse mangiato del pane; se rispondeva di si, era subito scacciato dal tempio come un profano; se invece rispondeva: "No, io ho bevuta la bevanda mista", veniva senz'altro ammesso ai grandi Misteri, poiché aveva con quella risposta dato a comprendere di aver già partecipato ai piccoli misteri.
A tale rito il candidato doveva intervenire completamente nudo. Dopo la proclamazione veniva coperto da una pelle di cerbiatto che egli stringevasi alle reni facendosene quasi una fascia: cerimonia segreta con la quale alludevasi allo stato selvaggio dei primi uomini e alla vita corrotta e mortale dei profani.
Deposta poi la pelle di cerbiatto, il Misto assumeva una veste di lana tinta in porpora, veniva coronato di mirto e andava ad assidersi sopra un letto ornato di bende purpuree (3). Dopo tale cerimonia, egli era appellato
maccoioj, cioè felice. Le porte del Tempio erano tuttavia chiuse: i Misti stavano nel pronao, aspettando che esse si aprissero. Intanto si udivano orrende voci infernali, apparivano fantasmi in terribili figure mostruose, rese ancora più orrende da lampi e tuoni scroscianti, tutto disposto per far raccapricciar d'orrore e di terrore.
Ed ecco che, dopo tutto questo apparato infernale, il Mistagogo apriva finalmente le porte. La statua di Cerere, per mezzo di abili artifizi, appariva sfavillante di luce; le tenebre si dissipavano, le voci orrende tacevano d'un colpo: una calma solenne si diffondeva nel tempio. Allora l'iniziato adorava la Dea, ed era dichiarato Epopto o contemplatore. Veniva quindi accolto in una amena prateria ove cori di musici e di danzatrici solennizzavano con lieta festa il grande avvenimento compiuto.
Secondo Seneca, alcune cerimonie dell'Epoptea erano riservate per quelle persone che assistevano per la seconda volta ai Misteri. (Nat. Quaest., lib. VIT, cap. 31). Di tale specie sembra che fosse l'inaugurazione del
falloj di cui parlano Teodoreto, Clemente Alessandrino e Tertulliano. Quest'ultimo afferma che i Valentiniani non avevano ancora adottata la solennità del principio spermatico della Natura, rappresentato dal membro virile (falloj).

Nel settimo giorno gl'iniziati facevano ritorno da Eleusi ad Atene. Giunti sul ponte del Cefiso, avveniva una specie di gara tra essi e i profani affollati sul ponte. I profani schernivano gl'iniziati con parole sconce e scurrili e gli iniziati rispondevano can le stesse armi. Chi vinceva in questa lotta di salaci motteggi veniva coronato di bende purpuree.
L'ottavo giorno era detto. Epidauria e celebravasi in onore di Esculapio, che non avendo, secondo la tradizione, potuto partecipare alle cerimonie del sesto giorno, ottenne che il rito fosse replicato l'ottavo giorno. L'epidauria serviva quindi anche per coloro che fossero giunti troppo tardi.
Finalmente, il nono giorno delle iniziazioni dicevasi Plemochoè, dal nome di un vaso di terra, piatto nel fondo e con un manico solo. Questo vaso era riempito di vino dai sacerdoti, i quali facevano con parole misteriose, una libazione a Proserpina infernale, versando il vino per terra, in alcune buche, le une a levante, le altre a ponente, e guardando prima il Cielo e poi la Terra, quello come il padre e questa come la madre di tutti gli esseri.
Nel giorno seguente si celebravano i giuochi ginnastici, che erano stati istituiti da Pandione II, figliuolo di Cecrope e che servivano quasi a chiusura delle misteriose cerimonie.
A questi giuochi venivano ammessi anche i fanciulli. I vincitori riportavano per premio una misura d'orzo.

A compimento di tutto quanto abbiamo esposto fin qui, ci sembra opportuno riferire in merito a una delle più interessanti pitture dei vasi dell'edizione originale di Hamilton, che rappresenta appunto in sintesi le cerimonie eleusine.
È d'uopo ripetere che i sacerdoti nella celebrazione dei Misteri figuravano le Deità cui essi erano addetti, e i vari personaggi rammentati negli avvenimenti mitologici. Apulejo, testimone delle feste di Bacco, afferma di aver veduto, nei travestimenti che vi sì praticavano, uomini calzati con pianelle dorate, abbigliati con ricche vesti e con preziosi ornamenti, portando i capelli rilevati sul vertice del capo, adectis capite crinibus, e rappresentando le femmine con la mollezza delle loro movenze e con l'agitare flessuoso dei fianchi.
Tali uomini non erano che le immagini dei Genii.
Nello stesso modo, nei Misteri di Eleusi uomini e donne si travestivano in guisa da figurare tutte le azioni di Cerere, di Proserpina e di Jacco.
Pertanto, la dipintura, alla quale accenniamo, é tanto più pregevole in quanto ci dimostra il modo con cui venivano rappresentati gli avvenimenti ond'ebbero origine i Misteri, intorno ai quali Pausania ebbe a dire che "a coloro i quali non sono iniziati non é lecito né il conoscerli né l'osare di istruirsene per semplice curiosità" (4).
Gli ulivi delle due Tavole indicano il luogo della scena, cioè l'Attica, verso l'estremità della quale trovavasi Eleusi. Nel mezzo delle Tavole vedesi il Puteale, o coperchio, in forma di un vaso rovesciato, che copriva il pozzo, fonte Callirhoe, intorno al quale le vergini si univano per intrecciare le danze e cantare gli inni in onore di Cerere. Su questo pozzo, a dire di Callimaco, la Dea appunto si assise per ben tre volte; poiché, sconsolata per non poter riavere la figlia rapitale da Plutone, rifuggi presso Eleusi, secondo alcuni scrittori, o presso il vecchio Celeo, secondo altri.
La Melissa, o donna iniziata, che la rappresenta, dimostra col suo atteggiamento la più grande tristezza. Il Genio che sta al suo fianco è Amore che ben vi si distingue per l'indicazione e per la cassetta mistica di Venere, che sono nelle mani di una donna collocata dietro di lui, e più ancora per il suo arco, che tiene quasi in atto di offrire alla Dea come unica causa del suo abbattimento.
Presso di Cerere è pure rappresentata la vecchia, detta Jambe da Apollodoro, Baubone da Clemente Alessandrino e Metanira da Nicandro. Questa vecchia, per consolare la Dea, le offri una bevanda che essa rifiutò. Per distrarre l'attenzione della Dea e sollevarla dallo stato di abbattimento in cui si trovava, la vecchia alzò le sue vesti fino a scoprire le parti sessuali; il che eccitò il riso alla Dea, che, in tal modo distratta, accettò la bevanda.
In memoria di questo fatto il Pecten-Cteis, cioè l'organo sessuale femminile, che Apulejo chiama mundum muliebre, fu posto, come oggetto sacro, nelle ceste mistiche di Cerere, nella stessa guisa che il
falloj, organo sessuale maschile, tenevasi nelle ceste di Bacco. (I Siracusani facevano il Pecten con una pasta di miele e di sesamo che Ateneo chiama Milli).
Nella dipintura che abbiamo accennata il Pecten è indicato entro una specie di astuccio a fianco del viso capovolto. Hyona, moglie di Eleusio e madre di Celeo, che accolse Cerere nella propria casa, é rappresentata dalla figura che siede presso Baubone. Quegli che parla a Cerere è Diocle, uno dei giovani istruiti da lei e che in un inno attribuito ad Omero (e di cui ci venne da Pausania conservato un frammento) vien detto, domatore di cavalli; l'asta indica questa sua qualità, poiché essa serviva di staffa agli antichi per montare a cavallo.
Nella seconda dipintura, Cerere assisa presenta una corona ad Eumolpo, il quale tiene una cintura, simbolo delle leggi che essa diede agli uomini. Le cinture e i bacili di frumento che veggonsi nelle mani delle donne e del Genio sono gli indizi delle cerimonie misteriose affidate alla famiglia degli Eumolpidi.

Dottrina segreta dei Misteri
Diodoro Siculo ci assicura che le cerimonie misteriose della Grecia erano quasi identiche e celavano la stessa "dottrina segreta" di quelle che si compivano in Egitto, anche perché la favola di Cerere non differiva da quella di Iside se non per i nomi dei personaggi.
Ora le cerimonie d'Egitto non erano che l'espressione simbolica della Cosmogonia religiosa, con la quale si rendeva ragione dell'origine del mondo, della maniera con cui gli Dei lo governavano, delle vicissitudini della natura e finalmente delle cause del bene e del male.

Plutarco scrive che Solone, di ritorno dall'Egitto, confermò quei riti simbolici, soppresse le cerimonie barbare e pacificò la città. Le purificazioni perciò furono considerate come preludio dei Misteri. Secondo Platone, tali purificazioni liberavano dai delitti durante la vita e dopo la morte. Questa "dottrina" era fondata sul dogma della metempsicosi, in conseguenza della quale i filosofi ritenevano che l'anima umana potesse essere colpevole di qualche peccato anche prima di incarnarsi, ciò che si rileva chiaramente da un frammento di Cicerone conservatoci da S. Agostino.
Negli insegnamenti della dottrina segreta i Mistagogi affermavano infatti che i "profani" dopo la morte sarebbero stati gettati nel fango e che, al contrario, gli "iniziati" avrebbero avuto per premio un delizioso giardino nel regno di Plutone.
Noi non vogliamo con ciò affermare che la credenza del premio e della pena dopo la morte formasse materia della dottrina segreta, giacché questo dogma era popolare presso i Greci fin dai tempi di Omero e di Esiodo. Era però considerata come mistero la metempsicosi, che costituiva la base della credenza. Ecco perché la metempsicosi veniva tosto manifestata ai Misti, cioè agli iniziati nei piccoli misteri.
Dall'idea dei due principi (il bene - il male) nacquero i Genii. Platone e Plutarco affermano che la natura dei Genii era conosciuta dagli iniziati, e che a questi veniva anche insegnato che gli Dei, per l'esecuzione della loro volontà, si servivano del ministero di esse, celesti e terrestri.
Pertanto, la storia di Cerere, di Proserpina e di Jacco, nata nell'Egitto, e alterata nella Grecia, formava, secondo Clemente Alessandrino, il soggetto dei misteri, ed era insegnata ai misti, i quali divenuti poi epopti (nel sesto giorno dei grandi misteri) ricevevano della stessa storia una spiegazione sia fisica che morale, secondo i vari sistemi di filosofia adottati, nei vari tempi, dai Mistagogi.
Di conseguenza, allorché fra questi dominò la dottrina degli Eclettici, o nuovi Platonici, gli Dei non altro divennero, nei Misteri, che "forze unite necessariamente alla materia", e perciò i seguaci di tale dottrina, affermavano che i Misteri di Eleusi, al pari di quelli di Samotracia, istruivano piuttosto intorno alla natura delle cose, che a quella degli Dei (5). Secondo questo sistema, il Daduco sarebbe stato l'immagine del Sole; i Misti avrebbero rappresentato l'Universo.
È d'uopo perciò concludere che i Misteri non furono nella loro origine che semplici pratiche o cerimonie legali: e che in seguito venne loro aggiunta una dottrina segreta relativamente alla scoperta dell'agricoltura, allo stabilimento delle leggi, all'introduzione di un nuovo culto religioso con minacce di punizioni nell'altra vita, quanto ai profani, e con promesse di una felicità eterna, quanto agli iniziati.
Quanto a noi, non sarebbe cosa difficile lo svelare del tutto i Misteri, se ci fossero pervenuti i libri rituali attribuiti ad Orfeo e a Museo e i libri di Eumolpo, del pitagorico Arignoto e di molti altri; delle quali opere parlano i Padri della Chiesa.
 

Ad ogni modo, i Misteri non furono sempre tanto segreti che i profani non ne potessero conoscere la dottrina.
Gli Eclettici e i Nuovi Pitagorici si facevano iniziare in tutti i Misteri e ne parlavano continuamente nei loro scritti. Il pitagorico Numenio li aveva anzi rivelati ai profani.
Le opere accennate sussistevano ai tempi dei Padri della Chiesa, i quali, come è noto, ne avevano fatta una diligente ricerca. Porfirio confessa che Origene intendeva il senso dei Misteri, ed Eusebio ci assicura che S. Clemente Alessandrino li conosceva per propria esperienza.
Giustino e Atenagora con le loro opere ci dimostrano che erano stati ambedue iniziati.
Non è difficile quindi, che alcuni degli iniziati si siano convertiti al Cristianesimo ed abbiano manifestati i segreti agli Apologisti: difatti, Teodoreto dimostra che tali segreti non gli erano ignoti. (Saint-Croix, pag. 344).
Il Warburthon nel suo "The Divine Legation of Moses" pone fra i dogmi della dottrina segreta quello dell'unità di Dio, opinione alla quale si era pure attenuto il Larcher nella prima edizione di Erodoto.
Anche il signor Hancarville è d'avviso che il dogma dell'unità di Dio venisse palesato agli iniziati. A ciò probabilmente egli si è indotto dalla supposizione che questo dogma abbia, presso i Greci, preceduto il Sabeismo.
 

Ma come ammettere l'insegnamento di un dogma che avrebbe rovesciato tutto il politeismo, e che sarebbe stato in aperta contraddizione col culto pubblico, con la politica e con gl'interessi dei governi e specialmente dei sacerdoti? D'altra parte gli Apologisti della Chiesa non ne fanno alcun cenno, sebbene da ciò avessero potuto trarre un grande argomento contro la superstizione stessa dei Gentili.
Tuttavia, se proprio dobbiamo ritenere che l'unità di Dio costituisse il primo dogma della "dottrina segreta" contenuta nei Misteri Eleusini, siamo persuasi che tale dogma doveva essere inteso e insegnato dai Mistagoghi in un senso tale da rendere non solo compatibile, ma anche filosoficamente logico, il politeismo allora dominante.
Era, probabilmente, già l'alba di quel giorno in cui doveva essere riconosciuta e ammessa universalmente l'unità di Dio. Si cominciava probabilmente già ad ammettere un unico Supremo Principio Universale, così vago, dapprima, da essere compatibile con tutta la policroma mitologia pagana; ma poi a grado a grado più preciso fino a far svanire, come sogni, le numerose Deità create dalle leggende e dalla fantasia degli uomini.
 

A chiusura di quanto abbiamo detto intorno ai Misteri d'Eleusi e al culto di Cerere, riteniamo opportuno far cenno delle feste in onore di Cerere legislatrice, dette Tesmoforie.
Alcuni scrittori, e fra questi il dottissimo Millin, sono d'avviso che le Tesmoforie fossero le principali feste di Cerere, dal che si dovrebbe dedurre che si celebrassero in esse le cerimonie più misteriose. Alcuni altri scrittori hanno poi confuse le Tesmoforie con le Eleusine.
 

Or la natura stessa di tali solennità fa facilmente ritenere che, sebbene comprendessero cerimonie quasi identiche alle Eleusine, tuttavia non erano che feste proprie e particolari del sesso femminile.
Infatti, dalle cerimonie tesmoforiche erano assolutamente esclusi gli uomini, mentre tutte le funzioni sacerdotali appartenevano alle Melisse, sacerdotesse di cui abbiamo già parlato.
Le Tesmoforie si celebravano nel mese di Puanepsione, cioè in ottobre, e duravano cinque giorni. Le donne accompagnavano sino al Tesmoforione (o Tempio di Cerere Tesmofora) il Carro alato misterioso, tirato da quattro cavalli bianchi e circondato da vergini portanti i vagli tessuti d'oro.
Di là, dopo un sacrificio espiatorio, le iniziate recavano sulla loro testa in processione sino ad Eleusi il libro delle leggi, invocando ad alta voce: Calligenia, ossia, giusta l'opinione di Villoison, la Madre della bella Proserpina, o la Madre dei frutti e delle messi.
Le Tesmoforie si protraevano però fino a notte. Ciascuna donna recava una fiaccola che all'istante veniva spenta e poi riaccesa. Adunate misteriose e fantasmagoriche che preludiano il culto dei Romani per la Dea Bona.
Era, nel Tempio, esposto alla pubblica venerazione il Pecten-Cteis (cioè l'organo sessuale femminile), e ciò per commemorare e solennizzare l'avventura di Baubone, che sollevò le sue vesti davanti a Cerere, per distrarla dalla costernazione in cui trovavasi.
La commemorazione si effettuava naturalmente con la ripetizione dell'episodio da parte delle Melisse e delle iniziate. É facile quindi comprendere il tenebroso miscuglio di superstizione, di lussuria e di orgia che costituiva quella cerimonia misteriosa in onore di Cerere.
La Dea, che secondo la favola, si era sollazzata per l'atto osceno commesso da Baubone, non poteva non gradire quella commemorazione licenziosa e orgiastica da parte delle sue ferventi sacerdotesse...
Ma su questo spettacolo, come sugli altri dei Misteri eleusini, noi crediamo, ormai, abbassare il velo che, per la verità storica, abbiamo dovuto qua e là alquanto sollevare.
 

Non vogliamo, peraltro, omettere una parola su qualche monumento relativo ai Misteri d'Eleusi, giunto fino a noi.
Uno di questi è costituito da una medaglia coniata nell'anno 158 dell'era dei Seleucidi, 155 anni prima dell'Era volgare. A proposito di questa medaglia, il chiarissimo Visconti dice: "Io vi riconosco Cerere, in greco Demeter, il cui nome ha formato quello di Demetrio, reso illustre dagli antenati di questo principe. La Dea la quale, insegnando agli uomini la coltivazione, é stata la causa del perfezionamento della società civile, tiene nella sinistra una cornucopia piena delle produzioni che nacquero per opera di lei, e nella destra lo stile con cui tracciò le leggi per gli uomini. Essa è quindi rappresentata su questa medaglia come la Dea frugifera e legifera ad un tempo. Varie figure bizzarre adornano il piede del suo trono: sono i serpenti alati che hanno trasportato il suo carro da un confine all'altro della Terra. La parte superiore dei corpi di questi mostri immortali è rappresentata sotto la forma e con gli abiti di donna".
 

Un altro monumento è costituito da un cammeo, che trovasi nella R. Biblioteca di Parigi.
Questo prezioso gioiello rappresenta Cerere che conduce Trittolemo nel suo carro tirato dai serpenti alati. Trittolemo tiene nel lembo della clamide la semenza che egli deve spargere sulla terra, e Cerere ha nelle mani il rotolo (volumen) che contiene le leggi della proprietà dei campi.
Bella allegoria, dice il Millin, poiché esprime la necessiti di unire la legislazione con l'agricoltura.
 

 

 

1. I misteri Eleusini ebbero, come gli altri, il nome di Orgie e di Teleti. La voce orgia, da orghè, significa impeto forse perché i riti di Bacco che particolarmente erano detti Orgie, celebravansi con una specie di furore; o, come vuole Clemente Alessandrino, deriva dalla impetuosa collera di Cerere contro di Giove che aveva favorito il rapimento di Proserpina. Gli iniziati si dicevano orghiasti e i profani anorghiasti.
La voce Telete deriva da telos, fine, compimento, perché gli iniziati assumevano questo nome allorché compivano le iniziazioni.
2. Ateneo dice che Frine, la famosa cortigiana, sceglieva per lo più il tempo di questa processione per bagnarsi nel mare, ove ambiva mostrarsi tutta nuda per far ammirare le sue magnifiche forme. Spesso con i capelli tutti disciolti, ella intendeva di imitare Venere nascente dalla spuma del mare.

3. Il mirto e la porpora, erano reputati come cose allusive allo stato delle anime dopo la morte, poiché credevasi che le anime degli iniziati soggiornassero in un bosco di mirto e in un campo sparso di rose porporine. Il mirto, perciò, e la porpora divennero simbolo della morte; ciò che diede origine all'uso di piantare nel cimiteri il mirto e le rose.

4. Taluno potrebbe chiedere come mai, ad onta dei rigorosi divieti che proibivano di palesare i Misteri, questi vennero rappresentati sui vasi. La questione, secondo l'erudito Hancarville, può sciogliersi col supporre che tali dipinture siano state eseguite da artefici iniziati. Né sembra cosa improbabile che l'oscurità stessa delle composizioni e delle allegorie sia stata creduta come un mezzo sufficiente per nascondere il vero senso a quei medesimi che le eseguivano su di un dato modello; nella stessa guisa che anche ai tempi nostri i Franchi Muratori facevano dipingere le loro tavole a pittori che, non conoscendone i simboli, non potevano comprenderne né darne alcuna spiegazione.

5. Cicerone: De Nat. Deor. I I, f3 42. Anche S. Clemente Alessandrino assicura che l'Epoptea era una specie di Fisiologia

_______________________________________

Questa pagina è stata letta

Contatore visite

Volte

 

 

Torna a Contributi Esterni